Noticine (per favore leggete tutti):
Se vi raccontassi cosa mi è successo
quest’estate non mi credereste quindi dirottiamoci seduta stante da tutt’altra
parte. Anzitutto comincio col chiedere scusa a tutti, specie alle scrittrici,
lettrici e amiche che più attendevano il mio ritorno avendo in cambio uno
straccio e mezzo di notizie sulla sottoscritta da mia moglie Mya. So di non
essermi comportata bene ma purtroppo gli imprevisti, brutti o belli che siano,
fanno parte della vita.
Chiedo scusa principalmente a queste persone:
Mya, Irisviola, Deneb, LadyWay, DEBO94, misa_chan, monochrome, Arhedel Noldoriel, Shadow VI_II_I, jasemises, Maika, Silver_Princess, WhiteRose88, ladyflame ed ondin_beax.
Donne mi dispiace tanto per i disagi che ho creato e spero mi
riaccoglierete in famiglia con lo stesso affetto che io provo per voi. Inutile
dire che questa fiction è tutta vostra. Mi scuso se ho dimenticato qualcuno.
Sperando che abbiate tutte accettato le
mie scuse e non abbiate ancora chiuso la pagina, vi do giusto qualche
informazione sulla shot che state per leggere. Trattasi ovviamente di storia
triste, anche se non strappalacrime (a mio parere) perché come ben sapete il
comico non è il mio mestiere. Nata dopo aver visto il
film “Ghost” e aver sognato mia nonna, la quale è venuta a mancare pressappoco
un anno fa; dedico anche a lei i sentimenti che ho provato mentre scrivevo.
Inutile dirvi che è sbocciata e si è sviluppata da sola. Ciò che avevo in
mente era anni luce da quello che è il risultato finale ma come sempre la mano
ha preso il controllo e ogni cosa, battuta e descrizione si è originata da sé.
Non ne sono granché soddisfatta: non so perché ma non mi convince e la
sento stranamente vuota. Spero vivamente che sia solo una mia impressione,
anche perché mi dispiacerebbe tornare su EFP con un flop di dimensioni
colossali. A voi come sempre il giudizio, quindi per favore fatevi sentire in
tanti, ne ho sinceramente bisogno. Accetto anche mail private.
E’ il sequel di Icaro. Quando ho cominciato a scriverla, in realtà non sapevo ancora che sarebbe
diventata il continuo di quella shot (che consiglio a tutti di leggere prima di
affrontare questa storia, nel caso non l’abbiate ancora letta) ma, come ho
detto prima, le mani non hanno seguito la testa.
Per il momento è tutto. Ci vediamo in fondo come sempre.
Baci a tutti, buona lettura e… ancora le mie più
sentite scuse.
P.S. Il nome del manager dei Gaze “Madara” è frutto della mia
immaginazione. Pertanto non reale.
Colonna sonora:
Hikari (J-Elisa), Dancing (Elisa), My All Mariah Carrey.
~ The Final Night~
« Tok… tok… tok… »
L’orologio a pendolo sopra il caminetto scoppiettante continuava a scandire
il tempo con precisione snervante, incalzando il proseguire di una vita che
certo non si sarebbe fermata per mano di inutili e pedanti preghiere umane. Era
un modello visibilmente costoso, raffinato ed artigianale, un pezzo da
collezione sopra il quale ogni esperto avrebbe voluto mettere le mani.
Fuori dalla finestra pioveva a dirotto, tipico cliché da notte a sfondo
horror o drammatico, ogni tanto qualche fulmine squarciava le tenebre illuminando
il cielo altrimenti plumbeo e scuro. Lacrime di disperazione trafiggevano la
terra arsa e cementata, lacrime di disperazione che bruciavano come sale sulla
pelle.
L’ennesimo fulmine, un altro tuono.
Mi svegliai di soprassalto, la fronte madida
di sudore e gli occhi sbarrati per la paura: avevo fatto un altro sogno o, per
meglio dire, l’ennesimo incubo.
Sospirai pesantemente passandomi una mano sul volto e sfregandomi le
palpebre gonfie: quante cose avevano visto i miei occhi in tutti questi anni.
Troppe, tante delle quali, tra l’altro, avrei pagato oro per non averle mai
neppure sognate.
Guardai la sveglia sul comodino: le due del mattino. Era la quarta volta consecutiva
che mi svegliavo nel cuore della notte quella settimana. Da quanto riuscivo a
capire, malgrado un mal di testa coi fiocchi
e la solita spada d’Adamo conficcata nello stomaco, stavolta a
causa di un fulmine.
« Tok… Tok… Tok… »
Mi alzai faticosamente dal letto matrimoniale senza curarmi della figura,
un tempo ammaliante, che dormiva beatamente al mio fianco: i lunghi e luminosi
capelli argentei le scendevano davanti agli occhi semichiusi nascondendo le
imperfezioni della pelle, disegnando motivi concentrici e disordinati che non sembravano
avere una logica apparente.
Una creatura bellissima.
La causa della mia rovina.
Scossi la testa frastornato: che senso aveva pensarci ora, trastullarsi
giusto per il gusto di infliggersi del meritato dolore? Cos’avrei ottenuto affibbiandole
ogni colpa, come facevo da sempre per sentirmi la coscienza più pulita?
Avevo scelto io dopotutto. Quella gelida e purtroppo passata notte di dicembre,
avevo scelto io di rovinare non solo la mia vita, ma anche quella della persona
che più amavo a questo mondo.
Povero idiota. Povero pazzo.
Raggiunsi in quattro e quattr’otto il salotto, ignorando volutamente tutte
le foto posate sui mobili della stanza, frammenti di un passato che ora mi
ritrovavo a desiderare di non aver mai vissuto e nei confronti del quale mi
sentivo uno spettatore esterno. Che strano però: se ci pensavo con più
attenzione, riuscivo ancora a sentire le urla dei nostri innumerevoli fan, quelli
che romanticamente avevo battezzato come “famiglia”, le battute stupide e
per nulla divertenti di Aoi, le raccomandazioni di chioccia Kai ed infine…
…NO! Non c’era altro
da ricordare. Nient’altro.
“Sei solo un povero stupido Ryo. Accetta la realtà…”
Rimasi in piedi in mezzo alla stanza, sconcertato dalla verità che quelle
poche parole racchiudevano in sé, mugugnando infine infastidito e dirigendomi
arrabbiato verso l’armadietto degli alcolici. Presi un bicchierino e lo riempii
fino all’orlo della prima cosa che mi capitò sotto mano, poi bevvi tutto d’un
fiato: volevo dimenticare, chiedevo solo questo, scappare dal peso delle mie
azioni che tuttora gravavano sulle mie spalle come pesanti macigni. Dimenticare
la mia stupidità.
Ripetei l’operazione una decina di volta, mentre la bottiglia di whisky si
svuotava lentamente andando a riempire il mio stomaco: mi rendevo conto che era
sbagliato, ero perfettamente conscio che non avrebbe giovato ubriacarmi fino
a svenire sul tappeto indiano davanti al focolare, ciononostante quella era
l’unica cura che avessi trovato contro il dolore che la vita mi
infieriva giorno dopo giorno per il semplice fatto di esistere, o meglio, di
sopravvivere.
Ero un reietto. Un miserabile.
Per qualche istante il mio sguardo vagò confuso da un oggetto all’altro,
incapace di riconoscere qualunque cosa, infine, colto da un improvviso brivido
caldo che mi si arrampicò sulla schiena, scoppiai a ridere e a piangere
contemporaneamente.
Che cosa volevo concretamente? In cosa potevo sperare dopo tutto quel tempo?
Nel perdono forse?
“Sei un fallito vecchio mio.”
Già, un povero codardo afflitto da mille e più contraddizioni, che il
momento prima supplicava il perdono per poi convincersi di non meritarlo l’attimo
dopo. Non mi sentivo di poter chiedere nemmeno la morte: sarebbe stato troppo
facile chiudere gli occhi e smettere così di soffrire. Troppo
comodo. Troppo ingiusto.
« E’ così che deve andare… » delirai mosso
dall’alcool. « …è giusto che io paghi
vivendo. »
Risi sguaiatamente per la seconda volta, alzandomi in piedi ed afferrando al
terzo tentativo il cappotto abbandonato sul sofà.
« Guardami bastardo! Sei felice adesso?!? RISPONDIMI MALEDIZIONE!! »
L’ennesima lacrima mi solcò il volto stanco mentre, uscendo di casa,
attraversavo la strada trovandomi immediatamente davanti al mare: mi ero
trasferito in quella villetta da parecchi anni, quasi subito dopo la disfatta
dei GazettE. A pensarci bene, a quel tempo avevo
preso anche bene la notizia e l’idea di trovarmi un lavoro nuovo vivendo della
fama passata mi aveva fatto sbellicare dalle risate. Mi ero scioccamente
convinto del successo, che ce l’avrei fatta a sopravvivere a tutto e tutti: non
me ne importò poi molto, non almeno fino a quando non sbagliai tutto e LUI pagò
la mia immane stupidità.
A piedi scalzi toccai la sabbia e, dopo aver indugiato qualche brevissimo
istante, proseguii la mia avanzata finché le dita non riuscirono a bagnarsi
per via delle onde che giungevano a riva.
Il mare.
Com’era bello il mare.
« Che ci fai qui? »
Trattenni a stento una risata posando gli occhi lucidi sulla figura
improvvisamente comparsa al mio fianco. Una circostanza bizzarra,
non sapevo che altro pensare.
« Va al diavolo. » bofonchiai stizzito.
« Se sapessi com’è l’inferno ti tratterresti dal fare battute del genere. »
La voce schietta e tagliente del mio interlocutore mi fecero rabbrividire,
infine sorridere a metà tra il rassegnato e il malinconico.
« Non sei cambiato di una virgola dall’ultima volta che ci siamo visti.
Persino il tuo corpo… » Tesi una mano tremante verso il volto del giovane uomo,
poi spalancai gli occhi inorridito ritraendola di scatto, come avessi appena
toccato fuoco vivo, il fuoco del mio peccato.
Sentivo il suo sguardo soppesarmi, avvertivo i suoi occhi dorati scavare
nelle viscere della mia anima, torbida e malata ormai prossima alla putrefazione.
« Vorrei chiederti chi sei, ma ho quasi paura di scoprirlo. » mi
sentii dire pochi attimi più tardi.
Cadde il silenzio.
Scivolai sulla sabbia umida sedendomi alla meglio, senza prestare attenzione
all’acqua che di tanto in tanto bagnava i miei piedi nudi.
« Che domanda stupida. » sussurrai più a me che a lui. « Tu mi fai
diventare matto. E’ tutta colpa tua se sta succedendo questo. »
« Questo cosa? »
Scossi la testa gettando la spugna, raccogliendo infine ogni goccia di
coraggio dimenticata da qualche parte dentro il mio corpo e allungando per la
seconda volta la mano verso il petto dell’uomo, all’altezza del cuore. Il vento
si insinuò tra le mie dita spalancate solleticandomi la pelle bianca come il
marmo.
« Ruki… sei davvero tu? »
Tesi i polpastrelli per tastare il suo cappotto verde ma, come le altre
volte, le mie dita non afferrarono niente. Trapassai la sua pelle inconsistente
sfiorando così il posto dove un tempo batteva forte e vitale il cuore dell’uomo
che avevo amato più della mia stessa vita.
Niente. Solo vento.
Un’altra illusione.
« Ci casco ogni volta… » soffiai ritirando la mano gelida mentre la testa cominciava a vorticare fortemente per via del troppo alcool che mi
scorreva nelle vene.
« Risparmiati queste scenate, non sono tornato qui per vederti ANCORA in
queste condizioni. Quanto hai bevuto? »
Takanori era proprio bello, uguale al giorno in cui morì più di
cinquant’anni fa a soli ventinove anni: il volto privo di rughe, che invece
abbondavano sul mio, un fisico scattante, forte e giovane, semplicemente
perfetto ai miei occhi. Ora che stavo per compiere ottant’anni mi rendevo conto
di quanto mi mancasse la giovinezza, ma allo stesso tempo di quanto poco
desiderassi riottenerla.
Ero stanco. Stanco di sperare, vivere o aspettare la morte. Stufo
addirittura di respirare. Ero vecchio maledizione! La pelle avrebbe potuto
sgretolarmisi da un momento all'altro, il mio collo vantava sembianze simili
a quelle di certi rettili esotici di cui avevo tanto sentito parlare ma che mai
avevo visto mentre le dita erano ormai ridotte a ossa scoperte al sole.
Ero diventato un mostro.
« Qualche bicchiere. »
« Puzzi come una distilleria. »
« Sei venuto per insultarmi? Ne avevo giusto bisogno, marmocchio. Come se
la mia vita non fosse già abbastanza patetica da dover aggiungere persino
questa ciliegina sulla torta! Farmi rimproverare da TE! Da te che mi hai
abbandonato e condotto alla pazzia! »
Ruki scosse la testa volgendo la propria attenzione al mare, lo
stesso mare che cinquant’anni prima lo aveva chiamato a sé e nel quale aveva
trovato finalmente la pace: mi sembrò essere sul punto di dire qualcosa, un
qualcosa che però si trattenne dal rivelare vista l’esitazione che tradiva
ogni suo gesto, un barlume di pietà forse nei confronti di un povero vecchio nel dovermi dire
qualcosa di spiacevole, magari l’ennesima offesa.
« Come ti vanno le cose? Come sta Mary? »
Eri sempre stato abile nel cambiare discorso, lo avevi fatto anche
nell’ultima telefonata a Kai. Quanto avevamo pianto la tua scomparsa bastardo!
Dio solo lo sapeva, lo stesso Dio che, a quanto pareva, ti aveva precluso i cieli quando
eri morto, almeno stando ai tuoi racconti.
« E’ vecchia. Decrepita come me. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. » risposi
senza voler indorare la pillola a nessuno, tantomeno a me. Mi sorpresi della
freddezza con cui riuscivo a parlare di mia moglie, la donna per cui avevo
abbandonato Takanori.
« Mi chiedo cos’abbia fatto quella povera signora per meritarsi ques.... »
« Lei non è te. » lo interruppi chiudendo la conversazione.
Era strabiliante come, in quell’istante, Ruki sembrasse così terribilmente
reale ai miei occhi: il suo odore, la sua ombra, il suo corpo, la luce che
emanavano le sue iridi dorate e la vita che vi leggevo impressa essi… ogni cosa sembrava urlarmi che ciò
che vedevo, avvertivo e percepivo rotearmi attorno era assurdamente vera.
Lui sorrise accarezzandosi una guancia.
« E’ una specie di complimento? »
Feci spallucce indifferente.
« Prendilo come vuoi, ma se non fosse stato per lei e per i GazettE, io e te forse saremmo ancora insieme e tu non saresti mor… »
« Anche se ogni colpa fosse realmente sua, ciò non
giustificherebbe il tuo comportamento, le tue parole e la tua assenza DOPO. »
esclamò seccato inclinando la schiena e facendo leva sulle proprie braccia
per sorreggersi alla meglio. Le gambe erano abbandonate sulla riva, distese in
direzione del mare. « Ci risiamo Ryo, continui ad incolpare
gli altri dei tuoi errori, pur essendo perfettamente consapevole che la colpa è
solo… »
« STAI ZITTO!! »urlai a squarciagola cercando di colpirlo con tutta la
forza che avevo in corpo, ritrovandomi poco dopo accasciato a terra con una costola mezza incrinata e la tosse
forte.
“Ti prego non lo fare, non sbagliare ancora vecchio imbecille. Non farlo
soffrire di nuovo.” pensai mentre la rabbia e la frustrazione che
permeavano da troppi anni il mio cuore dilagavano come serpi nelle mie vene,
inevitabilmente conducendomi laddove mai avrei voluto arrivare.
« NON TOLLERO CHE MI PARLI COSI’!! – “Stai
zitto, ti prego, stai zitto.”- CHI SEI TU PER FARMI LA
MORALE?!? –“Controllati stupido rimbambito. Fermati ti ho detto”- SAPEVI CHE TI AMAVO ANCORA, NONOSTANTE TUTTO QUELLO CHE ERA SUCCESSO E IL
TUO PREDILIGERE LA MUSICA A ME, MA TU HAI PREFERITO SVIGNARTELA COME UN
VIGLIACCO, SEI VOLUTO ANDARE VIA SENZA NEANCHE PORTARMI CON TE, CONSAPEVOLE CHE
VIVERE SENZA DI TE MI AVREBBE RIDOTTO A QUESTO! –“Dio
fermami, che qualcuno mi fermi.”- TU LO SAPEVI, AL DIAVOLO LA TUA TORTA DI FRAGOLE PER FARTI PERDONARE E ALLE
PROMESSE CHE HAI FATTO A KAI PRIMA DI MORIRE! IO… –NON DIRLO!!!-
… IO TI ODIO!!! »
Takanori mi guardò senza batter ciglio attendendo che recuperassi forze e
coscienza, inorridendo di me stesso per quanto avevo appena detto: perché lo
avessi fatto era un mistero e torturarmi sulla questione mi avrebbe portato
solo ulteriore dolore. Mai
avrei creduto che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei ferito Ruki dritto al
cuore per la seconda volta.
Mai.
« Non voglio, mi rifiuto categoricamente! Sei un pezzo di merda Madara! »
gridai in preda alla rabbia contro il mio manager, l’uomo che, prima di quel
giorno, avevo amato e venerato per dieci lunghi anni per il successo che
avevano ottenuto i Gaze grazie a lui.
« Reita siediti immediatamente altrimenti, credimi sulla parola, ti
faccio uscire dalla band. »
Sorrisi a quella ridicola minaccia.
« Fallo allora, preferisco abbandonare i GazettE piuttosto che fare quello che mi dici. »
« Ragiona stupido. Cosa penseranno i fan di voi? Credi forse che saranno
felici?!?
« Certo che lo saranno. Loro ci amano e, nel caso non lo avessi notato,
internet pullula di storielle su me e gli altri dove ci fanno inculare a turno!
Nessuno prenderà male la notizia. »
« Ma cos’hai in quella zucca vuota Reita, segatura? Milioni di fans piangeranno
il vostro fidanzamento. Come pensi che possano reagire le ragazzine di tutto il
mondo sapendo che il loro bassista preferito si scopa il vocalist della sua
stessa band?!? Come la prenderanno i vostri compagni, eh? Hai il benché minimo
sentore del disastro che stai per compiere?»
Ci fronteggiammo in silenzio, studiandoci come due predatori intenti a
cogliere il punto debole del nemico e aggredirlo quando meno se lo aspetta: non
ero spaventato, tutt’altro, ero quasi estasiato dalla stupidità che quel
pinguino in giacca e cravatta stava esibendo così fieramente.
Ero sicuro di me, mi sentivo forte: ero certo che i miei compagni avrebbero
capito e che tutti sarebbero stati felici della cosa. Andava bene, anzi benissimo:
fintanto che avevo Takanori accanto, avrebbero potuto togliermi tutto e io avrei conituato a vivere felice
Madara alzò lo sguardo al cielo spazientito e deluso.
« Oggi io e Ruki lo diremo agli altri. » annunciai alludendo a nostri amici
e soffocando una risata nell’immaginarmi la faccia allibita di Aoi. « Tra due
giorni invece lo diremo ai giornali. Basta nasconderci. »
Gli occhi dell’uomo si assottigliarono fino quasi a chiudersi poi, con un
prolungato sospiro, si abbandonò sulla poltroncina dietro la sua scrivania e
distese lentamente i muscoli facciali.
« Non avrei dovuto consentirvi di continuare questa bravata, vi siete
spinti troppo oltre. Ho sbagliato a essere così indulgente con voi. » cominciò
gravemente fissandomi con aria di chi aveva appena ingoiato una lumaca viva. «
Ma ora è giunto il momento di dire basta. »
Sorrisi sprezzante dirigendomi verso la porta e dando la schiena a quel
povero illuso.
« Dovrai fare di meglio per separarci. »
Dio come mi sentivo forte, cielo quanto mi piaceva quella sensazione di
potere, maledizione quanto amavo avvertire il sentore di pericolo e spingermi
oltre per verificare fin dove sarei potuto arrivare.
Mi sentivo inscalfibile, invulnerabile.
Semplicemente imbattibile.
Poi, il vuoto.
« Caccerò Ruki dalla band domani stesso se oggi non chiuderai la vostra
relazione. »
Mi immobilizzai all’improvviso recependo a velocità frastornante il
significato di quelle parole mentre la mano, poco prima poggiata sulla maniglia
della porta, scivolava lentamente lungo il mio fianco.
Ruki fuori dai Gaze.
Ruki senza musica.
…
…
…Ruki senza vita.
Mi voltai di scatto correndo letteralmente verso la scrivania, afferrando
di peso per la giacca quell’uomo e sputandogli dritto in faccia. Lui non si
scompose, anzi mi guardò divertito.
« Se per te non è un problema abbandonare la band, non credo si possa dire
lo stesso del tuo adorato vocalist, vero? »
Agghiacciai al pensiero di come avrebbe potuto reagire Ruki quando, la
mattina seguente, arrivando al lavoro, si sarebbe visto cacciare via e in
malo modo.
« E ti dirò di più. » proseguì Madara liberandosi con un gesto brusco dalla
mia presa. « Gli dirai che lo hai mollato perché ti sei innamorato di una
donna, e non di una donna qualsiasi ma di Mary, la figlia di mia sorella. Tra
un anno vi sposerete. E vedi di essere convincente. »
Non riuscii nemmeno a trovare le parole con cui insultarlo. Non riuscivo a
pensare a cosa fosse più giusto fare in una situazione del genere. Non riuscivo
a concludere niente.
« Allora Reita, cosa vuoi fare? » m’incalzò con tono di sfida.
Lo guardai qualche istante, poi il mio sguardo scivolò senza controllo su
tutti i riconoscimenti vinti dalla band esposti nell’ufficio: quanti dischi di platino,
quanti premi, quanti riconoscimenti per la voce di Takanori...
Improvvisamente cominciai a tremare, lottando disperatamente contro il
desiderio di scoppiare a piangere ed urlare come un bambino: ero in trappola,
fottutamente in trappola. Qualunque fosse stata la mia scelta, il risultato
sarebbe stato sempre lo stesso.
Io e Ruki senza un futuro.
« Come puoi pensare di poter trovare un'altra voce come la sua? » domandai
cercando di suonare convincente almeno a me stesso: in tutti quegli anni avevo
ammirato Madara per la sua incredibile caparbietà nel prefissarsi
le mete più difficili e gratificanti e portare sempre a termine i suoi
progetti. Avevo imparato presto che, seppure dettata dall’impulso del momento,
ogni decisione di quell’uomo si sarebbe evoluta in nostro e suo favore.
« Perderemo più di qualche fan all’inizio, ma tutto tornerà alla normalità
nel giro di massimo tre anni e un nuovo disco. Un singolo membro della band non
può fare la differenza contro altri quattro. Band è sinonimo di “gioco di
squadra”, no? »
Ormai non sentivo più niente. Stentavo a credere che tutto
questo fosse reale, che le mie orecchie funzionassero davvero o che più
semplicemente ci potesse essere un errore.
Sconfitto.
« Puoi andare adesso. Mi aspetto di vedere risultati concreti con questi
miei occhi stasera stessa. »
Non riuscii a replicare o spicciare una sola sillaba: nel giro di pochi
minuti mi ero sentito prima il re del mondo, poi avevo perso tutto rimanendo
senza una ragione di vita.
Lanciai uno sguardo vacuo al nostro manager, letteralmente svuotato
di ogni voglia di muovermi. Mi alzai in silenzio, percorsi l’ufficio a passo
trascinato ed irragionevolmente lento, talmente lento da sembrare surreale.
Ogni muscolo, ossa o parte del corpo li sentivo estranei, lottavo faticosamente
per non accasciarmi a terra e proseguire la mia marcia. Continuai anche dopo
essermi chiuso la porta alle spalle fino a quando non raggiunsi i
bagni. Entrai mentre qualcosa di caldo e rassicurante abbandonava per sempre il
mio corpo.
Il coraggio di andare avanti.
Fu così che, mentre mi accasciavo lentamente contro la parete dei
luridi servizi della PS Company piangendo come mai prima d’allora, persi sia
Ruki che ogni voglia di vivere.
Non riuscii mai a dimenticare i suoi occhi quando gli urlai che era
finita, quando gli confessai di amare Mary, quella sgualdrina che fino a oggi
aveva vissuto dei miei soldi sperperandoli in fumo, alcol e droga. Ruki non
pianse, ma percepii la sua disperazione bruciare sulla mia pelle: quanto desiderai mi desse del bastardo o pestasse sino a ridurmi in poltiglia. Mi avrebbe fatto sentire meno colpevole.
Com’ero stato stupido. Ancora adesso mi chiedevo cosa sarebbe successo se
avessi denunciato l’accaduto a un avvocato o, più semplicemente, gli avessi
raccontato la verità: mi sarei meritato ugualmente il suo odio? La sua
freddezza?
Chi poteva dirlo? Quando presi quella terribile decisione, credevo che
abbandonarlo non gli avrebbe fatto male quanto la perdita che avrebbe
significato per lui la musica. Non avrei mai potuto prevedere il suo
cambiamento, il suo carattere improvvisamente ostile nei confronti della band,
il suo volerci allontanare, il suo egoismo, né tantomeno avrei potuto pensare a
un mio di cambiamento: dopo le nozze con Mary, avvenute per gentile concessione
parecchi anni più tardi del dovuto per potermi comandare a bacchetta ed
evitare confessioni fastidiose, che mi ero ripromesso di fare appena tutto si
sarebbe sistemato, io stesso cominciai a maltrattare Takanori. Che diritto aveva di calpestarmi
ogni giorno come fossi feccia? Perché le sue occhiate erano così fredde e
pungenti? Perché semplicemente non mi ignorava come faceva con gli altri? Se
solo avesse saputo da cosa lo stavo salvando.
In verità, e solo ora me ne rendevo conto, non avevo capito niente: i veri
sentimenti di Ruki, la rabbia che animava ogni suo gesto, la sua infinita
disperazione quando i Gaze crollarono, quando la musica cessò di essere la sua
unica ragione di vita e rimase il vuoto al suo posto. Il mio rancore mi aveva
impedito di ascoltare la silenziosa richiesta d’aiuto di Takanori e così,
malgrado il desiderio ancora vivo e mai sepolto di confessargli la verità, più
per farlo sentire male e ripagarlo della stessa moneta che per disinteressato
amore, improvvisamente mi resi conto che era troppo
tardi.
Takanori era morto. Si era suicidato.
Fu come un fulmine a ciel sereno. Finalmente compresi quanto ero stato
stupido e l’entità del dolore che avevo impresso sul suo corpo. Era colpa mia
se il mare se lo era portato via. Io avevo permesso che ciò accadesse. Lo avevo
trattato come un automa, mettendo al primo posto il suo lavoro anziché i suoi
sentimenti.
La musica? Cazzate, avrebbe potuto fare benissimo il solista. Quella
avrebbe continuato a esserci nella sua vita perché quei due erano fatti della stessa pasta, di sogni e desideri che io avevo troncato nella
mia ignoranza.
Non ero mai riuscito a perdonarmi per ciò. Mai.
Io avevo ucciso Ruki.
« In tutto questo tempo non ho mai capito se sei reale o solo l’ennesimo
parto della mia pazzia. » borbottai infine lasciandomi accarezzare dal
vento.
Una lieve risata mi solleticò dolcemente le orecchie.
« Credo entrambe le cose. »
« Posso farti una domanda? »
Takanori sorrise appena annuendo con la testa.
« Dimmi. »
« Tu vieni dal… beh, da di là, vero? »
« Di là, di qua… sono termini relativi.»
filosofeggiò con aria assorta voltandosi nuovamente verso il mare: l’orizzonte
cominciava a schiarirsi e tingersi di violetto annunciando l’arrivo imminente
di un nuovo giorno. « Non te ne avevo già parlato? »
Ciondolai avanti ed indietro: non era la prima volta che gli chiedevo
cosa ci fosse dopo la morte. Quella era la terza volta che Ruki si presentava
davanti ai miei occhi, reale o meno, dopo la sua scomparsa. Mi aveva raccontato
molte cose, confessato di essere a conoscenza di quanto successo,
snocciolato ed elencato fatti che solo io conoscevo e che non avevo mai detto a
nessuno. Forse era questo il motivo per cui ero convinto che quello che mi
stava davanti era solo un’immagine distorta creata dalla mia mente malata.
« Perché sei finito all’inferno? » domandai non riuscendo a concepire come
una creatura così meravigliosa potesse essersi meritata le fiamme eterne.
Fece spallucce.
« Suicidio. Quello mi ha fregato, ma io so che ci sono mille e altri
più motivi per cui è successo.»
« Tipo? » domandai.
Mi guardò impassibile.
« Tipo non credere in te. »
Avrei voluto dirgli che si sbagliava di grosso, ma qualcosa nel suo
sguardo mi costrinse a tenere per me i miei pensieri.
Si era venuta a creare un'atmosfera irreale: chiunque guardandomi da fuori
avrebbe visto solo un vecchio pazzo farneticare a vanvera col vento. Era buffo constatare quanto mi stessi prodigando per far sembrare vera quella manfrina, uno sforzo che nessuno mi stava chiedendo ma che contro ogni logica stavo compiendo. Era privo di senso, ma per me giusto così.
« Perché siamo giunti a questo? » sussurrai a fil di voce non aspettandomi
un'effettiva risposta.
Ruki non disse niente: sapevamo entrambi che non c’era niente da dire.
La verità era che sapevo di essere stato il carnefice e Ruki l’agnello sacrificale. L’unica, seppur magra consolazione, era pensare che da morto lo avrei
raggiunto potendo così trascorrere il resto della nostra esistenza insieme, se così poteva essere chiamata.
L’inferno sarebbe stato il nostro paradiso.
“Io non mi merito alcun lieto fine. Non mi merito di starti accanto.”
« Alla fine non hai avuto figli… » mi sentii dire dalla sua
voce inspiegabilmente divertita.
« Non avrei potuto averne con te, non vedo perché avrei dovuto farne con lei. »
«Oggi sei in vena di complimenti a quanto pare… » ribatté sarcasticamente facendomi irretire.
« Ti ho detto anche che ti odio. »
Lui sorrise tristemente: ogni suo gesto, per quanto piccolo e
potenzialmente insignificante fosse, era perfetto ed etereo, surreale agli occhi di qualsiasi essere vivente.
Era dannatamente bello, semplicemente ammaliante. Sapere di aver buttato
via il mio futuro con lui in meno di trenta minuti da giovane ora
mi straziava il cuore. Quanto amavo quei capelli color del grano sfibrati per
le troppe tinte, quegli occhi grandi color dell’ambra più pregiata, il suo
taglio del viso così dolce ma allo stesso tempo deciso… continuavo a venerare tuttora ogni cosa di
lui e all’improvviso la consapevolezza che presto ci saremmo potuti riabbracciare mi riempì il cuore di gioia, un sentimento che mi era stato del tutto
estraneo negli ultimi cinquant’anni.
“Aspetta ancora un poco Ruki, poi ti raggiungerò.”
Quando capii di avere ancora qualcosa in cui sperare mi sentii stranamente
bene, un miracolo che accettai pur sapendo di non merirlo.
« Avresti potuto dire cose peggiori. Anche questa volta sei stato fin
troppo buono con me. »
Non risposi seppur contrariato.
« E gli altri come stanno? »
Feci spallucce respirando a fondo.
« Kai ed Uruha bene, ogni tanto vengono a trovarmi. Aoi invece è
morto quasi dieci anni fa. »
Ruki spalancò gli occhi sorpreso senza guardarmi.
« E’ passato già così tanto tempo? »
« Lo sapevi? » gli domandai apaticamente.
Lui annuì e aprì bocca per controbattere, richiudendola poco dopo e scuotendo lievemente il capo. Decisi di proseguire il mio racconto, per quanto fosse inutile il mio sforzo: lui sapeva già tutto.
« Un tumore al cervello. Era diventato ancora più scemo di quanto non lo
fosse un tempo, se puoi immaginartelo. Dimenticava le cose, non riconosceva
più sua moglie, ogni tanto si perdeva in bagno e alla fine aveva persino
scordato come si parla. E’ stata quasi una benedizione quando quel diavolo
è morto risparmiando altre sofferenze a Kyoko, che in tutti quegli anni
gli è stata vicina e lo ha curato meglio di qualsiasi medico sulla piazza. »
Deglutii affaticato: non avevo più le forze per fare un discorsi così lunghi.
« Se non altro è finito in paradiso. » sussurrò Takanori con aria
falsamente soddisfatta.
Lo guardai sorpreso.
« Come? »
« Tutte le… chiamiamole anime, se si
trovano all’inferno o viceversa, avvertono l’arrivo di una nuova vittima fra
loro. Il fatto che io non abbia sentito la presenza di Yuu nel momento in cui è
morto, significa solo che il suo nome è stato scritto sul libro. Lui ha
raggiunto la pace eterna. »
« Libro? » domandai senza capire.
Takanori mi raccontava cose così strane: mi aveva descritto anche l’inferno una volta, del tutto differente dal luogo che ci eravamo
immaginati noi uomini. Niente diavolo, niente fiamme, niente gironi danteschi.
Era il vuoto. La fine di ogni sogno, sofferenza, desiderio o ambizione.
Vicolo cieco, per così dire, senza possibilità di tornare indietro. Niente di
così diverso dalla mia vita dopotutto.
« Di là c’è un libro sul quale vengono scritti tutti i nomi dei
predestinati al paradiso fino alla fine dei giorni. Se sei sulla lista, non
finisci dove sono io. Tutti lo vedono una sola volta quando muoiono. »
« Credo di non capire… » ammisi infastidito.
Ruki sorrise allegramente inspirando a fondo la brezza marina.
« Non puoi pretendere di sapere tutto, non almeno finché sei vivo. »
« Il fatto che tu adesso possa vedere e conoscere tutto standotene di là
non ti rende onore. Ma poi perché vieni a chiedermi cose che già sai? Mi stai
prendendo per il culo? »
Scosse la testa rimanendo in silenzio: per un breve istante sembrò quasi
stesse per mettersi a piangere quando senza preavviso recuperò la voce.
« Nel momento in cui ottieni la conoscenza totale muori per la seconda
volta. Preferiresti essere la creatura più stupida mai esistita piuttosto che
conoscere ogni cosa passata, presente… o futura. »
Per quanto mi sforzassi non riuscivo a capire e mi vergognavo a
chiedere ulteriori spiegazioni. Ero diventato un vecchio scorbutico, una
perfetta zitella acida. Non comprendere o non avere sotto controllo qualcosa mi
mandava letteralmente in bestia: ero troppo orgoglioso per ammettere la mia
ignoranza.
Fortunatamente Takanori continuò poco dopo evitandomi ulteriori incazzature.
« Il sapere uccide la speranza. »
Annuii portandomi una mano al petto e tastando con
forza la cassa toracica: il cuore mi batteva forte quella sera, l’emozione di
rivedere Ruki dopo quasi trent’anni’anni era quasi soffocante. Trent’anni
dall’ultima volta in cui mi apparse dopo la sua morte salvandomi la vita.
Buffo, a pensarci: quando seppi che si era suicidato, non potei fare a meno
di odiarlo, accusandolo d'avere una bella coda di paglia. Non avrei mai creduto che un giorno anch’io
avrei tentato di togliermi la vita.
Guardai il mare sotto i miei piedi e trattenni il respiro per qualche
secondo: dentro di me, un groviglio di pensieri sconnessi alle emozioni che
provavo.
Il mio volto tuttavia si illuminò: sì, era proprio così che volevo morire,
ripercorrendo i passi fatti da Ruki circa vent’anni prima, completamente solo e
senza l’appoggio di nessuno. Volevo avvertire sulla mia pelle lo stesso vento,
la stessa neve, lo stesso maledetto dolore che gli avevo inferto.
Per questo mi trovavo lì, pronto a saltare dallo stesso ponte dal quale lui
aveva spiccato il volo.
Non pretendevo il perdono da nessuno: era giusto così.
Ero io a volerlo: volevo solo rivederlo e stare finalmente insieme,
riottenere la felicità che ci era stata strappata via con la forza.
Respirai a fondo un’ultima volta, chiedendomi se Taka avesse alzato o meno
le braccia al cielo, avesse chiuso gli occhi o urlato qualcosa prima di
scomparire.
Ancora un passo e finalmente lo avrei riabbracciato.
“Sto arrivando Takanori, potremo ricominciare insieme”
Sorrisi allungando un piede verso il vuoto: il mare mi chiamava, sembrava cantare una dolce nenia capace di cullare i miei sensi già
intorbiditi, spingendomi così verso l’oblio.
Che sensazione meravigliosa.
« Eccomi Ruki. Sono qui. »
« Non farlo. »
Mi immobilizzai all'istante riconoscendo anche più velocemente la voce
che mi aveva parlato: la sua calda, semplicemente unica e meravigliosa voce,
voce che avevo amato prima come musicista, poi come amante. Voce inconfondibile
fra mille.
La SUA voce.
“Non è possibile…” pensai
senza avere il coraggio di voltarmi, onde scoprie che sì, era stato solo l'ennesimo sbaglio suggello di una catena apparentemente infinita.
Dovevo essere completamente ammattito.
Respirai a fondo indeciso sul da farmi quando lo udii di nuovo.
« Voltati Reita, sono qui. »
Scossi la testa violentemente rischiando di perdere l’equilibrio e cadere
di sotto: stavolta ero certo di non essermela immaginata, avrei potuto giocarmi una mano che fosse LUI, per quanto la parte più razionale del mio subconscio cercasse di impormi un minimo di razionalità.
Lui era morto, non poteva…
« Sono io. »
I miei dubbi crollarono come un castello di carte quando finalmente mi voltai: Ruki era lì, davanti a me, se avessi teso una mano avrei
potuto toccarlo… il punto era che non ne
avevo il coraggio. Era troppo bello, troppo facile per poter essere vero.
Avrei voluto chiedergli qualcosa, tipo che diavolo stesse accadendo e come mai
fosse vivo, ma dalla mia bocca non uscì che un debole sibilo senza senso.
Capii comunque che c'era qualcosa di anomalo: certo, quello era senz’ombra di dubbio Ruki, lo stesso
Ruki che avevo visto uscire di casa per l’ultima volta quel terribile 31
gennaio di vent’anni fa.
Ed era proprio questo il punto! Perché era ancora così… giovane?
« Scendi da lì Reita. Non fare il mio stesso errore. »
“ Il mio stesso errore?” pensai sempre più confuso.
Takanori mi guardò con aria supplichevole senza però muoversi.
« Non morire anche tu. » disse allungando una mano verso il mio volto.
Chiusi gli occhi attendendo il suo tocco, tocco che però non arrivò.
« Apri gli occhi Reita, non ho molto tempo. »
Obbedii titubante e quasi cacciai un urlo quando vidi il suo braccio
interrompersi a metà nel punto esatto in cui c’era il mio collo. Per la
sorpresa, caddi all’indietro sbattendo la testa sulla strada.
« Chi… COSA sei tu? » urlai
terrorizzato strisciando all'indietro: non poteva essere vero, doveva trattarsi di un incubo.
Quanto poteva essere crudele Dio? Possibile si trattasse solo di una mia fantasia? Che il mio desiderio di vederlo fosse così forte da indurmi a... questo?
“No… è impossibile…”
Gli occhi umidi di Takanori e il sorriso straziante che seguì mi
dilaniarono il cuore.
« Come sei invecchiato Ryo… » sussurrò avvicinandosi di un passo a me
senza curarsi della mia paura. « I tuoi capelli sono quasi bianchi… »
Una lacrima solcò la sua guancia facendomi raggelare il sangue nelle vene.
Percepii disperazione nel suo sguardo, riconobbi un dolore immenso celato
dietro quelle due ambre tanto preziose quanto amabili.
« Chissà come sarei stato io a cinquant’anni… » continuò con voce morta. « Chissà come sarei se solo non mi fossi
comportato come un codardo. »
La mente mi si stava lentamente svuotando nel sentire quelle parole mentre
il dubbio lasciava finalmente il posto alla certezza.
Come avevo potuto avere paura di LUI?!? Dell’uomo che avevo amato più della
mia stessa vita?!
Non riuscii più a trattenermi: corsi incontro a quell’essere aprendo le
braccia e stringendo il vento nel punto esatto dove era proiettata la sua
immagine. Benché fosse un fantasma e non riuscissi a toccarlo, percepivo come
miei i suoi sentimenti e uno strano calore pervadermi l’anima.
« NON MI LASCIARE!! » urlai
scoppiando a piangere: stavo tremando, di nuovo, ma stavolta non per la
paura, né tantomeno per il freddo.
Tremavo perché ero felice. Felice perché Ruki era di nuovo con me.
« Scusami Reita, io… i-io ora so tutto di Mary, di Madara, di quello che
hai passato e… »
« TACI!! » non mi chiesi come facesse a sapere tutte quelle cose, ci sarebbe stato tempo per farlo dopo. « SEI UNO STUPIDO RUKI! UNO STUPIDO!! »
Caddi a terra senza forze, stremato dalle troppe lacrime che stavo versando
e dall’emozione incredibile che stavo vivendo: lui era lì, non riuscivo ancora
a crederci!
« Reita perdonami. » mi supplicò inginocchiandosi e
abbracciandomi: immaginai di sentire calore nel punto esatto in cui erano
posate la sue mani. « Ho sbagliato tutto, tutto. I-io non volevo… io non sapevo… »
« Non importa, maledizione non importa! Ciò che conta è che adesso sei qui!
»
Takanori annuì dopo qualche secondo e, asciugatosi le lacrime che poco
prima erano cadute copiose, sorrise a metà fra il felice e il pentito.
« Io ci sono sempre, anche se non mi vedi. » ribattè contrariato.
« Mi manchi Ruki. Mi manchi da morire… » ansimai guardandolo negli occhi. « Ti
prego non te ne andare più, ho bisogno di te. »
« Adesso sono qui… a quanto pare appena in tempo per impedirti di fare il
più grande sbaglio della tua vita. »
Rimasi in silenzio senza capire: avrei forse dovuto essergli grato per
avermi salvato? Se non fosse stato per il suo intervento, adesso
saremmo stati di nuovo insieme, invece…
« Taka perché mi hai…? »
« Per favore non parlare. » mi disse lui “ appoggiandosi” delicatamente alla mia spalla e chiudendo gli occhi. « Ti
dirò tutto dopo, ma ora lasciami vivere in paradiso per almeno un po’. Neanche
ti immagini come sia vivere laggiù… »
“Laggiù?” pensai tra me e me trattenendomi però dal porre domande: lì,
cullati dal suono delle onde e uno accanto all’altro, immersi nel silenzio più
totale, sapevo di aver appena trovato quell’attimo di pace che ambivo da quando
Ruki era morto. Qualunque cosa avrebbe potuto aspettare. Adesso c’eravamo solo io e
lui, e questo mi bastava per sentirmi l’uomo più felice del mondo.
Quella fu la prima volta che rividi Ruki dopo la sua scomparsa. Quella notte
parlammo fino a quando il sole non si levò in cielo: avevamo tante cose da
chiederci, tante da raccontarci. Fu la serata più bella della mia vita e anche
quando la mattina seguente mi svegliai sospettando di aver
sognato tutto, mi convinsi che ogni cosa era stata reale, così reale che tornai
la sera seguente al ponte e attesi per più di dieci ore il suo arrivo invano.
Non disperai. Tornai la sera dopo, quella dopo ancora per tre, quattro, cinque… trenta volte.
Niente. Nessun segnale.
Poi un giorno, un pomeriggio di cinque anni dopo, quando ormai avevo perso
ogni speranza, mentre mi trovavo a passeggiare per caso al parco dando da
mangiare alle papere, lui ricomparve sfoggiando un sorriso radioso.
Ricordavo che avrei voluto sorridergli a mia volta, che ero davvero felice
per il fatto che fosse lì, ma non riuscii a dimostrarlo: il
tempo e le delusioni che avevo vissuto in tutti quegli anni mi avevano
cambiato. Non ero più il Reita che aveva visto quella sera sul ponte.
Quella persona era morta ormai ed al suo posto era nata e cresciuta quella
che ero ora.
Rimanemmo in silenzio per la maggior parte del tempo, ma dal suo modo di
fare e di comportarsi capì che sapeva come mi sentivo
e come volevo mi si trattasse.
Fu in quel momento che capii che Ruki conosceva ogni cosa; e fu sempre in
quel momento che capii di odiare quella sua peculiarità.
Lui sapeva tutto.
Quella fu l’ultima volta che lo rividi, prima d'oggi, chiaro, anche se dovevo ammettere
di non averne sentito poi molto la mancanza: mi ero sentito tradito, forse
dimenticato. Avevo tacitamente pattuito che se lui poteva “vivere” così tranquillamente
senza di me, allora anch’io avrei potuto farlo senza di lui, almeno fino al
momento della mia morte. Era una stupida, semplicissima questione d’orgoglio.
« Non mi hai ancora detto perché sei qui… » ripresi a parlare prendendo un
po’ di coraggio.
«Volevo parlarti un po’, tutto qua. Forse impedirti di fare sciocchezze. »
« Non avevo intenzione suicidarmi. » puntualizzai scontrosamente.
Lui stranamente annuì dando quasi per scontata la cosa.
« Sì, lo so… » sussurrò infine guardando il lento scorrere delle onde. « E’
solo che volevo rimirare per l’ultima volta il mare in tua compagnia. Niente di
più, niente di meno. »
Lo fissai turbato.
« L’ultima volta? »
« Già… » Ma non aggiunse altro.
Guardai l’orizzonte: ormai era l’alba, i gabbiani si levavano in cielo
volando a fil d’acqua per poi alzarsi ed inseguirsi senza mai
raggiungersi. Era semplicemente stupefacente quanto riuscisse ad essere
perfetta la natura. Chissà se mi sarebbe mancata da morto…
Rimanemmo in silenzio per un lasso di tempo indeterminato, entrambi seduti
sulla riva a circa due metri di distanza l’uno dall’altro. Non
riuscivo a capire cosa mi trasmettesse il volto di Takanori: a momenti
sembrava tranquillo, rilassato e felice, in altri invece pareva essere sul
punto di un crollo psicologico.
«Perché non sei venuto prima? » gli chiesi contro volore.
Di punto in bianco Takanori si mosse e mi si avvicinò lentamente, come
se le sue gambe stessero strisciando su dei cocci rotti.
Lo guardai stupito mentre i suoi occhi riflettevano nei miei un’infinita
tristezza che finì col commuovermi. Lasciai che alzasse la mano e che mi “accarezzasse”
il volto coperto di rughe; scese lungo il collo per poi risalire e lambire coi
polpastrelli le mie labbra bianche ed avizzite.
Quanto dolore.
« Reita devo andare. » sussurrò a voce talmente bassa che per qualche
istante mi sembrò quasi di averlo immaginato.
« Quando tornerai? » chiesi sentendo rinascere la fiamma della
speranza dopo tanto, troppo tempo.
Una lacrima solcò il suo volto mentre si mi avvicinava: avevo
dimenticato quanto fossero belli i suoi occhi visti da così vicino. Avevo dimenticato quanto male mi causasse il dover perdere Ruki ogni
volta che veniva a trovarmi. Avevo dimenticato tante cose che però, quella
notte, avevo ritrovato.
La verità era che ti amavo ancora Ruki, e che avrei
atteso il tuo ritorno per altri cent’anni, se fosse stato necessario, solo per
poterti vedere un’altra volta. Ti avrei chiesto scusa se la mia coscienza me lo
avesse permesso.
Pregai che tu potessi udire l’urlo straziante del mio cuore.
“Mi dispiace di essere così Ruki. Davvero.”
« Non tornerò più qui. »
Quello che accadde dopo fu troppo complicato per poter essere raccontato a parole. Senza darmi il tempo di replicare, o anche solo respirare, avvicinò le labbra
alle mie baciandomi. Non si mosse da lì per qualche secondo e si staccò
solo quando qualcosa di umido mi macchiò la guancia destra.
« Scusami Ryo. Se puoi farlo, perdonami. »
« Aspetta Ruki! ASPETT… » urlai con tutto il
fiato che avevo nei polmoni, quando mi resi conto che ormai era troppo tardi.
Scomparve all’improvviso, così com’era venuto, nello stesso istante in cui capii
che quella cosa umida che mi bagnava il volto era una lacrima.
Scomparve quando compresi che quella lacrima non poteva essere mia perché
io non stavo piangendo.
Scomparve quando compresi, con un tuffo al cuore, che apparteneva a Ruki.
Scomparve quando il cuore cominciò a battere forte, più forte, sempre più
forte fino a far male, per l’emozione di quel meraviglioso miracolo.
Scomparve quando mi resi conto di amarlo ancora oggi con la stessa forza
con cui lo avevo amato da giovane.
Scomparve quando il mio cuore, troppo vecchio per reggere tutti quei
battiti, alla fine esplose facendomi accasciare a terra; sul volto, un sorriso
radioso, la consapevolezza che il futuro era rinato davanti ai miei occhi.
Scomparve nello stesso istante in cui io, finalmente, morii.
***
Quando riaprì gli occhi
vide solo una distesa infinita di bianco intorno a sé: si rese conto di essere
ringiovanito e di avere all’incirca trent’anni, cosa che lo rese felice come
non mai.
Quando si voltò, vide un
enorme libro davanti a sé: doveva essere il libro di cui gli aveva
parlato Ruki, e quel bianco doveva essere il tanto famigerato vuoto.
Quando si avvicinò, la
pace e la felicità che aveva sentito fino a quel momento scivolarono via facendolo piombare nel baratro della disperazione.
Indietreggiò non volendo
credere a quella terribile verità.
« Nel momento in cui
ottieni la conoscenza totale muori per la seconda volta. »
Urlò, si accasciò a
terra mentre meravigliose anime lucenti come stelle gli si avvicinavo
sorridenti.
« Preferiresti essere la
creatura più stupida mai esistita piuttosto che conoscere ogni cosa passata, presente… o futura. »
“No no no no no no no no no no no no no no no no no no”
Non aveva vissuto una vita da
miserabile per arrivare lì! Non era questo che aveva sempre voluto!
« Il sapere uccide la
speranza. »
…
…
…e fu allora che capì: ogni cosa si incastrò con le altre venendo a
creare un puzzle perfetto e assolutamente coerente con la realtà.
Scoppiò a ridere come un
pazzo ripensando a quanto stupido era stato!
Lui lo sapeva! Lo aveva
sempre saputo!! Per questo lo aveva salvato dal suicidio!!
“LUI SAPEVA TUTTO”
Continuò a ridere
mentre, con occhi lucidi per il dolore, rileggeva per la millesima volta
l’unico nome scritto -in rosso scarlatto- su una pagina completamente bianca
fatta a posta per lui.
Il marchio che lo
segnava come un predestinato per il resto della sua esistenza, una misera
esistenza che Ruki, quel freddo 31 gennaio di circa trent’anni fa, aveva deciso
a suo piacimento.
Quel bastardo lo aveva
fottutamente salvato.
~ RYO SUZUKI ~
┼
« Scusami Ryo. Se puoi
farlo, perdonami. »
Note dell’autrice:
Eccoci in fondo.
Allora, che ve ne pare? Siate sinceri anche perché a me sembra di essermi
arrugginita non poco in tutto questo tempo. Se è davvero così terribile
cercherò di rimediare scrivendone altre, ma fatemi sapere, ok?
Solo una puntualizzazione: l’ultima frase “Scusami Ryo, se puoi farlo, perdonami”, è riferito al giorno in cui Takanori
salvò da morte certa Reita. Se non lo avesse fatto, Ryo lo avrebbe raggiunto
all’inferno, ma io ho cercato di far intendere il suo gesto come un atto di
scusa e di liberazione dalla sofferenza che, il suo comportamento e il suo
suicidio, gli avevano inferto durante la vita.
Bene, saltando di palo in frasca, ho due cosette da dire a tutti:
1) Sto lavorando sia sul ventesimo capitolo d’Azzardo, sia sul terzo
di Moon will be our sun e anche sulla famosa shot di Mya su Miyavi ed Aoi (prossimamente sugli
schermi “Redenzione”). Abbiate pazienza
perché vi giuro che sto lavorando come una pazza e che prima o poi vi posterò
tutto.
2) IMPORTANTISSIMO!!! Non ho più msn! Quindi potete tranquillamente cancellare il mio indirizzo e
smettere di chiedervi come mai io non ci fossi mai. Appena tornerò a scaricare
il programma e mi sarò fatta un nuovo account, lo spedirò a tutti coloro che
già ce l’avevano o che ne fossero interessati.
Bene, al momento è tutto. Saluto tutti con un mega bacio e la promessa di
farmi sentire presto.
Alla prossima gente!
P.S. Dimenticavo!! LadyWay (so che hai cambiato nick, ma spero non ti offenderai se ti
continuo a chiamare così), giuro che leggerò la tua meravigliosa raccolta che
purtroppo ho interrotto molto tempo fa. Mi dispiace di non aver recensito, ma è
difficile recuperare tutti quei capitoli in una volta.
Comunque li leggerò appena riuscirò e, naturalmente, commenterò^^
Un bacio.