Autore:
slice.
Titolo: “Di prati e papaveri”.
Fandom:
Naruto.
Genere: introspettivo, malinconico.
Rating:
giallo.
Avvertimenti: one shot.
Personaggi: Anko,
Kurenai.
Note: i personaggi sono maggiorenni ma sono
giovani: sono passati anni dalla storia del morso ovviamente, ma non
molti; Asuma è vivo e lui e kurenai non stanno ancora insieme.
Non ho bene in testa che età potrebbero avere, ma per esempio
il team sette non è ancora stato formato, o se c'è è
piuttosto inutile, militarmente parlando. I caratteri li vedo così,
come li ho tracciati qui. Dicono che Anko mi riesca bene e credo che
sia perché mi ci rispecchio molto, sensi di colpa per il
passato compresi, anche se non sono molto attiva, ahimé.
Comunque, per quanto riguarda Kurenai, a qualcuno potrebbe sembrare
ooc, io la vedo esattamente così come l'ho descritta: materna,
dolce, la comprensione fatta persona. Però da quanto si è
visto nel manga non per questo è una che non ha reazioni o non
ha spina dorsale, è anzi forte e decisa; e poi è una
donna, u.u le mattane ce le ha anche lei eh! XD
Ho messo i banner
nel mio spazio autore, ma ci tenevo a mettere qui i link della
canzone e della foto che ho scelto:
You've
got a friend - Carole King
Video
Testo
e traduzione
(La
foto contiene il link all'account dell'autrice, su DeviantArt)
Di
prati e papaveri
di slice
Ti
feriscono e ti abbandonano,
prendono la tua anima se li lasci
fare.
Anko non può
fermarsi.
Se lo fa le viene in mente che ha un morso sul collo,
che ha tradito il villaggio, tutti quelli che amava e se stessa; se
lo fa le viene in mente che è stata tradita a sua volta e
quello che sembrava essere amore era invece tanto strisciante
odio.
Il dolore del tradimento le lega le mani e la trascina nel
buio, e sapere di essere stata ingannata brucia terribilmente; lei ci
aveva creduto, fino alla fine, e voleva bene al sennin.
Voleva
bene a Orochimaru. Lo ha detto anche ad alta voce per poter digerire
meglio tutto quello che era accaduto, lo ha detto tra le lacrime
mentre il Sandaime le apponeva un sigillo sul segno maledetto, nella
penombra di una sala del palazzo dell'Hokage, insieme a Kakashi,
quando tornò al villaggio. Sporca e avvelenata. Usata.
Ci
sono giorni in cui crede di non farcela, di non essere in grado di
poter arrivare alla sera, poi succede qualcosa che la fa stare bene,
che le illumina il viso con un sorriso stanco, ma sereno. Accadono
piccoli episodi: un uccellino sulla finestra, un raggio di sole che
illumina il salotto, un'amica che le fa visita o una bella notizia. E
tutto sembra meno pesante. Non conta più quell'odore di morte
che si sente ancora addosso, non conta più quell'alone di
terrore che la avvolge la sera poco prima di dormire. Non conta
nemmeno quella sensazione d'ansia alla bocca dello stomaco che la fa
sospirare inquieta ad occhi spalancati fino all'alba. Il tè
preso con Kurenai fa la differenza, l'ennesima missione portata a
termine per Konoha fa la differenza, perché lei fa parte di
quel villaggio, ha una vita, degli amici, responsabilità, non
abita lì per caso. È parte attiva del Villaggio, è
suo e lo proteggerà anche con la vita, se dovesse essere
necessario.
E le occhiate, quelle che pesano in quei giorni in cui
la serenità non penetra dentro di lei ma si ferma fuori, come
anche i raggi del sole, sono solo un sollazzo delle ottuse vecchie
generazioni che hanno bisogno di un pretesto per far salotto tra
malelingue e pasticcini.
Kakashi una volta le ha detto: finché
sai chi sei, non conta tutto il resto, non puoi sprofondare.
Ma
Kakashi è uno che si rinchiude dietro una maschera e un copri
fronte, dietro sorrisi esagerati, perché altrimenti non si
vedrebbero, concilianti e sterili. Forse dovrebbe ascoltarsi di più
e cominciare a mettere in pratica quel che dice; oppure potrebbe
lanciarsi dalla montagna degli Hokage. Anko è sicura che
sarebbe praticamente la stessa cosa.
Oh, ma tu non glielo permetterai!
Kurenai invece
sorride e il suo sorriso si vede, contagia, brilla. E fa dimenticare
il conto del ristorante a Raido che paga per tutti; senza accorgersi
che Genma è uno stronzo opportunista, che lei se ne sta già
andando, che Kakashi è d'accordo con Genma e che Kurenai si è
bevuta anche il cervello.
Asuma li trova così, gonfi
d'alcool, sazi e disillusi, mentre si rimettono le giacche per uscire
in strada.
“Lo sapevo che sarei arrivato tardi...”
dice, con la sigaretta che penzola da una parte.
“Allora
perché sei venuto?” chiede Kakashi, dimenticandosi di
marcare il sorriso di proposito perché Asuma è uno di
quei pochi che non ne hanno bisogno.
“Che spiritoso!”
brontola Sarutobi, fintamente alterato.
“Chi, Hatake? O per
l'amor del cielo, la comicità sarebbe morta e sepolta se fosse
per lui,” sghignazza Anko, brilla. Kurenai ride e si appoggia a
lei, un po' perché nelle sue condizioni non riuscirebbe a
camminare dritta nemmeno se avesse tre gambe e un treppiedi e un po'
perché Asuma le fa sempre un brutto effetto.
“Allora
dai Anko, spogliati, così ci facciamo quattro risate come si
deve,” celia Kakashi, con la sua solita noncuranza che fa
rabbia.
Anko ride con lui, con loro, e poi si getta sulle spalle
del jounin smozzicando un “te lo dico io quale parte di Obito
dovevi farti trapiantare”. Kurenai, priva di sostegno, si
ritrova ancorata al braccio di Asuma e smette di ridere in un attimo,
arrossendo. Raido e Genma si spintonano piano, più avanti,
ridacchiando per cavolate.
Ma non sono tutti
così, non sono tutti uguali, i compagni.
Ci sono personaggi
ridicoli che vanno dal chuunin che gestisce le missioni per chiedere
di non essere in squadra con lei. Ci sono persone tristi che le
sorridono e poi raccontano cose assurde agli altri. Lei non vive
nella spazzatura, non chiede soldi agli amici e non ricicla
assorbenti, però picchia duro quindi attenzione che son
cazzi.
Davanti a loro c'è un gruppetto di compagni - si
chiamano così, perché fanno parte dello stesso
villaggio e combattono e muoiono per quello stesso villaggio - che si
acchetano appena se li trovano a portata d'orecchio.
“Sempre
a rincorrere chi non te lo dà, eh Mitarashi?”
Anko è
cresciuta: ha digerito tante cose e somatizzato tante altre, ma ha le
palle quadrate e la lingua biforcuta; lo dicono anche le vecchiette
al mercato.
“Almeno rincorro chi si fa vedere da pochi
eletti...” ride, con gli occhi a fessura e le fossette sulle
guance. Perché queste cose non la toccano e sentirsi fare
battute così stupide da uno a braccetto con una delle donne
che risiedono nel quartiere del piacere è semplicemente
ridicolo. Kakashi però è comunque un idiota, questo
andrebbe tenuto sempre a mente.
“Ciao Bishitsu!”
saluta con la manina, come un bambino di cinque anni.
Bishitsu, ci
si può chiamare 'virtù' e fare la prostituta? Sembra di
sì. Si può usare a proprio vantaggio la sociopatia di
Kakashi e aspettarci che questo eviti di salutare una prostituta come
se fossero vicini di casa? Sembra di no. Comunque. Bishitsu, che
sembra anche un po' un nome da cane tipo il botolo del sociopatico,
può sembrare infinitamente insignificante, o può
rivelarsi inaspettatamente utile!
“Kakashi-san,”
saluta, con quella sobrietà languida che fa intendere a scelta
'Kakashi-san' o 'scopami-ora', senza spreco di lettere, facendo
innervosire il pollo lesso che ha sottobraccio.
Kurenai emette uno
sbuffo divertito e butta la testa leggermente indietro, poi la
appoggia sulla spalla di chi ha vicino, e quando si accorge,
dall'altezza e dalla consistenza - oltre al fatto che Anko è a
tre metri da lei -, che non si tratta dell'amica, si pietrifica ma
non riesce a scansarsi.
I così detti compagni
proseguono per la loro strada, ridendo delle figuracce che ha fatto
questo o quell'altro ninja la scorsa settimana, cose che sbiadiscono
di fronte al fatto che potrebbero morire tutti nella prossima
missione, mentre il gruppetto di amici invece, una volta soli, lascia
calare una cappa d'insolito silenzio.
Non è un segreto
quello che è successo, e sono avvenimenti relativamente
recenti; Anko è semplicemente stanca, ma vederle ancora quello
sguardo fa male a chi la ama.
“Mitarashi, mi stai sul
cazzo!” dice Genma, che è un bambino troppo cresciuto,
spingendola scherzosamente in direzione di Raido.
Namiasci, avendo
intuito la manovra di distrazione, la prende alla sprovvista e le
rinchiude la testa in una morsa, sfregando il pugno sulla sua nuca
velocemente.
Kakashi coglie l'occasione al volo e cerca di tirarle
giù i pantaloni, ora che la sua testa è occupata.
Kurenai, che si è dimenticata del mondo intero appoggiata ad
Asuma, sobbalza quando viene richiamata dall'urlo dell'amica che
cerca aiuto.
“Kakashi tira più forte che io
intrattengo i rinforzi!” ridacchia Asuma, facendo il solletico
a 'i rinforzi'. Kurenai ride e si divincola.
“E io che
faccio?” chiede Genma, con quella faccia da schiaffi.
“Vai
a fanculo!” ringhia Anko, colpendo la rotula di Kakashi con un
calcio alla cieca e strizzando un capezzolo di Raido per fargli
allentare la presa.
Il
cielo sopra di te diventa scuro,
si copre di nubi,
e il vento
freddo inizia a soffiare.
Quei giorni in cui
tutto sembra più nero però non se ne vanno mai.
Rimangono lì, in agguato, come enormi felini affamati, come
demoni insaziabili. Rimangono lì, in attesa della stanchezza o
di una qualsiasi debolezza. Si cibano di paura, di rimorso, di senso
di colpa, si cibano di confusione e solitudine; e, anche se lei sa
che son lì, quando la assalgono la colgono sempre di sorpresa,
impreparata.
Il rubinetto perde e il suo ticchettare si confonde
con quello dell'orologio a muro, fuori ci sono solo cicale e sole, ma
lei non avverte né le une né le altre. Si sente
scivolare via, in quel nero, nella pazzia. Lo avverte mentre sale, il
panico.
Sa che cos'è, sa che è come una malattia.
Ogni ninja conosce la depressione, l'ansia, il panico, ogni ninja
deve conviverci. È solo una malattia e come tutte le altre va
curata. Quando ha il raffreddore prende delle erbe per debellarlo, e
curare la depressione non è diverso dal curare il raffreddore.
È solo una stupida malattia, ma la nostra mente è molto
più potente del nostro corpo.
Per aggiungere la beffa al
danno, per colpa del segno maledetto non può fare uso dei
rimedi più forti perché interferirebbero con l'enzima
velenoso; usa perciò qualcosa di blando che dovrebbe aiutarla
a rilassarsi ma che purtroppo non basta. Il peso che porta è
troppo grande, schiaccia e fa male.
È vero che fare forza
sull'autocontrollo è relativamente semplice per uno shinobi
del suo livello, ma il segno maledetto rende tutto più
difficile, più nero. Diventa più forte quando sta così,
il punto del morso, sul collo, pulsa e duole, e non serve a niente
bagnarlo con acqua fredda, metterci del ghiaccio, strinarlo con un
panno umido di acqua bollente, scavarci intorno con la punta del
kunai o dargli fuoco. Non serve a niente sperare che finisca tutto al
più presto. Quel dolore, quel veleno, non ha fretta.
Non sa
quindi come fermarlo e rimane dov'è, sulla sedia, in quella
cucina, tremante e sola nell'aria quieta del tardo pomeriggio.
Quando
niente va nel modo giusto
chiudi gli occhi e pensa a me.
Io
arriverò.
Quando il rumore che
proviene dalla porta si fa insistente Anko apre gli occhi senza
essersi accorta di averli serrati, e riprende coscienza del mondo
intorno a sé. Non ha dormito, ma la confusione le appanna la
testa con ricordi osceni.
“Anko, apri! o giuro che sfondo la
porta!”
Non ci sono molte missioni in quel periodo e gli
amici sanno che lei si chiude in casa.
“Mitarashi apri
subito questa benedetta porta!”
Si alza, barcollando
all'indietro per un calo di pressione dovuto al fatto di essere stata
seduta su quella maledetta sedia per tutta la sera. Si dirige verso
la porta con passo infermo dai muscoli indolenziti e quando la apre
si meraviglia di scoprire il cielo stellato dietro la chioma scura
dell'amica.
“Kurenai...” biascica, stordita.
“Che
cosa stavi facendo?” la sgrida l'altra avvertendo la
preoccupazione sciogliersi in rabbia. “Sono ore che busso!”
“E
la porta è ancora in piedi,” commenta lei con
leggerezza, permettendole di entrare.
“Non fare la
spiritosa, non ti sopporto quando fai così! Perché ti
chiudi qui dentro? Possibile che non capisci che così fai male
anche a chi ti vuole be-”
“E faccio sorridere chi mi
vuole male, lo so.”
Il silenzio si addensa nelle loro
orecchie e Kurenai la guarda sconsolata. Anko lo sa che lei vorrebbe
accollarsi metà del suo dolore, del suo fardello, ma sa anche
che si sentirebbe ancora peggio a permetterglielo. Non la chiude
fuori, la lascia solo sull'uscio. E Kurenai se lo fa bastare. Di
solito.
“Fuori!”
“Eh?”
“Forza!
Fuori!”
E viene letteralmente presa a calci.
Kurenai le
sbatte la porta - la sua porta, di casa sua - in faccia e le urla di
andare a farsi una girata mentre lei riordina. È una ragazza
d'oro, gentilissima e dolcissima, ma anche lei può avere i
famosi cinque minuti; ed è meglio non essere nelle sue
immediate vicinanze, in quel caso.
“Ma sono le quattro di
notte...” mugola Anko, osservando la posizione della luna.
“Non
me ne frega niente!” urla Kurenai che l'ha sentita, facendole
scappare uno sbuffo divertito.
Inverno,
Primavera, Estate o Autunno,
tutto quel che devi fare è
chiamarmi.
Io arriverò.
Le strade sono umide
e fresche e le luci sono quasi tutte spente. Anko si guarda i piedi
coperti dalle sole calze che tiene per stare in casa: quella matta
della sua amica non le ha lasciato il tempo di mettersi i sandali.
Girare per le strade alle cinque di mattina le piace, ha scoperto un
po' di tempo fa, e sorride quindi, percorrendo a saltelli il disegno
del gioco della campana che i bambini del suo quartiere si son
divertiti a tracciare. La luna alta le permette di distinguere bene
tutte le linee ed esegue correttamente il gioco. Un cane abbaia in
lontananza appena finisce, forse complimentandosi con lei. Alza la
testa e chiude gli occhi, inspira.
C'è odore di umidità
e sottobosco a Konoha.
A volte è una cosa che le fa
piacere, altre innesca una catena di pensieri che sarebbe bene
rimuovere del tutto. Albeggia ad Est e un brivido freddo la
scuote.
L'odore del sottobosco e l'aria tinta d'azzurro della mattina le ricordano la fuga. Le ricorda quel
giorno maledetto che scoprì di stare dalla parte sbagliata e,
quando le spire del serpente si fecero più lente, quando
credeva che il peggio fosse passato, ecco che la serpe la morse. Anko
si ricorda ancora tutto. Non solo l'odore. Si ricorda il grido che ha
lanciato e il sapore ferroso in bocca quando si è morsa la
lingua per cercare di arginare quel dolore; si ricorda la consistenza
delle foglie secche sotto le sue ginocchia quando è crollata a
terra e si ricorda, come se fosse successo pochi giorni prima, la
vista appannarsi sul ghigno di quello che credeva essere il suo
maestro. Si ricorda tutto, con ogni senso, in ogni senso.
Strizza
gli occhi e digrigna i denti. Si accorge di avere una leggera
tachicardia, di avere il respiro accelerato e di sudare freddo. E
scappa.
Corre forte, non importa dove, lo stomaco farà male
anche lì, ma scappare è un istinto. Corre veloce, più
veloce che può, come se quegli orribili pensieri e ricordi
potessero essere lasciati indietro. Come se potesse scappare dal suo
passato.
Non si può, pensa in un momento di lucidità,
non si scappa dal passato, si deve affrontare.
Ce la farò,
io sono forte.
Era quello che
si ripeteva in quella catapecchia buia dove il sensei l'aveva
lasciata a marcire, o a trasformarsi in un mostro. Mentre sangue,
saliva e sudore perdevano importanza davanti a quel dolore
lancinante, l'unica cosa che la teneva sveglia, lucida, aggrappata
alla vita con le unghie, era stata la sua forza, il suo spirito
tenace di guerriera.
Col tempo però, quella frase, invece
di rimanere immutata, ha assunto significati diversi, fino a divenire
una specie di nenia che la spinge a prevalere sul panico. Così
se lo ripete, tante e tante volte, senza accorgersi, alla
fine, di dirlo ad alta voce. E quando si ode decelera, fino a
fermarsi.
Il suo cuore batte forte, il respiro è più
veloce di prima ed è anche più sudata, ma è solo
colpa della corsa.
Si guarda intorno. Sorride, esausta. Porta le
mani nei capelli e tira la testa indietro mentre emette un suono
frustrato - alto, affinché lo sentano tutti - e si accuccia,
lì dov'è. In un campo di papaveri.
Adora quel posto.
Il
cielo è qualcosa di spettacolare, che culla e distrae, ma se
non si pone attenzione si rischia di perdersi. L'alba ormai ha
rischiarato tutto e gli uccellini incorniciano l'atmosfera con il
loro canto e i loro voli tondi nell'aria fresca.
È un bene
per lei, probabilmente; nella situazione in cui è, non può
che farle bene distrarsi, o perdersi addirittura. Ma non si può
sempre pensare ad altro per non scivolare nel circolo vischioso della
depressione. Questo pensiero le fa girare la testa e si sdraia
nell'erba alta, circondata da papaveri.
È tutta la vita che
si sente così. Di un rosso fuoco, di una fragilità e di
una forza ineguagliabili al tempo stesso. Si sente di avere un veleno
dentro, che però avvelena lei per prima.
“Se la mia
mente è potente abbastanza da mandarmi in confusione, lo è
altrettanto per permettermi di riportare ordine.”
Anko
sobbalza, voltando il capo nella direzione da cui proviene la voce.
Kurenai.
Kurenai sorride, ma non è un sorriso che la
biasima, è un sorriso che promette. Promette di esserci.
Perché lei ci sarà, sempre. Sarà la spalla su
cui piangere e la mano da prendere in caso di bisogno, ma sarà
anche il calore di una famiglia e il sorriso di un amica. Non ha
doveri verso di lei, è lì perché lo vuole. È
la salvezza, pensa Anko di slancio, perché Kurenai fa venire
voglia di abbracciarla, fa saltellare sul posto e fa tremare le
gambe, ché tanto amore si regge male tutto insieme. Kurenai
è...
“Non c'è niente che posso dirti che
potrebbe aiutarti, solo tu puoi farlo, però io sarò lì
lo stesso.” Lo dice come se fosse ovvio e lo ripetesse per
riempire il silenzio che sa essere padrone della testa dell'altra.
“Mi piacciono i papaveri!”
Kurenai è... come
una madre.
Non è un'espressione infantile in un momento di
sconforto: sono veramente amiche e lei non pretende di essere
accudita come una figlia, ma Kurenai ama davvero come una madre. Lo
fa con pazienza senza chiedere niente e non lo fa solo con lei. Un
giorno lo sarà sul serio, un'ottima madre. Anko ne è
sempre stata convinta.
Kurenai per lei è come quel prato,
quel verde, come l'erba fresca su cui si è sdraiata, che la
culla. Che fa da sostegno ai papaveri che ha intorno.
Si porta le
mani dietro la testa e tira su i piedi, mescolando le sue calze rosse
con i petali velenosi. Ride e piange, piano, lasciando che le
emozioni che sente scendano liquide dagli occhi, perché
Kurenai è parte di lei e non ha paura di essere se stessa.
“Mi
hai cacciata di casa,” commenta, con la voce incrinata, come se
fosse normale provare tante cose così, tutte in una volta.
“Strega!” conclude, tirando su col naso e scacciando via
una lacrima che le fa il solletico.
“Non si sta male qui,”
la ignora Kurenai che la conosce e per questo non da peso alla
debolezza del momento. Le dà una spinta leggera e si mette a
guardare il cielo, portando le mani dietro la testa come quella
zuccona che ha accanto, mentre ascolta il suono del suo sospiro.
Quel
sospiro sa di pace, sa di amicizia perché in un mondo come il
loro se riesci a rilassarti vuol dire che ti fidi, che sei fra amici.
Quelli veri.
L'amicizia è qualcosa che non ha bisogno di
spiegazioni, che nasce dal niente e significa tutto. L'amicizia è
sostenersi a vicenda, essere complementari. È essere soli
eppure non esserlo. È pensare intensamente a qualcuno e
sentire il buio intorno rischiararsi, farsi da parte. È una
variante dell'amore, ugualmente rara e sdolcinata, ugualmente
indispensabile.
Anko ha conosciuto la perdita della famiglia prima
e l'odio dopo, ma è cresciuta nell'amore di un maestro, anche
se privata di quello dei genitori dalla guerra, e questo le rimarrà
dentro per sempre. In quel momento, quello che la cresceva e che le
insegnava a vivere era il suo maestro, Orochimaru sensei, quello che
le voleva bene. Quello che ha costruito la sua forza. Non era il
sennin traditore, quello che l'ha morsa e che l'ha abbandonata ad
affogare nella scia d'odio che si lasciava dietro. Non era quello che
l'ha fatta sentire un fragile e velenoso fiore rosso. Non c'entrano
assolutamente niente l'uno con l'altro.
La mano di Kurenai sfiora
la sua e Anko sospira ancora, chiudendo gli occhi. Ce la farà,
lei è forte. E non è sola.
E ora ha l'amicizia della
matta che ha a fianco e quella di quegli scapestrati schizofrenici
con cui entrambe escono.
Scoppia in una risata a quel pensiero, di
quelle prive di pesi sullo stomaco.
“L'amicizia è una
cosa seria, Anko, dovresti smetterla di ridere!” dice Kurenai,
ridendo a sua volta. E sevizia dei papaveri rotolando supina perché
lei infatti non ha paura del veleno.
Io ci sarò.
Owari
La
canzone “You've got a friend” che ho usato - e storpiato
- in sé non è tra le cose che preferisco, ma l'amicizia
sì. Spero di essere riuscita a tirare fuori il meglio, dalla
canzone, dall'immagine, dal tema, e da me stessa. Grazie di
tutto.
*Il papavero non è proprio velenoso, ecco, però
spero che si possa passare dal momento che è comunque un
oppiaceo, un ottenebratore di sensi. Una droga può essere
considerata un veleno, a parer mio.
************************
Giudizi:
Elos
Correttezza grammaticale: 9/10
chi non te lo da: manca l'accento, qui, sul dà, ma ho pensato potesse essere un errore di battitura.
[C}un pretesto per far salotto tra malalingua e pasticcini: tra malelingue, forse, mi sarebbe sembrato maggiormente corretto. Avrebbe concordato meglio con il tra, dopo il quale ci si aspetterebbe un plurale.
Di un rosso fuoco, di una fragilità e una forza ineguagliabili, allo stesso tempo, di avere un veleno dentro: quel di avere un veleno dentro come terza ripetizione della struttura si sente di non mi è sembrato calzante; ho anzi dovuto rileggerlo più volte per capire cosa tu avessi voluto dire.
Una forma particolarmente corretta e curata dove, oltre alle imprecisioni che ho rilevato qui sopra, l'unico neo che mi è sembrato di rintracciare è stato un uso della punteggiatura non sempre scorrevolissimo. Detto questo, uso completo dei tempi nelle subordinate, costruzioni ricche e non
scontate, scarsissimi errori non fondamentali.
Stile e lessico: 8,5/10
Mi è piaciuto trovare qualche termine insultante, grezzo e spesso anche volgare qua e là: Anko mi è sempre sembrato un tipo piuttosto provocatorio, e nei suoi pensieri, dal suo punto di vista, un lessico così non stona. Altro punto apprezzabilissimo è stato il mescolarsi di ricordi e momento presente non spezzati da spazi, ma lasciati in una specie di continuum che permette di inserirli l'uno dentro l'altro, fondendoli e dando l'esatta percezione di quanto stia male questa povera Anko, e perché. Adoperi uno stile per certi versi come acerbo: le forme e le costruzioni che adoperi, per quanto completissime e non banali, spesso hanno sapore di “già usato”. Devo dire, però, che in questa tua storia sono rimasta ammirata: perché, rispetto ad altri tuoi scritti di solo un paio di mesi fa, fai adesso mostra di maggiore originalità e uso di tratti nuovi. Complimenti.
Solidità della trama e originalità della storia: 9/10
Una storia che nasce come introspezione e si articola sull'ossatura di più scene di vita quotidiana, tutto in funzione dell'ultimo momento presentato: anche gli istanti con gli amici, infatti, appaiono velati da qualcosa di malinconico e inquieto che nella scena del campo di papaveri si dissolve lasciando una sensazione d'arioso, di salvifico. Dialoghi ben costruiti, in un bel botta e risposta piuttosto colloquiale, e momenti di riflessione distribuiti in maniera tale da non pesare sulla leggibilità del testo. Il punto che manca alla completezza è legato esclusivamente all'originalità: mi è sembrato che parlare del dolore di Anko in funzione della perdita del suo maestro non fosse un'idea innovativa, ma mi è piaciuto grandemente come l'hai ripreso.
Mantenimento dell'IC / Solidità dei nuovi personaggi: 8/10
I personaggi che presenti come sfondo a questo rapporto magnifico tra Kurenai e Anko mi sono sembrati ben costruiti: anche se, devo dire, questa visione di Genma mi ha lasciata un poco perplessa. C'è però da considerare che sono personaggi secondarissimi, descritti veramente per accenni nel manga, e quindi lasciati alla libera interpretazione di chi legge e di chi ne scrive. Kakashi è quello che nella tua storia mi è sembrato di più sé stesso, in una maniera tutta meravigliosamente “kakashiana” fatta di piccole menzogne per nobili scopi, sorrisi vaghi e gentilezze mescolate ad una visione abbastanza cinica della vita. Tornando a Kurenai, forse da quel che si vede nel manga (sostanzialmente dai numeri dello scontro con Itachi e da quelli del suo rapporto con Asuma) la immagino un po' più seriosa, placida e riflessiva, e un po' meno predisposta agli scatti d'ira (per quanto guidati dall'amore e dall'affetto), alle reazioni brusche e al lasciarsi andare così liberamente come fa nella tua storia; allo stesso modo vedere Anko piangere e tirare su il naso alla fine di Di prati e papaveri un po' mi ha lasciata interdetta... e molto mi ha stretto il cuore, perché è una scena meravigliosa. Per questa ed altre ragioni, malgrado qualche dubbio, ho deciso di lasciare comunque una valutazione alta dell'IC.
Attinenza al tema:
Attinenza alla fotografia: 8/10
La fotografia c'è ed è, come ho già scritto sopra, da qualche parte, lo scenario del momento più significativo di tutta la storia: devo dire, però, che trovarla spostata di notte anziché di giorno ha variato grandemente l'atmosfera. Ho apprezzato molto, invece, l'idea di trasformare quelle scarpe di pezza rosse in calze altrettanto rosse, decisamente molto più “a posto” nel mondo di Naruto.
A spingermi ad abbassare il punteggio è stato comunque il fatto che altre immagini di Di prati e papaveri balzano maggiormente agli occhi del lettore: la casa di Anko, la sedia sulla quale si lascia vegetare colta dalla depressione, le strade di Konoha e il sottobosco scuro che è presente nei suoi ricordi e nella realtà che attraversa in fuga.
Attinenza alla canzone: 9/10
La canzone è invece, rispetto alla fotografia, decisamente predominante: accompagna l'intera storia scandendone lo scorrere e intensificando le sensazioni del lettore. Si sposa bene con la trama che hai costruito e con il personaggio di Kurenai, e l'unica ragione per la quale il punteggio non è pienissimo è dovuta al fatto che mi è sembrato che tutti i riferimenti alla canzone - tranne che in certi tratti - fossero piuttosto generici. In ogni caso, una buonissima ripresa del tema dato.
Apprezzamento personale: 3/5
Decisamente una storia gradevole, forse tra le migliori che abbia mai letto tra le tue: sono contentissima, perciò, che tu abbia deciso di proporla per questo concorso. Non ho dato un pieno gradimento personale perché questa storia è soprattutto e prima di ogni altra cosa un'introspezione, per quanto ricca, che non è un genere che si faccia spesso apprezzare del tutto per completezza e complessità: e mi è parso che avresti potuto arricchirla sviluppando maggiormente, forse, la toccante scena conclusiva che è insieme tanto dolce e tanto piena di luce. Detto questo, ancora, davvero, tutti i miei complimenti per questo bellissimo sviluppo del tuo stile.
Salice
Correttezza grammaticale: 9,5/10
Pochissimi errori e niente di rilevante. Una parola che mi ha disturbato è stata “malalingua”, che avrei inserito al plurale. Altro termine che non mi ha convinta del tutto è stato “Felidi” che io avrei sostituito con un più generico e standard “felini”, per non distrarre l'occhio del lettore con un'immagine troppo “esotica”. Per il resto nulla da eccepire, salvo qualche frase leggermente troppo lunga e densa di virgole, che si sarebbe potuta comodamente spezzare in due, magari con l'uso del punto e virgola per creare uno stacco meno netto.
Stile e lessico: 9/10
Ho apprezzato molto la scelta di alternare momenti introspettivi ad altri eventi che invece accadono, mescolandosi tra loro eppure rendendo una chiara percezione di come la vita di Anko sia per certi versi una “doppia” esistenza. Da un lato lei e il suo dolore onnipresente, dall'altro, una Anko esagitata, che a volte finge e altre è sincera. Ho trovato alcuni tratti particolarmente realistici e sentiti, soprattutto quelli che riguardano i sentimenti della protagonista, il suo modo di rivivere il dolore, il rancore e l'umiliazione. I pensieri sono resi in maniera estremamente credibile, e a tratti mi sono sembrati più vivi e reali degli istanti “veri” quasi come se i momenti di vita spensierata con i compagni e gli amici fossero un sogno, un ricordo, e il resto la vita vera. Un buon uso dei termini e dei sinonimi, che non ho mai trovato pesanti o inadeguati ha completato il tutto. Unica piccola pecca, ho trovato qualche passaggio e qualche costruzione leggermente troppo complessa e più confusa, rallentando una lettura che altrimenti scorre via liscissima.
Solidità della trama e originalità della storia: 9,5/10
come detto sopra, la scelta di alternanza mi è sembrata vincente e molto adatta, perché riesce a rendere una sorta di “dualità” nella vita della ninja, che ho trovato molto coerente rispetto a quello che sappiamo di tantissimi personaggi di Naruto e quel poco che si sa di Anko. Da una parte l'esagitazione, l'allegria, forse forzata, e dall'altra un passato oscuro, triste, che si vorrebbe dimenticare. Rappresenta degli spezzoni di Anko che la identificano automaticamente come una ninja dell'universo di Naruto, così come il quasi sempre sorridente Kakashi, Naruto, Rock Lee e molti altri, che sappiamo avere un passato non sempre ridente alle spalle. Per essere una introspettiva inoltre, c'è un buon bilanciamento tra gli eventi che succedono, i ricordi e i pensieri, ben organizzati e disposti, senza renderli confusi o incomprensibili. Unica piccolissima pecca che potrei dire di aver trovato sono le descrizioni ambientali nella prima parte, quasi totalmente assenti e che in un certo qual modo sfumano molto i contorni degli avvenimenti nel gruppo di amici e di compagni. Ho anche apprezzato il fatto che non si trattasse del solito Pairing, ma di un rapporto diverso ed ugualmente importante.
Mantenimento dell'IC / Solidità dei nuovi personaggi: 8,5/10
Mi è piaciuta molto questa Anko credibile, una versione più ampia di quella che mostra dei sensi di colpa davanti al terzo Hokage durante l'esame di selezione dei Chunin. L'ho trovata coerente e sensata, e così gli appena tratteggiati Kakashi e Asuma, con i loro atteggiamenti tipici messi in bella mostra, spiegati e rivisti con gli occhi della protagonista. Lievemente più fuori dell'ordinario è stata la visione di Kurenai, che ho trovato un poco meno posata e riflessiva di quel che si vede di solito. E' lei nella visione di Anko, materna e protettiva, ma i suoi comportamenti sono leggermente più scanzonati e spontanei di come si intravede nel fumetto. Forse l'ho trovata più “giovane” e spensierata, e quindi un po' insolita. Raido e Genma invece hanno influito decisamente poco sul giudizio, essendo lasciati piuttosto all'immaginazione del lettore nel fumetto, e nel contesto della storia li ho trovati comunque coerenti e sensati, amici e complici. Unica scena che mi ha stonato un po' è stata quella della piccola “rissa” tra Anko, Raido, Genma e Kakashi, con Kurenai e Asuma in disparte. Era sensata e credibile, ma forse l'ho trovata un poco esagerata sui restanti toni della storia.
Attinenza al tema:
Attinenza alla fotografia: 8,5/10
Buona l'attinenza della fotografia, anche se il campo di papaveri appare unicamente alla fine della storia, comunque l'accenno al veleno dei papaveri, il paragone tra Anko e il fiore mi sono piaciuti molto. Peccato per la trasposizione notturna e del finale molto sentito e malinconico che un poco perdono nel confronto con la foto solare, ma comunque mantenendosi ben accordati nel complesso, compresa la “trasformazione” delle scarpe in calzini, più adeguati.
Attinenza alla canzone: 9/10
Migliore ancora è stata l'aderenza della canzone, sia nelle strofe scelte, che accompagnano molto bene i pezzi introspettivi e gli stati d'animo durante la storia, sia la parte che hai deciso di escludere, ma che resta comunque negli atteggiamenti di Kurenai. Il fatto che la canzone sia cantata da una donna (rendendola così “collocabile” come autobiografica delle protagoniste) e si mantenga in toni che si adeguano con malinconica al testo ha influito positivamente sul punteggio.
Apprezzamento personale: 3,5/5
Come dicevo prima, ho apprezzato moltissimo l'alternarsi che hai saputo creare. In particolare mi è piaciuto l'approfondimento degli stati d'animo di Anko, personaggio non molto trattato in questi termini e spesso sottovalutato per via del suo modo energico di agire. Mi è piaciuta molto anche l'idea di trattare di un'amicizia a non di una storia d'amore, rendendo in maniera soffusa eppure forte questo rapporto così particolare.
Punteggio:
Correttezza grammaticale: (9 + 9,5)/2 = 18,5/2 = 9,25/10
Stile e lessico: (8,5 + 9)/2 = 17,5/2 = 8,75/10
Solidità della trama e originalità della storia: (9 + 9,5)/2 = 18,5/2 = 9,25/10
Mantenimento dell'IC / Solidità dei nuovi personaggi: (8 + 8,5)/2 = 16,5/2 = 8,25/10
Attinenza al tema:
Attinenza alla fotografia: (8 + 8,5)/2 = 16,5/2 = 8,25/10
Attinenza alla canzone: (9 + 9)/2 = 18/2 = 9/10
Apprezzamento personale: 3 + 3,5 = 6,5
Totale: 59,25/70
************************
Grazie!
I personaggi e i luoghi non mi appartengono, e non c'è lucro.