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Autore: Maharet    27/08/2010    6 recensioni
Ginevra è una ragazza come tante. Forse più bella, forse più sola delle altre. Ma la sua vita in fondo è normale. Finché non incrocia due occhi verde muschio che la cambieranno per sempre. 'Lanciò uno sguardo disinteressato a sorvolare le nostre teste. Poi i suoi occhi si posarono su Ginevra, e non si mossero di lì. Non che fosse una grossa sorpresa, in realtà. Tra di noi lei spiccava come un raggio di sole in una mattinata uggiosa. Ma quello che forse solo io notai, con immenso stupore, fu che Ginevra ricambiava lo sguardo. Voltai appena la testa e la trovai come paralizzata, gli occhi sgranati e la bocca socchiusa in un leggero ansito. E capii che qualcosa era passata tra quei due.'
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rafael la strinse forte a sé, affondando il viso nei suoi capelli umidi di sangue e sudore. Respirò a fondo fino a sentire, sotto quel miscuglio dolciastro di odori, quello fragrante della sua pelle. Ora che non lo tratteneva più la consapevolezza di causarle dolore la strinse come se volesse fondere i loro due corpi, superando la barriera della pelle ed unendoli come erano ormai unite le loro anime.
Rimase immobile per un tempo indefinibile, forse appena qualche secondo, forse secoli. Lei era l’ancora che gli impediva di affondare mentre lottava disperatamente per non cedere al panico ed alla disperazione. Non l’avrebbe persa, doveva convincersene pienamente o sarebbe stata la fine per tutti e due.
Nessuno gli aveva mai spiegato la procedura da seguire; gli era sempre stato detto che, al momento opportuno, tutto sarebbe stato assolutamente naturale. Così attese, il viso premuto contro quello di Gin, le mani affondate pesantemente nella sua pelle candida che si stava raffreddando velocemente. Attese fino a quando la voglia di lei fu più forte della paura di perderla, e allora seppe cosa doveva fare.
La scostò da sé delicatamente, adagiandola sulle lenzuola cremisi del suo stesso sangue. Voltandosi indietro più volte, come se temesse di vederla sparire all’improvviso, entrò nella spaziosa stanza da bagno e spalancò il rubinetto dell’acqua calda. Mentre una cascata bollente si riversava nella vecchia vasca da bagno smaltata vi rovesciò dentro quasi mezza bottiglietta del bagnoschiuma preferito di Gin, una fragranza intensa, vagamente speziata.
Lasciò che il profumo si spandesse dolcemente nell’aria, addolcito dal vapore che saliva lentamente dalla superficie dell’acqua. Tornò in camera, fermandosi solo un istante ad accarezzare dolcemente la sua Protetta mentre gli occhi frugavano la stanza in cerca del lettore mp3 della ragazza. Lo scoprì abbandonato negligentemente sul comodino, dove lei l’aveva lasciato la mattina. La prima regola, quando si andava a caccia, era evitare qualsiasi oggetto inutile. Fili e cinghie potevano impacciare un movimento improvviso o, ancora peggio, fornire un appiglio al nemico durante un corpo a corpo.
Afferrò il minuscolo oggetto e lo rigirò un istante tra le mani, indeciso, prima di accostare uno degli auricolari all’orecchio.
Non era un fan accanito di quelle piccole diavolerie. Apprezzava la tecnologia moderna, ma era dell’idea che la musica avesse bisogno di diffondersi in una stanza per poter essere veramente apprezzata. Lo innervosiva sentire suoni che nessuno intorno a lui avvertiva. Tuttavia Gin era così desolata, dopo aver perso il suo vecchio lettore durante un inseguimento, che non aveva resistito alla tentazione di farle trovare sul tavolo della colazione quella cosina argentata grande quanto una scatola di fiammiferi, in grado di contenere molta più musica di quanta Rafael fosse in grado di considerare realmente tale. Era costoso, il meglio che avesse trovato, ma i soldi per loro non erano mai un problema. Le doti di Gabriel, che non potevano essere applicate troppo spesso nei casinò e nelle bische clandestine, avevano trovato un eldorado nelle speculazioni in borsa, garantendo a tutti loro ben più che la mera sopravvivenza. Non si sentiva in colpa per questo. Gli Sterminatori rendevano all’umanità inconsapevole un servizio impagabile, in confronto al quale l’agiatezza delle loro vite era un ben misero compenso.
Perplesso lasciò scorrere varie tracce. Non condivideva i gusti di Gin in fatto di musica, ma non si trattava solo di quello. Quelle canzoni erano vuote, prive di anima. Non erano adatte a riportarla indietro.
La mano si fermò ad un millimetro dal tasto di avanti veloce quando partì la quinta canzone. La musica era intensa, dura, liberatoria. Ma la voce che la accompagnava era quella pura e limpida di un soprano. Il contrasto era intenso e quasi commovente. Aveva trovato la musica giusta.
Con un gesto brusco staccò gli auricolari, abbandonandoli sul pavimento, e collegò il lettore allo stereo, come aveva visto fare tante volte a Gin. Quella musica sconvolgente si diffuse nella stanza, avvolgendoli con la sua primitiva magia. Ricordò vagamente di aver sentito la sua Protetta e Simon parlare a lungo di quel gruppo. Impostò la ripetizione di tutti i loro brani contenuti nel lettore, poco più di una ventina, e tornò verso il letto.

Con delicatezza iniziò a rimuovere i vestiti laceri ed insanguinati dal corpo di Gin, rivelando su ogni centimetro di pelle scoperta nuove abrasioni. Il sangue si era coagulato velocemente dopo la sua morte, tanto che in alcuni punti fu costretto a tagliare semplicemente la stoffa intorno alla ferita, impossibilitato a staccarla completamente. Il suo corpo reagì con un brivido alla visione del corpo di lei, ma nella sua mente la lussuria era relegata in un angolo nascosto, ad urlare senza voce la propria frenesia. Non era il momento per fare simili pensieri; avrebbe avuto tutta l’eternità per desiderare il suo corpo, ora voleva solo la sua vita.
Giunto alla biancheria intima si scoprì improvvisamente incerto e titubante. Non l’aveva mai vista nuda, e aveva la sensazione che lei non avrebbe apprezzato di svegliarsi in quelle condizioni. Spogliarla mentre era incosciente, anche se le sue intenzioni erano più che caste, non gli sembrò la scelta giusta. Così si limitò a rimuovere gli ultimi residui dei jeans laceri dalle gambe nude e si chinò a sollevare Gin tra le braccia per portarla verso la stanza da bagno. Era diverso trasportarla ora che la vita l’aveva abbandonata. Giaceva scompostamente tra le sue braccia, la testa reclinata all’indietro, i capelli arruffati che ondeggiavano dietro di loro ad ogni passo.
La depose nell’acqua bollente che stava già traboccando dalla vasca colma. Sapeva, sebbene nessuno glielo avesse già detto, che il corpo doveva rimanere caldo. Non poteva permettere che continuasse a raffreddarsi. Si sporse sopra di lei a chiudere il rubinetto prima di sistemarla più comodamente, evitando che scivolasse completamente sotto la superficie dell’acqua.
Mentre la voce limpida della cantante duettava con quella potente ed altrettanto bella di un uomo prese a passarle sul corpo la spugna, ripulendo con cura ogni ferita e colorando di un rosa pallido l’acqua tutt’intorno a lei. Con pazienza certosina strofinò ogni centimetro di quel corpo martoriato, soffermandosi a lungo nei punti in cui solo il sapone e l’acqua calda potevano staccare la stoffa residua dalla pelle di lei. La accarezzò con una tenerezza che fino a quel momento gli era rimasta estranea, ormai quasi dimentico del fatto che niente riempiva più quel meraviglioso involucro che aveva contenuto la sua Gin. Nessun pensiero, nessuna paura, solo l’istinto che guidava le sue mani sul corpo pallido della ragazza, in un rito molto più vecchio di tutti loro.
Dovette svuotare e riempire nuovamente la vasca più volte per far scorrere via tutto il sangue che si era raggrumato sul suo corpo e fra i corti capelli neri. Si fermò solo quando la pelle candida spiccò nuovamente, deturpata solo dalle ferite e dai lividi che avevano cominciato a formarsi prima che il cuore di Gin smettesse di battere.
La sollevò nuovamente per avvolgerla in un asciugamano candido più grande di lei. Ignorò il letto sfatto, ormai ridotto ad un macello color cremisi, e si adagiò pesantemente sul vecchio divano sfondato, sempre tenendola tra le braccia, le lunghe gambe distese ed il viso appoggiato al petto di lui. La strinse a sé possessivamente, piantando con forza le dita nei fianchi morbidi di lei. Comunque fossero andate a finire le cose, non sarebbero mai più apparsi lividi su quella pelle delicata. Adagiò le labbra sui capelli umidi e profumati della ragazza, chiuse gli occhi e attese.

Ciò che un tempo era stato Gin fluttuava nell’aria intorno a loro. Ma forse sarebbe stato più corretto dire che ERA l’aria intorno a loro.
Non aveva passato né futuro, quell’entità. Non aveva pensieri né preoccupazioni. Si limitava ad essere nel senso più profondo del termine
Era il ragno che attendeva paziente nell’angolo più nascosto di una invisibile ragnatela, da qualche parte sul soffitto, tutti i sensi protesi ad individuare un seppur minimo movimento, e che d’improvviso si slanciò in una corsa sfrenata lungo quei sentieri creati e conosciuti.
Era la mosca iridescente che si dibatteva furiosamente nella sua prigione appiccicaticcia, inconsapevole del fatto che ogni battito d’ali era un passo verso la distruzione.  
Era la brezza delicata proveniente dalla finestra aperta sulla notte, che scompigliò i capelli di Rafael e accarezzò piano, incerta, il corpo riverso tra le sue braccia.
Era la polvere che si muoveva placida in lente volute di pulviscolo dorato quando la luce del sole morente la colpiva quasi per caso
Era la luce stessa che accarezzava dolcemente il profilo del ragazzo, ignara del dolore che traboccava dagli occhi verdi insieme alla lacrime.
E ciò che un tempo era stato Gin osservò con molteplici occhi i due ragazzi abbracciati, immobili e perfetti come una statua rinascimentale, ad un primo sguardo altrettanto privi di vita. Osservò con gli occhi della mosca le braccia di lui avvolte intorno alla ragazza, incapace di distogliere l’attenzione sebbene il ragno le fosse ormai addosso.
Ricordò quel corpo, ricordò un desiderio spasmodico di essere stretta da quelle braccia forti, di affondare il volto in quel punto preciso, tra il collo e la clavicola, in cui solitamente si può sentire meglio il battito del cuore. Anche se quel cuore non batteva più.
Ricordò il dolore devastante di sapersi null’altro che un dovere per lui, e la disperazione al pensiero che non sarebbe mai stato pienamente suo.
Ricordò la paura folle che qualcuno gli facesse del male, che qualcosa potesse portarglielo via.
E mentre tutte quelle emozioni forti, negative, la straziavano e la spingevano verso la finestra spalancata, verso un oblio improvvisamente voluto ed amato, verso la fine di tutto quel dolore, dalle labbra del ragazzo uscì un sussurro:
- Ti prego piccola… torna da me…
E come un’esplosione ricordò anche tutto il resto.
Ricordò le labbra di Rafael, morbide ed allo stesso tempo quasi brutali in quel bacio che le aveva tolto ogni punto di riferimento.
Ricordò i suoi occhi verdi che non si erano staccati da lei per più di qualche istante, durante il loro ultimo combattimento, traboccanti di un sentimento che non avrebbe mai sperato di potervi un giorno intravedere. Donandole una forza che non sapeva di possedere.
E ricordò le due parole sussurrate appena sul suo collo, poche ore prima, che in un istante avevano cancellato tutto quel dolore. Quelle poche sillabe che voleva disperatamente risentire ancora mille volte.
E ciò che un tempo era stato Gin respinse la forza che la spingeva verso la notte, raccolse i frammenti di sé sparsi per la stanza e precipitò tutto il suo essere verso il corpo inerte che l’aveva contenuta.
E quel corpo spalancò sul mondo i suoi occhi color del cielo e sollevò una mano candida verso il volto chino su di lei.
Rafael…
 Il ragazzo rischiò di lasciarla scivolare bruscamente a terra, tanta fu la sorpresa nel sentirle pronunciare il suo nome. Fissò gli occhi verdi in quelli di lei, incapace di credere all’immenso miracolo di averla di nuovo, viva, tra le sue braccia. Aveva sperato con tutto il cuore che andasse tutto bene, ma, ora che stava succedendo, non riusciva quasi a capacitarsene.
- Gin…
Lei appoggiò dolcemente l’indice sulle sue labbra, impedendogli di continuare. C’era una cosa che doveva assolutamente sapere.
- Hai il coraggio di ripetermelo ora?
Lui esitò solo un istante, confuso, prima che un lampo di malizia si affacciasse nei suoi occhi finalmente sgombri da nuvole. Prese delicatamente tra le mani il volto della ragazza e lo avvicinò al suo, fermando le labbra ad appena un soffio da quelle morbide ed invitanti di lei.
- Ti amo…
Ginevra sorrise appena, appoggiando la fronte a quella di lui.
- Allora ne è valsa davvero la pena di tornare indietro…
E prima che potesse replicare si protese a coprire quei pochi millimetri che li separavano, appoggiando le labbra su quelle di lui. E mentre la stringeva forte a sé, assaporando il gusto di quel primo bacio tra immortali, Rafael si sentì finalmente a casa.

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

E' finita, e ancora non mi sembra vero. Non so se avrò mai più il tempo, o l'ispirazione, o entrambe, per scrivere un altro racconto di questa lunghezza. Ringrazio tutte coloro che mi hanno seguito dall'inizio, sopportando una pausa eterna, e chi si è aggiunta man mano leggendo, recensendo, aggiungendo questa storia tra le preferite o le seguite. Non posso promettervi nulla, la mia vita incasinata al momento non me lo permette, ma spero di ricominciare presto a scrivere, e ritrovare qualcuna di voi tra le pagine di un nuovo racconto. Grazie mille, di tutto. Un bacio, Cla

   
 
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