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Autore: Ayako_Chan    22/08/2010    1 recensioni
[Fanfiction partecipante al Contest "5 stagioni - Tema Estivo" indetto dal forum di Gold Insanity; Vincitrice del premio Pucciness e del premio Fics Scelta dai Lettori ]
L'ultima Guerra Sacra si è conclusa con una tregua fra Athena e il Signore degli Inferi.
Questa è una giornata: una giornata che potrebbe essere qualunque giornata. Oggi, o anni e anni fa.
Un tempo che sembra riavvolto.
Ma non per tutti. Perché la Pace, a volte, è peggio della Guerra: da il tempo per pensare.
[Special Guest Star: Rhadamantys di Wyvern]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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G
Buongiorno gente *C*
Vi tormento con le mie fics anche a quest'ora impossibile. ù_ù Non ho molto da dire eh o.ò solo che c'é una versione più estesa di questa fics (in quanto partecipante ad un contest avevo un massimo di pagine e ho dovuto ridurre) che pubblicherò prossimamente, sempre qui, come "secondo capitolo". Ah, e l'Ouzo è un liquore greco *capirete leggendo*.
Disclaimer: i personaggi non sono proprietà mia ma di masami Kurumada. Purtroppo.

NOTE! Questa fanfics ha partecipato al "Contest 5 stagioni - Tema Estivo" indetto sul forum Gold Insanity, e ha vinto il Premio Pucciness, e il premio Fics scelta dai lettori *C* Buona lettura!



 







Il sole di Grecia splendeva implacabile sulla scalinata di marmo bianco del Santuario, illuminando quella che sarebbe potuta essere una giornata come tante altre.
Sporadiche urla dalla Dodicesima casa lasciavano intuire che la sua quiete era stata turbata da una – non tanto insolita – visita del Cavaliere della Quarta; Milo di Scorpio era stato visto salire verso l’Undicesima la sera precedente, e ancora non era ridisceso. In un tempio integro, Shaka meditava sotto gli alberi dello Sharashojo.
Sion osservava tutto questo dal Tredicesimo Tempio, con un sorriso amaro sulle labbra.
Sembra che il tempo si sia riavvolto, pensò, per la milionesima volta da quando tutto era finito. O iniziato.
Erano passate già settimane da quando Athena era riuscita a concludere una sorta di pace provvisoria con Hades, mettendo la parole “fine” a quell’ultima Guerra Sacra in un modo mai visto prima. Ed erano tornati tutti. Vivi.
Da settimane il Santuario era tornato il luogo di Pace e Onore che era nato per essere, silente sentinella che vegliava sul destino del mondo.
Sembra che quei lunghi anni non ci siano mai stati, pensò ancora, sospirando.
Meglio così, in fondo. Sapeva che le ferite della guerra erano dure da cicatrizzare. Forse quell’aria di normalità, di ritorno ad un passato di relativa pace, avrebbe giovato ai Cavalieri. Forse.
Tuttavia, era altrettanto consapevole di quanto l’apparenza potesse ingannare; di come ci fosse ancora qualcuno che non era riuscito a tornare indietro, né ad andare avanti.
Lasciò scivolare lo sguardo dalla Nona casa al punto in cui, metri più in basso, si trovava la Terza. Era stato estremamente difficile per Aioros, questo ritorno alla vita; per lui che l’aveva lasciata da eroe. Eppure Sion sapeva, dentro di sé, che era Saga ad aver sofferto più di tutti e, nonostante fosse stato proprio il Cavaliere di Gemini a porre fine alla sua vita, non dubitava della sua fedeltà: ne aveva avuto abbondante prova quando, nel Meikai, aveva piegato il ginocchio davanti a lui, accettando di portare ancora una volta il marchio del traditore per un fine superiore.
Lasciò scivolare le mani dal davanzale.
Spero che anche voi riusciate a superare tutto questo.  







***






Saga osservava il paesaggio da una delle finestre della Terza Casa, senza osare avventurarsi al di fuori. Aveva appena concesso il passaggio a Mu, forse diretto da Shaka, forse dal suo maestro. Non aveva chiesto.
Gli sembrava così strano, essere di nuovo lì. A volte sollevava lo sguardo verso la Tredicesima, come se quei lunghi anni non fossero stati che un incubo. Poi il viso di Aioros tornava ad affacciarsi alla sua memoria: e il senso di colpa e la vergogna tornavano a tormentarlo.
Perché era ancora vivo?
Perché Athena aveva riportato in vita anche lui? Lui che aveva tentato di ucciderla. Lui che era un usurpatore. Lui che era tornato per prendere la sua testa.

"Saga."

Alzò lo sguardo, incontrando occhi uguali ma diversi.
Avere Kanon lì con lui era la cosa più strana di tutte: un sogno e un incubo mischiati insieme.

"Sì?"

Il gemello esitò sulla soglia; poi scosse il capo, voltandosi. "No, nulla."
Saga si morse un labbro. Era così da quando erano tornati: estranei nella loro casa, quasi estranei l'uno per l'altro.
Era tutto come se quei lunghi anni non ci fossero mai stati: tranne che per quelle troppe parole non dette che aleggiavano fra loro; fantasmi del passato troppo importanti per essere ignorati.

"Dove vai?" Chiese, nonostante lo sapesse già.

"Via."

"Kanon, non credo sia sagg--" tentò di fermarlo; ma venne zittito dall'occhiata di fuoco del fratello. Ricordò il medesimo sguardo attraverso sbarre di roccia impossibili da infrangere.
Deglutì mentre Kanon, senza aggiungere niente, si allontanava.
Provò il fortissimo impulso di alzare una mano e trattenerlo, stringerlo a sé in modo da non farlo più andar via. In modo da cancellare tutto quello che era successo, per tornare a quella totale e dolce comunione che c'era stata tra di loro tempo prima. In un altro tempo, in un'altra vita.
Sentire ancora il suo calore accanto a lui.
Provò un moto di irritazione al pensiero delle braccia di altri - di un altro in particolare - che di lì a poco avrebbero stretto suo fratello. Braccia che da troppo tempo non erano le sue.
Ma, in fondo, non era a Rhadamantys - perché era da lui che Kanon andava, sempre - che la sua rabbia era rivolta. Era a se stesso.
Non era nemmeno tanto il fatto che l'amante del gemello fosse uno spectre di Hades ad infastidirlo, quanto semplicemente il fatto che suddetto spectre aveva ottenuto da Kanon quell'intimità che un tempo aveva solo con lui.
Scosse il capo. Non aveva nessun diritto sul fratello. Non quando i suoi stessi pensieri continuavano – ancora e dopo tutto quello che era successo – a essere divisi fra Kanon e Aioros.

Aioros.
 

Era tornato tutto come tanti anni prima
: tranne lui stesso.
Ma lui non poteva tornare al se stesso di tanti anni prima. Non poteva, non doveva e non voleva. Il ricordo di occhi rossi che lo guardavano dallo specchio ancora lo tormentava.
Come poteva fare allora?

Saga
.

Sobbalzò quasi, preso alla provvista, quando il cosmo del Cavaliere del Sagittario carezzò leggero il suo, chiedendo l'accesso alla Terza Casa.
Talmente assorto nei suoi pensieri, non aveva notato il suo arrivo.
Si guardò freneticamente intorno, forse in cerca di una via di fuga; di un modo per evitare la conversazione. Non ne trovò.
Cercando di convincersi che, forse, l’altro Cavaliere era diretto da Aldebaran – cosa alquanto improbabile in realtà – gli concesse l’ingresso.

Si umettò le labbra quando sulla soglia comparve la splendente figura di Aioros.
Distolse lo sguardo, la colpa a bruciarli incandescente nel petto.

"Come mai sei venuto?" Chiese, più secco di quanto intendesse.

Aioros ignorò il suo tono, sedendosi di fronte a lui.

"Volevo vederti." Disse semplicemente.

Gemini non rispose.
Sagitter sospirò. Non era stato facile, per lui, scendere alla Terza Casa. Aveva atteso settimane, prima di decidersi.
Osservò distrattamente una mano di quel corpo troppo giovane, troppo inesperto della vita, prima di allungarla - solo apparentemente ferma - per voltare il viso del Cavaliere di Gemini verso di lui.
Saga fu costretto a incontrare i suoi occhi - troppo sinceri.

"Dobbiamo parlare."


Tornare indietro, andare avanti.

Come fare?






***







"Ah!" Kanon gemette forte, affondando le unghie nella schiena dell'amante e gettando la testa all'indietro, mentre le ultime ondate dell'orgasmo si diffondevano nel suo corpo, cancellando ogni pensiero coerente.
Rhadamantys si accasciò sul petto del Cavaliere, respirando pesantemente al suo orecchio e osservando a occhi socchiusi i lunghi capelli del compagno, sparsi disordinatamente sull'ampio materasso.

"Dei." Mormorò Gemini, mentre aspettava che il respiro si regolarizzasse.

La Viverna ghignò, volutamente bastarda "Sei già stanco, Kanon?"

L'altro si limitò a scoccargli un'occhiataccia. Ricevette in risposta solo un'altro ghigno, mentre l'amante si accomodava sui cuscini.
Stettero in silenzio a lungo, finché Rhadamantys - stanco dell'insolito silenzio - non riprese a far vagare una mano sul petto dell'altro.
Kanon lo lasciò fare, tornando a fissare il soffitto.

"Dannazione!" sbottò infine, bloccando il Giudice che aveva da poco sostituito la mano con le sue labbra.

"Non è possibile che quell'idiota passi le sue giornate a fissare un punto imprecisato della Scalinata!" Non è possibile che passi le giornate a pensare solo a lui! Aggiunse fra sé e sé; la gelosia che tornava bruciante.
Rhadamantys tentò di ignorare gli sproloqui del Cavaliere, ma venne nuovamente interrotto quando Kanon si sollevò sui gomiti per fissarlo con sguardo accusatore.

"Non tenta nemmeno di parlarmi!” Neanche fossi stato io a rinchiuderlo in una prigione condannandolo a morte, aggiunse ancora, nonostante riconoscesse l’ingiustizia di quel pensiero.
Egoisticamente, però, incolpare Saga, ora che la guerra era finita, era molto più semplice che affrontare i suoi sentimenti e la sua colpa.

Rhadamantys si limitò a fissarlo. Gemini si scosse, a disagio, cercando di evitare quell’esame del Giudice.

 "Si raccoglie sempre ciò che si ha seminato." Gli disse soltanto la Viverna.

"Parli della tua giustizia."

"Parlo della giustizia così come deve essere."

"Una punizione eterna."

Il giudice inclinò appena il capo, rivolgendogli uno sguardo impenetrabile. "Ma nel mondo degli uomini nulla è eterno."

Kanon si stese nuovamente sui cuscini, pensieroso e irritato.
Cercando di capire.






***






Nella Terza Casa aleggiava un silenzio pesante, carico di rimorsi e aspettative.
Saga posò un bicchiere d'acqua e ghiaccio sul tavolo davanti al compagno di un tempo, prima di girarsi e tornare ad appoggiarsi al davanzale della finestra. Per non guardarlo.

"Saga..." incominciò Sagitter, deciso a rompere quel silenzio. “...Perché mi eviti?"

"Io non ti sto evit--" cercò subito di negare, ma lo sguardo dell’altro lo bloccò.
Un sospiro.
"E va bene!” Ammise, con un tono a metà fra l'arrabbiato e il frustrato. “Sì, ti sto evitando. Ti sembra così strano dopo ciò che è successo?"

"Saga," ripeté, "quello che è stato..."

"Io ho ordinato la tua esecuzione!"

"Non mi importa." Sentenziò, lapidario e sincero, gli occhi di quell'insostenibile verde fissi nei suoi.

"No Aioros, non capisci. Tu... voi... forse pensate che quello non fossi io. Non è così! Ho passato anni a cercare di convincermi di questa stessa cosa, ma..." Ma Kanon aveva ragione. "...ero io." Lo disse, e il tono si incrinò appena.

"Saga...”  Sagitter si alzò, avvicinandosi a lui e interrompendo il suo fiume di parole. “Lo so.” Saga inspirò fra i denti, mentre la figura del compagno diventava dolorosamente vicina. "E non mi importa."

"Come può non importarti?"

La pazienza e l’amore di quegli occhi chiari erano quasi insostenibili. "Guarda il Santuario. E’ tutto come prima. Anzi,” si corresse “è meglio, perché non incombe più la minaccia della Guerra Sacra. E' come se quella notte non ci fosse mai stata. Torniamo indietro anche noi, Saga, a quello che siamo stati. Dobbiamo tornare indietro per andare avanti."
Seguì un attimo di silenzio, in cui furono sguardi evitati, desiderio e colpa ad aleggiare nell'aria.

Era quella la risposta?

Ancora una volta la salvezza gli si presentava con quel volto? 

Capì.
E allora furono soltanto le labbra di Saga su quelle del compagno, in gesto dal sapore agrodolce.







***







Era calata la sera.
Aioros se ne era andato poche ore prima, diretto alla quinta casa, lasciandogli un ultimo bacio come commiato.

Ora Saga sedeva - più tranquillo e ancora un po' incredulo - su di una sedia della cucina.
Aveva ancora qualcosa da fare.
Osservava il posto vuoto dall'altra parte del tavolo. E aspettava.
Persino dopo gli avvenimenti di quel pomeriggio, ancora dubitava un po’ di se stesso.
Sospirò.
Un Cavaliere, anche in tempo di pace, non può esitare; ma la pace, a volte, è più difficile della guerra. Ti da il tempo per pensare. Soprattutto ora che era tutto come prima. Tranne quest’ultima cosa.
Saga sapeva cosa gli mancava.
Ed era altrettanto consapevole che sarebbe stata la parte più difficile.

Sentì il cosmo del fratello entrare nella Casa, così familiare ed estraneo allo stesso tempo.
Lo chiamò.

Il gemello si affacciò nella cucina; e, stranamente, il suo sguardo - che fino a quella mattina era stato fisso nel suo, accusatore - ora lo fuggiva.
Kanon si morse appena un labbro. Avvertiva fisicamente la distanza che li separava. Ricordò un tempo in cui le loro menti erano state così vicine da non aver bisogno di parole, per comunicare.
Ricordò il calore della pelle di Saga.
Infine, incontrò i suoi occhi: nascose l'insicurezza dietro la solita maschera sprezzante.

"Dimmi."

"Ricordi la promessa che ci scambiammo in quella pineta, da bambini?"

Questo lo spiazzò. E gli fece male. Tanto da fargli abbandonare quell’atteggiamento di difesa. Perché la ricordava, eccome. Avevano promesso che qualunque cosa avesse cercato di dividerli, l'avrebbero combattuta e sconfitta insieme.
Sogni di bambini.

"Sì." Disse, dopo un po'. "Certo."

"Mi mancano quei giorni."

Kanon distolse lo sguardo. "Anche a me." Fu difficile, ma lo ammise.

Saga prese un respiro. Poi, lo disse. "Allora… torniamo a quei giorni."

Il fratello, tuttavia, si ritrasse. "E' impossibile." Scosse la testa. "Era un'altra vita."

"Anche questa lo è."

Fu silenzio. Ancora.

"Non dico… di cancellare tutto quello che è successo. Solo... riproviamoci. A recuperare ciò che è stato." Aggiunse Saga, in tono più sommesso. Quasi temendo che da un momento all'altro il gemello se ne sarebbe andato. Come aveva sempre fatto.
Kanon attese, combattendo contro quell'idea. Riavvolgere il tempo, senza dimenticare tutto ciò che era successo in quegli anni? Era possibile?

Solo allora notò la bottiglia di Oúzo posata sul tavolo, insieme a due bicchieri.
Si passò una mano fra i capelli, mordendosi un labbro per l’indecisione.
Infine si sedette, versandosi un po' di liquore.

In fondo, potevano far esplodere le galassie.

Parlare non sarebbe stato tanto difficile, no?

"Allora," disse, "da dove cominciamo?"

Ingoiò un sorso, godendosi senza darlo a vedere il sorriso del fratello.
  
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