Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: _thunderstorm_    16/08/2010    4 recensioni
Tonopah, villaggio in cui passeggia la Morte per le strade.
Uno scrittore che attende di incontrarla, ignaro di conoscerla già da tempo.
Una ragazzina che tenta di trattenerlo presso questa Vita.
Un artista che appartiene all’altra Vita.
E la Rabbia, rabbia che si impossessa di ognuno, avvelenandolo.
Quando Vita e Morte si confondono, quando cielo e terra si abbracciano all'orizzonte, inscindibili e indistinguibili l’uno dall'altro.

Prima classificata al contest Angel Yaoi indetto da Nonnapapera
Seconda classificata e vincitrice del Premio Giuria al contest Le sette barriere psichiche, valutato da Bimba_Chic_Aiko
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
*saltella di gioia*
Beh, che dire? Mi sbrilluccicano gli occhi. Ringrazio la giudicia del contest Angel Yaoi, Nonnapapera, per l'efficienza e il giudizio datomi e, anche, per le altre belle recensioni lasciate qua e là in altri miei lavori. **
La storia è anche arrivata seconda al contest Le sette barriere psichiche, valutato da Bimba_Chic_Aiko, che ringrazio di cuore, assieme alla bannerista, Shurei.
Ah, e si ringraziano anche Jared Leto e Hayden Christensen per aver prestato a loro insaputa la loro splendida faccia per un banner. XD
E grazie anche a chi leggerà e commenterà. =)
Bon, ho finito.
Buona lettura, signori miei. 



Autore
: CoryCory

Titolo: Il soffio dell’angelo
Fandom: Originale
Citazione scelta: 2. La rabbia infetta lo stomaco
Personaggi e Pairing: Adam Taylor, Margareth, Aaron, Adam/Aaron
Genere: One shot, Romantico, Drammatico, Sovrannaturale
Rating: Giallo
Beta-reading: sì
Avvertimenti: Shonen ai
Note ed eventuali dell'autore:
Non avevo mai scritto nulla del genere e, beh, aver concluso un qualcosa che è solo mio mi dà immensa gioia veramente.
Amo questa storia, la amo come non mi era mai capitato per un mia opera. Non so dire se è bella o fatta bene, ma ne sono soddisfatta, oh sì. Ed è la prima volta che mi capita.
La colonna sonora è “Snuff” degli Slipknot: non avrei mai pensato di poter dire una cosa del genere di una loro canzone, ma questa è poesia. Veramente, la voce di Corey Taylor qui mi ha fatto piangere, davvero stupenda. Spero di essere riuscita a rendere in parte onore alla suddetta.
E ok, chiedo venia se non è un capolavoro: io sono qua per migliorare. ^^
Introduzione:
Tonopah, villaggio in cui passeggia la Morte per le strade.
Uno scrittore che attende di incontrarla, ignaro di conoscerla già da tempo.
Una ragazzina che tenta di trattenerlo presso questa Vita.
Un artista che appartiene all’altra Vita
E la Rabbia, rabbia che si impossessa di ognuno, avvelenandolo.
Quando Vita e Morte si confondono, quando cielo e terra si abbracciano all'orizzonte, inscindibili e  indistinguibili l’uno dall’altro.





0. PROLOGO - PASSATO

Bury all your secrets in my skin
Come away with innocence, and leave me with my sins
The air around me still feels like a cage
And love is just a camouflage for what resembles Rage again...

Gli morse le labbra, prendendolo rudemente per la nuca, sentendo i suoi capelli soffici tra le mani, la sua lingua accarezzare la propria con la consueta delicatezza, come fosse solo un bacio, un bacio qualsiasi.
Al pensiero si sentì soffocare, colpito improvvisamente allo stomaco da quella verità che ora si rendeva così reale.
Quello era l’ultimo bacio.
La rabbia guidava i suoi gesti, i suoi movimenti, rabbia per ciò che si preannunciava un addio buio, fatto di silenzi, di cose non dette.
Le labbra si staccarono lentamente, serrandosi in una linea sottile, intrappolando, assieme alle parole, quel gusto di lui che mai avrebbe dimenticato.
Poi, un’ultima preghiera, che suonò come un ordine, tanto era intrisa di amarezza.
Fu l’ultima cosa che gli disse.
“Vattene.”




1.  TONOPAH - PRESENTE

So if you love me, let me go
And run away before I know
My heart is just too dark to care
I can't destroy what isn't there
Deliver me into my Fate - If I'm alone I cannot hate
I don't deserve to have you...
My smile was taken long ago
If I can change I hope I never know

Si tolse la sigaretta di bocca, studiando indifferente colei che temeva sarebbe stata la prima seccatura di quel giorno.
La ragazza lo guardava al di là della porta in un misto di timore reverenziale ed esagerata venerazione, tenendo stretto al petto un libro consunto dagli anni, con le pagine sgualcite dalle troppe letture.
“Lei è Adam Taylor, vero? Lo scrittore…”
L’uomo ammiccò, posando di nuovo lo sguardo sul romanzo, prestandogli maggiore attenzione: era uno dei suoi, uno dei tanti che aveva scritto qualche anno addietro, neanche si ricordava il titolo.
“Sono io.”
“Posso… entrare?”
No, non puoi entrare. Mi sono rintanato qui per essere lasciato solo, dannazione, non puoi venire già il primo giorno a rompermi l’anima.
Sbuffò, in un atteggiamento che esprimeva tutto fuorché cordialità. Nonostante questo, la ragazzina dalle trecce rosse sembrava non voler demordere; ancora attendeva, con gli occhi spalancati per l’aspettativa.
Adam Taylor si spostò di lato.
“Entra.” disse rude.
Non poteva rendersi del tutto conto di come la sua casa potesse apparire ad occhi estranei: dopotutto, in quegli anni non aveva mai introdotto nessuno in nessuna delle abitazioni che aveva avuto.
L’inattesa ospite vagava con lo sguardo nel nuovo ambiente, posandolo prima sugli scaffali carichi di libri e polvere, passandolo poi velocemente sulla pila di giornali che occupava l’intero tavolino del salotto, soffermandosi infine sulle pareti bianche, curiosa.
“Che bei quadri, signore.”
L’uomo distolse lo sguardo, ignorandola.
“Sono venuta a darle il benvenuto nel quartiere – si avvicinò a lui a grandi passi, sorridente, tendendo la mano – io sono Margareth. È un grande onore averla come vicino di casa, signor Taylor.”
Si scambiarono una veloce stretta, poi, dato che l’invito ad accomodarsi ancora non giungeva, lei finse di averlo ricevuto, sedendosi con grazia tra il portatile adagiato sul divano e uno scatolone servito per il trasloco.
Si guardò di nuovo attorno, soddisfatta, provocando ulteriore fastidio al nuovo arrivato.   
“Posso offrirti qualcosa?” si costrinse a dire lui.
La testa rossa scattò nella sua direzione, dipingendosi in viso una gioiosa sorpresa.
“Oh, no, no. Mi chiedevo solo se poteva autografarmi il romanzo.”
Gli porse il libro. Il soffio dell’angelo.
Adam Taylor non riuscì a nascondere completamente la smorfia di disgusto alla vista di quel relitto del passato, tuttavia si trovò a sfogliarlo, lentamente.
“Pensa ne scriverà altri? Mi sono sempre piaciute le sue storie, signore.”
Deglutì, tenendo gli occhi sulla prima pagina del romanzo, non vedendola veramente.
“No.”
“Mancanza d’ispirazione?”
Mancanza di tutto.
“Diciamo così.”
Prese la penna dal taschino interno della giacca, scarabocchiò uno sgorbio che poteva essere qualsiasi cosa e ripose meccanicamente “Il soffio dell’angelo” nelle mani di Margareth.
Non voleva più vederlo.
“Beh, allora grazie, signore. E arrivederci.”
“… Sì.”
Non voleva più vederlo. Gli ricordava capelli soffici, respiro profumato, labbra morbide.
Rabbia.


Tonopah era un paesino disperso nella pianura, isolato da qualsiasi altro agglomerato urbano. Sputo in mezzo a una distesa di erbacce morte, pareva morto anch’esso, impregnato di quelle leggende e tradizioni che i vecchi tramandavano, unico patrimonio culturale su cui poteva vantarsi di affondare radici, chiuso nel suo universo, estraneo al progresso, agli affari, al mondo.
Qualche volta ci giungeva qualcuno: se non era di passaggio, restava lì ad attendere la vecchiaia, con la morte sempre appresso pronta a porgergli sorridente la mano quando fosse stato il momento. Chi lo desiderava, sentendosi già morto dentro, ci rimaneva.
I pochi bambini che ci abitavano costituivano un loro piccolo mondo a parte, lontano anni luce da quello dei vecchi.  Nei loro occhi c’era la Vita, quella che la maggior parte degli abitanti fuggiva.
Margareth apparteneva a questa schiera e allo stesso tempo ne stava uscendo, sentiva la Morte ancora lontana, ma una parte di lei moriva quando la vedeva negli occhi altrui: era una ragazzina, ma, ancora inconsapevolmente, iniziava ad amare e, assieme a ciò, a soffrire e odiare per altri.
Quel giorno camminava per le strade deserte baciate dal sole di mezzogiorno, dirigendosi da Adam Taylor a portargli il pranzo: dal momento in cui, tre anni prima, era andata a dargli il benvenuto nel villaggio, aveva sempre avuto l'impressione che lo scrittore non si curasse affatto di mangiare. Avrebbe anche potuto morire di fame, che tanto non se ne sarebbe accorto.  Accelerò il passo.
In fondo, quell’uomo le stava simpatico.
Anche se non sorrideva mai.
Anche se sembrava sempre arrabbiato.
Anche se parlava veramente poco.
Attraversò il vialetto per niente curato, si chinò a raccogliere il giornale che era stato lasciato davanti all’abitazione, bussò all’uscio, sempre con “Il soffio dell’angelo” stretto in petto.
L’uomo che le aprì la porta, con la barba non fatta, con i capelli neri spettinati, con la sigaretta in bocca, con gli occhi spenti, era colui che si aspettava di trovarsi davanti, solo – notò – leggermente più abbattuto.
“Margareth.” disse a labbra strette, trattenendo il mozzicone in bocca.
Si spostò, permettendole di entrare.
“Il giornale…?”
“Mh. Lascialo sul tavolino.”
Lei obbedì, sedendosi poi al suo posto, tra il portatile e lo scatolone mezzo pieno che – chissà perché – ancora non era stato spostato.
“Li legge, tutti quei giornali? Alcuni sono vecchi, potrebbe buttarli.”
Adam mugugnò in maniera incomprensibile, sedendosi anche lui.
“Ti offro qualcosa?”
Stessa identica domanda, sempre.
Margareth sorrise.
“No, grazie. Sa, sto rileggendo il libro – lo sollevò leggermente, fissandolo pensierosa – solo adesso riesco a comprenderlo in modo più completo. Delle frasi mi hanno molto colpita.”
Ignorò la smorfia di lui, sapeva fin troppo bene quanto odiasse parlare di cose passate. In effetti, odiava parlare di qualsiasi cosa confermasse che, una volta, aveva avuto una vita.
Lo vide irrigidire la mascella, a disagio.
“Posso leggergliene una?”
Ignorò il silenzio astioso, interpretandolo forzatamente per un assenso.
“Per esempio… - iniziò a sfogliare frenetica le pagine, con espressione concentrata – ecco. I demoni non sono esseri perfetti, ma in loro giace la luce che hanno rifiutato e rinnegato, quella stessa luce che è propria degli angeli, quella stessa luce che loro stessi possedevano. E poi… Solo lui poteva far sì che il demone tornasse ciò che era un tempo: nella sua forza si nascondeva il segreto stesso della vita.
Sollevò gli occhi verdi, notando un’ombra che offuscava lo sguardo dello scrittore.
Le si strinse il cuore, ma nonostante tutto non si interruppe.
“L’angelo soffia dentro al protagonista la vita, ma questo atto è seguito dalla sua morte. Lei ritiene dunque che dopo la morte ci sia una vita migliore? Che non valga la pena vivere questa? Che non si possa migliorare, rimanendo in questa dimensione terrena?”
“Piantala, Margareth.”
Lei si irrigidì, caparbia.
“No, non la pianto, signor Adam. Si è rintanato qua, aspettando solo che un fulmine la faccia secco o che la polvere in questa casa la soffochi, uccidendola. Non è normale, non è normale nemmeno che non voglia parlare della sua vita. Insomma, io non so nulla di lei, non ha mai risposto alle mie domande. Di chi sono i quadri? Quando ha iniziato a scrivere? Chi è il ragazzo delle foto?”
Il viso di Adam Taylor era un bel viso, ma ora era deformato dalla rabbia, la stessa che teneva sempre soffocata, ma che era sempre presente.
“Vattene.” sibilò.
Margareth si immobilizzò, spaventata.
“Ti ho detto di andartene!”
Si alzò, sconfitta.
Solitamente in quel momento lei gli leggeva le notizie sul giornale, dato che era convinta che lui di persona non ne sfogliasse uno da tempo.
Quel giorno, però, aveva osato troppo: il giornale rimase lì, abbandonato sul tavolino, con le sue notizie che nessuno avrebbe saputo.
Margareth se ne andò, non osando ritornare per parecchi giorni.
Quel giorno, di fronte a quegli occhi neri e senza speranza, un pezzo di lei era morto.




2. PROMESSE - PASSATO
 
I still press your letters to my lips
And cherish them in parts of me that savor every kiss
I couldn't face a life without your light
But all of that was ripped apart... when you refused to fight

Piangeva.
Non l’aveva mai visto piangere.
E odiò tutto ciò per cui le lacrime scendevano sul suo viso, tutto ciò per cui la rabbia a lui infettava lo stomaco .
“Promettimi che mi scriverai, Adam.”
Sembrava tutto troppo imminente, lui non ci voleva credere, non ci poteva credere.
Gli afferrò la testa tra le mani, fissando quegli occhi azzurri in cui già leggeva la resa, odiandola.
Combatti, dannazione. Combatti per me.
“Torneremo assieme. Un giorno, ritornerò da te.”
“Adam…”
Si voltò, non reggendo più la situazione.
“Hai deciso la tua strada. Io ho scelto la mia. – sorrise, una smorfia amara – non vedo l’ora di trovare la tua foto sul giornale, quando sarai già un artista affermato. Io, penso, me ne andrò, in cerca di nuovi stimoli per un nuovo romanzo.”
“Adam…”
“Parto domani.”




3. TONOPAH, LA LIETA NOVELLA - PRESENTE

So save your breath, I will not hear
I think I made it very clear
You couldn't hate enough to love
Is that supposed to be enough?
I only wish you weren't my friend
Then I could hurt you in the end
I never claimed to be a Saint...
My own was banished long ago –
It took the Death of Hope to let you go

Margareth prese l’abitudine di andarlo a trovare ogni giorno.
Non portava più con sé il libro, si era arresa all’evidenza che l’uomo che le procurava tanta angoscia non era più Adam Taylor, lo scrittore: il trascorrere del tempo gli rodeva l’animo lentamente, rendendo il corpo un inutile involucro di un qualcosa che con la Vita non aveva ormai più nulla a che fare. Quella lenta agonia trascinava anche lei,  ma nonostante questo, ancora bussava alla sua porta, gli raccoglieva il giornale, gli leggeva le notizie.
Quel giorno, però, era diverso.
Correva, la fronte imperlata di sudore, gli occhi accesi di una nuova, ultima, disperata speranza.
Bussò, attendendo di entrare, piegandosi su se stessa per riprendere fiato.
La porta si aprì dopo parecchi minuti.
“Margareth?”
Aveva la voce impastata, odorava di fumo e di alcol.
Lei finse di non vedere, distolse lo sguardo dal suo, timorosa di ciò che ci avrebbe trovato.
“Potresti venire più tardi? Sto…”
“Devo dirti una cosa.”
Si infilò dentro di forza, urtando il bel corpo di lui.
La casa era sempre la stessa, solo – unica differenza – sul tavolino del salotto, di fianco ai giornali, ci stava un pacchetto di lettere scritte da lui, mai inviate. L’ultima riportava la data di qualche giorno prima.
Adam mise la giovane lentamente a fuoco, poi, abbandonate le forze, si lasciò scivolare sul divano, in silenzio.
Margareth si allungò verso il mobile su cui stavano riposte le foto, impolverate. Fece scivolare le dita sulla cornice fredda, osservando seria i volti immortalati nel tempo: un Adam più giovane, bello, sorridente, e un ragazzo biondo, dai lineamenti femminei, angelici, difficili da dimenticare.
“Devo dirti una cosa.”
Lui teneva la testa tra le mani, piegato in avanti, attendendo.
“Parla.”
Margareth si voltò, piantandogli uno sguardo freddo addosso.
“Prima devi rispondere alle mie domande.”
“Perché dovrei?”
“Ho una notizia che ti potrebbe fare piacere.”
“Ne dubito.”
“Rispondi alle mie domande.”
Silenzio.
Adam Taylor sollevò lo sguardo e per la prima volta, dopo molto tempo, si accese.
Margareth si trovò a pensare che aveva dei begli occhi, quando ancora esprimevano qualcosa.
L’aria sembrò farsi più densa, difficile da respirare. La ragazza trattenne il fiato, sentendosi sprofondare in quei pozzi neri.
“Parla.”
Sorrise.
“Di chi sono i quadri?”
“Di una persona che conoscevo.”
“Perché non hai inviato quelle lettere?”
“Per non illudermi di poter cambiare qualcosa con le semplici parole.”
“Perché non leggi i giornali? Perché ti dà fastidio che io te li legga?”
“Perché ci sono cose che non vorrei più sapere.”
La ragazza scrollò la testa, spalancando gli occhi in un’espressione a lei solita, confusa.
“Perché?”
“Per non soffrire ulteriormente, per dimenticare.”
Lo scrittore lasciava scivolare le parole dalle labbra, in un misto di resa e di desiderio inconsapevole di parlare.
Margareth lo studiava, attenta a non osare troppo.
Prese un respiro più profondo. Ora, la domanda che più le premeva: da quella, dipendeva la fiacca speranza che, per quanto fiacca, ancora sopravviveva e le scaldava il petto.
Sollevò la foto che teneva in mano.
“Chi è?”
Lo sguardo di lui si adombrò di dolorosa rabbia.
“Una persona a cui tenevo. Ha deciso di andarsene, io per motivi economici non l’ho potuta seguire. Mi ha abbandonato.”
Altro respiro. Margareth tremò, vittima dell’emozione data dalla possibilità che tutto potesse cambiare, che quella fosse la soluzione.
“È arrivato al villaggio. Chiede di te.”

“È arrivato al villaggio. Chiede di te.”
Adam Taylor sentì contorcersi le viscere.
Mai, mai aveva osato immaginare che ci fosse una minima possibilità che potesse accadere, da tempo si era convinto che illudersi per un suo ritorno era un inutile soffrire.
Era rimasta la rabbia, tuttavia, rabbia per l’abbandono, rabbia per la sua incapacità di trattenerlo o di seguirlo.
Ora, all’assurda notizia, ciò che rimaneva di vivo in lui non sapeva come reagire, la gioia era infettata dal rancore, smorzata dalla prolungata apatia, dall’assenza di emozioni.
Era rimasta la rabbia, tuttavia. Era rimasta la Rabbia.




4. AMORE ETERNO – PASSATO, PRESENTE, FUTURO

So Break Yourself Against My Stones
And Spit Your Pity In My Soul
You Never Needed Any Help
You Sold Me Out To Save Yourself
And I Won't Listen To Your Shame
You Ran Away - You're All The Same
Angels Lie To Keep Control...
My Love Was Punished Long Ago
If You Still Care, Don't Ever Let Me Know

Non poteva essere altro che amore, ora se ne rendeva conto.
Non poteva essere altro che amore, quella morsa al cuore, dilaniato dalla lontananza.
Non poteva essere altro che rabbia, quella che lui soffocava con tutte le sue forze, perché era sbagliato provare rancore per chi si amava, lo sapeva.
Eppure, quell’acida bile era presente, dovuta a una separazione definitiva mai voluta tale, provocata dal peso di una colpa scaricata tutta su di lui.
Poi, l’Artista, attraversando la strada, al suono di un claxon, a uno stridio di freni volse lo sguardo.
E vide la Luce.

L’Artista gli stava al fianco, sentiva la sua mano stringere la sua, con la consueta delicatezza. Adam sorrise al vuoto che si profilava davanti a lui, cominciando a riscoprire ciò che una volta era gioia.
Il tramonto screziava l’orizzonte di un rosso acceso, quasi innaturale, cielo e terra si abbracciavano, fondendosi tra di loro, inscindibili, indistinguibili da occhio mortale.
Il biondo posò le sue labbra sul collo dello Scrittore, annusò quel suo profumo che non aveva mai dimenticato, nascosto dall’odore dell’alcol, ascoltò il pulsare della giugulare, conferma di una vita che vita più non era.  
Con la bocca attraversò tutta la linea del collo, risalendo famelico verso la mascella, verso l’orecchio, e il suo percorso fu seguito dai brividi dell’altro, e l’Artista se ne compiacque.
“Da quanto sei ridotto così, Adam? - gli sussurrò – Sei morto, sei morto dentro.”
Lo Scrittore si irrigidì, guardando il vuoto che aveva davanti, spostando lo sguardo poi verso il basso, verso quella voragine che si apriva ai suoi piedi. Si trovavano poco distante dal villaggio, sull’unica altura che si innalzava a distanza di miglia. Era stato Aaron a scegliere il posto, appena si erano ritrovati. Lui era sempre lo stesso, i suoi capelli erano fili d’oro, il suo respiro era dolce, i suoi lineamenti delicati.
Solo, Adam non aveva mai notato quell’aura di fascino, forza, potenza che scaturiva dalla sua voce, dai suoi gesti, dalle sue parole. Forse, se l’era semplicemente dimenticata, forse, Aaron l’aveva acquisita negli anni.
Si sentì afferrare i capelli da mani affusolate, da artista, ma dalla presa incredibilmente salda.
La testa si piegò all’indietro, lo sguardo si spostò verso il cielo.
Poi, la voce all’orecchio, ancora parole striscianti, incantatrici.
“Hai tenuto i miei quadri, ma non li guardi, mi hai scritto lettere, mai inviate, conservi le nostre foto, ma sono offuscate dagli strati di polvere, compri i giornali, ma non li leggi. – Aaron strascicava le parole in tono lamentoso, cantilena dolcemente afflitta – Chi ha smesso di combattere, Adam? Io ti ho sempre aspettato. Me l’avevi promesso.”
“Aaron…”
L’Artista lo accarezzava. Poi, gli prese la testa tra le mani, lo baciò.
“Ti sei arreso. Ma io posso ridarti la Vita… Puoi tornare ciò che eri.”
“Aaron…”
“Chiudi gli occhi, seguimi. Tienimi la mano.”
Lo Scrittore sapeva cosa stava per accadere. Era a conoscenza di ciò che doveva dire lui, di che cosa avrebbe risposto l’Angelo. Il soffio dell’angelo. Quello era ciò che già aveva scritto.
L’Artista lo vide chiudere le palpebre, illuminato dalla luce del sole morente. Sapeva perfettamente che posto aveva scelto, che significato aveva quel rosso acceso all’orizzonte. Rosso di una vita nata nel sangue. Quello era ciò che aveva già dipinto.
“Non mi abbandonerai, vero?”
“No.”
“Non farà male, vero?”
“No.”
Lo Scrittore seguì l’Artista.
Sentire il vuoto sotto i piedi era una sensazione indescrivibile: l’aria fischiava, lasciandosi fendere da quel suo corpo corruttibile. Precipitava, precipitava per quella greve materialità che lo imprigionava.
E improvvisamente, si sentì solo.
La mano afferrava il nulla, priva di appiglio.
Adam spalancò gli occhi, vide due ali, bianche, che portavano Aaron lontano.
Il finale non doveva essere così. L’Angelo doveva trascinare il Demone in Paradiso, salvarlo dalla sua corrotta natura. Il Demone non doveva precipitare nella voragine, sfracellarsi sulle pietre, morire con Dolore.
Urlò, non udito da nessuno. Forse, se non fosse caduto spaccandosi la testa, non avrebbe potuto perire e congiungersi ad Aaron. Pensò che fosse così.
Tuttavia, si sentì abbandonato, tradito, ingannato. E lo stomaco si contorse per l’ultima volta, infettato ancora dal veleno che gli aveva rovinato la vita.
Rabbia.

“Perché l’hai ucciso, Aaron?”
“Perché lo amo. Ora potremo amarci in eterno.”
“Solo per questo?”
“…”

… If you still care, don't ever let me know...




5. EPILOGO – PRESENTE – anni dopo…

Margareth spostava lo sguardo sulla casa vuota, vuota di lui, del suo odore di sigarette, della sua voce profonda.
Stava seduta al suo posto,  debole, con il libro sulle ginocchia, guardando quei quadri che per lei non avevano mai significato nulla, quelle pareti che ora non erano altro che quattro muri messi in piedi, senza senso.
Gli occhi per caso le caddero su un giornale caduto a terra, lo raccolse senza saperne esattamente la ragione, forse per abitudine: se Adam Taylor fosse stato ancora vivo, gli avrebbe letto le notizie, ma era trascorso molto tempo da quando ancora lui le apriva la porta e con aria seccata la accoglieva in casa.
Iniziò a sfogliarlo, lentamente, automa. Era quel giornale, quello che lei aveva abbandonato sul tavolino, tempo addietro, scappando dalla rabbia di lui.
Perché si era ridotta così? Aveva sempre saputo che lui non apparteneva già da tempo a questa vita. Molti altri erano morti, molti altri lei aveva ignorato. Perché si era ridotta così?
Era già arrivata alle ultime pagine.
Necrologio.
Si impietrì, il sangue si gelò nelle vene.
Colui che le aveva strappato via Adam Taylor sfoggiava i suoi odiosi riccioli d’oro tra i tanti morti di quel giorno lontano. A Tonopah, l’unico patrimonio culturale consisteva nelle tradizioni e nelle leggende tramandate dai vecchi. A Tonopah si credeva in ciò che il resto del mondo non credeva.
E i vecchi avrebbero definito quell’evento Giustizia Superiore, Destino Ineluttabile.
Margareth si ricordò del calore che le procurava la presenza di lui, la sicurezza che dietro quella porta ci sarebbe stato, per lei sola.
E capì cos’era l’Amore.
Il cuore ora faceva male, qualcosa dentro di lei era morto, si era spezzato, morto assieme allo Scrittore.
E capì cos’era il Dolore.
Aveva sempre saputo che Adam Taylor non apparteneva da tempo a questa vita.
Ora sapeva che non era mai appartenuto a lei.
Urlò.
E capì cos’era la Rabbia.

… If you still care, don't ever let me know...





** ** ** **



Prima classificata al contest “Angel Yaoi”
CoryCory : “ Il soffio dell’angelo”

a) CORRETTEZZA GRAMMATICALE: 10 punti
b) STILE E LESSICO: 10 punti
c) CARATTERIZZAZIONE PERSONAGGI: 9 punti
d) ORIGINALITA': 9 punti
e) ATTINENZA AL TEMA: 9 punti
f) APPREZZAMENTO PERSONALE: 5 punti

per un totale di 52 punti.

Giudizio:
Eccomi a te CoryCory, e tu che ti preoccupavi dei risultati O__o
Storia davvero molto bella ed originale.
In alcuni punti hai toccato dei picchi di pura arte, a mio modesto parere.
La descrizione del piccolo e sperduto villaggio polveroso, era talmente ben fatta che non mi ci è voluto molto ad immaginarlo nella mia testa.
I personaggi sono caratterizzati molto bene, mi è piaciuto anche il fatto che tu abbia inserito un terzo coprotagonista nella vicenda ( Margareth ).
La psiche dei vari protagonisti è delineata in modo perfetto, anche il carattere di Aaron è molto ben descritto in sottofondo.
Originale per descrivere la tua storia è un termine misero.
Magnifica l’idea di fare dell’angelo con le ali bianche il cattivo della situazione (che i nostri caratteri rimangano invariati anche dopo la morte?).
Aaron è bello e bravo ma è un egoista, talmente egoista da indurre il suo compagno alla morte pur di stare con lui.
Grazie per questa bellissima fanfic curata, ispirata e intensa.
Che altro dire… complimenti per la vittoria.

**********

II° Classificata a parimerito : CoryCory con "Il soffio di un angelo"

Correttezza Grammaticale: 10/10
Per quanto abbia letto attentamente, controllato con il computer e armata di dizionario -sono una maniaca della perfezione grammaticale- non sono riuscita a trovare nessun errore. Verbi concordati tra loro, nessun errore di ortografia o di battitura né alcunchè che mi abbia costretta ad abbassare il voto al di sotto della perfezione.

Stile e Lessico: 9/10
Stile che sicuramente non è aulico, ma che non è nemmeno troppo semplice. Si adatta bene alla fiction, vi si modella con precisione e questa perfezione rende la lettura piacevole, oltre che fluida e leggera. Il lessico è corretto, vario e coinvolgente: è come se le parole risucchiassero il lettore, costringendolo a continuare la lettura.

Caratterizzazione Personaggi: 9/10
Essendo personaggi originali, mi devo attenere unicamente alle mie impressioni e sensazione. Non c'è niente di oggettivo in questa valutazione, quindi mi scuso se non saprò spiegare bene ciò che penso. Margareth e Adam sono due personaggi antiteci, ma che sembrano completarsi. Margareth è piena di Vita, ama e odia, una ragazza come tante. Adam invece è brusco, quasi cupo, sempre perso nella propria rabbia che non lo abbandona mai, nemmeno per un istante. La sua è un'oscurità di quelle che risucchiano gli altri, che li trascinano giù nella caduta anche gli altri come succede a Margareth che, nel bene o nel male, cambia stando a contatto con lui. Nel complesso, sono personaggi che attraggono non perchè siano creati per farlo, ma perchè sono ciò che sono.

Originalità: 10/10
All'inizio avevo valutato la storia sì originale, ma niente di particolarmente speciale. Ma ho dovuto ricredermi e non ho problemi ad ammetterlo. Mi aspettavo di tutto, per il finale, ma non ciò che è successo. Non mi sarei mai aspettata che Adam morisse per mano di Aaron. Non mi sarei mai aspettata, soprattutto, che ci potesse essere qualche elemento di fantasy in questa storia che sembrava “solo” una storia immensamente triste.

Attinenza alla citazione: 9/10
Sicuramente c'è la Rabbia e, altrettanto sicuramente, è il fulcro principale su cui ruota l'intera storia. Ho apprezzato particolarmente il fatto che non è solo un personaggio a provare rabbia per un altro. Anzi, questa Rabbia sembra quasi trasmettersi, come un malattia, tra i vari protagonisti.

Voto personale: 5/5
Dire che ho amato ogni istante di questa storia sarebbe riduttivo. Mi ha riempita di tristezza e portata quasi alle lacrime. Ho avuto la sensazione vivida di entrare dentro la stroria con il cuore e di percepire il dolore senza confine di una Margareth che scopre troppo tardi di amare, di Adam e di Aaron. E' una storia che, a differenza di molte altre, non ha un lieto fine per nessuno. È la negazione della teoria che vuole la luce alla fine del tunnel. Ma questa negatività -o realismo- ha il pregio di renderla migliore e perfetta.

Totale: 52
   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: _thunderstorm_