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Autore: Vivien L    11/08/2010    17 recensioni
Isabella Swan, una ragazza semplice e anonima, che abita nella periferia di Washington, ha una vita perfetta. Dei genitori affettuosi, un lavoro affermato, un uomo che l'ama. E poi c'è lui, Edward Cullen,l'uomo dalla bellezza irraggiungibile, che nutre un odio profondo e sviscerale nei suoi confronti. Un odio nato dalle origini più meschine,un odio insormontabile per entrambi,un odio che stravolgerà le loro vite. Due anime divise dal destino, ma un grande dolore riuscirà ad avvicinarli, finchè l'odio non si trasformerà in amore. E dall'amore, Edward e Bella lo sanno, non si può fuggire.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I GIORNI DELL'ABBANDONO'
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"I giorni dell'abbandono"
capitolo primo
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Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di Stephenie Meyer. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 
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Capitolo betato da Yara89 
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 Limitati in tutto, perché lo siamo così poco quando si tratta di soffrire?
(Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux)
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Il rumore stridulo e fastidioso della sveglia mi fece sobbalzare. Infastidita da quel suono metallico e insistente, sollevai un braccio per spegnerla, gli occhi perennemente accaniti sul soffitto a volta della mia camera. Sospirai,scostandomi una ciocca di capelli dagli occhi, e il riflesso luminoso del sole mattutino mi costrinse ad abbassare lo sguardo sulle morbide coperte di lino del mio letto. Come ogni mattina, con lentezza esasperante mi scostai dalle coperte e mi alzai, sedendomi ai bordi del letto. Mi stropicciai gli occhi, un leggero capogiro mi costrinse ad afferrare con forza le coltri del baldacchino, il respiro accelerato e il cuore che rimbombava nella cassa toracica, agitato come mi accadeva spesso negli ultimi tempi.

Come al solito, quel mio leggero malessere scomparve dopo pochi secondi, sostituito dall'impellente sensazione di alzarmi e di affrontare un altra, noiosissima giornata di lavoro. Con lentezza mi incamminai nel mio bagno personale, e quando vidi il mio profilo allo specchio lineare addossato alla parete un brivido mi scosse. La mia carnagione era più pallida del solito, quasi cadaverica, i capelli scuri arruffati e ingarbugliati, pesanti occhiaie violacee circondavano i miei occhi castani. Con un sospiro di rassegnazione, iniziai a spogliarmi esitante, cercando di non scorgere i segni rossi presenti in ogni punto del mio corpo.

Avrei dovuto essere felice di ciò che mi stava succedendo, pensai mentre entravo nella doccia e lasciavo scorrere l'acqua sul mio profilo, come a cancellare via il fardello che sentivo nel cuore. E, inevitabilmente, i miei pensieri furiosi si rincorrevano, inarrestabili, giungendo tutti al fulcro della mia intera esistenza: Jacob. Il ragazzo che, in pochi mesi, era diventato la mia unica ragione di vita. L'uomo che mi aveva conosciuta e apprezzata per ciò che ero: una sciocca, goffa e insignificante ragazzina. Lui non mi aveva mai giudicata, lui mi aveva donato tutto il suo amore. Perché lui mi amava, lo sapevo, ne ero certa, come ero certa della mia vita stessa.

Ci eravamo conosciuti circa sei mesi fa, io mi ero appena trasferita in una nuova città, ero una ragazza sola e emarginata, che difficilmente faceva amicizia con gli altri ragazzi della sua età. Il nostro rapporto si poteva davvero definire idilliaco: lui era sempre così gentile, premuroso, metteva in luce i miei bisogni, trascurando spesso le sue necessità. Mi incoraggiava sempre, mi faceva sentire protetta e capita, e soprattutto amata. Tuttavia, da qualche mese a questa parte, sentivo il nostro rapporto sgretolarsi e la noia prendere il sopravvento sulle nostre vite. Lo percepivo distante, come se la sua mente fosse altrove, come se non fossi più io il suo primo pensiero della giornata.

Questo perché nella vita avevo sempre avuto la struggente sensazione che non fossi mai nel giusto posto, gli eventi si susseguivano senza alcuna importanza, per me. Sono sempre stata una ragazza riflessiva e razionale, raramente mi lascio andare ad atteggiamenti confidenziali con qualcuno, la mia filosofia di vita è riservatezza e professionalità, sempre e comunque. Lavoravo da oltre sei di mesi in un ufficio situato al ventitreesimo piano del gigantesco Rayburn Building, a poche centinaia di metri dal Campidoglio di Washington, centro creato negli anni settanta per ospitare i deputati della camera elettorale degli States ma che, con la recessione degli anni novanta, aveva ospitato dei centri di contabilità estera.  

Ero la segretaria principale di un noto direttore di Borsa nazionale, conosciuto in tutto il mondo per la sua fama indiscussa di intraprendente uomo d'affari. Mi ero trasferita qualche tempo fa' da Seattle, causa motivi di lavoro, e l'impatto con il mondo degli affaristi e delle quotazioni in borsa fu' piuttosto brutale, ma nonostante tutto ero stata in grado di adattarmi e di costruirmi il mio piccolo angolino di vita in questa immensa e frenetica città. Chiunque potrebbe dire che ho una vita perfetta: un lavoro affermato, un ragazzo che mi ama, una famiglia affettuosa, una casa grande e spaziosa e soldi a volontà. Ed io sono felice, ma nella vita tutti attraversano un periodo di sconforto, in cui tutte le certezze sembrano sgretolarsi nel baratro del nulla, ed io posso affermare con convinzione che lo sto attraversando a pieno.

 Sono una ragazza pessimista per natura, ma da qualche mese a questa parte sento uno strana sensazione d'ansia attanagliarmi lo stomaco, come se la mia vita si trovasse ad una svolta ed io ne stessi finalmente avvertendo i segnali. Scossi il capo, le goccioline d'acqua scendevano dal mio corpo minuto, addossandosi nel box doccia con lentezza. Sospirando, guardai la sveglia appesa al muro del bagno, che segnava le sei e venti del mattino. Dovevo sbrigarmi, fra poco sarebbe iniziata un altra , estenuante giornata di lavoro, e io non potevo permettermi il lusso di ritardare....  

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In pochi minuti giunsi nel centro di Washington, di fronte all'imponente grattacielo di sessantadue piani che costituiva anche la mia sede lavorativa. Diedi uno sguardo attento al mio vestiario, controllando che fosse tutto in ordine: la gonna a tubino mi ricadeva morbida sui fianchi, la camicetta di candida seta grigia fasciava le forme poco pronunciate del mio seno, una pudica scollatura a valorizzare il mio corpo dalle curve poco evidenti. La valigetta che stringevo fra le mani era pesante, centinaia di documenti giacevano al suo interno, testimoni delle numerose notti insonni che ho passato ad analizzare i numerosi conti finanziari inerenti alla "Washington State Building", la compagnia in cui lavoravo.

 Con un sospiro entrai nell'atrio dell'immenso grattacielo, e lo schiamazzare familiare delle segretarie e dei giornalisti che affollavano il primo piano mi giunse alle orecchie, accentuando il fastidioso mal di testa che mi opprimeva. Con un cenno del capo salutai Bryan, il segretario generale dello stabilimento, che mi sorrise distratto, e arrivai all'ascensore che mi porterà dritta al ventitreesimo piano, in cui ha sede la mia scrivania. Attesi impaziente lo schiudersi delle porte dell'ascensore, erano anni che soffrivo di claustrofobia e non sopportavo gli spazi chiusi. Specialmente in questo periodo, in cui l'ansia sembrava divorarmi ogni giorno che passa, irreversibile come il peggiore dei tormenti.

 Ticchettai nervosamente le dita sui tasti dell'ascensore, finchè  la voce artificiale e seriosa di una donna mi avvertì  che ero giunta al piano prestabilito. Con un sospiro di sollievo mi apprestai a uscire e a raggiungere il mio ufficio, dove una sorridente Jessica, agghindata con una succinta minigonna e una camicetta decisamente poco professionale, mi attendeva impaziente, tamburellando nervosamente un piede sul linoleum del pavimento. Sorrisi in sua direzione: per quanto possa sembrare una donna dai dubbi costumi, la consideravo un ottima amica e una ragazza sincera e leale, con cui avevo fatto facilmente amicizia.

- Bella!!- cincischiò nella mia direzione, schioccandomi un bacio sulla guancia. Arrossii, non ero abituata a simili dimostrazioni d'affetto, anche se ormai avrei dovuto far l'abitudine al comportamento caloroso di Jess.

- Novità?- chiesi, appoggiando la mia valigetta sulla scrivania e sbirciando sul computer acceso, nel caso ci fossero già delle mail da controllare.

Lei annuì, esibendo un sorriso a trentadue denti che mi fece alzare gli occhi al cielo: non riuscivo proprio a capire dove trovasse questa esuberanza alle sette del mattino!!!

- Bè...- iniziò  a raccontare con voce entusiasta - il capo - e sottolineò  la parola con deferenza - mi ha dato un permesso di una settimana, così  potrò andare a Chicago a trovare Mike!!!- in quel momento capii a pieno la sua euforia: Mike, il suo ragazzo, lavorava in un importante centro notarile a sud di Chicago, e di conseguenza i due non si potevano vedere spesso. Jessica e Mike si conoscevano dagli anni delle superiori, e da quando avevano intrapreso una relazione - all'età  di diciassette anni- non si erano più lasciati. Il loro era un amore semplice e , per certi versi, piuttosto superficiale, ma si vedeva che erano fatti l'uno per l'altra, e io avevo sempre appoggiato la loro relazione.

Anche perché, avendo conosciuto Mike alcuni di mesi fa, credevo che Jessica non avrebbe davvero potuto trovare un uomo migliore: gentile e premuroso, sempre attento ai dettagli, che non si dimenticava mai di dimostrarle il suo amore. Le sorrisi, ritornando nel mondo reale, e lei mi abbracciò, l'euforia traspariva da ogni suo gesto.

- Sono così  felice!!!- esclamò estasiata, schioccandomi un bacio sulla guancia - finalmente potrò rivederlo!! E' passato così  tanto tempo che....-

- Signorina Swan!!- una voce fredda e glaciale mi fece sottrarre dall'abbraccio di Jessica. Mi voltai in direzione della voce, ritrovandomi davanti al mio capo, che mi fissava con uno sguardo duro e pieno di rabbia. Mi ricomposi velocemente, osservando gli occhi verdi del mio dirigente con uno sguardo mortificato.

- Mi scusi- sussurrai con voce inesistente, pensando che, anche questa volta, quell'odioso individuo avrebbe trovato il modo di criticare ogni mia più piccola, insignificante mossa. Lui strinse la mascella, osservando il mio viso con palese disgusto.

- Mi segua nel mio ufficio- sbottò con voce incolore e io, lanciando uno sguardo di biasimo a Jessica, afferrai la mia valigetta e seguii il mio capo nell'infido corridoio che portava nel suo preziosissimo e lussuosissimo ufficio da cinquanta mila dollari il metro. Lui non si voltò indietro, non si degnò nemmeno di controllare che avessi eseguito il suo ordine perentorio: sapeva che, sempre e comunque, io non mi sarei mai azzardata a contraddirlo o a sbattergli in faccia il mio odio. Perché Edward Cullen, il più giovane e famoso quotista degli States, era la persona più subdola e meschina che io avessi mai conosciuto.

 Un uomo dalla bellezza eterea, simile al canto infinito degli angeli del paradiso ,ma con il cuore più  marcio che potesse esistere. Fin dal mio primo giorno di lavoro avevo notato che nutriva nei miei confronti un insofferenza immotivata e senza senso, che lo aveva spinto spesso a trattarmi come la peggiore delle donne. Sempre cinico e freddo, non lo avevo mai visto rivolgermi un sorriso o un complimento. Si animava solo quando trovava l'occasione di rimproverarmi e criticare il mio lavoro, come se non esistesse obbiettivo più appetibile, per lui, del rendermi la vita un vero inferno. Ed era proprio quello il luogo in cui mi sembrava di addentrarmi, quando mi aprì  la porta del suo studio e mi fece cenno di entrare.

Lasciate ogni speranza, o voi che entrate...

Senza alcun convenevole mi diede le spalle , sedendosi sulla lussuosa sedia girevole addossata alla scrivania, per poi voltarsi e trafiggermi con uno sguardo glaciale.

- Questa sera ci sarà  un convegno sulle quotazioni di borsa dell'ultima annata- esordì  con voce dura, distogliendo lo sguardo dal mio viso - e io gradirei che tu partecipassi- la sua, più  che una richiesta, sembrava un ordine, e io mi ritrovai come mio solito ad annuire, lo sguardo basso e le guance in fiamme.

- Tutto qui?- chiesi in un sussurro e lui sospirò, con aria frenetica e il volto contratto in una smorfia di rabbia. Quasi inconsapevolmente mi ritrovai a fissare con premura il sottile cerchietto d'oro che occupava il suo anulare sinistro, prova tangibile del suo legame con una donna, e mi chiesi, per l'ennesima volta, se tutta la sua frustrazione provenisse dall'insoddisfazione della sua vita privata... Scossi il capo per togliermi quegli assurdi pensieri dalla mente, ritrovandomi a fissarlo in quelle pozze smeraldo, intense come un mare in tempesta.

- Allora io andrei- dissi con voce calma, voltandomi verso la porta.

- Isabella...- mi richiamò  lui con voce soffocata, e io mi immobilizzai sul posto, chiudendo gli occhi.

- Si?- chiesi in un sussurro, e lo sentii sospirare.

- Vestiti in maniera elegante- detto questo un silenzio opprimente scese su di noi e io, con una smorfia di irritazione in volto, dovuta al tono perentorio che usava sempre con me, uscii dal suo ufficio, pregando che la giornata passasse in fretta...

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Verso le due del pomeriggio, mentre ero ancora intenta a controllare delle carte d'affari nelle veci del mio capo, il telefono squillò. Lo afferrai, precipitandomi sulla cornetta come un ossessa, e parlai con voce tremante e carica di aspettative.

- Ufficio di Edward Cullen, sono Isabella Swan. Chi parla?- domandai apprensiva, e una voce familiare mi giunse alle orecchie.

- Bella?- sospirai e chiusi gli occhi, mentre il cuore iniziava gli straordinari al suono melodioso della sua voce : era tutto il giorno che desideravo parlare con lui...

- Jake - sussurrai con un tono intriso di amore e devozione, e lui ridacchiò.

- Ti sono mancato così  tanto?- chiese scherzoso, e io sorrisi.

- Non immagini neppure....- risposi sincera, e lo sentii sospirare dall'altra parte del telefono.

- Jake, tutto bene?- chiesi con voce esitante, e lui sospirò ancora, ma questa volta la sua voce era stranamente seria e preoccupata.

- Ti devo parlare, Bella- rispose apprensivo, e io impallidii. Avevo paura, una dannata paura che fosse successo qualcosa, che le mie inconsce paure di perderlo, che si nutrivano della mia vita stessa, si stessero avverano. Perché non riuscirei a vivere senza il suo amore.

Non più....

- E' successo qualcosa di grave?- chiesi esitante, e uno strano silenzio scese fra noi. Un silenzio che fu' lui stesso a rompere, con la voce arrochita dallo stress - no, Bella- sussurrò  dolce - è solo che ho bisogno di parlarti di una cosa importante e....-Uno sguardo insistente mi riscosse dai miei pensieri. Alzai gli occhi e vidi Edward Cullen fissarmi con uno sguardo torvo, talmente esasperato da farmi impallidire.

- Jake, adesso devo andare- lo interruppi, prima che il mio capo decidesse di staccare direttamente il telefono - ma ne possiamo riparlare oggi pomeriggio...vieni a casa mia, che dici?- chiesi dolce, impaziente di rivedere il mio amore.

Lo sentii sospirare - Ok...tanto io stacco fra mezz'ora- Jacob era un avvocato , possedeva uno studio in centro, ed essendo il capo poteva decidere di smettere di lavorare quando voleva- ci vediamo dopo...- biascicò incerto, ma prima che attaccasse c'èra una cosa che volevo dirgli.

- Ti amo- sussurrai con voce tremante di emozione, ma dall'altro capo non ricevetti alcuna risposta. E l'ansia torno ad attanagliarmi lo stomaco, mentre un leggero velo di inquietudine mi avvolse la mente.

- Jake?- chiesi ansiosa, e lui sembrò riscuotersi.

- Certo, certo- disse con voce incolore - a dopo- e riattaccò, senza nemmeno darmi il tempo di rispondere. I miei occhi si riempirono di lacrime, avevo paura. Paura di perderlo, di perdere la mia unica ragione di vita. Ero fragile, in quel momento mi sentivo la persona più debole dell'universo, perché i miei timori si stavano avvicinando con maggior forza alla realtà, e io non potevo fare nulla, se non osservare impotente la fine di qualcosa cui tenevo di più al mondo. Non so come feci a trovare la forza di appoggiare la cornetta nel ricevitore, il mio sguardo era vuoto, privo di vita.

- Swan!!!- una voce dura mi costrinse ad alzare lo sguardo. Mi scontrai con due occhi verdi che mi fissavano con rabbia, tuttavia scorgevo un velo di preoccupazione nelle sue iridi smeraldo.

- La pago per lavorare, non per amoreggiare al telefono!!- urlò e io sussultai, mentre i miei occhi si riempirono di lacrime represse. Il suo sguardo indugiò  sul mio viso sconvolto e, senza aggiungere altro si voltò, lasciandomi libera di piangere in solitudine, come ultimamente mi accadeva sempre più spesso.

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----------Tre ore dopo------------

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- Jacob ti prego!- implorai disperata, una smorfia di dolore a sfigurare il mio pallido viso. Non avrei mai pensato di poter soffrire tanto eppure, mentre osservavo i suoi occhi scuri fissi nei miei , non potevo provare nient'altro che dolore. Un dolore che mi stava lacerando dentro, che mi impediva di respirare, che stava squarciando la mia anima in mille frammenti. Caddi in ginocchio, sconvolta,annientata dalla straziante indifferenza con cui guardava le lacrime inondarmi le guance. Non riuscivo ancora a credere a ciò  che stava succedendo....non riuscivo a credere che mi stesse lasciando. Ecco di cosa mi doveva parlare, ecco il motivo per cui non riusciva più  a dirmi ti amo: si era infatuato di un altra donna. Mi voleva abbandonare, la mia unica ragione di vita mi voleva lasciare in balia di me stessa, sola e senza nessuno accanto.

- Mi dispiace, Bella- sussurrò, cercando di imprimere alla sua voce un tono contrito - non è colpa tua, ti giuro. Tu sei perfetta, ma io.....beh, io la amo, non posso vivere senza di lei- i suoi occhi erano luminosi, il solo pensiero di quella donna gli infondeva una gioia inimmaginabile. Singhiozzai, tentando di aggrapparmi a lui, di trattenerlo, di farlo rimanere con me.

- Io ho bisogno di te!- gridai disperata, e lui scosse il capo, allontanandosi da me.

- Mi dispiace tanto- ripeté scostandosi da me e dirigendosi verso la porta.

- JACOB!!!!- il mio fu un urlo agonizzante, sentivo il mio cuore rimbombare nella cassa toracica a velocità inaudita. Udii chiaramente la porta dell'ingresso chiudersi, e in quel momento il mio cuore smise di battere, mentre sentivo un oceano di sofferenza travolgermi in pieno, annullare ogni mia speranza per un futuro che si era sgretolato all'improvviso. Se n'era andato, mi aveva abbandonata. Non mi amava più, il suo affetto era destinato ad un altra donna. In quel momento mi sentii morire per la seconda volta, e il baratro del nulla mi accolse, avvolgendomi nel suo straziante torpore. 

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---------Sei giorni dopo------------  

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Continuai imperterrita a fissare il nulla della mia disperazione, l'espressione vuota e assente. Erano giorni che non uscivo di casa, che non andavo al lavoro, che non rispondevo al telefono, che non mangiavo, che non dormivo, che non vivevo. Mi rigirai nel letto, prendendomi la testa fra le mani,mentre le lacrime iniziarono a scorrere sulle mie gote arrossate dal pianto. Il mio cuore sembrava svanito nel nulla, come era svanita la mia unica ragione di vita. Il dolore era troppo forte, non riuscivo a respirare. Dio, quanto mi mancavano i suoi baci, le sue carezze, il suo sguardo profondo fisso sul mio viso. Mi mancava il suo profumo, il calore del suo abbraccio, la stretta gentile e delicata delle sue mani fra le mie.

 E il tempo sembrava acuire il mio tormento, come se le ferite infertami continuassero irrimediabilmente a sanguinare, protratte in tunnel in cui il dolore e la sofferenza erano diventati i miei unici compagni di vita. Mi sentivo vuota, inutile, privata di ogni sentimento. C'era solo dolore. Tanto, troppo dolore, che mi travolgeva come un torrente di sensazioni in grado di annullare ogni parvenza di razionalità. Non riuscivo più  nemmeno ad alzarmi dal letto, ero davvero distrutta. Io lo amavo con tutta me stessa, gli avevo donato il mio cuore e la mia anima, avevo riposto in lui la mia fiducia e tutte le mie speranze, ma evidentemente non era abbastanza.

Io non ero mai stata abbastanza per nessuno, e in quel momento mi resi davvero conto di quanto fossi un essere inutile e insignificante, che non meritava di ricevere nulla dalla vita, se non delusioni e amarezze.

Nessuno teneva a me, nessuno mi avrebbe mai amata.

Ero solo una sciocca che credeva di poter ricevere quell'amore che nessuno avrebbe mai osato donare a un essere infido come me.Sarei sempre stata sola.

Sempre.

Volevo urlare, volevo esalare con violenza la rabbia, il dolore e l'umiliazione che sentivo dentro.

Volevo morire, morire sul serio, scomparire dal mondo e smettere di soffrire una volta per tutte.

Con questi pensieri mi seppellii sotto le coperte, i singhiozzi mi sopraffarono. E in quel momento, mentre la familiare sensazione di cadere nel baratro mi invase, un suono stridulo e insistente mi giunse alle orecchie. Lo ignorai, afferrandomi con forza i capelli, cercando di acuire con il dolore fisico la sofferenza che mi attanagliava il cuore, e lasciando scorrere le lacrime sul mio viso pallido e smunto. Ma quel suono crebbe d'intensità, prolungandosi per un tempo che mi sembrò  infinito. Perché non mi lasciavano in pace? Perché non mi lasciavano lottare in solitudine contro la straziante agonia che aveva avvolto la mia misera esistenza?

 Quando quel suono odioso iniziò  a infastidirmi mi alzai, barcollando sui miei stessi piedi e, incurante del mio aspetto trasandato e del mio volto stravolto mi diressi alla porta d'ingresso, cercando di non ruzzolare a terra. Con lentezza aprii l'uscio di casa, maledicendo mentalmente chi osava disturbare il mio infinito torpore, ma quando spalancai la porta con rabbia,pronta a cacciare chiunque vi si trovasse dietro, le parole mi morirono in gola. Due occhi verdi, profondi e luminosi come l'oceano, guardavano fissi il mio viso, una smorfia di preoccupazione impressa nei lineamenti perfetti.

Edward Cullen.

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Questa mini fiction, composta da massimo cinque capitoli, è dedicata a un mia cara amica, che in questo momento sta attraversando un momento difficile e che non trova la forza di rialzarsi e camminare a testa alta nel mondo. Ed è dedicata anche a coloro che soffrono per amore, e che non hanno il coraggio di dimenticare, di guardare avanti, di ricominciare a vivere. So che ho già quattro fiction da portare avanti, ma questa sera mi è venuta questa idea e, agevolata dal mal tempo che sta mandando monte i miei piani, mi sono messa a scrivere. Perdonate eventuali errori/orrori di sintassi o battitura, entro domani li correggerò. Sarei comunque grata ai lettori se mi lasciaste un parere, per sapere se la storia piace e se vale la pena di continuare a scrivere.

   
 
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