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Autore: Ely79    13/08/2010    11 recensioni
Un Mangiamorte. Una cella. Un intruso. L'ultima persona che mai avrebbe creduto d'incontrare ad Azkaban. Un segreto.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Rabastan Lestrange, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
- Questa storia fa parte della serie 'Rabastan Lestrange' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Servi del potere
Rabastan


Sono sulla porta dell’Ufficio Misteri con quel mentecatto di Minus a farmi da improbabile spalla, Occultati entrambi. Come può quest’incapace essere alla mia altezza? Essermi anche solo vagamente utile? Lui, che trema ad un alito di vento? Facciamo la guardia, nell’attesa che Malfoy prenda in consegna da Potter la sfera con la profezia.
Avrei rifiutato quell’incombenza indegna, se non fosse stato Lui in persona ad impormelo. Non si fida delle capacità persuasive di Malfoy almeno quanto teme la rete di contatti di quel vecchio pazzo di Silente. Ed ha ragione. Li odo arrivare prima ancora che compaiano nel corridoio. Qualcuno è caduto dalle scale. La gamba zoppa di Malocchio Moody batte secca sul pavimento. Sfodero la bacchetta. Non dico nulla a Minus, io da solo sono sufficiente contro quel manipolo di disperati che svoltano l’angolo in quest’istante preciso. Sto per colpirli, quando vedo venire avanti un essere di cui mai avrei sospettato l’esistenza.
Sogghigno. Silente è talmente squilibrato da aver arruolato anche degli animali tra le sue fila: un lercio bastardo dal pelo nero trotta in testa al gruppo con i denti scoperti e le narici dilatate. Mi fa paura quanto una caramella può farne ad un marmocchio goloso.
Il cagnaccio aumenta la velocità, ringhiando e drizzando i peli della schiena. Deve avermi fiutato, mi punta.
«Avanti, sacco di pulci. Cosa credi di fare?» penso divertito.
Ed ecco, accade qualcosa che mi sbalordisce. Il randagio spicca un balzo con le fauci spalancate. Un istante dopo ricompaio a terra, dolorante e Petrificato. La bestiaccia è svanita e in piedi, davanti a me, c’è un uomo. Un uomo che conosco.
«Salve, Lestrange. Perdona se non ti annuso il culo come si dovrebbe, devo salvare il mio figlioccio» latra isterico.
Sparisce con gli altri dentro gli uffici, imitato da quel buono a nulla d’un pisciasotto di Minus.
Non avrei mai creduto di scoprire d’aver dato una mano a quel dannato filoBabbano tre anni fa.

***

Oltre queste pietre, Azkaban è solo un ritaglio di cielo dal colore impreciso. Neppure i suoi contorni sono definiti dai margini smangiati della finestrella.
Intorno a me è solo penombra, né luce né oscurità. Grida, pianti e sporcizia che si accumula giorno dopo giorno, mista alla disperazione dei detenuti.
Io non sono come gli altri. Mio fratello non è come gli altri. Sua moglie non è come gli altri. Siamo Mangiamorte, servi del grande Mago Oscuro, del Solo Maestro. Servitori del potere e della vera magia. Il nostro cuore ha cessato di palpitare tempo fa. Ed un cuore che non batte, non può provare angoscia né dolore né amore. Niente ci smuove. Siamo freddo odio solidificato, dura carne pervasa di rabbia e brama di conquista. Sangue secco e venefico.
Quando ci rinchiusero qui, pareva che la nostra fine fosse certa. Un giorno? Un’ora? Nulla di tutto ciò. Eppure, il lento gocciolio del tempo ha scavato un solco tale nella mia mente, che non saprei più dire quanto ne sia trascorso fino ad oggi. Una volta contavo gli intervalli tra buio e luce, ma ben presto mi resi conto che il metodo perdeva di significato quando il sonno mi assaliva, obbligandomi a chiudere gli occhi. Confondevo il riposo con la notte, la veglia con il giorno. Favoleggiavo di settimane divenute giorni, scambiavo mesi interi con manciate di secondi. Smisi per non impazzire.
Bellatrix biascica frasi sconnesse. La sua voce arriva alle mie orecchie mentre litiga con Rodolphus. Lui la maledice, poi dice che l’ama alla follia, che morirebbe per lei, le dà della sgualdrina, della perversa e della pervertita, la chiama splendida creatura maligna, fedifraga, mostro, maride lasciva ed infine canta. Canta con la voce da tenore arrochita dalle urla e dalla salsedine che passa dai muri. Dice che è la loro canzone. È talmente surreale udire parole d’amore qui dentro. Lei allora strilla, sputa dandogli dell’idiota sentimentale, del ragazzino mai cresciuto, invoca Lui, il Nostro Signore, il Suo Signore, geme come una prostituta mentre accarezza il Marchio Nero, piange, scrolla le sbarre irremovibili. Sono certo che goda nel provocarsi e nel provocare dolore. Credo lo faccia per sentirsi viva e più simile al Maestro.
Sento aprirsi la porta della cella.
«Bene» mi dico, «alla fine hanno deciso»
Scelgo di non degnarli del mio interesse. Il Dissenatore entrerà, silenzioso e mortifero, mi afferrerà e sarà tutto finito. Il Maestro terrà conto di questo quando tornerà. Metterà i nomi di coloro che gli sono stati fedeli fino all’ultimo su una lastra d’oro perché il mondo non dimentichi la nostra totale dedizione alla causa. I fanciulli Purosangue cui verranno imposti i nostri nomi si esalteranno all’idea della nostra superiorità e grandezza, della forza con cui abbiamo sopportato la prigionia.
La paura che serpeggia nei corridoi del Ministero alla fine ha avuto la meglio. Facciamo troppa paura, anche da qui, resi impotenti dal sequestro delle bacchette e dei nostri amuleti. Le nostre voci scagliano Anatemi terrificanti e mortali, impossibili da reprimere o deviare: paura, ansiosa attesa dell’ignoto, silenzio teso. Non è la nostra magia che temono. È quella forza misteriosa e cupa di cui Lui ci ha pervasi. La fede in quel che facciamo, in Lui, nelle sue arti occulte, nel suo potere smisurato di cui ci metterà a parte al suo ritorno.
Aspetto, ma nessuna mano adunca e lebbrosa mi afferra. Nessun alito di morte si posa su di me.
Sento un tonfo sordo sul pavimento. La porta si richiude con uno schiocco secco mentre le serrature incantate stridono. Un rantolo soffocato disturba la quiete tanto agognata.
Mi volto, deciso a devastare quanto è stato gettato nella mia cella. Con cosa sperano di fiaccare il mio spirito, oggi? Denaro? Notizie fresche dalla Gazzetta del Profeta? Accordi giuridici? Illusi! Chiunque abbiate incaricato del compito di blandire Rabastan Lestrange se ne andrà con un pugno di Billywig morti.
A terra, allungato in una macchia informe, giace quello che una volta doveva essere stato un uomo. Un altro detenuto. Un senso di disgusto mi stringe le viscere digiune. Avvezzo alla solitudine fisica di questo angusto spazio, mi sento soffocare. Come una belva, percepisco la minaccia rappresentata da quell’intruso. Giace immobile, potrebbe essere un cadavere. Ma io so bene che non é così. Sta solo recitando la sua parte di derelitto sotto quella zazzera nera e lercia, che un tempo aveva chiamato capelli.
Inspirando faticosamente, tenta di risollevare quel sacco privo d’ossa che è il suo corpo. Tossisce contro le pietre.
Ecco cos’é rimasto del famoso e famigerato Sirius Black!
Un avanzo d’uomo, talmente smagrito dalla permanenza nella prigione che potrebbe sfilarsi i ceppi dai polsi senza alcuna difficoltà. Deve aver cercato di evadere, a giudicare dalle condizioni pietose delle sue mani. Coperte di ferite e piaghe, le unghie rotte e sanguinanti, sono quelle di uno che ha scavato con foga furiosa e disperata. E pensare che ti facevi beffe di noi ad ogni scontro. Eri sempre il primo ad attaccar briga, a vantarti dei tuoi colpi perfetti, ti esponevi al pericolo, sprezzante e strafottente. Ed ora chi sei? Un reietto che cerca di superare le mura di questo luogo scavando come un ratto. Vuoi fuggire, al pari dei più biechi delinquenti che non si vergognano della propria efferatezza, ma si aggrappano alla vita nonostante le colpe pesino loro addosso. Temi il giudizio che ti pende sul capo. Assassino.
Che grande Mangiamorte saresti stato, se non avessi sbagliato le tue scelte! Eri abile, determinato, astuto, sconsiderato quel tanto che bastava perché venissi preso a modello. Il Signore Oscuro ti avrebbe lodato sopra ogni altro. Saresti sfuggito alla cattura, sostenuto dai nostri alleati, oppure, come noi, avresti sopportato con stoico cinismo la pena inflitta. Allearti col nemico, sostenendo l’uguaglianza tra nobili Purosangue e feccia NataBabbana, è stata la tua condanna. Hai lottato per degli esseri inferiori che sono stati subito pronti a puntare il dito contro di te, quanto sei stato accusato di un crimine non tuo. Chi ti ha difeso? Nessuno! Ti hanno tradito. Hanno tradito un servitore di Silente. Hai tradito il giusto ordine delle cose e sei stato tradito.
Sai di essere innocente, ti sei proclamato tale davanti al Wizengamot, ed ora tenti la fuga. Perché un innocente dovrebbe anelarla? Non credi forse in quella giustizia a cui ci volevi consegnare? La tanto decantata e sfavillante giustizia dei maghi?
Ti rattrappisci lì dove sei caduto, un grumo di carne macilenta tenuto insieme dai fili logori dei pochi stracci che ti pendono di dosso, disegnando lo scarno profilo delle costole.
Povero sciocco. Ancora non hai capito? Non c’era giustizia nel mondo che servivi. Questo mondo marcio e corrotto dagli indegni possessori della magia. Un mondo deforme, abbietto, governato da mani incapaci. Le vostre leggi, il vostro credo, le vostre pie illusioni sono parte del sogno di quel vecchio pazzo!
Noi! Noi abbiamo servito e continuiamo a servire il vero volto della vita, del potere! Lui ha solo dato voce a presagi che albergavano nel nostro spirito. E quando tornerà, chi di voi potrà arrestarne l’ascesa? Chi? Nessuno, perché siamo la sola speranza di raddrizzare la china. Di ripianare il solco tracciato da sangue impuro, cancellandolo per sempre.
Fisso con disprezzo quella schiena inarcarsi a fatica verso l’alto. Gorgoglia e ansima, forzando i polmoni a riempirsi d’aria fetida. Mi sposto davanti alla finestra, chiudendola. Non posseggo più nulla dalla mia condanna. Ogni cosa è stata confiscata in nome di ciance prive di senso. Non mi porterai via anche questo soffio d’aria gelida e rarefatta che a stento mi consente di respirare. Ho preso possesso di questo angusto spazio, il dominio che per ora mi spetta. Questa cella è mia. Perché ti abbiano ficcato qui non mi riguarda, non m’importa. Tu non ti approprierai di nulla.
Boccheggia in cerca di ciò che non gli appartiene.
Con un calcio al fianco lo costringo ad appallottolarsi nuovamente.
«A terra, cane! Quello è il tuo posto!» grido.
Per ribadire le mie ragioni, gli schiaccio la faccia sul pavimento. Il respiro strozzato mi sfiora il piede intirizzito.
«Giù, cane di Silente!»
Black rimane immobile, accasciato come il più miserabile dei randagi che cerchino di elemosinare un boccone.
Torno alla finestra, un profondo compiacimento mi pervade. Ho messo in chiaro le gerarchie. La sua inesistenza al mio confronto. Inspiro avido i refoli che a stento penetrano l’apertura.
Ad un tratto, con un guizzo che dell’umano ha ben poco, leva gli occhi su di me. Sono privi di paura. Una fiamma di lucida follia li illumina, una consapevole distorsione mentale. Anche nei momenti di eccesso e sregolatezza, quando il sangue e le grida si mischiavano in un tripudio d’orrore, non ho mai veduto uno sguardo simile nei miei compagni. E tra pazzia e astuzia intuisco lo scintillio di una lama dura e inflessibile, rovente d’ardimento.
Le sue labbra scarne si torcono in un sorriso allucinato. Un riso strano, affamato, affiora a scatti. Penso sia definitivamente impazzito, che le Furie si siano cibate di quel poco che restava del suo inutile senno. Incerto su ciò che dovrei provare, se orrore o semplice ribrezzo per un traditore della sua nobilissima casata, desidero solo allontanarlo da me. La sua espressione appare contagiosa, una malattia virulenta e inarrestabile.
Black resta per un tempo imprecisato in un angolo. Io occupo quello opposto, lontano. Di tanto in tanto la sua risata goffa e farneticante esplode sommessa. Mormora parole a me incomprensibili.
Devo ucciderlo o la sua follia ucciderà me. Le mie mani, indurite dall’immobilità, torneranno a bearsi nello stringere il suo collo gracile e sporco. Lo guarderò morire. Proverò un’altra volta quella gioia crudele che ormai alberga solo nei miei ricordi e nei miei desideri.
Prima di poter attuare il mio proposito, viene recuperato dai Dissennatori. Allo stesso modo in cui era stato gettato ai miei piedi, viene trascinato via. Le nefaste guardie scompaiono dietro la porta ed i suoi cigolii. Torno padrone del mio languire. Misuro svelto i pochi passi che separano i muri, sincerandomi del vuoto che permea l’ambiente.
Qualche notte più tardi, girerà voce che Sirius Black sia evaso. Le menti correranno a Silente, ai suoi luridi scagnozzi ancora a piede libero.

***

A nessuno era stato dato di conoscere la verità, fino ad oggi.
Quando mi libero del Petrificus, la battaglia imperversa. Mi getto nel duello, tentando di trarne il massimo vantaggio. Spero solo che il Maestro, frugando nella mia mente in cerca del perché ho permesso ai seguaci di Silente d’intervenire, non venga a conoscenza di quell’infausto, vergognoso segreto. Non servirebbe a nulla dire che non sapevo delle doti di Animagus di Black. Lui non perdona. Lui non ammette l’ignoranza a discolpa.
Sento Bellatrix gridare. Mi giro appena in tempo per vedere il cugino risponderle a tono e cadere scomposto dietro al velo che pende dall’arcata al centro della stanza. Sorrido schivando un attacco.
A che ti è valsa la fuga, Black? Tre anni di vita in più, fuggiasco e calunniato? Costretto a muoverti sotto le mentite spoglie di un animale rognoso e senza la dignità del tuo nome? Tradito e traditore. Disposto a piegare l’onore per una speranza vana. Speranza che si spegnerà tra le dita del Mio Signore. Forse non questa notte, forse non domani, ma presto. Molto presto.
Io vivrò abbastanza da vedere il nostro trionfo. Tu sei morto comunque. Eri morto dentro, ora lo sei definitivamente. Nessuno poteva salvarti, nemmeno le lacrime di quel ragazzo che viene trascinato via a forza. Era il tuo destino, l’hai solo procrastinato affondando le zanne in un amaro boccone di tempo. Hai scalciato e ringhiato cercando d’intimidire la Nera Dama, ma a lei piace giocare, farsi beffe di chi si crede eroe. Credevi di esserlo? Che il tuo nome avrebbe preso a splendere come la tua stella? Io sono un eroe. Noi Mangiamorte siamo eroi, noi che compiamo scelte difficili, sobbarcandoci di gravosi sacrifici in nome di un  ideale. Noi che non guardiamo in faccia a nessuno.
Tanto valeva per te morire colpevole ad Azkaban.
   
 
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