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Autore: amimy    20/08/2010    1 recensioni
What-if ambientata dopo L'ultimo discepolo (3x15), non tiene conto di quanto accade nelle stagioni successive.
Quando la bara era stata sollevata, Cam aveva sentito una guancia umida. Aveva pensato di avere ricominciato a piangere, ma quando aveva alzato gli occhi al cielo si era resa conto che ora era il cielo a piangere. Al momento non sapeva che la pioggia sarebbe stata una costante nella sua vita a partire da quel momento, e aveva semplicemente pensato che anche il giorno in cui aveva ricevuto quella maledetta telefonata il cielo aveva pianto.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Zack Addy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta per il contest "I found myself in the (telefilm) wonderland" indetto da Ro-chan e Superkiki92 sul forum di EFP, a cui si è classificata seconda (Ne approfitto per ringraziare di cuore le giudici, per  il bellissimo giudizio, per i consigli e per lo splendido banner, grazie mille davvero.)

Qualche nota: Le parti scritte in corsivo e al tempo trapassato prossimo sono un ricordo di Cam, mentre il presente è in carattere normale e espresso al passato remoto.

E' una what-if, ambientata dopo il finale della terza stagione, che non tiene conto di quanto accade negli episodi successivi. Una piccola precisazione: può essere interpretata come una fanfiction romantica, ovvero presupporre che fra Cam e Zach ci sia stato del tenero, come può essere interpretata supponendo che fra i due non ci sia nulla, e che quindi 'amore di Cam per Zach sia l'amore che si prova per un amico, per un fratello minore. Io sono un'accanita fan del pairing Cam/Zach, quindi propenderei per l'amore romantico fra i due, ma va ad interpretazione XD

Oh, premetto che non sono mai stata in un aeroporto e tantomeno su un aeroplano, quindi ci saranno certamente delle imprecisioni. Chiedo scusa in anticipo.

P.s.: E’ passato parecchio tempo dall’ultima volta che ho visto la terza stagione di Bones, quindi non ricordo molto com’erano i personaggi all’epoca, Cam in primis. Spero di non aver fatto errori troppo clamorosi. Be', non mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che vi piaccia. =)

 

 

 

The Tears of the Sky

 

 

Pioveva su Washington D.C. Pioveva sul Jeffersonian Institute. Pioveva sul viso abbronzato di Camillle Saroyan, sui suoi occhi umidi.

Quella mattina, quando gli abitanti della città avevano aperto gli occhi, il sole splendeva vivace nel cielo. Ma a metà giornata, i cittadini avevano visto il cielo oscurarsi, e con un repentino stravolgersi del tempo che avrebbe fatto impallidire un temporale dell’autunno inglese la pioggia aveva iniziato a cadere fitta su Washington, bagnando le strade e gli stupefatti americani che non aspettandosi un simile cambiamento di tempo non avevano preso l’ombrello; Camille Saroyan era una di questi, mentre lasciava che le lacrime del cielo la inzuppassero, procedendo a testa bassa verso l’aeroporto. Era un bel tratto a piedi e lo sapeva, ma l’improvviso temporale aveva costretto mezza Washington a prendere l’auto, e il traffico si stava quindi esibendo in uno dei suoi leggendari blocchi. Perciò era inutile dirsi che prendere un taxi non sarebbe stato soltanto impossibile, ma anche controproducente: se le code d’auto avessero continuato a procedere a quel ritmo a lungo, Cam non avrebbe mai potuto raggiungere l’aeroporto in tempo. A piedi era certamente più faticoso, ma almeno non avrebbe perso il volo. Ed era sicuramente una buona occasione per fare un poco di moto così da tenersi in forma e per riempirsi i polmoni di un po’ di sano smog cittadino.

Cam sorrise fra sé. Dopotutto, la sua città le sarebbe mancata. Non che Washington fosse davvero la sua casa, no, quel posto nel suo cuore era riservato New York, il luogo in cui era cresciuta; che era, fra l’altro, proprio la località verso cui si stava dirigendo quel giorno.

La donna lottò per qualche istante contro se stessa per non pensare alle ragioni della sua partenza. Vinse, dopotutto era una donna forte, e seppellendo le emozioni che da diversi giorni minacciavano di assalirla riuscì a tornare ad ammirare la città per quella che sarebbe stata l’ultima volta per diversi mesi.

Stava tornando nella sua patria, a New York, forse per sempre. Era successo tutto all’improvviso: la chiamata, l’offerta di lavoro, i ripensamenti, i sensi di colpa, e infine l’evento che le aveva dato il colpo di grazia, la tragedia. Non necessariamente in quest’ordine, ma era ciò che era accaduto.

Cam ricordava bene il giorno in cui era iniziato tutto. Dopotutto, l’aveva rivissuto decine di volte nei suoi incubi, e credeva che difficilmente l’avrebbe scordato. Era ancora vivido nella sua mente, marchiato a fuoco nella sua memoria. Le sembrava impossibile che fosse passata soltanto una settimana. Era successo tutto così in fretta, come se un vortice l’avesse risucchiata per depositarla in qualche punto imprecisato del nulla, o perlomeno era così che si era sentita. La forte, decisa, severa ma passionale e leale Cam, ex poliziotta che aveva consacrato la sua vita alla ricerca della giustizia, ogni volta che si era guardata allo specchio dopo quel giorno aveva visto ricambiarle lo sguardo il fantasma di quanto che era stata in passato. Non che si fosse lasciata andare, quello no. Era rimasta la donna diligente e professionale di sempre. Un collasso non sarebbe stato da lei. Ma c’erano gli incubi, che la tormentavano ogni notte, che le inseguivano, reclamando la sua attenzione. Le ricordavano che la responsabilità era anche sua. E così erano iniziati i “se solo avessi”, “avrei potuto”, “avrei dovuto”. E dopo erano arrivati i sensi di colpa, inaspettati quanto prevedibili. E infine i ricordi, spaventosi fantasmi del passato che le facevano trascorrere una notte insonne dopo l’altra, costringendola a rivivere quella giornata ancora e ancora, all’infinito, ogni volta che abbassava le palpebre.

 

 

 

Anche quel giorno di Dicembre pioveva. Il cielo plumbeo aveva fatto sperare ai bambini più romantici in una bella nevicata invernale, per costruire strani pupazzi di neve e rincorrersi sul ghiaccio, ma erano rimasti delusi. La giornata si era risolta in un’anonima cascata di pioggia che aveva ingrigito la città.

Se Camille Saroyan fosse stata una donna superstiziosa, l’avrebbe interpretato come un presagio. Ma dal momento che non lo era, si era limitata a guardare con un sospiro fuori dalla finestra, maledicendo il fatto che aveva lasciato a casa l’ombrello. Sarebbe stata costretta a prendere un taxi, e sarebbe arrivata a casa tardi per colpa del traffico.

Aveva riabbassato lo sguardo, tornando a leggere il documento che avrebbe dovuto firmare per autorizzare il trasferimento di un cadavere al Jeffersonian. Sapeva che avrebbe dovuto leggerlo attentamente, e un altro giorno l’avrebbe certamente fatto, ma in quel momento non riusciva proprio a concentrarsi. Le lettere si mischiavano davanti ai suoi occhi, la sua mente andava alla deriva. Era distratta, pur non sapendo perchè. Con uno sbuffo leggero, aveva preso i documenti e li aveva riposti nel primo cassetto della sua scrivania. Avrebbe continuato più tardi. Si era quindi alzata, e con un ticchettio sommesso di tacchi era uscita dal laboratorio per recarsi verso la piattaforma al centro della loro al dell’istituto. Era proprio lì che la squadra si ritrovava sempre, era lì che l’imbattibile team aveva risolto gli omicidio più efferati e complicati. Solo che quel giorno la squadra non era al completo.

La sua assenza si notava da chilometri di distanza. Ancora non si era abituata alla sua mancanza, e ogni volta era un colpa al cuore. Avvicinandosi, Cam aveva visto Hodgins chinato sul suo microscopio mentre parlottava fra sé, Angela che con un’espressione triste ammirava uno schizzo che doveva avere appena tracciato, la dottoressa Brennan che nel suo camice da laboratorio tendeva quella che doveva essere una prova all’agente Booth. E lui. Zach. Lui non c’era. Cam aveva sentito un sapore amaro invaderle la bocca, come succedeva ogni volta che pensava a lui. Zach aveva un futuro brillante davanti a sé, e l’aveva buttato al vento. Li aveva traditi, aiutando un essere disgustoso che l’aveva abbindolato. Cam aveva creduto che Zach fosse una delle persone più intelligenti del pianeta, ma non si era mai resa conto di quanto fosse fragile. E ora lui non era più lì, si trovava in un istituto dove lo avrebbero curato. Ma la donna sapeva che non c’era nulla da curare. Zach non era pazzo. Era soltanto un ragazzino non del tutto cresciuto, che non aveva mai sperimentato la bellezza delle emozioni forti.

Ma aveva sbagliato – aveva ucciso un uomo. E ora stava pagando.

Cam aveva salito gli scalini che portavano alla piattaforma, e sfoggiando la sua consueta espressione cordiale ma decisa e professionale si era avvicinata ad Hodgins.

“Come procede l’analisi?” gli aveva domandato. L’uomo aveva a malapena alzato gli occhi dal microscopio, e con voce secca le aveva risposto: “Quando scoprirò qualcosa lo saprai.” Poi era tornato al suo lavoro, senza degnata di un’ulteriore sguardo.

La donna aveva preso un respiro profondo, costringendo se stessa a stare calma, mentre si diceva che dopotutto Jack aveva le sue ragioni per essere nervosi. Tutti lo erano, in quei giorni. Il voltafaccia di Zach li aveva sconvolti, e la sua assenza pesava su ognuno di loro. Non doveva essere facile per Hodgins tornare a casa e non trovare nessuno sopra il suo garage che parlasse con lui di idiozie da maschi, o non trovarlo già lì al Jeffersonian ad aspettarlo quando arrivava. Non era facile per nessuno.

Si era apprestata a raggiungere la Brennan, ma ci aveva ripensato. Sembrava impegnata in una discussione piuttosto seria con Booth, e Cam aveva deciso di non disturbarli. Quanto aveva detto Hodgins, seppur sgarbatamente, era vero. Se uno di loro avesse avuto delle novità riguardanti il caso sarebbe stata informata. Si era voltata, facendo per tornare al suo laboratorio in attesa di sviluppi, quando il suo cellulare aveva iniziato a squillare. Si erano voltati tutti a guardarla, alcuni più infastiditi degli altri per essere stati disturbati, e la donna si era morsa un labbro imbarazzata; avrebbe dovuto togliere la suoneria quando era al lavoro. Questo genere di dimenticanza non andava affatto bene.

Aveva guardato il mittente, e con sorpresa si era accorta che era un numero sconosciuto. Si era stupita. Erano ben poche le chiamate che riceveva da chi non aveva in rubrica.

Con un’alzata di spalle e un pizzico di curiosità, aveva risposto mentre scendeva dalla piattaforma.

“Pronto?”

 

 

 

Dopo una mezzora di cammino, Cam arrivò all’aeroporto. Era bagnata fino alle dita dei piedi, e l’umidità sembrava penetrarle nelle ossa. La sfortuna aveva voluto che non incontrasse nemmeno uno dei di solito numerosi venditori ambulanti di ombrelli, così che era stata costretta a prendersi l’acqua. Ma in fondo non le dispiaceva troppo. Il freddo la distoglieva da pensieri troppo cupi.

Con un sospiro, Cam ignorò gli sguardi curiosi delle persone che si erano incollati su di lei e sui suoi vestiti grondanti d’acqua e si sedette su una scomoda poltroncina di plastica. Mise una mano nella borsetta, mentre con l’altra teneva stretta la piccola valigia – il resto dei suoi beni si trovava già in viaggio verso New York. Sfiorò con la punta delle dita la carta umida del biglietto aereo, costatando con un pizzico di sollievo che non si era bagnato troppo. Sarebbe stato un guaio. Guardando il tabellone delle partenze che torreggiava su una parete poco distante, si accorse che quanto meno il suo aereo non aveva ritardi, per il momento. Questo la fece sentire meglio. Almeno non avrebbe dovuto aspettare troppo. Ma le si prospettava davanti comunque un’ora abbondante di attesa, e lei non aveva portato nulla per ammazzare la noia.

Sperò che i ricordi non l’avrebbero assalita, e per qualche minuto riuscì a tenere la mente impegnata quel che bastava per non permettere alla tristezza di tornare. Ma presto esaurì i pensieri, e perse la lotta contro la sua memoria: si sentì quasi risucchiare, e si trovò a sprofondare di nuovo nei ricordi.

 

 

“Lei è la dottoressa Saroyan?” aveva domandato una voce priva di inflessioni dall’altro capo del telefono. Cam era rimasta un po’ sorpresa accorgendosi che non le sembrava nessuno di sua conoscenza, ma non si era sbilanciata.

“Sì, sono io.”

“Sono il detective Carson, polizia di Washington D.C. Mi serve una conferma che lei sia stata collega di lavoro del Dottor Zachary Addy.”

“Abbiamo lavorato insieme al Jeffersonian Institute. Perché lo vuole sapere?” aveva chiesto duramente Cam. Si sentiva irritata, anche se non sapeva perché. Si accorse che tutti sulla piattaforma si erano sporti verso di lei nella speranza di sentire, con gradi differenti di discrezione.

“Chiariremo ogni suo dubbio al più presto. Prima però ho ancora qualche domanda da rivolgerle…”, aveva continuato l’uomo, ma Cam lo aveva interrotto.. “Prima mi dica di cosa si tratta, poi risponderò alle sue domande.”

C’era stato qualche istante di silenzio, e un colpo di tosse dall’altro capo del telefono.

Poi il detective Carson aveva detto: “C’è stata una sparatoria all’istituto psichiatrico Mc Kinsley. Non sono autorizzato a rivelare ulteriori dettagli, ma sembra che un ex paziente della clinica volesse vendicarsi sul personale. Ci sono stati quattro morti, fra pazienti e staff, e il dottor Addy era fra questi. Abbiamo avvertito la sua famiglia, e ora siamo arrivati a voi. Mi dispiace darle una simile notizia in questo modo, ma abbiamo bisogno della sua collaborazione…”

Ma Cam non lo stava più ascoltando. Con un gesto disinvolto, aveva chiuso il cellulare, interrompendo la chiamata, e si era guardata intorno. Tutti stavano aspettando con impazienza di sapere cos’era successo, ma francamente la donna non sapeva cosa dire.

Avrebbe voluto dire che c’era stato un errore. Che non era niente di cui preoccuparsi, che qualche incompetente della polizia aveva sbagliato numero. Avrebbe voluto dire qualunque cosa, ma non che Zach era morto. Perché non era così. Gli aveva parlato lei stessa soltanto la settimana prima, quando ormai era ricoverato nella clinica da quasi due settimane. Era un po’ sciupato, ma sembrava cavarsela bene, per essere un ragazzo rinchiuso fra malati e dottori che non lo avrebbero mai capito. Non poteva essere morto. Lo avrebbe sentito, no? Il suo istinto, collaudato durante gli anni nella polizia Newyorkese, non falliva mai. “Ma,” le aveva detto una vocina maligna nella sua testa. “il tuo infallibile istinto non ha capito che era lui l’apprendista di Gormogon. O forse non ha voluto capirlo. Quindi perché dovrebbe essere diverso stavolta?”

Cam aveva scosso la testa, accorgendosi di avere decine di occhi puntati addosso. In quel momento Booth le si era avvicinato da dietro, mettendole una mano sulla spalla, e le aveva chiesto se stava bene.

Cam, come risvegliandosi da un incubo, aveva risposto: “No.” E in quel momento, il team del Jeffersonian aveva capito che erano davvero nei guai. Una lacrima sottile era sfuggita dall’occhio destro di Cam, e le aveva bagnato la guancia. Era stata un’unica lacrima solitaria, ma avrebbe anche potuto essere uno tsunami. In quel momento, tutti nella stanza avevano capito che le loro vite stavano per essere stravolte.

“Si tratta di Zach. Lui è… morto.”

 

 

 

“I passeggeri del volo 48652 sono pregati di recarsi al cancello 4. Ripeto, i passeggeri del volo 48652 sono pregati di recarsi al cancello quattro per l’imbarco. Chi non avesse ancora effettuato il check-in, è pregato di farlo al più presto.”

Cam ascoltò distrattamente la voce resa metallica dagli altoparlanti, riscuotendosi quando si rese conto che quello era il suo volo. Aveva già effettuato il check-in e consegnato i bagagli, quindi era pronta per l’imbarco. Si alzò, controllando di non aver lasciato nulla sulla sedia, e camminò lentamente verso il cancello quattro, mettendosi in fila dietro ad una donna robusta con indosso abiti pesanti che odorava vagamente di gatto. Lentamente, la fila si accorciò, e arrivò il turno di Cam di consegnare i documenti e la carta d’imbarco ad una hostess che sorrideva in maniera alquanto irritante, mettendo in mostra file di denti bianchi come perle. Quando la donna le restituì i fogli, augurandole “Buon viaggio!” Cam le rivolse un sorriso stanco e la superò, seguendo la folla di passeggeri fino ad arrivare finalmente al portellone d’imbarco.

 

 

 

Tre giorni dopo, c’era stato il funerale. Erano tutti quanti lì, schierati come un esercito di tristi soldati, quelli che erano stati i colleghi e amici di Zach. Avevano avuto appena il tempo di realizzare quanto era accaduto, sciogliendosi in pianti infiniti e momenti di rabbia, prima di ritrovarsi catapultati lì, in quello sconfinato campo troppo verde che era il cimitero. Il prete aveva celebrato la cerimonia, pronunciando tante belle parole che il vento aveva portato via. Cam era lì, accanto a Booth, e stringeva il suo braccio. Le era sembrato quasi ridicolo, celebrare un funerale religioso. Zach era ateo. Eppure, Cam sapeva che se esisteva un Dio, non avrebbe potuto rifiutare l’anima del giovane nel suo Regno. Com’era vuoto il Jeffersonian senza Zach, altrettanto lo sarebbe stato il paradiso se lui non fosse andato lì. Forse aveva sbagliato, indubbiamente aveva sbagliato, ma Zach era una persona buona.

Cam aveva seguito la celebrazione, aggrappata a Booth, ma con la mente era distante. Pensava a lui, al suo Zach. Al suo modo di entusiasmarsi per cose che nessun altro comprendeva. Alle sue buffe frasi, e all’espressione che assumeva quando non capiva perché gli altri stessero ridendo per ciò che aveva detto. Al suo aggrapparsi alla logica per sfuggire al mondo, a quella stessa logica che aveva permesso a quel mostro di Gormogon di trascinarlo giù con sé. Ai suoi esperimenti con Hodgins, alla sua genialità unica ed inimitabile. Al suo essere se stesso, sempre e comunque, a dispetto di tutto.

Ed era così, percorrendo il sentiero dei ricordi, che Cam aveva realizzato che Zach era morto da prima di conoscere Gormogon: aveva iniziato a morire quando era stato mandato in Iraq, in una realtà di morte e terrore che nessuna logica avrebbe potuto combattere. Non avrebbe dovuto permettergli di partire, se ne rendeva conto solo in quel momento. Avrebbe dovuto parlargli, convincerlo a restare. Se gli avesse fatto capire che il suo posto era lì, al Jeffersonian, se gli avesse detto quanto lo amava, lui sarebbe stato ancora vivo. Non sarebbe morto così, vittima casuale di un pazzo armato di pistola. Era una morte così stupida. Zach non la meritava. Avrebbe dovuto essere ancora lì, fra loro, a sorprenderli notando dettagli che nessun altro aveva visto, a farli ridere per il suo atteggiamento che nemmeno lui sapeva quanto fosse buffo. Ma niente di tutto questo sarebbe successo, mai più. Zach era morto, e non sarebbe tornato.

Una lacrima le era scivolata sulla guancia, e aveva sentito il braccio di Booth stringerla a sé. Ma quasi non se n’era accorta.

In quell’istante, la donna aveva capito che non avrebbe mai dimenticato quel giorno. I fantasmi del senso di colpa l’avrebbero perseguitata per sempre, e quando fosse riuscita ad essere felice, loro sarebbero tornati alla carica, ricordandole quanto era successo. Nemmeno il tempo sarebbe riuscito a guarire quella ferita che pulsava nel suo cuore. Era uno squarcio troppo grande, così come troppo grande era la sua responsabilità. Non avrebbe mai dimenticato che avrebbe potuto fare qualcosa per salvarlo, anche solo dirgli quanto aveva bisogno di lui, e non l’aveva mai fatto perché non aveva capito in tempo che la sua vita si stava sgretolando.

Avrebbe voluto avere almeno il tempo per dirgli quanto lo amava.

 

 

 

Cam guardò l’orologio. Erano in volo soltanto da quaranta minuti, ma a lei sembrava un’eternità. Non riusciva a distrarsi, non riusciva a trovare qualcosa da fare per tenere impegnata la sua mente. Scostò la tendina, guardando il paesaggio fuori dal finestrino. Il mondo sembrava così distante, quel giorno, che rimase impressionata vedendo le campagne stendersi davanti ai suoi occhi. Sapeva che ben presto, salendo di quota, non sarebbe più stata in grado di vedere il mondo sotto di sé, e voleva godersi quegli istanti. La pioggia continuava a battere insistente sul vetro, rendendole più difficoltoso distinguere i paesaggi, ma non le importava.

Stava voltando verso una nuova vita, se ne rendeva conto soltanto in quel momento. Si stava lasciando alle spalle tutto quello che aveva costruito in quel periodo, forse per sempre. Stava tornando a New York, la sua casa, per riprendere il suo vecchio lavoro in polizia. Era stata dubbiosa, all’inizio, quando il suo vecchio amico e collega, l’agente Anderson, le aveva telefonato dicendole che avevano bisogno di lei. A quanto pareva il personale scarseggiava, e in seguito Cam aveva realizzato che probabilmente sua madre doveva aver raccontato ad Anderson la faccenda di Zach, pensando che cambiare ambiente avrebbe potuto farle bene. Ci aveva riflettuto su, ed era stata sul punto di rifiutare, ma dopo l’ennesima notte insonne aveva pensato che forse sua madre non aveva tutti i torti: cambiare aria avrebbe potuto farle bene.

Le sarebbero mancati i suoi amici del Jeffersonian, lo sapeva. Le sarebbe mancato Booth. Ma aveva avuto l’impressione che dopo il funerale di Zach tutti la trattassero diversamente, con più freddezza, e la cosa l’aveva mandata in crisi. Non era il tipo da abbattersi per il giudizio della gente, ma sentiva che stava perdendo i suoi appigli, e provava il bisogno di avere delle certezze.

Così, si era ritrovata ad accettare, anche se solo per un periodo di prova. Aveva precisato che se non si fosse trovata bene, sarebbe tornata a Washington. Ma in cuor suo sapeva che difficilmente sarebbe tornata indietro, almeno per il momento. Come aveva previsto, il vuoto lasciato da Zach era impossibile da colmare, e aveva bisogno di tempo per superare la questione. Anche se dubitava che sarebbe mai riuscita a guarire del tutto.

Ma stava per lasciarsi tutto alle spalle, quindi era bene smettere di pensarci. Avrebbe dormito, decise, così il viaggio le sarebbe sembrato più veloce. C’erano diverse ore di volo da Washington a New York, e anche se non aveva mai sofferto il mal d’aria, quel giorno si sentiva lo stomaco sottosopra. Dormire l’avrebbe aiutata. Sapeva che sarebbe stato un sonno agitato e pieno di incubi, ma aveva bisogno di riposare se voleva essere in forma una volta arrivata a destinazione.

 

 

 

Quando la bara era stata sollevata, Cam aveva sentito una guancia umida. Aveva pensato di avere ricominciato a piangere, ma quando aveva alzato gli occhi al cielo si era resa conto che ora era il cielo a piangere. Al momento non sapeva che la pioggia sarebbe stata una costante nella sua vita a partire da quel momento, e aveva semplicemente pensato che anche il giorno in cui aveva ricevuto quella maledetta telefonata il cielo aveva pianto.

Quando la terra era stata versata sopra la fossa, lei aveva sentito che il suo cuore sarebbe rimasto sepolto accanto a Zach a lungo. Non l’avrebbe dimenticato. Era una promessa.

 

 

 

Cam scostò la tendina di nuovo, decisa a dare un’ultima occhiata fuori prima di provare ad assopirsi. Guardò fuori, e un sorriso malinconico e grondante di tristezza le incurvò le labbra. Pioveva.

 

 

These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that time cannot erase
(My Immortal - Evanescence)

 

 

   
 
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