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Autore: Mary15389    12/08/2010    10 recensioni
Uno strano incontro può cambiare la vita di una giovane italiana appena sbarcata a Washington?
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My life has just begun CAP1 Spoiler: No spoilers
Disclaimer: I personaggi (fatta eccezione per quelli creati da me) non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal Minds è della CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: La primissima ff che io abbia scritto, e si vede. E' passato più di un anno da quel momento. Chiedo scusa se è particolarmente banale e se la scrittura è molto claudicante e incerta.

My life has just begun



CAPITOLO 1

Avevo sempre vissuto sotto una campana di vetro. I miei genitori sin dall’inizio avevano manifestato molta apprensione. Mai una gita, mai una vacanza fuori tra amici, sino in età abbastanza adulta. Ma la mia voglia di evadere era sempre stata più grande. Avevo pazienza. Mi ripetevo che sarebbe arrivato il giorno……
E poi ero lì. I grattacieli davanti a me. L’Italia lontana e l’America sotto i miei piedi. Lo ripetevo sin dal primo giorno all’università: datemi il tempo di laurearmi, di mettere qualche cosa da parte e io lascerò questa Italia che mi sta tanto stretta. E c’ero riuscita.
Non avevo mai avuto grosse ambizioni, avevo sempre voluto provare tutto quello che mi si presentava davanti, conscia del fatto che se non si prova non si saprà mai se le cose piacciono o no e se soprattutto fanno per noi. E quindi sin da piccolissima a provare tutte le attività possibili e immaginabili, a trovarmi così me stessa in alcune, e così snaturata in altre. Ma almeno avevo provato sulla mia pelle.
Con il sogno d’America era stato diverso….quella era stata la mia prima ambizione. Lì non c’era da provare, c’era solo da riuscire. Era come se fossi nata per questo, come se al momento della mia nascita fosse stato sbagliato il luogo dove venire al mondo.
Mi ero rimboccata le maniche. Avevo finito presto l’università, mi ero adattata a qualsiasi tipo di lavoro pur di mettere da parte la somma sufficiente alla mia partenza. E con la stessa naturalezza che sentivo sin dall’inizio ero finalmente scesa dall’aereo in quella che sentivo la mia vera casa.
Per iniziare avevo preferito prendere una stanza in albergo, giusto come primo appoggio per cercare magari un appartamentino conveniente. Non sapevo ancora nemmeno quello che avrei fatto in quel posto per mantenermi, ma non mi preoccupavo. Avrei provato come sempre cose nuove e forse avrei trovato la giusta strada.
Quando sento qualcosa di così naturale non mi spaventa nulla.
Per prima cosa dovevo trovare una casa dove stare, l’albergo avrebbe in breve tempo prosciugato le mie finanze. Avevo deciso di affrontare questo viaggio da sola, perché egoisticamente credevo che nessuno avrebbe potuto avere il mio stesso slancio e le mie stesse motivazioni nel fare quella che chiamavo ancora follia.
Credevo nel destino, credevo nella fortuna. La casa l’avevo trovata in pochissimo tempo. Non chiedevo nulla di lussuoso, giusto un due vani. Al pian terreno un soggiorno con cucina e un primo servizio e al primo piano una camera da letto con un secondo bagno. Non avrei avuto con chi dividere spazi più ampi.
Ma forse la mia fortuna, o destino come preferivo chiamarlo, non era ancora terminata.
Ero tornata all’albergo per prendere i miei bagagli e saldare il conto. C’era uno strano fermento. Caricai le valigie sull’ascensore e scesi senza nessun altro nel vano. Al momento di uscire si manifestò un’altra delle mie tipiche caratteristiche: sono goffa e imbranata. Le valigie si incastrarono e la gente era così indaffarata nelle sue cose da non accorgersene e darmi una mano. Finalmente riuscì a farle uscire con un balzo e atterrai su qualche cosa.
Pregai si trattasse di un muro, ma sentì un’imprecazione. Non volevo voltarmi, volevo solo sprofondare. Lentamente mi girai e mi trovai davanti un ragazzo alto, elegantemente vestito. E proprio quell’eleganza rovinata da una macchia di caffè sul petto. Decisamente avevo combinato un disastro.
“Mi dispiace tanto…è solo che le valigie si erano incastrate e…non volevo…la prego mi dica cosa posso fare per aiutarla…”
“Non si preoccupi, ero distratto anche io…vuole un aiuto con quelle valigie?”
Questa era bella. Non solo gli avevo rovinato la camicia facendogli rovinosamente cadere il caffè addosso e per giunta mi offriva il suo aiuto.
“No grazie. Ormai sono quasi arrivata. Il danno l’ho fatto,” affermai indicando la sua camicia “e spero non ce ne siano altri in agguato.”
Non ero mai stata brava nelle relazioni interpersonali, e soprattutto ero sempre stata diffidente con le persone che mi si presentavano davanti. Specie se uomini e carini. Causa la mia scarsissima autostima.
“Oh, non si preoccupi per questa.” Mi rispose indicando il capolavoro di pittura astratta che avevo abilmente spennellato sul suo petto. “Statisticamente, se si cammina con un bicchiere di caffè in mano, ci sono ottime probabilità, circa il….”
Giovane, alto, carino, educato. E ora cosa stava facendo? Mi sbatteva in faccia anche la sua smisurata, e oserei dire inutile, cultura. La mia mente non poteva sopportare di più.
“Grazie grazie, ho capito.” Lo interruppi sperando di potermi congedare in fretta. “La ringrazio ancora per essersi offerto di aiutarmi e mi scuso nuovamente.”
Lui fece un sorriso e salutò con la mano. Si allontanò per il corridoio rischiando di urtare qualche altra persona.
Tutto sommato forse la colpa non era stata tutta mia. Che tipo strano… Smisi di pensare e mi avviai verso l’uscita. Saldai il conto e chiamai un taxi per raggiungere la nuova casa. Mentre attendevo, passeggiavo per la hall dell’albergo, fin quando i miei occhi rimbalzarono su un cartello: “Ore 18, sala Lincoln, conferenza sul profiling.”
Erano le diciotto meno dieci, e una vocina dentro la mia testa ripeteva che si trattasse del destino. Non sapevo nemmeno che cosa fosse questo “profiling”, ma il nome mi piaceva e alla fine non avevo nulla da perdere a vedere questa conferenza. Sentivo dentro di me che dovevo andare, provare, come avevo sempre voluto fare nella mia vita.
Avvertii la reception di annullare il mio taxi, lasciai le valigie custodite e mi avviai verso la sala Lincoln. Non avevo idea di quello che mi avrebbe aspettato dietro quella porta.
  
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