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Autore: nitro    16/08/2010    5 recensioni
Corretta, ora si leggono i dialoghi. Grazie a Gaga96 e Dolce Sango91!Piccola fanfic su Damon e Bonnie, i miei personaggi preferiti della serie “The vampire diaries”. Scopriranno insieme che è difficile sottrarsi al desiderio e all’attrazione. (I commenti sono sempre ben accetti.. :) ringrazio le moltissime persone che hanno letto, che leggono e che leggeranno questa mia piccola pazzia..)
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bonnie McCullough, Damon Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La notte era scesa su Mystic Falls. L’oscurità aveva sostituito con prepotenza la luce solare e le tenebre si distendevano come una coperta sulle case coloniali della cittadina.

L’Old Wood era buio e silenzioso, non un essere vivente che popolasse la foresta, non un alito di vento che scuotesse le foglie.

Le sagome degli alberi si stagliavano minacciose davanti agli occhi di Bonnie. La strada che tagliava il bosco correva ondeggiante dinanzi a lei. Il tragitto non sarebbe stato lungo ma l’idea di attraversare l’Old Wood di notte le faceva venire i brividi.

Inspirò a fondo un paio di volte e s’incamminò lungo la strada.

Bonnie non osava guardarsi intorno, teneva lo sguardo fisso sulle sue scarpe che, un passo dopo l’altro, la allontanavano sempre di più dal limitare della foresta. Il suo inconscio si stava disperatamente adoperando a credere, che ogni passo la stava avvicinando alla fine della foresta, a casa sua.

Cercava con gli occhi ogni crepa del vecchio asfalto che ricopriva la strada, in un disperato tentativo di mappare ogni imperfezione e ogni buca nella sua mente.

Il silenzio di tomba che serpeggiava intorno a lei la faceva sentire profondamente a disagio. I suoi sensi da strega la avvertivano chiaramente che gli abitanti di quella foresta la stavano osservando nell’ombra. Percepiva perfettamente i sussurri dei fantasmi del cimitero di Fell’s Church, lamenti lontani nel tempo e nello spazio che mai sarebbero stati ascoltati.

Sua nonna le aveva spiegato più di una volta che i fantasmi non potevano nuocere ai viventi, erano fatti di etere e polvere e mai sarebbero riusciti ad afferrare qualcosa di organico. Bonnie si concentrò sulle parole rassicuranti della nonna. Purtroppo, però, un rumore improvviso, sicuramente causato da qualcosa di “solido”, la fece balzare come una molla. Si bloccò per qualche istante. I suoi nervi, estremamente tirati, non avevano retto al lieve crepitio di un rametto sotto le sue scarpe. Si diede della stupida.

Erano ben altre le creature di cui avrebbe dovuto preoccuparsi.

Desiderò con tutte le sue forze che si alzasse un filo di vento, e che le foglie cominciassero a scrosciare per le sue sferzate. Il silenzio l’aveva sempre innervosita. Riteneva che un rumore continuo, benché inquietante come il vento tra le foglie in una notte buia, fosse di gran lunga preferibile alla calma. Qualsiasi rumore improvviso avrebbe potuto essere attribuito al vento, se ci fosse stato. Se solo ci fosse stato. Il silenzio non le piaceva, la calma presagiva sempre il successivo tumulto. L’assenza di rumore portava morte. La quiete non apparteneva ai vivi.

Chiuse gli occhi, imponendosi di calmarsi. Li riaprì e fissò lo sguardo verso il cielo. Era una notte buia, priva di stelle. Gli unici bagliori che timidamente rischiaravano il cielo provenivano dalla luna. Il satellite si presentava sfocato, spento. I suoi pallidi raggi erano troppo deboli e fiacchi; non sarebbero mai riusciti a raggiungere il suolo o a illuminare lei. Grosse nuvole serpeggiavano verso quell’ultima fonte di luce e ben presto anche quell’unica fiammella fu spenta.

 

Nel nero di quel cielo si stagliava una figura, se possibile, ancor più nera che quella notte. Nessun occhio umano sarebbe riuscito a distinguerla dal cielo cupo. La creatura si librava in volo sopra la cittadina. Le sue ali sferzavano l’aria con fierezza. Il suo volo distendeva la tenebra sopra tutto ciò che superava. Indomita e orgogliosa portatrice di ombra e male. Nuvole nere e plumbee la seguivano fedeli ottenebrando ancor di più l’etere.

Il corvo respirava la notte come se fosse stata la sua fonte di vita, si beava degli odori della foresta. Le sue lucide penne erano nere come il peccato, molto più nere dell’oscurità di quella notte. Svettavano altere sopra ogni cosa, come a voler mettere in chiaro che esistevano vari tipi di oscurità, diverse sfumature di nero, diversi gradi di pericolosità, e loro ne rappresentavano il rango più maligno e temibile.

L’uccello si ritrovò a sorvolare l’Old Wood. Un odore intenso penetrò le sue narici, frutti di bosco e adrenalina impregnarono il suo olfatto; fragranze di sangue e paura.

Planò silenzioso fino a posarsi sulla cima di un albero. Lo spettacolo che si aprì ai suoi occhi lo fece fremere di eccitazione.

Una ragazza sola e impaurita nel buio della foresta. Quella notte la fortuna gli sorrideva.

Osservò con piacere i lunghi riccioli rossi che incorniciavano un grazioso visino a forma di cuore. La ragazza guardava il cielo con due bellissimi occhi smeraldini.

Proprio in quell’istante la prima goccia di pioggia bagnò le rosee guancie della giovane.

 

Quando il cielo plumbeo cominciò a gocciare, Bonnie si sentì invadere dallo sconforto. Obbligò i suoi arti a rimettersi in cammino e provò ad aumentare il passo. Ben presto, però, si vide costretta a indugiare e si arrestò, completamente soggiogata dall’ansia. Una strana e densa nebbia si stava abbassando su di lei. Sembrava che le nubi volessero piombarle addosso e inghiottirla nei loro nembi. La paura s’insinuò serpeggiando nel suo cuore e, come un pitone con le sue vittime, lo avvolse nelle sue spire mortali facendolo sprofondare nel panico.

Bonnie cominciò ad ansimare, il fiato sempre più corto. Era talmente a corto di ossigeno che non riuscì nemmeno a urlare quando una sagoma nera apparve di fronte a lei. Dalle sue labbra tremanti uscì soltanto un fioco sibilo.

La figura uscì lentamente dalla nebbia e si fermò a pochi passi da lei. Le pupille di Bonnie si dilatarono e si contrassero nuovamente, colpite da un’agghiacciante consapevolezza.

Con il respiro ancora spezzato riuscì a pronunciare un'unica parola strascicata.

- Damon.-

Damon Salvatore si ergeva a poca distanza da lei in tutto il suo splendore. Meraviglioso come una tigre, invitante come una Dionea; e come qualsiasi creatura meravigliosa e invitante risultava pericolosa e mortale se un incauto essere vivente si avvicinava eccessivamente.

L’aitante vampiro portava con assoluta eleganza e disinvoltura un paio di pantaloni di pelle e una giacca, entrambi neri come la notte, neri come i suoi lisci capelli ben curati, che ricadevano con noncuranza sulla fronte perlata.

 

Un sorriso sghembo deformò le belle labbra sottili del vampiro. I suoi occhi però tradivano un certo stupore. Quella creatura meravigliosa conosceva il suo nome.

Fissò con più attenzione i lineamenti del suo viso e inalò l’aria attorno a sé, assaporando l’essenza di fragole e lamponi, che gli solleticava le narici.

Bastarono pochi istanti e gli occhi ferali e dannati lampeggiarono di soddisfazione e consapevolezza.

Conosceva quella giovane donna. Era la piccola strega che s’intratteneva sempre con la sua Elena. Tuttavia, c’era ancora un particolare che gli sfuggiva, non riusciva a rammentarne il nome.

Le parlò con voce sensuale e suadente:

- Non è prudente camminare da sola in questa foresta buia. Eppure dovresti sapere che Mystic Falls attira ogni specie di creature malvagie…per tua fortuna hai incontrato soltanto me…- pronunciò le ultime parole con un ghigno divertito.

La ragazza sembrava essersi ripresa dallo shock iniziale e gli rispose con tono indispettito:

- Incontrare te è una maledizione, non una fortuna. Non mi fido di te. Tu sei la peggiore delle creature malvagie che avrei potuto incontrare. Ad ogni modo, so perfettamente difendermi da sola!-

Con un moto di stizza guardò alle spalle di Damon, là dove la nebbia si stava lentamente disperdendo.

Damon udì con piacere il suono della sua voce, una dolce melodia che gli ricordava il canto dell’usignolo. Acuta e fragile come lei. Nella sua mente balenò un nome: Bonnie. La creatura meravigliosa si chiamava Bonnie.

Il vampiro rise, sinceramente divertito. Trovava molto bizzarro che ricordasse il nome di un essere umano. Solitamente i loro nomi e i loro visi passavano inosservati nella sua testa. Non era nella sua natura dare peso alle vite fragili e brevi di quei essere a lui tanto inferiori. Solo un nome era riuscito, fino a quel momento, a incidersi nella sua memoria, il nome di Elena.

-Non ti permetto di farti gioco di me!-

Damon rise di nuovo, ma con una risata molto diversa. Come la prima era stata tanto cristallina e sincera, così questa risultava tanto maligna e pericolosa.

 

Bonnie sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale. Stava giocando con il fuoco. No, stava giocando con qualcosa di molto più insidioso e violento. Stava giocando con la morte stessa. Si pentì di avergli parlato così duramente e attese con apprensione la prossima mossa del vampiro; ma egli rispose con ricercata calma, con un timbro basso e sensuale.

-Non potresti capire.- liquidò così la questione e continuò guardandola dritta negli occhi,-credi che riusciresti a cavartela contro un licantropo? O contro una qualsiasi di tutte le specie di mostri che popolano questa foresta? Sei una strega, ma questo non ti darebbe molte possibilità di sopravvivenza in più di una semplice ragazzina! Sei ancora così giovane e inesperta.-

Bonnie si sentì ferita da quelle parole. Tutti l’avevano sempre vista come una piccola ragazzina, ancora incurante e inconsapevole della vita vera; e ora, anche lui, proprio lui, l’aveva inquadrata come tutti gli altri. Sentire quelle offese uscire dalle belle labbra del vampiro le provocò un dolore insolito all’altezza del petto. Con riluttanza ammise a se stessa che le importava l’opinione che Damon aveva di lei. Desiderò che lui la vedesse come una donna, e non come una fanciulla pura e innocente. Desiderò di essere baciata dalla sua bocca esangue e di sprofondare nel nero dei suoi occhi.

Si odiò profondamente per le sue riflessioni. Odiava l’effetto che Damon le stava facendo. Odiava la poca resistenza al fascino ostentato da quell’essere. Odiava l’attrazione irrefrenabile che provava a toccare la sua pelle diafana.

Improvvisamente si riscosse. La sua mente riacquistò lucidità e Bonnie capì cosa stava succedendo. Era Damon. Lui le stava imponendo di provare quei sentimenti e di pensare quelle cose. La stava soggiogando al suo volere. Stava giocando con la sua mente.

I poteri da strega l’avevano aiutata a sottrarsi alla mente influente di Damon. L’avevano scossa dal torpore sensuale in cui stava cadendo. Bonnie aveva ripreso totalmente in mano la sua ragione.

-Non puoi soggiogare la mente di una strega. Non sottovalutarmi. Lasciami andare a casa Damon. E stammi lontano. Conosco molti modi per nuocere a un mostro come te, e so perfettamente come si uccide un vampiro.-

 

Per un momento la vocina da usignolo s’indurì e s’indurirono anche i dolci lineamenti del suo viso a forma di cuore. La ragazza mosse dei piccoli passi incerti nella sua direzione. Si aspettava una sua reazione. Damon non la accontentò e lasciò che lo superasse. I passi dell’usignolo si fecero più rapidi e sicuri, fu allora che il vampiro si mosse.

Con uno scatto fulmineo la raggiunse e le sbarrò la strada. Poteva leggere lo stupore e la paura sul suo volto. I loro visi erano distanziati da pochi centimetri.

Grazie alla forza di volontà della piccola strega la situazione era diventata ancora più eccitante. La sfida che involontariamente gli aveva lanciato lo aveva reso ancora più determinato a soggiogarla al suo volere.

Puntò le sue nere iridi dritte in quelle della ragazza. Poteva percepire l’effetto che il suo sguardo aveva su di lei. Le si avvicinò ulteriormente e parlò volutamente con le labbra che quasi sfioravano le sue:

-Come mi uccideresti?-

L’usignolo non rispose. Non ne aveva la forza. La sua mente era troppo impegnata a tenere fuori la pressante volontà di profanarla.

 

Nonostante stesse tentando di resistere con tutte le sue forze, sentiva che il suo sguardo le stava scavando un buco profondo dritto nell’anima. L’abisso, che le sue iridi creavano,la fece tremare. Ebbe paura della sua stessa reazione di fronte ai suoi occhi. Non aveva mai notato quanto fossero meravigliosi, il nero della pupilla era leggermente più scuro dell’iride e da quella distanza si distinguevano piccole pagliuzze argentate che increspavano la superficie di quel lago scuro. Non riusciva a parlare, non riusciva a pensare. Si tenne aggrappata agli ultimi bricioli di forza di volontà che ancora le rimanevano.

 

Damon si allontanò di pochi centimetri e le sorrise dolcemente.

-Voglio essere gentile con te. Voglio dirti come uccidono i vampiri, voglio mostrarti come io ti ucciderei…- e si allontanò da lei, scomparendo nel buio della foresta.

La osservò per alcuni istanti dal fitto degli alberi; come una fiera in agguato fiutava l’odore della paura. Bonnie si guardava attorno disperatamente; incapace di muovere altre parti del suo corpo, girava freneticamente la testa a destra e sinistra.

Damon la attaccò alle spalle. Con una mano la prese per la pancia e la attirò a sé, con l’altra spostò bruscamente di lato la testa della ragazza per lasciare scoperto l’incavo del collo. Poi i suoi movimenti si fecero più lenti. Avvicinò il suo viso al collo di lei e percorse con la punta del naso tutta la collina che dal mento declinava dolcemente verso la clavicola. Si fermò. La sua voce si era fatta roca per il desiderio.

-Alcuni vampiri preferiscono prendere la vittima alle spalle, prosciugarla in fretta e andarsene. Non provano il brivido della caccia e il loro unico scopo è nutrirsi.-

Con la stessa torturante lentezza risalì e poggio le labbra sulla carotide...lamponi e mirtilli inebriarono i suoi acutissimi sensi. Si costrinse a non cedere subito all’invito del suo sangue e la lasciò, con la stessa brutalità con cui l’aveva presa.

Con un movimento invisibile agli occhi di Bonnie le girò attorno e si fermò ad alcuni metri da lei.

Lo guardava, incredula e spaventata. Una punta d’ira macchiava i due piccoli smeraldi che erano le sue iridi.

-Altri vampiri, invece, preferiscono la caccia. Godono a giocare con la propria vittima e vogliono che essa sia consapevole di cosa le sta per succedere. La seducono, la prostrano con il potere della mente.- mandò un’altra sferzata di potere in direzione della ragazza, ma questa s’infranse ancora una volta contro la barriera che lei aveva eretto contro di lui.- una volta che hanno il controllo dei suoi pensieri, si avvicinano, lentamente, catturando lo sguardo della vittima che non riesce a guardare altro se non il suo carnefice. Ovviamente, mia piccola strega, io sono tra questi…- la avvicinò con calcolata lentezza, con un meraviglioso ghigno crudele che lo rendeva, se possibile, ancora più affascinante.

Con maestria si tolse la giacca ormai fradicia di pioggia e la gettò a terra.

Bonnie lo guardava pietrificata. Il corpo snello e muscoloso del vampiro svettava sopra di lei. Gli occhi della ragazza percorsero avidi il suo petto, risalirono lentamente verso la sua bocca per poi essere calamitati da uno sguardo intenso e bramoso.

Damon le accarezzò dolcemente il mento e scese piano fino alla clavicola. Indugiò con lo sguardo sul suo collo, ma fu inesorabilmente attirato dalla sagoma dei seni della ragazza che ben si disegnava sotto le pieghe del maglioncino bianco ormai inzuppato.

Il vampiro si sentiva strano. Il suo petto era leggero e pervaso da una particolare sensazione di calore. Erano centinaia di anni che non badava più alle forme delle donne, se non alle diverse ed eccitanti forme del collo femminile. I vampiri non dovrebbero provare attrazione fisica. Erano creature prive di qualsiasi pulsione sessuale. L’unica pulsione che li muoveva era la brama di sangue. I baci che spesso concedeva alle sue donatrici servivano solo per suggellare l’abbandono totale della vittima. Per forzarla a dargli spontaneamente ciò che voleva.

Trascinato dai suoi pensieri, si sorprese a fissare le labbra carnose di Bonnie. Rosse e gonfie, come una fragola matura, aspettavano di essere colte e mangiate. Odore di fragole. Damon si ritrovò a chiedersi se anche il sapore era quello delle fragole, dolce e aspro allo stesso tempo.

 

Da quando si era avvicinato, Bonnie non aveva più percepito il potere di Damon che tentava di insinuarsi in lei.

Quando il vampiro le aveva sfiorato il mento, lei aveva chiuso gli occhi. Aveva assaporato il tocco dei suoi polpastrelli che, nonostante fossero freddi come la pioggia che le bagnava i riccioli, lasciavano dietro di loro una scia infuocata di desiderio.

La linea di fuoco si arrestò sulla sua clavicola. Per un po’ non successe nulla. Bonnie attendeva, ansiosa e impaurita, la dolorosa puntura alla giugulare. Un piccolo movimento la fece sussultare, le dita della mano affusolata di Damon si staccarono dalla sua clavicola e si accostarono delicatamente a un ricciolo ribelle che pendeva vicino al suo orecchio. Lo presero tra le mani e lo percorsero delicatamente. Bonnie si stupì di quello strano contatto, aprì gli occhi e si perse nel viso stupendo che trovò a pochi centimetri dal suo.

I capelli imbevuti di pioggia si erano appiccicati alla fronte e creavano un intricato reticolo di filamenti neri come la pece. Una miriade di goccioline percorreva la pelle diafana delle sue guance. Bonnie seguì una stilla che, abbandonato il suo filamento di pece, stava scendendo verso il basso. Superò le folte sopraciglia e s’incanalò nell’angolo interno dell’occhio, come una lacrima percorse il profilo fiero del naso. Per qualche istante indugiò sull’incavo della narice ma poi scese lentamente verso la bocca di Damon. Le labbra sottili erano socchiuse e la goccia finì la sua corsa sul labbro superiore, disperdendosi su di esso come un’onda sulla sabbia. Bonnie contemplò la perfezione dei suoi lineamenti e si soffermò a studiare i due canini appuntiti che sfioravano il labbro inferiore. Un brivido la scosse in profondità. Damon si mosse impercettibilmente verso di lei. Decise di chiudere gli occhi e attendere il morso fatale.

Il dolore non arrivò.

Il contatto con la bocca del vampiro avvenne in un luogo un po’ più in alto del collo. Le sue labbra carnose furono sfiorate da qualcosa di morbido e freddo.

 

Damon salvatore non aveva saputo resistere. Le sue labbra erano state magnetizzate dal profumo di fragole. Temporeggiò in quel lieve contatto per alcuni secondi ma ben presto la curiosità prese il sopravvento. Cominciò a muoversi piano, godendosi la morbidezza di quelle labbra. Desiderò di più. Con una leggera pressione costrinse quel frutto maturo ad aprirsi a lui e v’insinuò dentro la lingua. Questa, bramosa di un contatto si mosse veloce finché non incontrò la sua gemella. Timidi movimenti risposero a quel desiderio. Con stupore scoprì che anche il gusto sapeva di fragole. Si meravigliò di poter ancora sentire un sapore diverso da quello del sangue. Esaltato e smanioso le afferrò un fianco e la fece aderire al suo corpo. La mano, che aveva torturato il ricciolo, si strinse attorno alla nuca umida della ragazza.

La imprigionò così. Quasi spaventato dall’idea che lei potesse allontanarsi da lui. Bonnie cominciò a rispondere con più passione al bacio e Damon capì che non si sarebbe allontanata. Un gemito soffocato lo fece sorridere.

Non era riuscito a entrare nella sua mente ma aveva avuto successo nel far breccia nel suo cuore. Questa dolce consapevolezza lo fece tremare di gioia. Provò un’immensa felicità. Una contentezza che gli era stata negata per secoli.

Molto tempo prima aveva sentito la sua anima bruciare e il suo cuore cambiare in pietra. Indurito dai colpi delle fiamme. In quel momento così semplice, sentì la pietra del suo cuore scalfirsi un po’ e un tepore lenitivo cominciò a sciogliere il duro nocciolo dall’interno.

Bonnie percorse con la lingua la lunghezza dei suoi canini. Il desiderio li aveva fatti allungare a dismisura. Damon sussultò di piacere e ferì involontariamente il turgido labbro inferiore.

 Il suo istinto primordiale ebbe il sopravvento. Succhio avidamente il sangue dal piccolo taglio sul labbro e ritornò in sé.

La sua mente fu annebbiata dal pensiero del sangue. Il suo cuore si chiuse in profondità nella sua rocciosa corazza. Si staccò bruscamente dalla giovane donna e affondò i suoi canini nella giugulare. La sorpresa di quell’improvviso dolore fece sussultare Bonnie che provò a divincolarsi puntandosi sul suo petto nudo, ma lui era troppo forte. Ben presto si abbandonò a quella stretta mortale. Felice di appagare il suo desiderio.

 

Non avrebbe saputo dire da quanto erano fermi in quell’abbraccio fatale. I suoi pensieri si erano fatti più annebbiati. Le forze cominciarono a mancarle, la vista cominciava a sfocarsi. Stava per perdere conoscenza quando Damon la liberò dal suo morso. Si sentì sollevare e pochi istanti dopo fu delicatamente appoggiata a terra. Sentì un frullio d’ali e seppe di essere sola.

Aprì con fatica gli occhi e riconobbe il pianerottolo di casa sua.

Un dolce sorriso le illuminò il volto. Se quello era il modo di uccidere di Damon, mille volte sarebbe morta per mano sua, mille volte si sarebbe lasciata soffocare dalla sua presenza, dai suoi baci e dai suoi morsi. Gettò uno sguardo al cielo ma non vide altro che nuvole nere ancora gonfie di pioggia.

 

Damon si librò in volo. Si sentiva ancora scosso. Quell’esperienza gli aveva fatto capire con certezza due cose. Due sentenze che sarebbero rimaste scolpite nel suo cuore di pietra finché qualcuno non fosse stato capace di rimuoverle.

La prima gli ricordava che lui era una creatura del male, incapace di amare. Incapace di donare felicità al prossimo. Lui apparteneva alle ombre, da lì era venuto e lì doveva ritornare.

La seconda era un nome. Un nome che sapeva di fragole e suonava melodico come il canto dell’usignolo. Un nome che sarebbe rimasto intagliato intatto nel suo cuore accanto a quello di colei che era riuscito a dimenticare per lunghi e preziosi istanti.

Non aveva pensato al nome di Elena perché era stato occupato a incidersi nel petto un altro dolce nome…Bonnie, la sua piccola strega.

Damon volò via nel vento, alto nel cielo…come un ossimoro, un demonio che vola alto nell’empireo.

   
 
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