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Autore: Elos    23/08/2010    8 recensioni
Attraverso la Lubiana dei draghi e la nuova Budapest, poi, fermandosi per guardarsi intorno solo quando la curiosità diveniva più forte della sua ingordigia, della sua impazienza, i confini della Romania si erano alzati inaspettati in foreste scure, archi e guglie pietrosi levati a seghettare pezzi di cielo. La terra della Transilvania non conosce mitezze, non sa cosa sia il sole: è un luogo di vette aspre e laghi di cristallo, con gonfi ruscelli d'acqua verde a scorrere su ogni sasso. Ad Edward era piaciuta sin dal primo momento. [...]
Transilvania, 1921. Prima di Il Conquistatore di Shamballa. Ispirata alla prima serie dell'anime.
Seconda classificata al concorso [Multifandom e Originali] Florence + The Machine Contest indetto da MistralRapsody.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphons Heiderich, Edward Elric
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Amestris, 1921. Resembool, 1915.' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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"I took the stars from our eyes, and the I made a map
And knew that somehow I could find my way back
Then I heard your heart beating, you were in the darkness too
So I stayed in the darkness with you (...)
No dawn, no day, I'm always in this twilight
In the shadow of your heart."

Ho preso le stelle dai nostri occhi, e poi ho realizzato una mappa
E sapevo che in qualche modo sarei riuscito a trovare la mia vita del ritorno
Quindi ho udito il battito del tuo cuore, anche tu eri nelle tenebre
Così sono rimasto nelle tenebre con te (...)
Nessuna alba, nessun giorno, sono sempre in questo crepuscolo
All'ombra del tuo cuore.

(Florence + The Machine, Cosmic Love)






Le coste croate avevano spalancato davanti ai suoi occhi mura di roccia ambrata e acqua grigia, e un cielo da cappa di piombo bagnato d'azzurro ai lembi e d'oro nel tramonto. Soffiava una brezza fredda e umida, quel giorno, pesante di sale.

Attraverso la Lubiana dei draghi e la nuova Budapest, poi, fermandosi per guardarsi intorno solo quando la curiosità diveniva più forte della sua ingordigia, della sua impazienza, i confini della Romania si erano alzati inaspettati in foreste scure, archi e guglie pietrosi levati a seghettare pezzi di cielo. La terra della Transilvania non conosce mitezze, non sa cosa sia il sole: è un luogo di vette aspre e laghi di cristallo, con gonfi ruscelli d'acqua verde a scorrere su ogni sasso. Ad Edward era piaciuta sin dal primo momento.

.cosmo


.1



Il primo giorno di viaggio, il viso schiacciato contro il finestrino a guardare la pioggia tagliente, Edward si domanda come si possano studiare le stelle in un posto dove il cielo non si vede nemmeno: ma quella notte la tempesta si porta via in fulmini e vento le nuvole.
La galassia è uno sciame bianchissimo, frammenti di vetro e pezzi d'argento a luccicare sparpagliati sul cielo di velluto nero. Non ci sono città a macchiare il buio, niente luci. Ed appoggia la fronte al vetro freddo e chiude gli occhi.
Per un attimo il cielo sopra la sua testa ha altre costellazioni, un altro nome. C'è Alphonse, lì da qualche parte, a guardarlo con lui.

.8



Non è possibile non è possibile non è possibile non è possibile non è possibile non è
- Mi chiamo Alfons Heiderich. -
possibile?

Lo fisserebbe apertamente se non pensasse che sembrerebbe strano, quantomeno, e lui proprio non vuole sembrare strano. Non a lui. Non a - è uguale ad Al.
Mentre cenano insieme a tutti gli altri ricercatori, ospiti alla mensa di Herr Oberth, Edward approfitta della brocca di metallo lucido che gli hanno messo di fronte per poterlo osservare specchiato nel riflesso: il viso appena rotondo, con il mento squadrato a farlo più marcato; i capelli biondissimi, la pelle chiara. Gli occhi non sono come quelli di Al, hanno il colore dei laghi della Romania, il mare verdeazzurro delle isole slovene al posto del miele, della corteccia, ma di Al hanno tutta la gentilezza mite, fiera e caparbia.
E' alto. Vedere la faccia del suo fratellino montata su un metro e novanta di corpo allungato e asciutto è una punzecchiatura dispettosa e sorprendente al suo ego, ma Ed pensa di poterla tollerare: tutto, purché gli sia permesso di continuare a vederlo.
Non è Al. Non è Al, ma gli somiglia.
- E così tu studi le stelle. -
Alfons gli sorride.
- Sono un fisico. -
- E che cosa fa un fisico? - Giocherella con le posate mentre lo guarda. Parlandogli ha una buona scusa per fissarlo, ed è un sollievo: a furia di tenere gli occhi puntati sulla brocca stava diventando strabico.
Vede Alfons ridere alla sua domanda e studia affascinato la maniera in cui le vene azzurre guizzano sottopelle su e giù per la sua gola. Guardar ridere Al sarebbe così? L'ultima volta in cui ha riso di fronte a lui - prima dell'armatura - aveva nove anni e un collo sottilissimo e infantile da giunco; sul collo di Alfons il pomo d'Adamo è marcato e sussulta lieve. Ha un velo di barba dorata a sporcargli la pelle liscia.
Smette di ridere, Alfons, per osservarlo con una curiosità un po' perplessa:
- E' una domanda seria? -
- Serissima. -
Alfons pare pensarci su. Forse si chiede se lo sta prendendo in giro.
- Un fisico studia le leggi che regolano questo Universo. - Spiega alla fine. - Le forze e le masse e la materia. E poi, io sono anche un ingegnere. -
Un fisico è un alchimista, pensa Ed. Forza e massa e materia. Sa che cos'è un ingegnere: qualcuno come Winry. Ci sono grosse macchine, qui, macchine che volano e macchine che camminano dentro al mare, sott'acqua, e macchine che svolgono lavori che ad Amestris non fanno nemmeno gli uomini. Gli ingegneri costruiscono le macchine.
Gli viene da dirsi per un attimo che probabilmente ad Alfons piacerebbe vedere i meccanismi del suo braccio e della sua gamba, e se lo riserva come un jolly, quello, una carta da giocarsi per attirarlo e interessarlo, così che si avvicini a lui.
- Sei qui per costruire il razzo, allora. -
Gli occhi di Alfons si accendono, sfavillanti d'entusiasmo:
- Già! E tu...? - Ed inclina il capo da una parte, l'espressione interrogativa, e Alfons gli domanda: - Sei anche tu qui per il razzo? -
Sono qui per mio fratello. Mio fratello che ha la tua faccia. Mio fratello, perché gli ho promesso che ci saremmo rivisti.
Ed sorride. Disegna con la punta della forchetta un cerchio perfetto sulla tovaglia bianca.
- Io sono qui per le stelle. - Dice.

.13



- Questo è un ugello de Laval. E' una specie di bocca, vedi? - Accovacciato in fondo al razzo, Alfons gli indica il vano di fuoriuscita dei gas di scarico, picchiettando delicatamente con una chiave inglese contro il bordo di metallo pesante. Edward si china accanto a lui per vedere meglio, ma gli occhi continuano a sfuggire verso la mano e verso la chiave, e da lì al suo viso animato e felice.
- Il professor Goddard è stato il primo a pensare che potesse essere utilizzato così. Stiamo ancora cercando di stabilizzarlo per ottenere la giusta velocità dei gas al passaggio nella strozzatura, ma io credo che ormai ci siamo. -
E poi, rialzando occhi accesi e un sorriso tutto denti e allegria verso di lui:
- Volerà. Possiamo usarlo per toccare la Luna, Ed. -
Neanche la luna di quel mondo è la luna del suo, pensa Edward. Ha crateri che lui non riconosce, disegni di vecchi e conigli che non gli sono familiari. Neanche la luna è abbastanza lontana, bisogna andare oltre, oltre, oltre: ma Alfons gli sta sorridendo, e lui non può fare altro se non ricambiare.

- Vuoi andare a vederla da vicino? - Gli domanda dopo un po'; Alfons si è sdraiato supino per terra, incastrandosi tra il razzo e il pavimento, e ora sta stringendo uno dei bulloni del fondo.
- Cosa, Ed...? -
- La Luna. Vuoi andare a vederla da vicino? -
- Non... non precisamente. Mi passi una chiave per raccordi? -
Ed si siede per terra, indifferente alla fuliggine che gli chiazza subito i calzoni chiari, e gli allunga la chiave richiesta.
- Non precisamente è una risposta vaga, Al... - Esita, tentenna. - Ti disturba che io ti chiami così? -
La faccia di Alfons, sporca di nero polveroso, si sporge dal motore per guardarlo. Sorride sempre, luminosamente, pare contento.
- Certo che no. Mi fa piacere. -
Edward si chiede quanto sia giusto continuare in questo modo. Non è Al, quello. Non è Al. Ha il suo nome, ha il suo viso, ma non è Al; è un altro. E' l'Al di questo posto, il posto che lui vuole lasciare. Chiamarlo come fosse suo fratello - pensare a lui come fosse suo fratello - non è saggio.
- Al. - Ripete però.
Non è saggio. Ma è un qualcosa che è troppo caldo per poterne fare a meno.
- Allora? Perché ti interessa tanto far partire questo razzo? -
Alfons sparisce nuovamente sotto al motore, e la sua voce gli arriva ovattata e metallica:
- Perché un giorno cammineremo tutti sulla Luna, Ed. Hai mai letto Verne? -
Edward non ha la più pallida idea di chi sia questo Verne.
- Be', è uno scrittore. Mio padre mi ha regalato Dalla Terra alla Luna quando avevo dieci anni, e... se non l'hai letto non puoi capire cosa sia stato per me. Ci saranno case sulla Luna, un giorno. La gente ci vivrà. Avremo città sulla Luna, porti sulla Luna per salpare da lì e viaggiare verso le stelle, ed io voglio essere parte di tutto questo. -
Un attimo di silenzio, prima che concluda:
- Se non potrò essere Michel Ardan, sarò almeno la persona che gli avrà spianato la strada. -

Ed vorrebbe domandargli lì per lì chi sia questo Michel Ardan e perché Alfons pensi di non poter essere lui - e perché, soprattutto, la sua voce suoni così indescrivibilmente triste mentre ne parla - ma poi Alfons gli chiede di passargli una chiave da sette e il discorso si chiude così.
La comprensione di tutte le cose gli arriva la sera stessa, ad ogni modo, sotto forma di un'inaspettata boccata di sangue sul fazzoletto premuto contro la bocca di Alfons.

I tisici non hanno vita bastante a toccare la Luna.

.21



All'inizio della terza settimana camminano per le strade di Sibiu e Alfons scappa in una grossa libreria dalle vetrine polverose; ne esce cinque minuti più tardi con un pacchetto tra le mani e un rotolo sottobraccio.
- Per te. - Dice, cacciando tutto tra le mani di Ed.
Nel pacchetto c'è un sestante d'ottone. Il rotolo è una mappa del cielo: ci sono tanti nomi di stelle che lui non conosce riportati in una lingua che Alfons sostiene essere latino, le costellazioni disegnate in linee grigie sullo sfondo blu.
- Non posso portarti più vicino alle stelle di così, per ora, perciò accontentati. - Ride Alfons.
Edward sente qualcosa di pesante come un sasso depositarsi nel fondo della sua gola, ed è strano, una sensazione stranissima, perché all'interno del suo stomaco c'è una cometa che al contrario scintilla e scoppietta e si leva verso il cielo. Vorrebbe ridere con gli occhi che gli bruciano, e invece afferra Alfons per un braccio e lo trascina di nuovo nella libreria per ricambiare il regalo.
Trovano i racconti de L'isola misteriosa su uno scaffale di fondo. E' un'edizione in tedesco. Alfons non l'aveva mai letto, prima.

.37



Alfons dorme di un sonno agitato di tosse sulla branda nella loro stanza. Oltre la finestra è pieno di nuvole e stelle: sembrano vicine tanto da poterle toccare e invece, se anche cerca d'afferrarle con la mano di metallo, si ritrova sempre con le dita piene d'aria.
Potrebbero volerci decenni per il razzo. Potrebbe non volare mai. Potrebbe volare, ma solo tra cento anni, e lui sarebbe già morto per allora. Al è sempre lì, solo dall'altra parte delle stelle, ma stanotte arrivarci sembra impossibile.
Seduto sul davanzale, si porta le ginocchia al petto e serra le braccia attorno alle gambe per farsi il più piccolo e caldo che sia possibile. Se chiude gli occhi, immerso profondamente nel silenzio verde e come liquido della casa addormentata, sente solo il battito scomposto del proprio cuore.
Ed non sa bene di chi sia il corpo che occupa ora. Ne riconosce le cicatrici, gli arti che mancano, tutti i segni sulla schiena e poi quell'altro segno, sul ventre, dal quale la morte è entrata. E' un corpo come era il suo, che però potrebbe essersi perso dentro il Portale. Potrebbe essere stato fatto con il corpo dell'altro Edward, questo, l'Edward che è rimasto schiacciato dal dirigibile in fiamme. Potrebbe essere...
… potrebbe essere stato fatto con il corpo di Al.
E' suo il battito che sente?
Nel buio tutti gli altri suoni si perdono.

.52



- Tu credi che esista un altro mondo, oltre questo? -
- Parli del Paradiso, Ed? Credevo che tu... -
- Non è un paradiso. C'è la guerra, e gente che se ne approfitta, e un sacco di bari, bugiardi e imbroglioni. Persino le brave persone mentono. -
- … Ed? -

.53



- E' il posto da dove vieni, Ed? -
- E' il mondo dal quale vengo. -

Alfons gli crede, pensa Ed. Oh, Alfons gli crede: almeno una parte di lui, sì, ne è convinta.
Ed è quello il problema.

.54



- Vorresti fare qualcosa per tornare lì? -
- Sono... sono qui per questo. -
- Per il razzo? Pensi che... -
- Io non lo so. -

- Ma hai detto che c'è la guerra, lì, e qui non c'è. Perché dovresti voler tornare indietro? -

Sono state seminate troppe cose alle spalle di Edward perché lui adesso possa lasciarle andare.

.62



Non hanno più parlato del mondo di Ed.

C'è la prima prova di lancio del razzo, oggi, e sono tutti fuori a guardare il cielo. Le nuvole scivolano tra le montagne, scendono a valle, toccano la terra. Manca la distanza dal vento, lì, manca il sole: ma è bello anche così, è più argento che grigio, in un crepuscolo senza stagioni che attraversa le vertebre rocciose della Romania.
Con gli occhi puntati sulla nuca di Alfons, Edward è l'unico a non tenere la testa sollevata.
Si dice per un attimo che è la tensione, è naturale, ma sa che in realtà è solo perché lo capirà lo stesso. Gli basterà la nuca di Alfons, il collo di Alfons, quello spicchio minuscolo del suo viso che vede dalla posizione che si è scelto: gli basterà a comprendere se sta sorridendo, se è crucciato. E' Al, quello. E' Al. Lo conosce come conosce sé stesso.
Si rende conto di cos'ha pensato, subito dopo, e inorridisce.
Oh, Dio. L'ha fatto di nuovo.
Non è Al, non è Al.
- Non sei rimasto a guardare il lancio. - Mormora Alfons, quella sera, in stanza.
Edward non lo guarda: tiene gli occhi fissi sul libro e abbozza una scrollata di spalle lieve. Pensa che potrebbe chiudere la conversazione così, ma poi Alfons si gira; Ed lo sbircia al di sopra delle pagine senza farsi notare e gli trova addosso le spalle più tristi che abbia mai visto.
Dannazione.
- Era inutile che restassi. - Commenta tranquillamente. - Sapevo che sarebbe andato tutto bene: c'eri tu a costruirlo, quel motore, no? -
Se fosse Al lo guarderebbe con disappunto, adesso. Gli direbbe qualcosa come non mi comprerai con così poco, fratellone, oppure non direbbe niente e gli terrebbe semplicemente il muso. Ma quello non è Al, è Alfons, che suo malgrado piega la testa da una parte e gli sorride:
- Non è regolare che tu mi faccia questo, Ed. Si chiama barare. -
Stanno barando tutti e due, pensa Edward. Il sollievo che prova quando lo vede sdraiarsi sul letto, guardarlo e sorridergli sempre è una colata, un'inondazione, un mare di qualcosa di tiepido e liscio che gli riempie lo stomaco, non ha asperità, non ha spigoli, nulla. E' morbido.
Stanno barando tutti e due: è solo che Alfons non è consapevole di farlo. Non può esserlo, perché Ed non gli ha ancora detto di Al. Non sa se lo farà mai.

.71



Alfons si tossisce fuori anche l'anima, certe volte. Alla luce del sole in genere va molto meglio, e ci sono giornate nelle quali è come se la tisi non ci fosse, ma le notti sono tutta un'altra storia. Gli sembrano sempre infinitamente lunghe.
Traghettarsi dal tramonto all'alba con Al che cerca di tirare il fiato in lunghi ansimi sibilanti - pare che risucchi più acqua che aria, a tratti, densa e pesante e a fatica - è intollerabile.
Winry era brava a trattare con i deboli, i malati, i feriti. Winry aveva un tocco gentile, una voce dolce. Winry è una fitta lacerante di nostalgia ogni volta che ci pensa, Winry che l'ha riparato, Winry che gli ha restituito un braccio e una gamba e che lo ricostruiva tutte le volte, come Dio, meglio di Dio, tutte le volte che lui tornava a casa con un pezzo mancante. Winry era brava a trattare con i malati, ma Ed è un disastro. Prova pena e dolore e un pizzico di panico sepolto in mezzo a tutto il resto, paura di fare o dire la cosa sbagliata, paura di essere inutile. Vorrebbe aiutarlo, Alfons. Vorrebbe svuotargli i polmoni dal liquido e dal sangue, drenarlo fuori e costringerlo a sputare tutto quel che di marcio ha dentro, guarirlo, ma non si può, pensa; e poi, dolorosamente, riflette che è proprio come veder marcire Al.
Si sveglia quando lo sente tossire: rimane con gli occhi spalancati mentre la crisi affronta indecisa i primi colpi, prende sicurezza, si acutizza, gli gratta la gola e la bocca e i bronchi, tutto, raggiunge l'apice e sembra che Alfons si stia strozzando; e poi la tosse allenta la presa, piano piano, e viene da piangere per quanto sembra pieno di sollievo il suo respiro, poi.
Edward non riesce a riprendere sonno. Vorrebbe dormire: chiudere gli occhi, sognare. Nei sogni torna sempre indietro, c'è il deserto pieno di luce e la terra bella di Resembool, nuvole e una mano luccicante sollevata a fargli schermo dal sole. C'è Al che ride; da qualche parte Winry salta alla corda. Qualcuno gli consegna un orologio d'argento, lo schernisce, ma poi sono in piedi vicino ad una cascata e la stessa persona che lo ha ferocemente deriso per anni gli sta chiedendo perché non si sia fidato di lui. Gli dice che deve fidarsi. Che lo proteggerà.
Edward non ricorda che nessuno dopo Trisha gli abbia mai dato l'impressione di poterlo proteggere. A separarlo da lei sembra siano trascorse due vite, non una: una vita da bambino senza latte e senza padre, poi una vita con un braccio d'acciaio e un fratello per armatura. Questa è la terza, la sua terza vita.
Forse ne avrà nove, come i gatti. Nove vite da attraversare, altre sei vite prima della fine, altri sei milioni di persone per le quali potersi straziare.

Ascolta Alfons respirare fino al mattino.
Se resta sveglio ha l'impressione di poter acchiappare la tosse al volo, se la sentirà tornare, di poterla stringere e strangolare, così che lo lasci in pace.

.80



Il giorno della seconda prova del razzo è uno di quei giorni nei quali sembra che la tisi non esista. Stavolta guardano tutti e due verso il cielo, ed Ed è accanto ad Alfons in prima fila. C'è un filo di sole, appena appena, sottilissimo, che filtra tra le nuvole più chiare a nord.
Si appoggia con la spalla ad Alfons, ed ha un brivido quando s'accorge che non gli sembra strano, affatto: è la spalla di Alfons - la spalla di Al, Alphonse, il suo fratellino - ed è dieci centimetri più in alto della sua.
Però è normale che sia lì. E' - è il suo posto.

Dieci centimetri più vicina al cielo.

.87



Arriva un mattino in cui Edward si sveglia perché il sole l'ha colpito in faccia - è passato attraverso i vetri e c'è un cielo perfettamente azzurro, oggi, come l'acqua, come il cristallo, sembra sia la prima mattinata di bel tempo che vede da quando è arrivato in Romania - ed ha la testa piena del ricordo del suo ultimo sogno.
C'era Al, sicuro. Camminavano e il razzo volava sopra le loro teste: si era girato per dirlo a suo fratello, per spiegargli che ce l'aveva fatta, solo per lui, che aveva viaggiato, solo per lui, e si era accorto che era Al, quello accanto a lui, ma Alfons.
E non aveva provato nessun dolore al pensiero dello scambio.

.93



- Potrei leggerti qualcosa. -
Alfons ha la febbre, stanotte. La tisi va e viene come al solito, ma ogni volta che viene ha sempre più le sembianze di una padrona scontenta: insistente, feroce e cattiva.
- Dovresti dormire, Ed. - Obietta Alfons alla sua proposta, gentilmente. - Davvero. E' quasi l'alba. -
- Non ho molto sonno. Potremmo leggere, uh... che libro è questo? -
Ne ha pescato uno a caso dal mucchio di quelli di Alfons. Ne ha a decine, a tonnellate, ma Edward ne è stranamente poco attratto: il fatto è che non sono saggi, quelli, niente a che vedere con la conoscenza e lo studio, l'universo e la sapienza e il costruire, ma romanzi e racconti di un mondo che non è il suo. Non li conosce. Lo infastidiscono. Questo mondo non assomiglia per niente ad Amestris. Questo mondo non conosce le sue favole.
- Guerra e pace. - C'è una punta di divertimento nella voce rauca e stanca di Alfons, e quando Ed si gira a guardarlo lo vede sorridere. Ha un sorriso candidissimo, come sempre, perso nel viso madido e arrossato. - Una lettura leggera. -
Edward soppesa il libro che ha tra le mani:
- In effetti sembra un mattone. Ne prendo un altro? -
- Li ho già letti tutti. Se non vuoi proprio dormire, non potremmo solo... parlare? -
Alfons ha buttato lì la proposta con una specie di fioca incertezza, ma Edward ripone in fretta il libro, sentendosi infinitamente sollevato:
- Certo! Di cosa vorresti parlare? -
Ancora incertezza.
- Non saprei. -
Non sa neanche Ed. Potrebbero parlare del razzo, ma ne parlano già tutti i giorni, tutte le ore, in ogni momento: è il pensiero che li trascina avanti tutti e due, perché Alfons vuole poter toccare le stelle prima di morire, Ed sta tracciando una via per tornare a casa unendole, quelle stelle, una per una con una penna e un cacciavite.
Potrebbero parlare di... di cosa? Le loro vite si esauriscono nel razzo. Le loro vite finiscono appena dietro le stelle.
- Allora potrei raccontarti qualcosa. - Propone Edward, alla fine, ed Alfons sembra interessato. E' quell'interesse, più che altro, a spingerlo ad aggiungere di getto: - Qualche storia. -
- Qualche storia tua? -
Qualche storia tua. Il bisogno nella sua voce è accecante, cristallino. Qualche storia dell'altra parte. Qualche storia, qualunque storia, qualunque cosa che mi avvicini a te un altro po', solo un altro po'.
Anche Alfons sta cercando di costruirsi una strada: ma la sua termina proprio dietro l'angolo, sbattendo in un vicolo cieco.
Edward lo sa, Edward lo sa benissimo: ma spinge lo stesso una sedia verso il letto di Al e, invece che sedercisi sopra, si sistema sul materasso ed allunga i piedi per poggiarli comodamente sul sedile.
- Una volta io e mio fratello siamo stati mandati dal Colonnello in una città mineraria. Sai, il Colonnello è un tipo strano: è un borioso arrogante e insopportabile, prepotente, ed è anche un po' stupido. E mente. Mente sempre. Però non è una cattiva persona, quando ci hai fatto l'abitudine. Comunque: siamo arrivati in questa città e c'era... -

.94



Quando Edward racconta, Alfons non tossisce.
Forse ha trovato una maniera per strozzare la tisi, pensa Ed.

.95



Di nuovo sogna di Alfons ed Alphonse. Di giorno continua a disegnare strade per le stelle, ma di notte e nel buio le stelle si coprono di nuvole, di vento. C'è il cielo grigio della Romania sopra le loro teste. Lo guardano insieme, tutti e tre, e il respiro di Alfons ed Alphonse è lo stesso, il loro battito un solo battito.
Edward lo conosce benissimo quel battito. E' anche il suo.

.96



- Mi passeresti un paio di bulloni, Al? -
- Che chiave ti serve? -
- La sei, credo. - Trapestio sotto al razzo, un attimo di silenzio, poi una specie di miagolio strozzato e ancora rumore. - Al? - La voce di Edward suona stranamente soffocata. - L'hai trovato, poi, il cacciavite che avevi perso? -
- Non ancora, ma sono sicuro di averlo lasciato qui in giro. Dopo lo cercherò meglio. -
- Non ce ne sarà bisogno. - La faccia di Ed, serrata in una smorfia dolorante e per nulla felice, riemerge al di sopra del motore: - L'ho appena trovato. -
Alfons, che gli dà le spalle, non pare accorgersi di nulla di strano:
- Ah? E dov'era? -
- Prima era buttato per terra. Adesso è piantato nella mia natica. -

.97


- … e poi lui sai cos'ha fatto? Mi ha detto che ero un nan - uh. - La voce gli si strozza in gola. - Un nan... nan... - Sembra non riesca a concludere la parola. - ... che ero, insomma, che sembravo un... -
- Un non alto? - Suggerisce Alfons, cautamente.
Edward corruga la fronte, le labbra schiuse in una via di mezzo tra un principio di ruggito ed un ringhio imbestialito, ed Alfons si rannicchia un altro po' sul letto: dev'essere quasi del tutto sicuro che Edward non gli tirerà un pugno, ma, per l'appunto, quasi.
Con suo immenso sollievo, l'attimo dopo il viso di Ed si distende lentamente in un'espressione d'aperta rassegnazione. Assente a malincuore; e sembra si stia cavando via un dente mentre conferma:
- Un non alto. -

.98



Un altro assaggio di giorni. Ore, minuti. Un altro assaggio di raccontare, di ascoltare, un altro assaggio del viso di suo fratello come sarà a vent'anni - suo fratello che è vivo, lo è, non è morto, è vivo e lui lo ritroverà - il viso di Al e gli occhi di Alfons. Un altro assaggio di sogni dove ci sono tutti, c'è Winry, c'è Pinako e c'è la maestra, con il viso felice, Roy Mustang e il tenente Hawkeye, la signora Glacier tiene da una parte la mano di sua figlia, dall'altra quella di suo marito, non è mai stata costruita nessuna lapide con il suo nome scritto sopra; a guardare in casa Edward vede la coda morbida di sua madre oscillare davanti alle pentole e i capelli lunghi di Hohenheim proprio lì accanto, vicinissimi, senza che lui sappia se gli danno ancora davvero fastidio oppure no - e c'è sempre Alfons con loro, sempre. Non tossisce mai.
Costruire, camminare. Disegnare le stelle e passare la notte a parlare per non lasciarlo soffocare di tosse.
Questo mondo, qualche altro giorno.

.99



Sera.
- Potremmo andare fuori a guardare le stelle. - Propone Alfons. - Non c'è nemmeno una nuvola. -

.100



Questa notte il cielo di questo mondo è come quello del suo, pensa Ed.
Stanno sdraiati a guardare le stelle esplodere in un universo blu topazio: sono polverose, fatte di briciole di luna condensate in un qualche punto tra la terra e il vento, e sembrano disegnare una strada lunga e sottile come un arco, come una freccia, che punta diritta verso il cuore dell'universo. Il bosco buio è acceso di lucciole e di cicale.
Questa notte l'Al di questo mondo è come quello del suo, pensa Ed.
E' lì vicino a lui e non tossisce: ride, scherza. Ha una voce dolce come sempre, ma più sicura di sempre, è alto come sempre, però da sdraiato non si vede. Se lo volesse potrebbe fingere di avere accanto Alphonse, stanotte, perché Al ride così, Al scherza così, Al è così. Ed non vuole. Ed vuole ricordare quale tra i due Al - Alfons - gli ha spiegato chi era Orione, quale tra i due Al - Alfons - gli ha detto che c'era davvero una via nel cielo, e non era fatta di stelle, ma di latte. Quella striscia di polvere di luna è fatta di latte, pare. Bleah.
Vuole ricordarselo, questo, così. Alfons sta sgocciolando via un colpo di tosse alla volta ed Alphonse è perduto dall'altra parte delle stelle. Gli sembra di correre al crepuscolo di qualcosa, su una linea di termine, una conclusione, un confine, ed è sempre troppo più veloce di loro due. Me li sto lasciando indietro, pensa.

- Le vedi quelle quattro stelle lì, Ed? Quelle che formano una specie di trapezio? -
- E' pieno di trapezi, quassù... -
- Io dico quelle. Quelle, le vedi? Ce ne sono quattro e poi altre tre... -
- Eccole, sì. Trovate. -
- Quella è l'Ursa Majoris, l'Orsa Maggiore. -
- Poi mi spiegherai dove ce lo vedi un orso lì dentro. -
- Senti, si chiama così e basta, d'accordo? Le vedi le due stelle in fondo al trapezio? Ecco, se le unisci così... - Le dita di Alfons disegnano sul cielo. - … e poi vai giù, diritto, arrivi a toccare quella grande stella azzurra. Ecco, quella è la Stella Polare. Ti ricordi? La Stella Polare segna il nord, è una specie di bussola del cielo. La usavano i viaggiatori per ritrovare la strada di casa. -
La strada di casa. Sentir ridere Al, Winry. Lasciare Alfons a strozzarsi di tosse qui, da solo, non ascoltarlo mai più raccontare delle città della luna.
Edward chiude la mano a pugno attorno alla stella azzurra e le sue dita serrate la inghiottono, la nascondono.
- E quell'altra stella lì, quella grande, com'è che si chiama, Al? -

Alfons è caldo a cinque centimetri da lui. Respira piano.
Voglio solo un altro po' di tempo.
Restano sdraiati sul prato fino al mattino, ad aspettare il sole nuovo. Nel cielo azzurrissimo verrà l'alba, poi, a nascondere ancora la via delle stelle.






Note dell'autrice:

Questa storia si è classificata seconda al concorso [Multifandom e Originali] Florence + The Machine Contest indetto da MistralRapsody.
Sono particolarmente orgogliosa di questo risultato: è una storia che mi è piaciuto scrivere, sulla quale ho lavorato, e vedere che è stata apprezzata... be', mi fa saltellare.
Scopo del concorso era prendere ispirazione da una canzone dei Florence + The Machine: io ho scelto Cosmic Love (dalla quale è tratta la citazione di inizio racconto.

E' ambientata immediatamente dopo la fine della prima serie dell'anime. Edward è rimasto bloccato dall'altra parte del Portale; in Monaco di Baviera, 1921, dice a suo padre che raggiungerà in Transilvania i professori Goddard ed Oberth e, nell'ultima scena, lo si vede in viaggio su un treno. Dall'altra parte, Alphonse fa la stessa cosa. All'inizio di Il Conquistatore di Shamballa Edward ha già conosciuto Alfons, hanno fatto amicizia, si muovono insieme seguendo sempre questi benedetti studi sui razzi. Ma, nel mezzo...?

Faccio i miei complimenti a shurei, a signorino e ad Harriet, che hanno partecipato con me; in particolar modo ad Harriet, che si è classificata prima. Ringrazio poi di cuore la giudiciA, gentilissima e disponibilissima, che praticamente ha betato questa storia. xD



L'avviso di shonen ai non c'è perché, vista la storia, mi sembrava superfluo. Il rapporto tra Edward ed Alfons è interpretabile a piacimento del lettore: e io preferisco vedervi qualcosa di esclusivamente fraterno.

Nel linguaggio scientifico cosmo è considerato sinonimo di universo, in particolare in relazione al continuum spazio-temporale dentro l'ipotetico multiverso.

(da Wikipedia, l'enciclopedia libera)



Sia Dalla Terra alla Luna che L'isola misteriosa sono opere dello scrittore francese Jules Verne; e Michel Ardan, il protagonista di Dalla Terra alla Luna, è l'esploratore e astronauta che per primo mette piede sul satellite.
Il professor Robert Goddard viene nominato insieme al professor Hermann Obert all'interno della prima serie di Fullmetal Alchemist, ma non credo abbia proposto realmente di usare un ugello de Laval per il lancio dei razzi. L'ugello di Laval è comunque invenzione della seconda metà del 1800, e mi pareva di non fargli torto a metterlo in mezzo. Se qualcuno ha notizie più precise sarò felice di correggere.
A prendere il nome di Orione, eroe appartenente alla mitologia greca, sono insieme un braccio della nostra Galassia - il nostro braccio, il braccio del Sistema Solare - e una costellazione dotata d'una fascia interna di tre stelle (Mintaka, Alnilam e Alnitak), detta la Cintura di Orione, particolarmente brillanti e caratterizzanti. La sua posizione eccezionalmente vicina all'Equatore Celeste la rende visibile praticamente da qualunque punto della Terra per buona parte dell'anno.
E quando Edward parla di una via di latte, ovviamente, sta parlando della Via Lattea, la nostra galassia; ho avuto dubbi per una vera datazione della denominazione, ma alla fine ho deciso di prendere per buona l'ipotesi che il suo uso in ambito scientifico sia di derivazione addirittura Greca (come in diverse leggende dell'allattamento di Ercole da parte di Era), e quindi presumibilmente universalmente conosciuta in Europa agli inizi del Novecento.
  
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