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Arhat
Arhat
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Il Brāhmana Dona vide il Buddha seduto sotto un albero
e fu tanto colpito dall'aura consapevole e serena che emanava,
nonché dallo splendore del suo aspetto, che gli chiese:
– Sei per caso un dio?
– No, brāhmana, non sono un dio.
– Allora sei un angelo?
– No davvero, brāhmana.
– Allora sei uno spirito?
– No, non sono uno spirito.
– Allora sei un essere umano?
– No, brahmana, io non sono un essere umano [...]
– [...] E allora, che cosa sei? [...]
– [...] Io sono sveglio. »
[Anguttara Nikāya - libro dei quattro - "Dona Sutta"]
e fu tanto colpito dall'aura consapevole e serena che emanava,
nonché dallo splendore del suo aspetto, che gli chiese:
– Sei per caso un dio?
– No, brāhmana, non sono un dio.
– Allora sei un angelo?
– No davvero, brāhmana.
– Allora sei uno spirito?
– No, non sono uno spirito.
– Allora sei un essere umano?
– No, brahmana, io non sono un essere umano [...]
– [...] E allora, che cosa sei? [...]
– [...] Io sono sveglio. »
[Anguttara Nikāya - libro dei quattro - "Dona Sutta"]
C’è un fiume, in India, sulle cui rive Cielo e Terra si incontrano.
Dove, in mezzo al caos dei fedeli, l’odore intenso degli incensi si mescola a quello dei troppi cadaveri bruciati sulle pire. Donne, uomini e bambini scendono lungo i ghats, per immergersi nelle sacre acque in cerca di perdono e purificazione, lì dove le ceneri dei loro avi sono state sparse; lì dove Morte e Vita convivono e si confondono, e dove la rinascita è vista solo come ulteriore sofferenza.
Gaṅgā.
Parola di una lingua antica che risuona da millenni sulle labbra dei fedeli.
Dea e fiume.
Gaṅgā.
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A Vārānasi è una mattina come tante: fra pire e incensi, moltitudini d’anime scendono verso il fiume, vociando dalle rive.
All’interno del cortile di un Tempio, però, fra i fiori di loto e le statue, risuona il pianto acuto di un neonato.
Il bambino non guarda i volti perplessi dei monaci; ne osserva invece uno enorme, sereno ed imperturbabile; e il pianto si placa, mentre una mano si tende verso il cielo e l’altra viene appoggiata sul petto - quasi quel bambino già sapesse che non v’è distanza tra lui e il firmamento; che il cosmo è dentro di lui.
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I monaci discutono. Indecisi su cosa fare.
Penserebbero ad un orfano di turisti – ce n’erano stati molti, nei decenni precedenti – se non l’avessero rinvenuto proprio all’interno del Tempio. Qualcuno sussurra di reincarnazione.
Perché – in fondo – non c’è spiegazione per quel bambino troppo biondo e troppo pallido per l’India. Non c’è spiegazione per la consapevolezza di quegli occhi azzurri che fissano la statua del Buddha, il cui sorriso emana saggezza.
Infine, è deciso: resterà al tempio.
- Diverrà un monaco, se vorrà.
- Il nome?
- C’è qualcosa di grande, in lui.
-
Predestinazione?
- Shaka.
Affinché Shakyamuni gli sia d’esempio.
NOTE:
Premetto che tutte le informazioni sono prese da wikipedia e (soprattutto) da un mio libro sulle diverse religioni, in particolare su quella buddhista e induista.
× A partire dal titolo: Arhat significa il “santo” o “saggio al massimo livello” ed è l’ideale della perfezione del buddhismo Hinayana. La parola è sinonimo di “distruttore dei nemici”, intesi come i piaceri terreni e le passioni. Capite perché l’ho scelta come titolo XD “Santo” può essere inteso sia in accezione religiosa sia come “Saint”; “saggio al massimo livello” si ricollega a “l’uomo più vicino agli dei” e infine quel “distruttore dei nemici” richiamava troppo la pericolosità degli attacchi di Virgo per non ispirarmi *-*
× I ghats sono delle strutture costituite da scalinate che terminano nel fiume, dove vengono normalmente effettuate le abluzioni. Credo sia abbastanza noto che i fedeli indù si immergono nelle acque del Gange – considerate sacre e pure – per purificarsi nella speranza di sfuggire al ciclo delle reincarnazioni, e che nelle stessa acque vengono immersi i cadaveri per essere purificati e successivamente sparse le loro ceneri.
× Gaṅgā (parola sanscrita) indica sia il fiume Gange, sia la Dea Ganga – che è l’archetipo di tutti i fiumi indiani, in particolare di quello sacro. Simboleggia, nel fluire delle acque, la forza vitale.
× Vārānasi è una città situata sulle rive del Gange e considerata da molti come la città più sacra per l’induismo. Importante luogo di culto e sede per la cremazione.
× Shakyamuni è uno dei molti appellativi dati alla figura del Buddha storico (Siddharta), e significa “guida della stirpe degli Shakya”.
× Il viso enorme, sereno e iperturbabile su cui si posa lo sguardo di Shaka è, ovviamente, quello della statua del Buddha; i turisti a cui i monaci fanno riferimento sono i molti occidentali che, negli anni '60/'70 si sono recati lì per la moda del "viaggio in India".
Oh, cielo.
Con in ballo tre contest, una challenge e una long fics mi sono imbarcata anche in questo.
Sì, non preoccupatevi, Errori è quasi conclusa. E sì, non abbandonerò Quale Vita?. Giammai! Il fatto è che Shaka mi sta ispirando troppo. E ieri sera mi sono vista un documentario sul buddhismo. Questo è il risultato.
Non so da quanti capitoli sarà composta questa fics, ma più di cinque sicuramente. L’idea era nata come una raccolta di drabble (una per ogni capitolo) ma – davvero – Shaka è semplicemente troppo. Non riuscivo a dire tutto in 100 parole. Così questo primo capitolo ha finito per strutturarsi così: con tre drabble consecutive. XD
Spero di essere riuscita a rendere l’atmosfera.
Spero di rendere giustizia a un personaggio unico e complesso come Shaka. Come mi hanno fatto notare, è uno dei più complessi, e questo viaggio non si preannuncia facile. Ma, se ce la farò, credo che potrei esserne orgogliosissima *-*
Fatemi sapere che ne pensate!
A presto,
Ayako.