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Autore: elans    17/08/2010    1 recensioni
(A 14 anni leggevo molti gialli ed ero una grande fan di Ben Barnes)
Un giorno al famoso (tzè) regista Oliver Parker viene in mente un'idea meravigliosa: spiaccicare sullo schermo l'ennesima trasposizione cinematografica del celebre romanzo di Oscar Wilde, "Il ritratto di Dorian Gray". Gli sembra una splendida idea (beh, in realtà tutte le proprie idee gli sembrano splendide). Purtroppo, non ha idea degli effetti collaterali della decisione.
Mentre il regista porta avanti le riprese, fregandosene altamente degli strani incidenti che avvengono sul set (ha una precisa tabella di marcia, lui) e della morte del pittore che aveva ingaggiato per ritrarre il "suo" Dorian Gray, attorno al film si intrecciano le storie di un'assurda combriccola di personaggi: un'attrice che non sapeva nemmeno di far parte del cast, una bambina parcheggiata dai genitori in un paesino sperduto con una sorellina malvagia, una zia diabolica e due cugini non meglio identificati, una diciottenne decisa a depennare tutte le voci della sua Lista di Cose Da Fare Prima Dei Vent'Anni (tra cui c'è anche "risolvere un mistero alla Sherlock Holmes") e di...
Ma di Ben Barnes, ovviamente!
Genere: Commedia, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Goodbye Disclaimer: Ho pubblicato questo scritto senza alcuno scopo di lucro (anzi, è già tanto se qualcuno lo leggerà). Con esso non intendo offendere in alcun modo nessuno dei personaggi, né dare una rappresentazione veritiera del loro carattere.


Shelly

Conoscevo Jack Barnes solo di vista, e probabilmente le cose non sarebbero cambiate se non avessi deciso che girare una scena di sesso era una delle cose da fare prima dei vent’anni.

Era il mio primo mese a Cambridge. Avevo appena dato il test d’ingresso per psicopedagogia, e mi stavo dando da fare per entrare nella ΑΩΔ, la confraternita femminile più in vista del college. L’idea di saltellare in top e mutandine coordinate rosa confetto, al grido di “alfa, omega, alfa omega delta”, per nottate intere non mi entusiasmava molto, ma non avevo intenzione di passare cinque anni come “Wendy la sfigata” o qualcosa del genere. Il fatto che Dr House fosse mio zio forse avrebbe un po’ influito sulla mia reputazione, questo dovevo ammetterlo, ma meglio non rischiare.
Era l’una del mattino, ed era appena finita una fase delle selezioni per la confraternita. Io e Julie, mia compagna di corso destinata a diventare la mia migliore amica lì dentro, stavamo festeggiando la nostra ammissione con una birra, quando uno schianto squassò il tranquillo casino del college. In pochi minuti una montagna di curiosi in era radunata in una strada parallela, così ci avvicinammo anche noi. Almeno saremmo state preparate sull’argomento “news e gossip”.
«Che cos’è successo?» chiesi ad uno del terzo anno, che emanava, dall’alto dei suoi quattro metri, una suggestiva puzza di whisky.
«Ma tu non sei quella del Profumo?» biascicò lui per tutta risposta. Ma guarda te se l’unico deficiente del college che aveva visto quel film doveva capitare proprio a me, tra capo e collo.
«Profumo?» domandò Julie. «Oh, Shelly! Meraviglioso! La mia amica è nella pubblicità di un profumo, la mia amica è nella pubblicità di un profumo!» strillò. Julie è un’amica meravigliosa, ma quando si emoziona partono i gridolini e non la ferma più nessuno. «Oh, me la farai vedere, vero?»
«Ah, oh, be’, ehm, un momento, il profumo non-» balbettai, cercando di prendere tempo. «Quella che c’era l’omino che la voleva squartare!» insistette l’essere.
«Squartano? Oh cazzo, Shelly!» esclamò Julie. Ora era mezza isterica. «Che ti hanno fatto? I paparazzi? Li hai denunciati, vero?»
«Ehm, no, deve esserci un errore» chiarii. Se tutto il college avesse scoperto che di cognome facevo Hurd-Wood, niente e nessuno avrebbe potuto salvarmi dalle battutine sadiche su me e Peter Pan.
«Mh. Strano. Sei proprio identica. Sì, ha fatto un incidente. Jack... ha fatto un incidente» grugnì finalmente lui.
«Jack chi?» intervenni. Un cambio d’argomento era proprio quello che mi serviva.
«Jack Barnes.»
«Mai sentito nominare.»
Jack Barnes era quattro anni più vecchio di me. Studiava qualche materia scientifica difficilissima ed apparteneva ad una confraternita di cui non avevo mai sentito parlare. Pare si divertisse a suonare la chitarra elettrica, ma la metà degli studenti maschi dichiarava di suonare qualcosa di rocchettaro e spaccone. Forse pensavano che facesse più figo.
Fino ad ora, nella mia vita ci sono stati solo tre uomini veramente importanti, e uno di loro è mio padre
(ma questo all'ΑΩΔ non lo devono sapere). Non sono mai riuscita a capire come funzionano (non devono sapere neanche questo).
Mia nonna diceva che se Dio dopo l'uomo ha creato la donna, è stato per cercare di rimediare all'errore. Sono pienamente d'accordo con lei.

Leonard
Ricordavo tutti i volti che avevo dipinto.
Il grande sorriso di un bambino, vero, una volta tanto, perché i bambini sorridono con tutto il volto, non soltanto con la bocca; la pelle di perla di una donna, simile al riflesso della luna nel ghiaccio, e la sua risata scrosciante, una rosa sorta sulla pietra; e infine la mia opera più recente, un giovane ed i suoi occhi luccicanti, come le ultime stelle di un pallido cielo d’inverno.
Ancora un mese e sarebbe cominciato ottobre, e le foglie avrebbero cominciato a cadere sul selciato tra i sussurri, navigando nell’aria malinconica dell’autunno.
Ma quell’anno l’autunno voleva farsi attendere.
Nonostante fosse già cominciato settembre, quella sera faceva un caldo infernale. L’intera popolazione di Landscape si era precipitata nell’unico bar del paesino reclamando un drink qualunque, a patto che fosse gelido. E considerate che Landscape era famosa per i suoi vecchietti e per il loro punch al rum anche a ferragosto. Il vecchio Joe aveva elaborato un nuovo cocktail composto da un po’ d’acqua fredda, mezzo dito di vodka e otto cubetti di ghiaccio. Il nome aveva a che fare con il permafrost (Joe aveva dovuto spiegare cos’era a tutto il locale) e gli orsi polari.
I metereologi avrebbero trovato pane per i loro denti: avrebbero studiato il fenomeno e assicurato che un clima del genere era innaturale, doveva esserci sotto qualcosa, forse l’effetto serra, forse il buco nell’ozono, o altre stronzate da finti ecologisti. Peccato che nessun metereologo si fosse mai interessato a Landscape, il villaggio più piccolo del Regno Unito, a qualche miglio da Londra, e non potevo dar loro torto. Mentre afferravo lo scotch, con quattro cubetti di ghiaccio dentro, urtai con il braccio il block notes ormai quasi finito, che cadde a terra. Per fortuna ne uscì solo qualche vecchio schizzo.
Dal mio angoletto preferito, che per l’appunto si trovava sotto il condizionatore, io disegnavo freneticamente sul mio notes, lo scotch&soda sempre a portata di mano.
Leonard Jacques, quarantadue anni. Artista. Alla sera, soprattutto d’estate, amavo sedermi al bar e cominciare a disegnare i miei sogni ad occhi aperti, che potevano ricalcare perfettamente la realtà o dimenticarla del tutto.
Avevo appena finito di raccogliere le carte, quando qualcuno mi porse alcuni fogli. «Deve aver perso questi» mi disse un signore sulla trentina, più alto di me di almeno una spanna.
Sarebbe stato un modello perfetto per un ritratto, nella sua singolarità: occhi grigi di ghiaccio, lunghe mani pallide, grosso spolverino nero nonostante la temperatura. Lo ringraziai, ma quando mi guardò negli occhi mi corse un brivido di freddo su per la spina dorsale: sembravano vuote perle di vetro.
Per un attimo mi sembrò che nel bar fosse calato un gelo invernale. Abbassai gli occhi sullo schizzo: al posto del bel giovane che avevo dovuto ritrarre, vidi un volto pieno di rughe e...
L’ultima cosa che sentii fu il tonfo sordo di un corpo che piombava a terra.

Becky
Per lasciarmi, Affleck scelse uno dei caffè più eleganti di Soho. Prenotò un tavolo all’aperto, proprio come piaceva a me; accese la candela con un fiammifero che trasse di tasca, cosa che mi faceva impazzire; e si premurò di farci arrivare, a metà pranzo, un vaso di camelie, i miei fiori preferiti. Ordinammo ostriche e un primo di mare, e solo a metà dell’aragosta Affleck soffiò sulla candela e disse: «Rebecca, mi dispiace, è finita.»
Avrei dovuto balbettare (stile pesciolino Dory): Come hai detto, Fernando?
Oppure (stile Guerriera Fantasy Particolarmente Agguerrita Al Secondo Giorno Di Ciclo): Che diavolo stai dicendo, dannato (censura)? Tutta ‘sta sceneggiata per [censura].
O ancora (stile Isabella Swan): Oh ti prego, Ben, non mi lasciare, ho bisogno di te, senza la tua presenza non posso neanche respirare.
Invece, nella mia eterna imbecillità, feci cenno di sì con la testa, schioccai le dita e chiesi: «Cameriere, potrebbe portarci altra acqua minerale?»
«No, Rebecca, intendevo la nostra relazione» chiarì Affleck.
Il cameriere dovette cogliere un lampo di furia omicida nei miei occhi, perché disse: «Certomadame» e se ne andò di corsa.
«La nostra relazione» ripetei.
«Sì. La nostra relazione... per me... è... finita» mormorò il mio nuovo ex fidanzato.
Eccola lì. Nuda e cruda.
«La nostra relazione. Per te. Finita» replicai, tanto per avere più chiaro il concetto.
Lo fissai a lungo. Non sapevo se piangere, urlare istericamente, supplicarlo chiedergli perché con gli occhi iniettati di sangue, esprimere una mia teoria su lui e sua madre o far finta che non me ne importasse niente.
«Vuoi che me ne vada?» chiese Affleck, con dolcezza.
«No» ruggii, scattando in piedi e afferrando la borsetta. «Ora paghi il conto.»
«Madame... l’acqua minerale» mi ricordò quell’idiota del cameriere.
«La venda!» abbaiai.
Quindi mi allontanai al trotto, fingendo di avere ai piedi All Stars e non décollétè tacco quindici, immersa nei miei pensieri.
Ehi, Becks, in fondo è stato un vero gentleman. Ricordi com'era finita l'ultima volta?
L'ultima volta l'hai mollato tu, Becks.
Be', quella prima. Un sms e addio.
Sarebbe stato difficile non accorgersi della coppia che stava arrivando in direzione opposta alla mia, e sullo stesso marciapiedi: li avevo visti insieme almeno ottanta volte in uno dei film preferiti di mia sorella.
Ma io ci riuscii, un po’ perché avevo gli occhi appannati per la rottura del mio fidanzamento e del mio alluce sinistro, un po’ perché mi stavo facendo un film in testa in cui Affleck mi rincorreva cercando di spiegarmi le sue ragioni, io lo abbassavo di dieci centimetri con un calcio alla Chuck Norris e poi lo spingevo a colpi di tacco nel viadotto fognario più vicino. Perciò andai loro addosso come se nulla fosse, provocando così un capitombolo di massa.
«Scusi!» esclamai, quando mi fui resa conto della situazione. «Mi dispiace, io non volevo, avevo altro per la testa...» Cazzo, Becks, hai buttato a terra Bridget Jones!
L’avvocato, l’uomo di Bridget di cui non riuscivo a ricordare il nome, riuscì a tirarci su tutt’e due in una volta sola, anche se giurerei di aver sentito un “crack” al livello della sua schiena.
Seguirono presentazioni.
«Renée Zwellger» disse la donna. Come se ci fosse bisogno di dirlo.
«Ah, sì certo, l’ho vista qualche mese fa in quel film in cui flirta spudorat... voglio dire interpreta un’amica di George Clooney.»
Già. Quel film l'hai visto con Ben, ricordi?
Non-mi-parlare-di-quel-rettile.
Quel rettile era l'uomo della tua vita, Becks. Tu hai russato per tutto il tempo e lui ha fatto finta di non accorgersene. E ti ha anche regalato dei fiori.
Sta' zitta, Becks. Avesse almeno spiegato perché...
Sai, Becks, non è facile sopportare una come te, che parlerebbe dei Beatles e di Oscar Wilde e di Woody Allen tutto il giorno.
«Colin Firth» disse il gentleman, stringendomi la mano. Ebbi un vago flash in cui lui prima baciava Bridget Jones, poi parlava con Tata Matilda. «E lei deve essere Rebecca Hall, giusto?»
«Be', sì. Sono io.»
«Insomma. Mia figlia.»
Come, scusi? Da quand'è che l'omino di Tata Matilda è tuo padre, Becks? «Scusi, non capisco.»
«Sì, mia figlia. Emily Wotton.»
«Emily che?» Ah, bene, è solo matto.
«Il film. Non ricorda?»
«Il film» ripetei inarcando un sopracciglio. Stammi a sentire, ciccio. Quel troglodita - quell'uomo stupendo - mi ha appena mollata, ed io non ho la BENCHE' MINIMA INTENZIONE...
«Dorian Gray» disse l’omino con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
Orrendo sospetto. «Deve scusarmi un momento. ‘Notte!» salutai con un altro sorriso forzato, e ripartii, stavolta al galoppo, verso la casa di mia sorella, all’altro capo di Londra. Finchè non mi si ruppe un tacco.
Certe giornate fanno proprio schifo.

Lucy
Finalmente, a mezzanotte mi lasciai cadere esausta sulla valigia rossa di Abigail. Il nostro letto era pieno di dépliant che illustravano il meraviglioso posto in cui stavamo per eclissarci.
Avevamo prenotato due settimane in Egitto a settembre, per evitare la ressa estiva ed i prezzi vertiginosi dell’alta stagione. Non che ci mancasse di che pagare, ma David era fissato sul risparmio.
Ormai è tutto pronto, mi dicevo, sfogliando distrattamente una brochure. Avremmo alloggiato in un villaggio vacanze favoloso, con spiagge immense e bianchissime, un mare così azzurro da sembrare photoshoppato, palme ovunque e soprattutto piscine, bibite, massaggi, jacuzzi, relax totale.
Già immaginavo la mia giornata-tipo: spaparanzata su una sdraio, sorseggiando Bahama Mama come in Scrubs, ammirando il bagnino fighissimo della piscina e schiodando le chiappe solo per far finta di rassodarle con cinque minuti scarsi di acquagym. Le bambine si sarebbero divertite con le animatrici dalle ore otto alle ore ventitrè. E non ci sarebbe stato nessun amico di David appassionato di surf a mettermi i bastoni tra le ruote: ormai erano già rientrati tutti a casa. Finalmente sarei riuscita a mettere in pratica il nome del famoso cocktail on the beach.
«Sono appena cominciate le due settimane migliori della mia vita» esclamai, correndo ad abbracciare David, sul letto.
«Dobbiamo trovare un modo per inaugurarle» sorrise lui.
Stavamo per lanciarci in uno di quei baci appassionati che solo Brooke e Ridge sanno scambiarsi, quando la disgrazia delle nostre vite ci ricordò della sua presenza con un Riing Riiing particolarmente insistente.
 «Vado io a rispondere» mormorai, con un tono che significava: Aspetta che scopra chi è e vado di persona a spezzargli le gambe.
Quando alzai la cornetta non immaginavo la sciagura che sarebbe partita da quel fossile vintage. «Avete chiamato il numero 0034659872, David e Lucy Hamilton. Purtroppo al momento non siamo raggiungibili, data l’ora assurda della notte...»
«Mrs Hamilton?» mi chiamò la voce di Tamara Romers, vicepresidente dell’ala americana della nostra azienda nonché efferata rompiballe notturna.
«Mrs Romers» sbuffai. «Che c’è a quest’ora della notte?»
«Ma qui sono le tre del pomeriggio!» protestò Tamara.
«Perché ci sono nove ore di differenza, Mrs Romers. Diceva?»
«Oh, Lucy non sai cos’è successo!» squittì Tamara. Non si era mai presa tanta confidenza. «Mi dispiace – mi dispiace davvero tanto!» singhiozzò.
Alzai gli occhi al cielo. «Insomma, che c’è?»
«Abbiamo registrato un calo del 26,89% nella vendita di creme solari!» esclamò Tamara.
E tu mi chiami a mezzanotte per questo? «Tamara» dissi, cercando di mantenere la calma come mi aveva insegnato lo yoga. «L’estate è finita. È ovvio che la gente compra meno creme solari.»
«Sì, sì» piagnucolò lei. «Ma non è tutto! Quei bastardi della Glossy Skin hanno indetto una campagna pubblicitaria mirata ai prodotti autoabbronzanti, e... sta funzionado!»
Forse se l’assecondo... «È terrificante, Mrs Romers. Ora però mi lasci dormire. Domani parto per l’Egitto, sa.»
«Ehm... credo di no, Mrs Hamilton» annunciò la voce da topo di Tamara, tremulando.
«Come, prego?» sibilai.
«Quello che Tamara vuole dire» tuonò il presidente del dipartimento americano, un omone alto tre metri e venti con la brutta abitudine di strappare di mano il telefono a tutti i dipendenti «è che la Silky Dream sta calando lentamente a picco. Quindi, Mrs Hamilton, lei e suo marito dovrete raggiungerci qui a New York al più presto.»
«Cosa?» esclamai. «Non ci penso nemmeno.»
«Mrs Hamilton. C’è bisogno di tutti per aiutare la Silky a tornare a galla. Anche di lei e di suo marito.»
Emisi un gemito soffocato.
«Coraggio, Lucy» squittì Tamara. «Vitto e alloggio li paghiamo noi.»


Paddock
L’orologio a pendolo nel soggiorno segnò la mezzanotte. I suoi rintocchi nuotarono tra i ticchettii dei duecentoventinove orologi della casa, si rincorsero attraverso le stanze deserte, scivolarono sui vecchi tendaggi e si attorcigliarono lungo la balaustra delle scale che portavano al piano superiore.
Poi, non appena il dodicesimo rintocco ebbe rimbombato nella villa, tutto si fermò. I ticchettii delle lancette cessarono, e il pendolo rimase perfettamente immobile. Nel silenzio totale, i passi affannati della padrona per le scale.
«Paddock!» mi chiamò. «Paddock, sta succedendo di nuovo! La storia sta per ripetersi!»





Bene. Se state leggendo queste righe significa che siete riusciti ad arrivare in fondo. Wow!
E' la prima fanfiction che pubblico, anche se non la prima che scrivo, e mi piacerebbe sapere che ne pensate. Una riga di commento per me è più che sufficiente, e decisamente esaltante!
Beh, il finale scenografico potevo anche risparmiarvelo... Ma non ho resistito!
   
 
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