Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Ricorda la storia  |      
Autore: Shinushio    09/08/2010    29 recensioni
Sequel di Icaro
[...]
« Ruki… sei davvero tu? »
Allungai il polpastrello per tastare il suo cappotto verde ma, come le altre volte, le mie dita non afferrarono niente. Trapassai il suo corpo inconsistente mentre sfioravo il posto dove un tempo batteva forte e vitale il cuore dell’uomo che avevo amato più della mia stessa vita.
Niente. Solo vento.
Un’altra illusione.
ReitaxRuki
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Broken' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Noticine (per favore leggete tutti):

 

Se vi raccontassi cosa mi è successo quest’estate non mi credereste quindi dirottiamoci seduta stante da tutt’altra parte. Anzitutto comincio col chiedere scusa a tutti, specie alle scrittrici, lettrici e amiche che più attendevano il mio ritorno avendo in cambio uno straccio e mezzo di notizie sulla sottoscritta da mia moglie Mya. So di non essermi comportata bene ma purtroppo gli imprevisti, brutti o belli che siano, fanno parte della vita.

Chiedo scusa principalmente a queste persone:

 

Mya, Irisviola, Deneb, LadyWay, DEBO94, misa_chan, monochrome, Arhedel Noldoriel, Shadow VI_II_I, jasemises, Maika, Silver_Princess, WhiteRose88, ladyflame ed ondin_beax.

 

Donne mi dispiace tanto per i disagi che ho creato e spero mi riaccoglierete in famiglia con lo stesso affetto che io provo per voi. Inutile dire che questa fiction è tutta vostra. Mi scuso se ho dimenticato qualcuno.

 

 

Sperando che abbiate tutte accettato le mie scuse e non abbiate ancora chiuso la pagina, vi do giusto qualche informazione sulla shot che state per leggere. Trattasi ovviamente di storia triste, anche se non strappalacrime (a mio parere) perché come ben sapete il comico non è il mio mestiere. Nata dopo aver visto il film “Ghost” e aver sognato mia nonna, la quale è venuta a mancare pressappoco un anno fa; dedico anche a lei i sentimenti che ho provato mentre scrivevo.

Inutile dirvi che è sbocciata e si è sviluppata da sola. Ciò che avevo in mente era anni luce da quello che è il risultato finale ma come sempre la mano ha preso il controllo e ogni cosa, battuta e descrizione si è originata da sé.

 

 

                Non ne sono granché soddisfatta: non so perché ma non mi convince e la sento stranamente vuota. Spero vivamente che sia solo una mia impressione, anche perché mi dispiacerebbe tornare su EFP con un flop di dimensioni colossali. A voi come sempre il giudizio, quindi per favore fatevi sentire in tanti, ne ho sinceramente bisogno. Accetto anche mail private.

 

 

                E’ il sequel di Icaro. Quando ho cominciato a scriverla, in realtà non sapevo ancora che sarebbe diventata il continuo di quella shot (che consiglio a tutti di leggere prima di affrontare questa storia, nel caso non l’abbiate ancora letta) ma, come ho detto prima, le mani non hanno seguito la testa.

 

 

Per il momento è tutto. Ci vediamo in fondo come sempre.

 

 

Baci a tutti, buona lettura e… ancora le mie più sentite scuse.

 

 

P.S. Il nome del manager dei Gaze “Madara” è frutto della mia immaginazione. Pertanto non reale.

 

 

 

 

Colonna sonora:

 Hikari (J-Elisa), Dancing (Elisa), My All Mariah Carrey.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~ The Final Night~

 

 

 

 

 

 

« Tok tok tok… »

 

L’orologio a pendolo sopra il caminetto scoppiettante continuava a scandire il tempo con precisione snervante, incalzando il proseguire di una vita che certo non si sarebbe fermata per mano di inutili e pedanti preghiere umane. Era un modello visibilmente costoso, raffinato ed artigianale, un pezzo da collezione sopra il quale ogni esperto avrebbe voluto mettere le mani.  

 

Fuori dalla finestra pioveva a dirotto, tipico cliché da notte a sfondo horror o drammatico, ogni tanto qualche fulmine squarciava le tenebre illuminando il cielo altrimenti plumbeo e scuro. Lacrime di disperazione trafiggevano la terra arsa e cementata, lacrime di disperazione che bruciavano come sale sulla pelle.

 

L’ennesimo fulmine, un altro tuono.

 

Mi  svegliai di soprassalto, la fronte madida di sudore e gli occhi sbarrati per la paura: avevo fatto un altro sogno o, per meglio dire, l’ennesimo incubo.

 

Sospirai pesantemente passandomi una mano sul volto e sfregandomi le palpebre gonfie: quante cose avevano visto i miei occhi in tutti questi anni. Troppe, tante delle quali, tra l’altro, avrei pagato oro per non averle mai neppure sognate.

 

Guardai la sveglia sul comodino: le due del mattino. Era la quarta volta consecutiva che mi svegliavo nel cuore della notte quella settimana. Da quanto riuscivo a capire,  malgrado un mal di testa coi fiocchi e la solita spada d’Adamo conficcata nello stomaco, stavolta a causa di un fulmine.

 

« Tok… Tok… Tok… »

 

Mi alzai faticosamente dal letto matrimoniale senza curarmi della figura, un tempo ammaliante, che dormiva beatamente al mio fianco: i lunghi e luminosi capelli argentei le scendevano davanti agli occhi semichiusi nascondendo le imperfezioni della pelle, disegnando motivi concentrici e disordinati che non sembravano avere una logica apparente.

 

Una creatura bellissima.

 

La causa della mia rovina.

 

Scossi la testa frastornato: che senso aveva pensarci ora, trastullarsi giusto per il gusto di infliggersi del meritato dolore? Cos’avrei ottenuto affibbiandole ogni colpa, come facevo da sempre per sentirmi la coscienza più pulita? Avevo scelto io dopotutto. Quella gelida e purtroppo passata notte di dicembre, avevo scelto io di rovinare non solo la mia vita, ma anche quella della persona che più amavo a questo mondo.

 

 Povero idiota. Povero pazzo.

 

Raggiunsi in quattro e quattr’otto il salotto, ignorando volutamente tutte le foto posate sui mobili della stanza, frammenti di un passato che ora mi ritrovavo a desiderare di non aver mai vissuto e nei confronti del quale mi sentivo uno spettatore esterno. Che strano però: se ci pensavo con più attenzione, riuscivo ancora a sentire le urla dei nostri innumerevoli fan, quelli che romanticamente avevo battezzato come “famiglia”, le battute stupide e per nulla divertenti di Aoi, le raccomandazioni di chioccia Kai ed infine…

 

…NO! Non c’era altro da ricordare. Nient’altro.

 

“Sei solo un povero stupido Ryo. Accetta la realtà…

 

Rimasi in piedi in mezzo alla stanza, sconcertato dalla verità che quelle poche parole racchiudevano in sé, mugugnando infine infastidito e dirigendomi arrabbiato verso l’armadietto degli alcolici. Presi un bicchierino e lo riempii fino all’orlo della prima cosa che mi capitò sotto mano, poi bevvi tutto d’un fiato: volevo dimenticare, chiedevo solo questo, scappare dal peso delle mie azioni che tuttora gravavano sulle mie spalle come pesanti macigni. Dimenticare la mia stupidità.

 

Ripetei l’operazione una decina di volta, mentre la bottiglia di whisky si svuotava lentamente andando a riempire il mio stomaco: mi rendevo conto che era sbagliato, ero perfettamente conscio che non avrebbe giovato ubriacarmi fino a svenire sul tappeto indiano davanti al focolare, ciononostante quella era l’unica cura che avessi trovato contro il dolore che la vita mi infieriva giorno dopo giorno per il semplice fatto di esistere, o meglio, di sopravvivere.

 

Ero un reietto. Un miserabile.

 

Per qualche istante il mio sguardo vagò confuso da un oggetto all’altro, incapace di riconoscere qualunque cosa, infine, colto da un improvviso brivido caldo che mi si arrampicò sulla schiena, scoppiai a ridere e a piangere contemporaneamente.

 

Che cosa volevo concretamente? In cosa potevo sperare dopo tutto quel tempo? Nel perdono forse?

 

“Sei un fallito vecchio mio.”

 

Già, un povero codardo afflitto da mille e più contraddizioni, che il momento prima supplicava il perdono per poi convincersi di non meritarlo l’attimo dopo. Non mi sentivo di poter chiedere nemmeno la morte: sarebbe stato troppo facile chiudere gli occhi e smettere così di soffrire. Troppo comodo. Troppo ingiusto.

 

« E’ così che deve andare… » delirai mosso dall’alcool. « …è giusto che io paghi vivendo. »

 

Risi sguaiatamente per la seconda volta, alzandomi in piedi ed afferrando al terzo tentativo il cappotto abbandonato sul sofà.

 

« Guardami bastardo! Sei felice adesso?!? RISPONDIMI MALEDIZIONE!! »

 

L’ennesima lacrima mi solcò il volto stanco mentre, uscendo di casa, attraversavo la strada trovandomi immediatamente davanti al mare: mi ero trasferito in quella villetta da parecchi anni, quasi subito dopo la disfatta dei GazettE. A pensarci bene, a quel tempo avevo preso anche bene la notizia e l’idea di trovarmi un lavoro nuovo vivendo della fama passata mi aveva fatto sbellicare dalle risate. Mi ero scioccamente convinto del successo, che ce l’avrei fatta a sopravvivere a tutto e tutti: non me ne importò poi molto, non almeno fino a quando non sbagliai tutto e LUI pagò la mia immane stupidità.

 

A piedi scalzi toccai la sabbia e, dopo aver indugiato qualche brevissimo istante, proseguii la mia avanzata finché le dita non riuscirono a bagnarsi per via delle onde che giungevano a riva.   

 

Il mare.

 

Com’era bello il mare.

 

« Che ci fai qui? »

 

Trattenni a stento una risata posando gli occhi lucidi sulla figura improvvisamente comparsa al mio fianco. Una circostanza bizzarra, non sapevo che altro pensare.

 

« Va al diavolo. » bofonchiai stizzito.

 

« Se sapessi com’è l’inferno ti tratterresti dal fare battute del genere. »

 

La voce schietta e tagliente del mio interlocutore mi fecero rabbrividire, infine sorridere a metà tra il rassegnato e il malinconico.

 

« Non sei cambiato di una virgola dall’ultima volta che ci siamo visti. Persino il tuo corpo… » Tesi una mano tremante verso il volto del giovane uomo, poi spalancai gli occhi inorridito ritraendola di scatto, come avessi appena toccato fuoco vivo, il fuoco del mio peccato.

 

Sentivo il suo sguardo soppesarmi, avvertivo i suoi occhi dorati scavare nelle viscere della mia anima, torbida e malata ormai prossima alla putrefazione.

 

« Vorrei chiederti chi sei, ma ho quasi paura di scoprirlo. » mi sentii dire pochi attimi più tardi.

 

Cadde il silenzio.

 

Scivolai sulla sabbia umida sedendomi alla meglio, senza prestare attenzione all’acqua che di tanto in tanto bagnava i miei piedi nudi.

 

« Che domanda stupida. » sussurrai più a me che a lui. « Tu mi fai diventare matto. E’ tutta colpa tua se sta succedendo questo. »

 

« Questo cosa? »

 

Scossi la testa gettando la spugna, raccogliendo infine ogni goccia di coraggio dimenticata da qualche parte dentro il mio corpo e allungando per la seconda volta la mano verso il petto dell’uomo, all’altezza del cuore. Il vento si insinuò tra le mie dita spalancate solleticandomi la pelle bianca come il marmo.

 

« Ruki… sei davvero tu? »

 

Tesi i polpastrelli per tastare il suo cappotto verde ma, come le altre volte, le mie dita non afferrarono niente. Trapassai la sua pelle inconsistente sfiorando così il posto dove un tempo batteva forte e vitale il cuore dell’uomo che avevo amato più della mia stessa vita.

 

Niente. Solo vento.

 

Un’altra illusione.

 

« Ci casco ogni volta… » soffiai ritirando la mano gelida mentre la  testa cominciava a vorticare fortemente per via del troppo alcool che mi scorreva nelle vene.

 

« Risparmiati queste scenate, non sono tornato qui per vederti ANCORA in queste condizioni. Quanto hai bevuto? »

 

Takanori era proprio bello, uguale al giorno in cui morì più di cinquant’anni fa a soli ventinove anni: il volto privo di rughe, che invece abbondavano sul mio, un fisico scattante, forte e giovane, semplicemente perfetto ai miei occhi. Ora che stavo per compiere ottant’anni mi rendevo conto di quanto mi mancasse la giovinezza, ma allo stesso tempo di quanto poco desiderassi riottenerla.

 

Ero stanco. Stanco di sperare, vivere o aspettare la morte. Stufo addirittura di respirare. Ero vecchio maledizione! La pelle avrebbe potuto sgretolarmisi da un momento all'altro, il mio collo vantava sembianze simili a quelle di certi rettili esotici di cui avevo tanto sentito parlare ma che mai avevo visto mentre le dita erano ormai ridotte a ossa scoperte al sole.

 

Ero diventato un mostro.

 

« Qualche bicchiere. »

 

« Puzzi come una distilleria. »

 

« Sei venuto per insultarmi? Ne avevo giusto bisogno, marmocchio. Come se la mia vita non fosse già abbastanza patetica da dover aggiungere persino questa ciliegina sulla torta! Farmi rimproverare da TE! Da te che mi hai abbandonato e condotto alla pazzia! »

 

Ruki scosse la testa volgendo la propria attenzione al mare, lo stesso mare che cinquant’anni prima lo aveva chiamato a sé e nel quale aveva trovato finalmente la pace: mi sembrò essere sul punto di dire qualcosa, un qualcosa che però si trattenne dal rivelare vista l’esitazione che tradiva ogni suo gesto, un barlume di pietà forse nei confronti di un povero vecchio nel dovermi dire qualcosa di spiacevole, magari l’ennesima offesa.

 

« Come ti vanno le cose? Come sta Mary? »

 

 Eri sempre stato abile nel cambiare discorso, lo avevi fatto anche nell’ultima telefonata a Kai. Quanto avevamo pianto la tua scomparsa bastardo! Dio solo lo sapeva, lo stesso Dio che, a quanto pareva, ti aveva precluso i cieli quando eri morto, almeno stando ai tuoi racconti.

 

« E’ vecchia. Decrepita come me. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. » risposi senza voler indorare la pillola a nessuno, tantomeno a me. Mi sorpresi della freddezza con cui riuscivo a parlare di mia moglie, la donna per cui avevo abbandonato Takanori.

 

« Mi chiedo cos’abbia fatto quella povera signora per meritarsi ques.... »

 

« Lei non è te. » lo interruppi chiudendo la conversazione.

 

Era strabiliante come, in quell’istante, Ruki sembrasse così terribilmente reale ai miei occhi: il suo odore, la sua ombra, il suo corpo, la luce che emanavano le sue iridi dorate e la vita che vi leggevo impressa essi… ogni cosa sembrava urlarmi che ciò che vedevo, avvertivo e percepivo rotearmi attorno era assurdamente vera.

 

Lui sorrise accarezzandosi una guancia.

 

« E’ una specie di complimento? »

 

Feci spallucce indifferente.

 

« Prendilo come vuoi, ma se non fosse stato per lei e per i GazettE, io e te forse saremmo ancora insieme e tu non saresti mor… »

 

« Anche se ogni colpa fosse realmente sua, ciò non giustificherebbe il tuo comportamento, le tue parole e la tua assenza DOPO. » esclamò seccato inclinando la schiena e facendo leva sulle proprie braccia per sorreggersi alla meglio. Le gambe erano abbandonate sulla riva, distese in direzione del mare.  « Ci risiamo Ryo, continui ad incolpare gli altri dei tuoi errori, pur essendo perfettamente consapevole che la colpa è solo… »

 

« STAI ZITTO!! »urlai a squarciagola cercando di colpirlo con tutta la forza che avevo in corpo, ritrovandomi poco dopo accasciato a terra con una costola mezza incrinata e la tosse forte.

 

“Ti prego non lo fare, non sbagliare ancora vecchio imbecille. Non farlo soffrire di nuovo.” pensai mentre la rabbia e la frustrazione che permeavano da troppi anni il mio cuore dilagavano come serpi nelle mie vene, inevitabilmente conducendomi laddove mai avrei voluto arrivare.

 

« NON TOLLERO CHE MI PARLI COSI’!! – “Stai zitto, ti prego, stai zitto.”- CHI SEI TU PER FARMI LA MORALE?!? –“Controllati stupido rimbambito. Fermati ti ho detto”- SAPEVI CHE TI AMAVO ANCORA, NONOSTANTE TUTTO QUELLO CHE ERA SUCCESSO E IL TUO PREDILIGERE LA MUSICA A ME, MA TU HAI PREFERITO SVIGNARTELA COME UN VIGLIACCO, SEI VOLUTO ANDARE VIA SENZA NEANCHE PORTARMI CON TE, CONSAPEVOLE CHE VIVERE SENZA DI TE MI AVREBBE RIDOTTO A QUESTO! –“Dio fermami, che qualcuno mi fermi.”- TU LO SAPEVI, AL DIAVOLO LA TUA TORTA DI FRAGOLE PER FARTI PERDONARE E ALLE PROMESSE CHE HAI FATTO A KAI PRIMA DI MORIRE! IO… –NON DIRLO!!!-

 

… IO TI ODIO!!! »

 

Takanori mi guardò senza batter ciglio attendendo che recuperassi forze e coscienza, inorridendo di me stesso per quanto avevo appena detto: perché lo avessi fatto era un mistero e torturarmi sulla questione mi avrebbe portato solo ulteriore dolore. Mai avrei creduto che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei ferito Ruki dritto al cuore per la seconda volta.

 

Mai.

 

 

 

« Non voglio, mi rifiuto categoricamente! Sei un pezzo di merda Madara! » gridai in preda alla rabbia contro il mio manager, l’uomo che, prima di quel giorno, avevo amato e venerato per dieci lunghi anni per il successo che avevano ottenuto i Gaze grazie a lui.

 

« Reita siediti immediatamente altrimenti, credimi sulla parola, ti faccio uscire dalla band. »

 

Sorrisi a quella ridicola minaccia.

 

« Fallo allora, preferisco abbandonare i GazettE piuttosto che fare quello che mi dici. »

 

« Ragiona stupido. Cosa penseranno i fan di voi? Credi forse che saranno felici?!?

 

« Certo che lo saranno. Loro ci amano e, nel caso non lo avessi notato, internet pullula di storielle su me e gli altri dove ci fanno inculare a turno! Nessuno prenderà male la notizia. »

 

« Ma cos’hai in quella zucca vuota Reita, segatura? Milioni di fans piangeranno il vostro fidanzamento. Come pensi che possano reagire le ragazzine di tutto il mondo sapendo che il loro bassista preferito si scopa il vocalist della sua stessa band?!? Come la prenderanno i vostri compagni, eh? Hai il benché minimo sentore del disastro che stai per compiere?»

 

Ci fronteggiammo in silenzio, studiandoci come due predatori intenti a cogliere il punto debole del nemico e aggredirlo quando meno se lo aspetta: non ero spaventato, tutt’altro, ero quasi estasiato dalla stupidità che quel pinguino in giacca e cravatta stava esibendo così fieramente.

 

Ero sicuro di me, mi sentivo forte: ero certo che i miei compagni avrebbero capito e che tutti sarebbero stati felici della cosa. Andava bene, anzi benissimo: fintanto che avevo Takanori accanto, avrebbero potuto togliermi tutto e io avrei conituato a vivere felice

 

Madara alzò lo sguardo al cielo spazientito e deluso.

 

« Oggi io e Ruki lo diremo agli altri. » annunciai alludendo a nostri amici e soffocando una risata nell’immaginarmi la faccia allibita di Aoi. « Tra due giorni invece lo diremo ai giornali. Basta nasconderci. »

 

Gli occhi dell’uomo si assottigliarono fino quasi a chiudersi poi, con un prolungato sospiro, si abbandonò sulla poltroncina dietro la sua scrivania e distese lentamente i muscoli facciali.

 

« Non avrei dovuto consentirvi di continuare questa bravata, vi siete spinti troppo oltre. Ho sbagliato a essere così indulgente con voi. » cominciò gravemente fissandomi con aria di chi aveva appena ingoiato una lumaca viva. « Ma ora è giunto il momento di dire basta. »

 

Sorrisi sprezzante dirigendomi verso la porta e dando la schiena a quel povero illuso.

 

« Dovrai fare di meglio per separarci. »

 

Dio come mi sentivo forte, cielo quanto mi piaceva quella sensazione di potere, maledizione quanto amavo avvertire il sentore di pericolo e spingermi oltre per verificare fin dove sarei potuto arrivare.

 

Mi sentivo inscalfibile, invulnerabile. Semplicemente imbattibile.

 

Poi, il vuoto.

 

« Caccerò Ruki dalla band domani stesso se oggi non chiuderai la vostra relazione. »

 

Mi immobilizzai all’improvviso recependo a velocità frastornante il significato di quelle parole mentre la mano, poco prima poggiata sulla maniglia della porta, scivolava lentamente lungo il mio fianco.

 

Ruki fuori dai Gaze.

 

Ruki senza musica.

 

 

 

…Ruki senza vita.

 

Mi voltai di scatto correndo letteralmente verso la scrivania, afferrando di peso per la giacca quell’uomo e sputandogli dritto in faccia. Lui non si scompose, anzi mi guardò divertito.

 

« Se per te non è un problema abbandonare la band, non credo si possa dire lo stesso del tuo adorato vocalist, vero? »

 

Agghiacciai al pensiero di come avrebbe potuto reagire Ruki quando, la mattina seguente, arrivando al lavoro, si sarebbe visto cacciare via e in malo modo.

 

« E ti dirò di più. » proseguì Madara liberandosi con un gesto brusco dalla mia presa. « Gli dirai che lo hai mollato perché ti sei innamorato di una donna, e non di una donna qualsiasi ma di Mary, la figlia di mia sorella. Tra un anno vi sposerete. E vedi di essere convincente. »

 

Non riuscii nemmeno a trovare le parole con cui insultarlo. Non riuscivo a pensare a cosa fosse più giusto fare in una situazione del genere. Non riuscivo a concludere niente.

 

« Allora Reita, cosa vuoi fare? » m’incalzò con tono di sfida.

 

Lo guardai qualche istante, poi il mio sguardo scivolò senza controllo su tutti i riconoscimenti vinti dalla band esposti nell’ufficio: quanti dischi di platino, quanti premi, quanti riconoscimenti per la voce di Takanori...

 

Improvvisamente cominciai a tremare, lottando disperatamente contro il desiderio di scoppiare a piangere ed urlare come un bambino: ero in trappola, fottutamente in trappola. Qualunque fosse stata la mia scelta, il risultato sarebbe stato sempre lo stesso.

 

Io e Ruki senza un futuro.

 

« Come puoi pensare di poter trovare un'altra voce come la sua? » domandai cercando di suonare convincente almeno a me stesso: in tutti quegli anni avevo ammirato Madara per la sua incredibile caparbietà nel prefissarsi le mete più difficili e gratificanti e portare sempre a termine i suoi progetti. Avevo imparato presto che, seppure dettata dall’impulso del momento, ogni decisione di quell’uomo si sarebbe evoluta in nostro e suo favore.

 

« Perderemo più di qualche fan all’inizio, ma tutto tornerà alla normalità nel giro di massimo tre anni e un nuovo disco. Un singolo membro della band non può fare la differenza contro altri quattro. Band è sinonimo di “gioco di squadra”, no? »

 

Ormai non sentivo più niente. Stentavo a credere che tutto questo fosse reale, che le mie orecchie funzionassero davvero o che più semplicemente ci potesse essere un errore.

 

Sconfitto.

 

« Puoi andare adesso. Mi aspetto di vedere risultati concreti con questi miei occhi stasera stessa. »

 

Non riuscii a replicare o spicciare una sola sillaba: nel giro di pochi minuti mi ero sentito prima il re del mondo, poi avevo perso tutto rimanendo senza una ragione di vita.

 

Lanciai uno sguardo vacuo al nostro manager, letteralmente svuotato di ogni voglia di muovermi. Mi alzai in silenzio, percorsi l’ufficio a passo trascinato ed irragionevolmente lento, talmente lento da sembrare surreale. Ogni muscolo, ossa o parte del corpo li sentivo estranei, lottavo faticosamente per non accasciarmi a terra e proseguire la mia marcia. Continuai anche dopo essermi chiuso la porta alle spalle fino a quando non raggiunsi i bagni. Entrai mentre qualcosa di caldo e rassicurante abbandonava per sempre il mio corpo.

 

Il coraggio di andare avanti.

 

Fu così che, mentre mi accasciavo lentamente contro la parete dei luridi servizi della PS Company piangendo come mai prima d’allora, persi sia Ruki che ogni voglia di vivere.

 

 

 

Non riuscii mai a dimenticare i suoi occhi quando gli urlai che era finita, quando gli confessai di amare Mary, quella sgualdrina che fino a oggi aveva vissuto dei miei soldi sperperandoli in fumo, alcol e droga. Ruki non pianse, ma percepii la sua disperazione bruciare sulla mia pelle: quanto desiderai mi desse del bastardo o pestasse sino a ridurmi in poltiglia. Mi avrebbe fatto sentire meno colpevole.

 

Com’ero stato stupido. Ancora adesso mi chiedevo cosa sarebbe successo se avessi denunciato l’accaduto a un avvocato o, più semplicemente, gli avessi raccontato la verità: mi sarei meritato ugualmente il suo odio? La sua freddezza?

 

Chi poteva dirlo? Quando presi quella terribile decisione, credevo che abbandonarlo non gli avrebbe fatto male quanto la perdita che avrebbe significato per lui la musica. Non avrei mai potuto prevedere il suo cambiamento, il suo carattere improvvisamente ostile nei confronti della band, il suo volerci allontanare, il suo egoismo, né tantomeno avrei potuto pensare a un mio di cambiamento: dopo le nozze con Mary, avvenute per gentile concessione parecchi anni più tardi del dovuto  per potermi comandare a bacchetta ed evitare confessioni fastidiose, che mi ero ripromesso di fare appena tutto si sarebbe sistemato, io stesso cominciai a maltrattare Takanori. Che diritto aveva di calpestarmi ogni giorno come fossi feccia? Perché le sue occhiate erano così fredde e pungenti? Perché semplicemente non mi ignorava come faceva con gli altri? Se solo avesse saputo da cosa lo stavo salvando.

 

In verità, e solo ora me ne rendevo conto, non avevo capito niente: i veri sentimenti di Ruki, la rabbia che animava ogni suo gesto, la sua infinita disperazione quando i Gaze crollarono, quando la musica cessò di essere la sua unica ragione di vita e rimase il vuoto al suo posto. Il mio rancore mi aveva impedito di ascoltare la silenziosa richiesta d’aiuto di Takanori e così, malgrado il desiderio ancora vivo e mai sepolto di confessargli la verità, più per farlo sentire male e ripagarlo della stessa moneta che per disinteressato amore, improvvisamente mi resi conto che era troppo tardi.        

 

Takanori era morto. Si era suicidato.

 

Fu come un fulmine a ciel sereno. Finalmente compresi quanto ero stato stupido e l’entità del dolore che avevo impresso sul suo corpo. Era colpa mia se il mare se lo era portato via. Io avevo permesso che ciò accadesse. Lo avevo trattato come un automa, mettendo al primo posto il suo lavoro anziché i suoi sentimenti.

 

La musica? Cazzate, avrebbe potuto fare benissimo il solista. Quella avrebbe continuato a esserci nella sua vita perché quei due erano  fatti della stessa pasta, di sogni e desideri che io avevo troncato nella mia ignoranza.

 

Non ero mai riuscito a perdonarmi per ciò. Mai.

 

Io avevo ucciso Ruki.

 

« In tutto questo tempo non ho mai capito se sei reale o solo l’ennesimo parto della mia pazzia. » borbottai infine lasciandomi accarezzare dal vento.

 

Una lieve risata mi solleticò dolcemente le orecchie.

 

« Credo entrambe le cose. »

 

« Posso farti una domanda? »

 

Takanori sorrise appena annuendo con la testa.

 

« Dimmi. »

 

« Tu vieni dal… beh, da di là, vero? »

 

« Di là, di qua… sono termini relativi.» filosofeggiò con aria assorta voltandosi nuovamente verso il mare: l’orizzonte cominciava a schiarirsi e tingersi di violetto annunciando l’arrivo imminente di un nuovo giorno.  « Non te ne avevo già parlato? »

 

Ciondolai avanti ed indietro: non era la prima volta che gli chiedevo cosa ci fosse dopo la morte. Quella era la terza volta che Ruki si presentava davanti ai miei occhi, reale o meno, dopo la sua scomparsa. Mi aveva raccontato molte cose, confessato di essere a conoscenza di quanto successo, snocciolato ed elencato fatti che solo io conoscevo e che non avevo mai detto a nessuno. Forse era questo il motivo per cui ero convinto che quello che mi stava davanti era solo un’immagine distorta creata dalla mia mente malata.

 

« Perché sei finito all’inferno? » domandai non riuscendo a concepire come una creatura così meravigliosa potesse essersi meritata le fiamme eterne.

 

Fece spallucce.

 

« Suicidio. Quello mi ha fregato, ma io so che ci sono mille e altri più motivi per cui è successo.»

 

« Tipo? » domandai.

 

Mi guardò impassibile.

 

« Tipo non credere in te. »

 

Avrei voluto dirgli che si sbagliava di grosso, ma qualcosa nel suo sguardo mi costrinse a tenere per me i miei pensieri.

 

Si era venuta a creare un'atmosfera irreale: chiunque guardandomi da fuori avrebbe visto solo un vecchio pazzo farneticare a vanvera col vento. Era buffo constatare quanto mi stessi prodigando per far sembrare vera quella manfrina, uno sforzo che nessuno mi stava chiedendo ma che contro ogni logica stavo compiendo. Era  privo di senso, ma per me giusto così.

 

« Perché siamo giunti a questo? » sussurrai a fil di voce non aspettandomi un'effettiva risposta.

 

Ruki non disse niente: sapevamo entrambi che non c’era niente da dire. La verità era che sapevo di essere stato il carnefice e Ruki l’agnello sacrificale.  L’unica, seppur magra consolazione, era pensare che da morto lo avrei raggiunto potendo così trascorrere il resto della nostra esistenza insieme, se così poteva essere chiamata.

 

L’inferno sarebbe stato il nostro paradiso.

 

“Io non mi merito alcun lieto fine. Non mi merito di starti accanto.”

 

« Alla fine non hai avuto figli… » mi sentii dire dalla sua voce inspiegabilmente divertita.

 

« Non avrei potuto averne con te, non vedo perché avrei dovuto farne con lei. »

 

«Oggi sei in vena di complimenti a quanto pare… » ribatté sarcasticamente facendomi irretire.

 

« Ti ho detto anche che ti odio. »

 

Lui sorrise tristemente: ogni suo gesto, per quanto piccolo e potenzialmente insignificante fosse, era perfetto ed etereo, surreale agli occhi di qualsiasi essere vivente.

 

Era dannatamente bello, semplicemente ammaliante. Sapere di aver buttato via il mio futuro con lui in meno di trenta minuti da giovane ora mi straziava il cuore. Quanto amavo quei capelli color del grano sfibrati per le troppe tinte, quegli occhi grandi color dell’ambra più pregiata, il suo taglio del viso così dolce ma allo stesso tempo deciso… continuavo a venerare tuttora ogni cosa di lui e all’improvviso la consapevolezza che presto ci saremmo potuti riabbracciare mi riempì il cuore di gioia, un sentimento che mi era stato del tutto estraneo negli ultimi cinquant’anni.

 

“Aspetta ancora un poco Ruki, poi ti raggiungerò.”

 

Quando capii di avere ancora qualcosa in cui sperare mi sentii stranamente bene, un miracolo che accettai pur sapendo di non merirlo.

 

« Avresti potuto dire cose peggiori. Anche questa volta sei stato fin troppo buono con me. » 

 

Non risposi seppur contrariato.

 

« E gli altri come stanno? »

 

Feci spallucce respirando a fondo.

 

« Kai ed Uruha bene, ogni tanto vengono a trovarmi. Aoi invece è morto quasi dieci anni fa. »

 

Ruki spalancò gli occhi sorpreso senza guardarmi.

 

« E’ passato già così tanto tempo? »

 

« Lo sapevi? » gli domandai apaticamente.

 

Lui annuì e aprì bocca per controbattere, richiudendola poco dopo e scuotendo lievemente il capo. Decisi di proseguire il mio racconto, per quanto fosse inutile il mio sforzo: lui sapeva già tutto.

 

« Un tumore al cervello. Era diventato ancora più scemo di quanto non lo fosse un tempo, se puoi immaginartelo. Dimenticava le cose, non riconosceva più sua moglie, ogni tanto si perdeva in bagno e alla fine aveva persino scordato come si parla. E’ stata quasi una benedizione quando quel diavolo è morto risparmiando altre sofferenze a Kyoko, che in tutti quegli anni gli è stata vicina e lo ha curato meglio di qualsiasi medico sulla piazza. »

 

Deglutii affaticato: non avevo più le forze per fare un discorsi così lunghi.

 

« Se non altro è finito in paradiso. » sussurrò Takanori con aria falsamente soddisfatta.

 

Lo guardai sorpreso.

 

« Come? »

 

« Tutte le… chiamiamole anime, se si trovano all’inferno o viceversa, avvertono l’arrivo di una nuova vittima fra loro. Il fatto che io non abbia sentito la presenza di Yuu nel momento in cui è morto, significa solo che il suo nome è stato scritto sul libro. Lui ha raggiunto la pace eterna. »

 

« Libro? » domandai senza capire.

 

Takanori mi raccontava cose così strane: mi aveva descritto anche l’inferno una volta, del tutto differente dal luogo che ci eravamo immaginati noi uomini. Niente diavolo, niente fiamme, niente gironi danteschi.

 

Era il vuoto. La fine di ogni sogno, sofferenza, desiderio o ambizione. Vicolo cieco, per così dire, senza possibilità di tornare indietro. Niente di così diverso dalla mia vita dopotutto.

 

« Di là c’è un libro sul quale vengono scritti tutti i nomi dei predestinati al paradiso fino alla fine dei giorni. Se sei sulla lista, non finisci dove sono io. Tutti lo vedono una sola volta quando muoiono. »

 

« Credo di non capire… » ammisi infastidito.

 

Ruki sorrise allegramente inspirando a fondo la brezza marina.

 

« Non puoi pretendere di sapere tutto, non almeno finché sei vivo. »

 

« Il fatto che tu adesso possa vedere e conoscere tutto standotene di là non ti rende onore. Ma poi perché vieni a chiedermi cose che già sai? Mi stai prendendo per il culo? »

 

Scosse la testa rimanendo in silenzio: per un breve istante sembrò quasi stesse per mettersi a piangere quando senza preavviso recuperò la voce.

 

« Nel momento in cui ottieni la conoscenza totale muori per la seconda volta. Preferiresti essere la creatura più stupida mai esistita piuttosto che conoscere ogni cosa passata, presente… o futura. »

 

Per quanto mi sforzassi non riuscivo a capire e mi vergognavo a chiedere ulteriori spiegazioni. Ero diventato un vecchio scorbutico, una perfetta zitella acida. Non comprendere o non avere sotto controllo qualcosa mi mandava letteralmente in bestia: ero troppo orgoglioso per ammettere la mia ignoranza.

 

Fortunatamente Takanori continuò poco dopo evitandomi ulteriori incazzature.

 

« Il sapere uccide la speranza. »

 

Annuii  portandomi una mano al petto e tastando con forza la cassa toracica: il cuore mi batteva forte quella sera, l’emozione di rivedere Ruki dopo quasi trent’anni’anni era quasi soffocante. Trent’anni dall’ultima volta in cui mi apparse dopo la sua morte salvandomi la vita.

 

Buffo, a pensarci: quando seppi che si era suicidato, non potei fare a meno di odiarlo, accusandolo d'avere una bella coda di paglia. Non avrei mai creduto che un giorno anch’io avrei tentato di togliermi la vita.

 

 

 

Guardai il mare sotto i miei piedi e trattenni il respiro per qualche secondo: dentro di me, un groviglio di pensieri sconnessi alle emozioni che provavo.

 

Il mio volto tuttavia si illuminò: sì, era proprio così che volevo morire, ripercorrendo i passi fatti da Ruki circa vent’anni prima, completamente solo e senza l’appoggio di nessuno. Volevo avvertire sulla mia pelle lo stesso vento, la stessa neve, lo stesso maledetto dolore che gli avevo inferto.

 

Per questo mi trovavo lì, pronto a saltare dallo stesso ponte dal quale lui aveva spiccato il volo.

 

Non pretendevo il perdono da nessuno: era giusto così.

 

Ero io a volerlo: volevo solo rivederlo e stare finalmente insieme, riottenere la felicità che ci era stata strappata via con la forza.

 

Respirai a fondo un’ultima volta, chiedendomi se Taka avesse alzato o meno le braccia al cielo, avesse chiuso gli occhi o urlato qualcosa prima di scomparire.

 

Ancora un passo e finalmente lo avrei riabbracciato.

 

“Sto arrivando Takanori, potremo ricominciare insieme”

 

Sorrisi allungando un piede verso il vuoto: il mare mi chiamava, sembrava cantare una dolce nenia capace di cullare i miei sensi già intorbiditi, spingendomi così verso l’oblio.

 

Che sensazione meravigliosa.

 

« Eccomi Ruki. Sono qui. »

 

« Non farlo. »

 

Mi immobilizzai all'istante riconoscendo anche più velocemente la voce che mi aveva parlato: la sua calda, semplicemente unica e meravigliosa voce, voce che avevo amato prima come musicista, poi come amante. Voce inconfondibile fra mille.

 

La SUA voce.

 

“Non è possibile…” pensai senza avere il coraggio di voltarmi, onde scoprie che sì, era stato solo l'ennesimo sbaglio suggello di una catena apparentemente infinita.

 

Dovevo essere completamente ammattito.

 

Respirai a fondo indeciso sul da farmi quando lo udii di nuovo.

 

« Voltati Reita, sono qui. »

 

Scossi la testa violentemente rischiando di perdere l’equilibrio e cadere di sotto: stavolta ero certo di non essermela immaginata, avrei potuto giocarmi una mano che fosse LUI, per quanto la parte più razionale del mio subconscio cercasse di impormi un minimo di razionalità.

 

Lui era morto, non poteva…

 

« Sono io. »

 

I miei dubbi crollarono come un castello di carte quando finalmente mi voltai:  Ruki era lì, davanti a me, se avessi teso una mano avrei potuto toccarlo… il punto era che non ne avevo il coraggio. Era troppo bello, troppo facile per poter essere vero.

 

Avrei voluto chiedergli qualcosa, tipo che diavolo stesse accadendo e come mai fosse vivo, ma dalla mia bocca non uscì che un debole sibilo senza senso. Capii comunque che c'era qualcosa di anomalo: certo, quello era senz’ombra di dubbio Ruki, lo stesso Ruki che avevo visto uscire di casa per l’ultima volta quel terribile 31 gennaio di vent’anni fa.

 

Ed era proprio questo il punto! Perché era ancora così… giovane?

 

« Scendi da lì Reita. Non fare il mio stesso errore. »

 

“ Il mio stesso errore?” pensai sempre più confuso.

 

Takanori mi guardò con aria supplichevole senza però muoversi.

 

« Non morire anche tu. » disse allungando una mano verso il mio volto.

 

Chiusi gli occhi attendendo il suo tocco, tocco che però non arrivò.

 

« Apri gli occhi Reita, non ho molto tempo. »

 

Obbedii titubante e quasi cacciai un urlo quando vidi il suo braccio interrompersi a metà nel punto esatto in cui c’era il mio collo. Per la sorpresa, caddi all’indietro sbattendo la testa sulla strada.

 

« Chi… COSA sei tu? » urlai terrorizzato strisciando all'indietro: non poteva essere vero, doveva trattarsi di un incubo. Quanto poteva essere crudele Dio? Possibile si trattasse solo di una mia fantasia? Che il mio desiderio di vederlo fosse così forte da indurmi a... questo?

 

No… è impossibile…

 

Gli occhi umidi di Takanori e il sorriso straziante che seguì mi dilaniarono il cuore.

 

« Come sei invecchiato Ryo… » sussurrò avvicinandosi di un passo a me senza curarsi della mia paura. « I tuoi capelli sono quasi bianchi… »

 

Una lacrima solcò la sua guancia facendomi raggelare il sangue nelle vene. Percepii disperazione nel suo sguardo, riconobbi un dolore immenso celato dietro quelle due ambre tanto preziose quanto amabili.

 

« Chissà come sarei stato io a cinquant’anni… » continuò con voce morta. « Chissà come sarei se solo non mi fossi comportato come un codardo. »

 

La mente mi si stava lentamente svuotando nel sentire quelle parole mentre il dubbio lasciava finalmente il posto alla certezza.

 

Come avevo potuto avere paura di LUI?!? Dell’uomo che avevo amato più della mia stessa vita?!

 

Non riuscii più a trattenermi: corsi incontro a quell’essere aprendo le braccia e stringendo il vento nel punto esatto dove era proiettata la sua immagine. Benché fosse un fantasma e non riuscissi a toccarlo, percepivo come miei i suoi sentimenti e uno strano calore pervadermi l’anima.

 

« NON MI LASCIARE!! » urlai scoppiando a piangere: stavo tremando, di nuovo, ma stavolta non per la paura, né tantomeno per il freddo.

 

Tremavo perché ero felice. Felice perché Ruki era di nuovo con me.

 

« Scusami Reita, io… i-io ora so tutto di Mary, di Madara, di quello che hai passato e… »

 

« TACI!! » non mi chiesi come facesse a sapere tutte quelle cose, ci sarebbe stato tempo per farlo dopo. « SEI UNO STUPIDO RUKI! UNO STUPIDO!! »

 

Caddi a terra senza forze, stremato dalle troppe lacrime che stavo versando e dall’emozione incredibile che stavo vivendo: lui era lì, non riuscivo ancora a crederci!

 

« Reita perdonami. » mi supplicò inginocchiandosi e abbracciandomi: immaginai di sentire calore nel punto esatto in cui erano posate la sue mani. « Ho sbagliato tutto, tutto. I-io non volevo… io non sapevo… »

 

« Non importa, maledizione non importa! Ciò che conta è che adesso sei qui! »

 

Takanori annuì dopo qualche secondo e, asciugatosi le lacrime che poco prima erano cadute copiose, sorrise a metà fra il felice e il pentito.

 

« Io ci sono sempre, anche se non mi vedi. » ribattè contrariato.

 

« Mi manchi Ruki. Mi manchi da morire… » ansimai guardandolo negli occhi. « Ti prego non te ne andare più, ho bisogno di te. »

 

« Adesso sono qui… a quanto pare appena in tempo per impedirti di fare il più grande sbaglio della tua vita. »

 

Rimasi in silenzio senza capire: avrei forse dovuto essergli grato per avermi salvato? Se non fosse stato per il suo intervento, adesso saremmo stati di nuovo insieme, invece…

 

« Taka perché mi hai…? »

 

« Per favore non parlare. » mi disse lui “ appoggiandosi” delicatamente alla mia spalla e chiudendo gli occhi. « Ti dirò tutto dopo, ma ora lasciami vivere in paradiso per almeno un po’. Neanche ti immagini come sia vivere laggiù… »

 

“Laggiù?” pensai tra me e me trattenendomi però dal porre domande: lì, cullati dal suono delle onde e uno accanto all’altro, immersi nel silenzio più totale, sapevo di aver appena trovato quell’attimo di pace che ambivo da quando Ruki era morto. Qualunque cosa avrebbe potuto aspettare. Adesso c’eravamo solo io e lui, e questo mi bastava per sentirmi l’uomo più felice del mondo.

 

 

 

Quella fu la prima volta che rividi Ruki dopo la sua scomparsa. Quella notte parlammo fino a quando il sole non si levò in cielo: avevamo tante cose da chiederci, tante da raccontarci. Fu la serata più bella della mia vita e anche quando la mattina seguente mi svegliai sospettando di aver sognato tutto, mi convinsi che ogni cosa era stata reale, così reale che tornai la sera seguente al ponte e attesi per più di dieci ore il suo arrivo invano.

 

Non disperai. Tornai la sera dopo, quella dopo ancora per tre, quattro, cinque… trenta volte.

 

Niente. Nessun segnale.

 

Poi un giorno, un pomeriggio di cinque anni dopo, quando ormai avevo perso ogni speranza, mentre mi trovavo a passeggiare per caso al parco dando da mangiare alle papere, lui ricomparve sfoggiando un sorriso radioso.

 

Ricordavo che avrei voluto sorridergli a mia volta, che ero davvero felice per il fatto che fosse lì, ma non riuscii a dimostrarlo: il tempo e le delusioni che avevo vissuto in tutti quegli anni mi avevano cambiato. Non ero più il Reita che aveva visto quella sera sul ponte.

 

Quella persona era morta ormai ed al suo posto era nata e cresciuta quella che ero ora.

 

Rimanemmo in silenzio per la maggior parte del tempo, ma dal suo modo di fare e di comportarsi capì che sapeva come mi sentivo e come volevo mi si trattasse.

 

Fu in quel momento che capii che Ruki conosceva ogni cosa; e fu sempre in quel momento che capii di odiare quella sua peculiarità.

 

Lui sapeva tutto.

 

Quella fu l’ultima volta che lo rividi, prima d'oggi, chiaro, anche se dovevo ammettere di non averne sentito poi molto la mancanza: mi ero sentito tradito, forse dimenticato. Avevo tacitamente pattuito che se lui poteva “vivere” così tranquillamente senza di me, allora anch’io avrei potuto farlo senza di lui, almeno fino al momento della mia morte. Era una stupida, semplicissima questione d’orgoglio.

 

« Non mi hai ancora detto perché sei qui… » ripresi a parlare prendendo un po’ di coraggio. 

 

«Volevo parlarti un po’, tutto qua. Forse impedirti di fare sciocchezze. »

 

« Non avevo intenzione suicidarmi. » puntualizzai scontrosamente.

 

Lui stranamente annuì dando quasi per scontata la cosa.

 

« Sì, lo so… » sussurrò infine guardando il lento scorrere delle onde. « E’ solo che volevo rimirare per l’ultima volta il mare in tua compagnia. Niente di più, niente di meno. »

 

Lo fissai turbato.

 

« L’ultima volta? »

 

« Già… » Ma non aggiunse altro.

 

Guardai l’orizzonte: ormai era l’alba, i gabbiani si levavano in cielo volando a fil d’acqua per poi alzarsi ed inseguirsi senza mai raggiungersi. Era semplicemente stupefacente quanto riuscisse ad essere perfetta la natura. Chissà se mi sarebbe mancata da morto…

 

Rimanemmo in silenzio per un lasso di tempo indeterminato, entrambi seduti sulla riva a circa due metri di distanza l’uno dall’altro. Non riuscivo a capire cosa mi trasmettesse il volto di Takanori: a momenti sembrava tranquillo, rilassato e felice, in altri invece pareva essere sul punto di un crollo psicologico.

 

«Perché non sei venuto prima? » gli chiesi  contro volore.

 

Di punto in bianco Takanori si mosse e mi si avvicinò lentamente, come se le sue gambe stessero strisciando su dei cocci rotti.

 

Lo guardai stupito mentre i suoi occhi riflettevano nei miei un’infinita tristezza che finì col commuovermi. Lasciai che alzasse la mano e che mi “accarezzasse” il volto coperto di rughe; scese lungo il collo per poi risalire e lambire coi polpastrelli le mie labbra bianche ed avizzite.

 

Quanto dolore.

 

« Reita devo andare. » sussurrò a voce talmente bassa che per qualche istante mi sembrò quasi di averlo immaginato.

 

« Quando tornerai? » chiesi sentendo rinascere la fiamma della speranza dopo tanto, troppo tempo.

 

Una lacrima solcò il suo volto mentre si mi avvicinava: avevo dimenticato quanto fossero belli i suoi occhi visti da così vicino.  Avevo dimenticato quanto male mi causasse il dover perdere Ruki ogni volta che veniva a trovarmi. Avevo dimenticato tante cose che però, quella notte, avevo ritrovato.

 

La verità era che ti amavo ancora  Ruki, e che avrei atteso il tuo ritorno per altri cent’anni, se fosse stato necessario, solo per poterti vedere un’altra volta. Ti avrei chiesto scusa se la mia coscienza me lo avesse permesso.

 

Pregai che tu potessi udire l’urlo straziante del mio cuore.

 

“Mi dispiace di essere così Ruki. Davvero.”

 

« Non tornerò più qui. »

 

Quello che accadde dopo fu troppo complicato per poter essere raccontato a parole. Senza darmi il tempo di replicare, o anche solo respirare, avvicinò le labbra alle mie baciandomi. Non si mosse da lì per qualche secondo e si staccò solo quando qualcosa di umido mi macchiò la guancia destra.

 

« Scusami Ryo. Se puoi farlo, perdonami. »

 

« Aspetta Ruki! ASPETT… » urlai con tutto il fiato che avevo nei polmoni, quando mi resi conto che ormai era troppo tardi.

 

Scomparve all’improvviso, così com’era venuto, nello stesso istante in cui capii che quella cosa umida che mi bagnava il volto era una lacrima.

 

Scomparve quando compresi che quella lacrima non poteva essere mia perché io non stavo piangendo.

 

Scomparve quando compresi, con un tuffo al cuore, che apparteneva a Ruki.

 

Scomparve quando il cuore cominciò a battere forte, più forte, sempre più forte fino a far male, per l’emozione di quel meraviglioso miracolo.

 

Scomparve quando mi resi conto di amarlo ancora oggi con la stessa forza con cui lo avevo amato da giovane.

 

Scomparve quando il mio cuore, troppo vecchio per reggere tutti quei battiti, alla fine esplose facendomi accasciare a terra; sul volto, un sorriso radioso, la consapevolezza che il futuro era rinato davanti ai miei occhi.

 

Scomparve nello stesso istante in cui io, finalmente, morii.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Quando riaprì gli occhi vide solo una distesa infinita di bianco intorno a sé: si rese conto di essere ringiovanito e di avere all’incirca trent’anni, cosa che lo rese felice come non mai.

Quando si voltò, vide un enorme libro davanti a sé: doveva essere il libro di cui gli aveva parlato Ruki, e quel bianco doveva essere il tanto famigerato vuoto.

Quando si avvicinò, la pace e la felicità che aveva sentito fino a quel momento scivolarono via facendolo piombare nel baratro della disperazione.

Indietreggiò non volendo credere a quella terribile verità.

 

 

« Nel momento in cui ottieni la conoscenza totale muori per la seconda volta. »

 

 

Urlò, si accasciò a terra mentre meravigliose anime lucenti come stelle gli si avvicinavo sorridenti.

 

 

« Preferiresti essere la creatura più stupida mai esistita piuttosto che conoscere ogni cosa passata, presente… o futura. »

 

 

“No no no no no no no no no no no no no no no no no no

Non aveva vissuto una vita da miserabile per arrivare lì! Non era questo che aveva sempre voluto!

 

 

« Il sapere uccide la speranza. »

 

…e fu allora che capì: ogni cosa si incastrò con le altre venendo a creare un puzzle perfetto e assolutamente coerente con la realtà.

Scoppiò a ridere come un pazzo ripensando a quanto stupido era stato!

Lui lo sapeva! Lo aveva sempre saputo!! Per questo lo aveva salvato dal suicidio!!

 

 

“LUI SAPEVA TUTTO”

 

 

Continuò a ridere mentre, con occhi lucidi per il dolore, rileggeva per la millesima volta l’unico nome scritto -in rosso scarlatto- su una pagina completamente bianca fatta a posta per lui.

Il marchio che lo segnava come un predestinato per il resto della sua esistenza, una misera esistenza che Ruki, quel freddo 31 gennaio di circa trent’anni fa, aveva deciso a suo piacimento.

Quel bastardo lo aveva fottutamente salvato.

 

 

 

 

 

 

~ RYO SUZUKI ~

 

 

 

 

« Scusami Ryo. Se puoi farlo, perdonami. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

 

Eccoci in fondo.

Allora, che ve ne pare? Siate sinceri anche perché a me sembra di essermi arrugginita non poco in tutto questo tempo. Se è davvero così terribile cercherò di rimediare scrivendone altre, ma fatemi sapere, ok?

Solo una puntualizzazione: l’ultima frase “Scusami Ryo, se puoi farlo, perdonami”, è riferito al giorno in cui Takanori salvò da morte certa Reita. Se non lo avesse fatto, Ryo lo avrebbe raggiunto all’inferno, ma io ho cercato di far intendere il suo gesto come un atto di scusa e di liberazione dalla sofferenza che, il suo comportamento e il suo suicidio, gli avevano inferto durante la vita.

Bene, saltando di palo in frasca, ho due cosette da dire a tutti:

 

1) Sto lavorando sia sul ventesimo capitolo d’Azzardo, sia sul terzo di Moon will be our sun e anche sulla famosa shot di Mya su Miyavi ed Aoi (prossimamente sugli schermi “Redenzione”). Abbiate pazienza perché vi giuro che sto lavorando come una pazza e che prima o poi vi posterò tutto.

 

2) IMPORTANTISSIMO!!! Non ho più msn! Quindi potete tranquillamente cancellare il mio indirizzo e smettere di chiedervi come mai io non ci fossi mai. Appena tornerò a scaricare il programma e mi sarò fatta un nuovo account, lo spedirò a tutti coloro che già ce l’avevano o che ne fossero interessati.

 

 

Bene, al momento è tutto. Saluto tutti con un mega bacio e la promessa di farmi sentire presto.

Alla prossima gente!

 

 

 

P.S. Dimenticavo!! LadyWay (so che hai cambiato nick, ma spero non ti offenderai se ti continuo a chiamare così), giuro che leggerò la tua meravigliosa raccolta che purtroppo ho interrotto molto tempo fa. Mi dispiace di non aver recensito, ma è difficile recuperare tutti quei capitoli in una volta.

Comunque li leggerò appena riuscirò e, naturalmente, commenterò^^

Un bacio.

 

 

 

 

   
 
Leggi le 29 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: Shinushio