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Autore: Katie88    01/09/2010    19 recensioni
Ecco a voi l'ennesima storia su una ipotetica sesta serie, dopo la tristissima 5x13. So che ci sono già moltissime fanfiction sullo stesso argomento, ma ho voluto comunque dare la mia versione. Spero che vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa è la mia prima fanfiction su Queer As Folk, non ho idea di come sia uscita o di come io abbia avuto la malsana idea di pubblicarla, fatto sta che ho scritto il primo capitolo quasi di getto. Non è altro che una continuazione della serie, una specie di sesta stagione (in attesa che venga davvero realizzata ç_ç), curiosa e ansiosa di descrivere le vite dei nostri amati dopo la 5x13. Inutile dire che ci sono spoiler e che accetto ogni tipo di critica e consiglio, spero solo che vi piaccia e che io riesca a rendere perfettamente giustizia a questo meraviglioso telefilm che mi ha davvero cambiato la vita.

 

 

 

 

1. When Dreams Come True

 

 

 

“Mi lasci esprimere la mia piena ammirazione e stima al grande artista che ha incantato Toronto.” Justin sorrise imbarazzato abbassando lo sguardo.

“E non mi dica che sono il primo! Non riesco a credere che qualcuno col suo talento non sia abituato ai complimenti!”

“Justin è sempre molto modesto.” Scherzò Steve lanciando un’occhiata divertita al suo amico. “Non ama molto trovarsi al centro dell’attenzione.”

Il signor Summers scoppiò in una fragorosa risata. “Allora credo proprio che abbia sbagliato mestiere!”

Steve cercò di non ridere, ma si beccò ugualmente un’occhiataccia di Justin. “Sono lieto che apprezzi il mio lavoro, signor Summers. La sua approvazione è un onore.”

L’uomo di mezza età davanti a lui fece un cenno col capo. “Mia figlia è rimasta totalmente rapita dai suoi capolavori. Meredith è una studentessa d’arte.” Spiegò orgoglioso. “Anzi, in tutta sincerità è stata sua l’idea di trascinarmi qui. Era così elettrizzata di assistere alla mostra del nuovo genio dell’arte contemporanea!”

Justin arrossì appena. “Ringrazi tanto anche lei allora. È merito suo se il famoso Edmund Summers ha trovato del tempo da dedicarmi.”

Summers rise di nuovo. “Oh, Taylor! Devo proprio ammetterlo! Lei ci sa fare!”

Steve sorrise soddisfatto: avere uno come Summers tra i sostenitori non poteva che essere un bene per la carriera di Justin; se poi anche sua figlia era una sua ammiratrice era meglio ancora! Le ragazze avevano un debole per la sua aria da bravo ragazzo.

“Per Justin sarebbe un piacere conoscere sua figlia.” Suggerì candidamente.

Justin inarcò un sopracciglio e fece per ribattere, ma Summers lo anticipò. “Vado subito a cercarla. Dev’essere qui da qualche parte.”

Steve annuì appena. “Non vediamo l’ora.”

L’uomo sorrise un’ultima volta ai due ragazzi e si allontanò con passo traballante verso il centro della sala, il quarto bicchiere di champagne ancora saldamente stretto nella mano destra.

Justin aspettò che l’uomo fosse fuori portata d’orecchi prima di voltarsi furioso verso Steve. “Si può sapere che cazzo vuoi fare?”

Steve estrasse il suo palmare. “Mi occupo della tua carriera, Justin. Non è per questo che mi hai assunto?”

“Appunto! Devi occuparti della mia carriera, non della mia situazione sentimentale!”

“Nessuno sta cercando di accasarti, Justin. Rilassati.” Steve afferrò al volo una delle tartine ai gamberi che i camerieri portavano qua e là e gli sorrise tranquillo. “Se riesci ad accaparrarti il favore di uno come Summers, sei a posto. È lui che detta legge qui a Toronto!”

“Già.” Justin lo guardò scettico. “Ma voglio che Summers mi apprezzi per i miei quadri e per il mio talento, non perché me la faccio con sua figlia!”

“Non devi fartela davvero con sua figlia! Cerca solo di essere… gentile.”

Justin incrociò le braccia al petto visibilmente scocciato. “Gentile?”

“Si, gentile, Justin; falle qualche complimento, offrile un drink, regalale una delle opere, fai quello che vuoi… Basta che quella ragazza stasera esca di qui innamorata pazza di te.”

Justin scosse la testa e voltò le spalle al suo amico; Steve lo seguì. “Sai che non lo farò; mi conosci ormai.”

Steve sbuffò. “Hai idea delle possibilità che avremmo qui grazie alla raccomandazione di Summers? Tutte le più famose gallerie di Toronto sarebbero disposte ad uccidere per avere una tua mostra!”

“Non ho bisogno della raccomandazione di nessuno, io!” Scattò nervoso, cercando di mantenere bassa la voce. “Sono arrivato fin qui con le mie sole forze, senza l’aiuto di nessuno. E continuerà così; se le cose andranno male, vuol dire che me ne tornerò a New York!”

Steve lo afferrò per un braccio. “Justin, ascolta. So quanto tu sia eticamente corretto.” Fece una mezza smorfia di disgusto che nonostante tutto fece sorridere Justin. “Però so quanto talento hai; e se Summers può aiutarti, almeno all’inizio,” si affrettò a precisare davanti all’espressione omicida del suo cliente “a farti conoscere, perché non approfittarne?”

Justin roteò gli occhi. “Perché lo dico io! E io sono quello che paga il tuo stipendio, Steve! Quindi chiudi il becco!”

Steve alzò le mani in segno di resa. “Come vuoi, sei tu il capo. Cercavo solo di renderti ricco e famoso; ma se vuoi tornare a disegnare fumetti in una squallido negozietto di Pittsburgh, fai pure. Tua madre sarà felice di riaverti a casa.”

“Hai finito?” Chiese Justin spazientito, trangugiando in un sorso un bicchiere di champagne.

“E sono sicuro che anche la tua ragazza ne sarà entusiasta.”

Justin sorrise gentile a due signori dall’aria distinta che gli fecero i complimenti e continuò a camminare. “Daphne è la mia più vecchia amica; è come una sorella per me.”

“Se io avessi una sorella del genere, sarei sicuramente a favore dell’incesto, credimi.”

“Cazzo se sei disgustoso, Steve.”

Steve ghignò divertito. “Ma dimenticavo che tu non apprezzi il fascino femminile come me.”

“Come una maniaco sessuale, intendi?” Lo stuzzicò Justin.

“Signor Taylor!”

Justin e Steve si voltarono verso il curatore della mostra che camminava affannato verso di loro.

“Signor Taylor, quasi non la trovavo in questa bolgia.”

Justin sorrise all’uomo. “Tutto bene? È successo qualcosa? La vedo agitato.”

L’uomo sorrise scuotendo la testa. “Volevo chiederle se fosse disponibile ad incontrare una mia cara amica, anche lei curatrice di mostre; ne sarebbe davvero onorata.”

“Mi dispiace.” S’intromise immediatamente Steve. “Sa che Justin, per contratto, non è più disponibile per altre gallerie.”

“Ma…” Balbettò l’uomo. “Lei mi ha… mi ha detto che la conosce già.”

“Davvero?” Chiese Steve scettico. “Non credo davvero sia possibile.”

“Si chiama Petersen, Lindsay Petersen.”

Steve scosse le spalle. “Spiacente, non conosciamo nessun Peterson.”

“Linz?” Domandò Justin spalancando gli occhi. “Linz è qui?”

Steve si voltò stupito verso di lui mentre l’uomo sorrideva allegro. “Ha sentito che era in città e si è precipitata alla sua mostra.”

“Non posso crederci!” Disse Justin incredulo. “Dov’è?”

Il vecchio curatore fece per parlare, ma una voce ben nota a Justin lo anticipò.

“Ehi grande artista!” Lo chiamò la voce divertita di Melanie. “Hai un minuto per due vecchie amiche?”

Justin sorrise raggiante correndo incontro alle sue amiche e abbracciandole con slancio. “Ragazze! Che bella sorpresa!”

Melanie schioccò un bacio sulle guancia di Justin mentre Lindsay continuava a stritolarlo nel suo abbraccio. “Come stai? Dio, ma quanto tempo è passato?”

Justin si staccò finalmente dalle due ragazze sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi contagiosi. “Quasi due anni. Dall’ultima volta che ci siamo visti a Pittsburgh.”

Melanie gli scompigliò i capelli, un po’ lunghi sulle orecchie come li aveva già portati in passato. “Sei diventato ancora più bello.”

Justin scosse la testa. “Mi sembra di sentire mia madre.”

Lindsay gli sorrise affettuosa. “A proposito di mamme… “ Si guardò intorno “Mel dove sono finiti i bambini?”

Melanie indicò le poltroncine in un angolo della sala e sorrise a sua moglie. “Erano stanchi di girare qua e là e si sono seduti laggiù.”

“Ci sono anche i bambini?” Chiese Justin sorpreso.

Lindsay annuì. “La babysitter ci ha bidonato all’ultimo momento.”

“Ti andrebbe di rivederli?” Gli chiese Melanie.

Justin esitò per un istante, incerto su quello che avrebbe dovuto fare.

Certamente aveva una voglia smisurata di rincontrare Gus e Jenny Rebecca, di vedere quanto fossero cresciuti, di capire se si ricordassero ancora di lui, di quello strano tizio che anni prima li aveva riempiti di regali.

Eppure non era certo di averne il coraggio.

Con Jenny Rebecca era stato amore a prima vista fin dalla prima volta che l’aveva tenuta tra le braccia, così morbida e profumata, così dolcemente innocente; ormai avrebbe dovuto essere una bella signorina di quasi tre anni, con gli occhi scuri di Michael e i capelli ramati di Mel. Quante volte mentre vagava di notte per le vie illuminate di New York aveva pensato a lei?

Porca puttana, certo che gli andava di rivederla, ma il vero problema era un altro.

Perché per quanto amasse incondizionatamente Jenny Rebecca, che tuttavia conosceva ben poco, era Gus che non vedeva l’ora di rincontrare.

Gus, quel piccolo bambino dallo sguardo sveglio e dal sorriso contagioso che aveva visto nascere. Nel vero senso della parola.

Se ripensava a quella notte in cui era andato in ospedale per la sua nascita, il cuore iniziava quasi a fare male tanto batteva forte; la stessa notte in cui tutta la sua vita era cambiata.

O iniziata, dipendeva dai punti di vista.

Avrebbe avuto il coraggio di rivedere quel meraviglioso bambino che gli ricordava la sua vecchia vita? Quella fatta di nottate al Babylon, pranzi domenicali da Debbie e giornate passate al Diner? Lo stesso bambino che, anno dopo anno, diventava sempre più uguale a suo padre?

Sospirò piano e cercò di sorridere.

Il suo bellissimo papà.

Scosse la testa e cercò di scacciare quei pensieri troppo dolorosi. Pensare a lui era troppo doloroso. “Sarei felicissimo di rivedere i bambini.” Cercò di suonare il più convincente possibile.

Mel e Linz gli sorrisero radiose. “Hai da fare dopo la mostra, grande artista?”

 

 

 

 

 

“Dio, avevo dimenticato quanto eravate brave in cucina!” Justin trangugiò un boccone di arrosto, leccandosi le labbra. “Davvero ottimo!”

Linz sorrise, accomodandosi a tavola. “Sono contenta che ti piaccia, tesoro.”

“E scommetto che non mangi qualcosa di sano e fatto in casa da almeno un mese.” Mel gli lanciò un’occhiata di traverso.

Justin sorrise. “Due, veramente. Dall’ultima volta che mia madre è venuta a trovarmi.”

Le due donne si scambiarono uno sguardo. “Una volta ti piaceva cucinare.” Gli ricordò Mel.

“Adesso sono un’artista, Mel.” Justin cercò di assumere pose da grand’uomo facendo scoppiare a ridere entrambe.

“Giusto, Mel.” Linz gli diede scherzosamente manforte. “Il piccolo Justin non ha tempo per cucinare. È un artista adesso.”

“Oh ma smettila di darti tutte queste arie!” Mel gli lanciò un tovagliolo beccandolo in faccia. “Per me rimarrai sempre il ragazzino timido e sorridente che si presentò in ospedale alla nascita di Gus!”

Justin scoppiò a ridere. “Oddio, se penso che sono già passati sette anni mi sento improvvisamente vecchio!”

Linz ridacchiò. “Se ti senti vecchio tu, noi dovremmo essere due cariatidi!”

“Ehi! Parla per te!” Si risentì Mel, ridendo.

“Mamma, Gus ruba la mia bambola!” Jenny Rebecca entrò di corsa in salotto strillando a squarciagola, seguita da suo fratello.

“Zitta, spiona!” La sgridò Gus rincorrendola.

La bambina si gettò in grembo a Linz mentre Gus corse di filato da Melanie. “Mamma, Gus è un prepotente!”

“E tu sei una mocciosa petulante!”

“Cattivo!”

“Viziata!”

“Adesso basta!” Gridò Mel cercando di sovrastare le loro urla; i bambini parvero calmarsi, ma rimasero a guardarsi in cagnesco. “Gus, restituisci la bambola a tua sorella!”

“Ma, mamma…”

“Subito, Gus.” Ribadì Lindsay.

Il ragazzino sbuffò contrariato e lanciò la povera bambola ai piedi della sorellina che gli fece una linguaccia prima di agguantarla e metterla al sicuro tra le sue braccia.

“Si può sapere che ti è preso?” Domandò Mel al suo primogenito. “Non è da te comportarti così.”

Gus incrociò le braccia al petto e mise il broncio. “Papà dice che devo farmi rispettare da Jenny perché lei è una femmina e l’ha sempre vinta. Anche nonna Debbie le dà sempre ragione.”

“E quindi devi fare il prepotente e romperle tutti i giochi?”

Lui scosse le spalle. “Papà ha detto di trovare il punto debole del nemico e di sfruttarlo. Solo così si vince.”

Mel inarcò un sopracciglio e guardò sua moglie di traverso. “Io sono sempre stata contraria alle visite dei bambini a Pittsburgh.” Indicò Gus. “E forse avevo ragione.”

“Io voglio andare da papà.” Confessò placida Jenny Rebecca, lo sguardo ancora fisso sulla sua bambola ritrovata.
Linz le accarezzò i capelli sorridendole appena. “Lo so, amore. E prometto che presto torneremo a trovare papà e Ben.”

“E Hunter?” Chiese Gus preoccupato.

Linz annuì. “Promesso. E anche zio Emmett, zio Ted e i nonni.” Lanciò un’occhiata significativa a Mel. “Vero, mammina?”

Sua moglie sbuffò contrariata, roteando gli occhi. “Io ci rinuncio.”

Justin ridacchiò inforcando una patata arrosto. “Mi mancava tutto questo.”

Jenny Rebecca si precipitò di nuovo su per le scale seguita a ruota da suo fratello che ancora le gridava contro. Linz si sporse verso la scalinata e gridò al suo primogenito di lasciare in pace la piccola.

“Cosa?” Chiese Mel sorseggiando il suo viso. “Le grida, le liti, la confusione…?”

“Si.” Justin sorrise. “E anche voi due. E Gus. E Jenny Rebecca.”

Linz tornò a tavola e gli scompigliò i capelli. “Anche tu ci sei mancato, Topino.”

“Oddio!” Justin scoppiò a ridere strozzandosi quasi con l’acqua. “Erano anni che non sentivo quel nomignolo!”

Le due donne risero. “Noi invece lo sentiamo spesso.”

“Si, praticamente tutte le volte che andiamo da Debbie.” Specificò Mel. “Chiede sempre di te.”

“Se qualcuno ti ha sentito, ti ha visto…”

“… se mangi abbastanza…”

“… se sei felice…”

“… se qualcuno ti tratta male…”

Justin abbozzò un sorriso. “Tipico di Debbie.”

Mel annuì. “Si è sempre preoccupata per te; sei sempre stato il più giovane nella nostra… strana famiglia.”

“Ma anche il più forte e tenace.” Linz gli offrì un’altra porzione di pasticcio. “Sei riuscita a realizzare tutti i tuoi sogni.”

Justin sorrise. “Direi di sì.”

“E a proposito di sogni.” Mel gli rivolse un’occhiata furbesca. “Chi era quel bel ragazzo con cui passeggiavi alla mostra?”

Linz trattenne a stento un sorriso. “È davvero un bel bocconcino.”

“Oh, per favore!” Justin roteò gli occhi non credendo alle sue orecchie. “Steve è solo un amico.”

“Si, certo…” Fece Mel accondiscendente. “Un amico carino.” 

“Si, Mel, un amico carino, gentile ed etero.”

Linz ridacchiò. “Bè, mai dire mai, tesoro.”

“È il mio manager. Si occupa della mia carriera e nient’altro.”

“Potrebbe anche espandere i suoi orizzonti.”

Justin scosse la testa. “Credetemi, Steve è la cosa più etero che abbia mai messo piede su questa terra.”

Linz sospirò. “È un vero peccato, comunque.”

“Io credo di no. Steve non è la persona più affidabile del mondo.” Si strinse nelle spalle. “E nemmeno la più fedele.”

Mel gli sorrise. “E tu puoi avere di meglio; anzi devi avere di meglio. Sei una persona meravigliosa, e tu lo sai.”

“Grazie.” Disse Justin arrossendo. Si asciugò la bocca col tovagliolo color crema e ricambiò il sorriso. “Allora, che si dice di nuovo a Pittsburgh? Ci sono novità? Altri amici che si apprestano a percorrere la navata?”

Linz rise. “No, per il momento Michael e Ben sono stati gli unici.”

“E credo lo rimarranno.” Precisò Mel. “Non ci sono più i gay romantici di una volta.”

“Come stanno?” Chiese Justin rilassandosi contro lo schienale della sua sedia.

Mel si alzò e iniziò a raccogliere i piatti. “Tutti bene; sai come sono. Sempre in giro a divertirsi e a fare baldoria.”

“Anche se un po’ meno che in passato.” Linz ridacchiò. “Non sono più dei giovanotti.”

“Se ti sentissero…” Justin sorrise immaginandosi le loro facce.

“Comunque Linz ha ragione.” Mel si riaccomodò a tavola. “Michael e Ben sono sempre più innamorati…”

“… alle volte fanno venire la carie persino a noi!” Sussurrò Linz scioccata.

“… Hunter non è più scappato, per la loro sanità mentale, Ted e Blake sembrano ancora due piccioncini in luna di miele e Emmett… bè, Emmett è il solito Emmett! Sempre stravagante e sopra le righe.”

Justin incrociò le braccia al petto. “Sono contento che almeno lì le cose siano sempre le stesse. In qualche modo mi sento rassicurato.”

Mel e Linz gli sorrisero, prima di scambiarsi un rapido sguardo pieno di imbarazzo; Justin le liberò dall’impiccio, sapendo benissimo quale argomento avevano paura di intavolare con lui. Si schiarì la voce. “Volete dirmi come sta oppure avete paura che possa dare di matto e uccidervi tutti?”

Linz si morse il labbro nervosa torturandosi le mani. “Non… non sapevamo se…”

“… potevate nominare l’Innominabile?”

Mel annuì. “Temevamo che non avresti apprezzato.”

Justin posò le mani sulle loro braccia per rassicurale. “È solo una relazione che è finita male; una storia come tante nel mondo. Non dovete preoccuparvi.” Mentì, ben consapevole di farlo. Ormai era diventato bravo a ripetersi quel mantra; peccato che non lo avesse mai aiutato.

“Sai che non è così.” Lo contraddisse Lindsay.

Mel guardò seria Justin e gli strinse la mano. “La vostra non è una storia normale. Non lo è mai stata.”

Justin deglutì a fatica e provò a sorridere, nonostante l’ormai familiare e lancinante dolore al petto. “Già.”

Lindsay si alzò e prese una delle foto sistemate con cura sul mobile scuro alle sue spalle; era posata dietro tutte le altre, quasi completamente nascosta. Justin si chiese se fosse finita là dietro a causa della sua visita di quella sera. Gliela porse sorridendo. “Non è cambiato molto.”

“È sempre lo stesso coglione cinico e egocentrico.” Puntualizzò Mel beccandosi un’occhiataccia di Lindsay.

“Sono lieto di sentirlo.” Disse sincero Justin, ammirando la foto stretta tra le sue mani.

“L’ultimo compleanno di Gus. “ Spiegò Linz.

C’era Gus in primo piano che soffiava le candeline mentre un Brian dall’aria scocciata gli teneva le mani sulle spalle. Sorrise; come al solito stava cercando di non far vedere quanto fosse diventato sentimentale e quanto in realtà amasse suo figlio. Lui era Brian Kinney! Non avrebbe mai potuto mostrare l’affetto sconfinato che provava come qualunque altro genitore normale. Non sarebbe mai stato patetico, avrebbe chiarito se fosse stato lì con loro. “Probabilmente stava dando di matto contando le candeline sulla torta…”

Mel ridacchiò. “Soprattutto quando si è reso conto che se Gus aveva sette anni lui era già arrivato a quota trentasei.”

“Dev’essere stato uno shock per lui.” Scherzò Justin, senza staccare gli occhi dalla foto. Col pollice sfiorò appena il volto di Brian mentre un groppo fastidiosamente noto gli si formava in gola. Possibile che fosse diventato anche più bello in quei due anni?

Linz lo guardò intenerita; forse non era stata una buona idea mostrargli quella foto. “Ti va un po’ di dolce?” Chiese per cercare di alleggerire l’atmosfera.

Justin annuì, restituendole la foto. “Volentieri, grazie.”

La donna si alzò e si diresse verso la cucina, risistemando la cornice al suo posto. Mel si voltò verso sua moglie sorridendole appena, prima che questa sparisse nell’altra stanza; poi rivolse un’occhiata affettuosa a Justin. “Tutto okay?”

Il ragazzo le sorrise incerto. “È che… è successo tutto in fretta, non me l’aspettavo.”

“Intendi noi?”

“Intendo tutto.” Appoggiò la schiena contro la sedia. “Prima Toronto, poi voi, Gus, Jenny, la foto…”

Mel gli prese una mano. “Mi dispiace.”

“No, sono contento. Sorpreso, ma contento. Avevo voglia di rivedervi, mi ha fatto bene… Ci sono momenti in cui tutto diventa difficile, in cui non faccio altro che maledirmi per essermene andato, per aver cambiato le carte in tavola…”

“E oggi è uno di quei momenti?”

Justin gli sorrise allegro. “Lo era.”

Mel si alzò dal suo posto e si accomodò accanto a lui. Gli accarezzò i capelli. “Sai che per me sei sempre stato speciale, Sunshine. E non so dirti quanto io sia contenta di averti rivisto oggi.”

“Anche io sono felice, Mel.” L’abbracciò stretta. “Sai ho sempre invidiato l’amicizia tra Brian e Linz… era così naturale, così spontanea, non avevano bisogno di parlare per capirsi, bastava uno sguardo.”

“Ho sempre avuto l’impressione che Brian sia sempre stato il grande amore di Linz.” Sorrise tra sé. “Se lei non fosse stata lesbica.”

“E lui gay.” Justin sorrise. “Sarebbe stato divertente vederli.”

“Terrificante, vuoi dire.”

“Comunque si sono sempre sostenuti, non si sono mai giudicati o criticati; semplicemente erano lì, l’uno per l’altro.” Le prese la mano. “E poi un giorno ho capito che anch’io avevo un’amica speciale.”

Mel sorrise. “Daphne?” Scherzò.

“Daphne è più una sorella. È lei che mi fa le ramanzine e le lavate di capo quando faccio qualche cazzata, è lei che mi riporta sulla retta via ed è lei che mi sprona a non piangermi addosso e a cacciare fuori le palle.”

“Ho sempre pensato che fosse una tosta.”

Justin annuì. “E lo è. Però ho anche te.” Mel arrossì. “La mia amica Melanie-vi-prendo-a-calci-nel-culo-Marcus. La persona migliore del mondo che ha cercato sempre cercato di difendermi da tutto e tutti.”

“Principalmente dal tutti.” Gli sorrise. “Il mio piccolo Sunshine.”

“Alle volte quando sono particolarmente giù di morale da non riuscire nemmeno a dipingere, esco dal mio appartamento nell’East Village e cammino per la città: di notte, di giorno, con la pioggia o col sole, cammino e immagino. Immagino voi, te e Linz e la vostra vita. I bambini da portare a scuola, i vestiti in lavanderia da ritirare, il lavoro, la spesa da fare e la cena da preparare…”
”Una noia, insomma…” Mel sorrise.

“Mi tranquillizza. Pensare a voi mi calma e mi rende felice. Non hai idea di quante volte mi abbiate salvato dal manicomio.”

“Bè, nemmeno la tua vita può essere tanto male. Linz mi ha fatto leggere alcune recensioni sulle mostre che hai tenuto a New York.”

Justin abbozzò un sorriso. “Sono felice per come vanno le cose e non vorrei sembrare un ingrato…”

“Non è facile stare lontano dalla tua famiglia, è comprensibile…”

“… e solo che alle volte mi fermo e penso se sia stata la scelta giusta.”

“E lo è stata?”

Justin si strinse nelle spalle. “Chiedo l’aiuto del pubblico.”

Mel lo guardò seria. “Ascoltami bene: tu sei diventato un grande artista, hai realizzato i tuoi sogni e hai combattuto per tutta la tua fottuta vita per arrivare dove sei adesso. I rimpianti fanno parte del gioco, così come gli ostacoli, le vittorie e le sconfitte, ma tu ce l’hai fatta, Justin. Ce l’hai fatta, cazzo! Fai quello che hai sempre sognato di fare, dipingere, dare vita alle tue emozioni più profonde e nascoste attraverso la tua arte, attraverso i colori, i pennelli, i chiaroscuro… è quello che fai. Ed è quello che noi, tutti noi, abbiamo sempre voluto per te.” Justin annuì appena. “I momenti di sconforto ci saranno sempre, siamo essere umani, perennemente insoddisfatti e costantemente spaventati dal fallimento.”

“E se tutto questo dovesse finire? Se tutto quello che mi sono lasciato dietro fosse stato sacrificato per nulla? Se…”
”Sono un po’ troppi se, mi pare.” Mel gli prese la mano. “Goditi questo momento fantastico, tesoro, goditi i tuoi successi e i tuoi meriti; sei ancora troppo giovane per avere una crisi di mezza età e rimettere in discussione tutta la tua vita.” Gli fece un occhiolino. “Aspetta almeno di avere trentanove anni.”

Justin abbozzò un sorriso. “Hai ragione.” Mel annuì soddisfatta. “E io sono un coglione.”

“Più o meno, ma sei giovane e possiamo perdonarti per questa volta. Ricordati però di non dubitare mai di te stesso e delle tue scelte; sei una persona straordinaria di cui siamo tutti fieri, di cui chiunque sarebbe fiero, e avere dei dubbi non ti rende un ingrato, ti rende solo adulto, adulto e consapevole del fatto che non sei infallibile, ma che come tutto il mondo puoi sbagliare e avere delle incertezze. L’importante è non farsi buttare giù, non arrendersi mai e difendere con le unghia e con i denti quello che si è tanto faticosamente conquistato.”

“Non sono il tipo che si arrende, lo sai.” La rassicurò Justin sorridente.

Mel l’abbracciò di nuovo. “Certo che lo so. Sei sempre stato il più forte.” Gli sussurrò all’orecchio. “Il più forte di tutti noi.”

 

 

 

 

 

Justin aprì la porta della sua camera d’albergo e si sfilò il giubbino di pelle, gettandolo sulla poltrona, poi si gettò a peso morto sul letto.

Un leggero picchiettare alla porta lo riscosse poco prima che si addormentasse; si alzò dal letto.

“Allora, sei tornato!” Gli chiese Steve, entrando in camera e sdraiandosi comodamente sul letto.

Justin chiuse la porta mentre gli faceva teatralmente cenno di accomodarsi. “Fai pure come fossi a casa tua, Steve.”

Il ragazzo gli sorrise. “Divertito con le tue amiche?”

“Si.” Justin tornò verso il letto, buttandosi sul materasso a pancia in giù. “È stata una bella serata.”

“Anche le tue amiche non erano niente male.” Justin sollevò la testa dal cuscino e inarcò un sopracciglio. “Che c’è? Ho solo detto che sono dei tipi… interessanti!”

“Ho per caso omesso il piccolo particolare che sono tutte e due sposate? Tra loro?”

Steve spalancò la bocca sbalordito. “Sono lesbiche?” Justin annuì, sprofondando di nuovo nel cuscino. “Cristo santo, Justin! Ma conosci qualche etero?”

Il ragazzo ridacchiò. “Conosco te.”

“E io con chi dovrei farmela? Se aspetto per te…”

“Abituati a fare da solo…” Lo prese in giro, un sorriso nascosto dal cotone leggero del guanciale. “Prendi in mano la situazione…”

“Ah ah ah, quanto sei spiritoso, Taylor.”

“Potrei presentarti la mia amica Daphne. È carina, sai?”

Steve si sollevò sui gomiti. “Guarda che non mi freghi! Ogni volta che la tua amica viene in città, tu fai di tutto per tenermi lontano! Finora sono riuscito a vederla solo in foto, il che mi fa quasi pensare che tu mi abbia rifilato la foto di qualche bella sconosciuta e che la tua cara Daphne sia una specie di cesso ambulante!”

Justin lo colpì forte al braccio, senza nemmeno alzare la testa. “Vaffanculo! Daphne è una bellissima ragazza! E dopo quello che hai detto, sono sempre più convinto a non fartela conoscere!”

“Geloso?” Lo punzecchiò.

“No, solo preoccupato che la mia migliore amica finisca con un idiota etero della peggior specie.”

Steve si sollevò di scatto a sedere. “Daphne è etero, vero?”

Justin si girò su un fianco e lo guardò con la fronte aggrottata. “Non posso credere che tu me lo stia chiedendo davvero.”

“Quindi è un sì o un no?”

“Certo che è etero, coglione che non sei altro! Ma come cazzo fai ad uscirtene così?”

Steve scosse le spalle. “Tu conosci solo gay!”

“Io non conosco solo gay! Conosco un sacco di gente etero!”

“Ok, fammi tre nomi.”

“Cosa?” Justin spalancò gli occhi.

“Fammi i nomi di tre persone che conosci che non siano gay.”

Justin si mise seduto e si appoggiò alla spalliera del letto, stringendo il cuscino le braccia. “Che idiozia!”

“Tre nomi, Justin, sto aspettando.”

Justin lo guardò contrariato. “Daphne.”

“Non vale.”

“Perché no? È una ragazza etero ed è mia amica.”

Steve sbuffò. “Ok, per stavolta la accetto. Va’ avanti.”

Justin alzò lo sguardo e prese a fissare il soffitto pensieroso. “Debbie.” Borbottò a mezza voce, imbarazzato.

“Debbie?” Steve inarcò un sopracciglio. “Che sarebbe?”

Justin scosse le spalle. “Un’amica.”

“Non me ne hai mai parlato.”

“Invece sì! Sono certo di averla nominata qualche volta.”

Steve scosse la testa. “Non mi pare…. Aspetta!” Guardò Justin con espressione risentita. “Non era Debbie la tipa che lavorava con te in quella bettola di Pittsburgh?”

Justin scivolò con la schiena sul materasso senza replicare, improvvisamente interessato alla finestra di fronte a lui.

“È lei!” Gridò Steve colpendolo forte al braccio.

“Ahia!”

“Mi stai prendendo per il culo!”

Justin gli lanciò un’occhiata contrariata. “Cos’ha lei che non va? È una donna, è etero ed è mia amica.”

Steve socchiuse gli occhi studiando la sua espressione. “C’è qualcosa che non mi dici.”

“Del tipo?” Justin cercò di sembrare naturale.

“Debbie, Debbie… non era solo una tua collega…” Steve si tamburellò il mento pensieroso. “Non aveva lo stesso nome anche…” Lo guardò di nuovo male prima di colpirlo un’altra volta al braccio.

“Ahia! E adesso che ho fatto?” Justin si massaggiò il braccio dolorante; sicuramente il giorno dopo avrebbe avuto un livido grosso come una casa. “E per favore, la vuoi smettere di picchiarmi?”

“Michael!” Gridò Steve indignato.

Justin roteò gli occhi, capendo al volo di essere stato scoperto. “Che c’entra Michael?”

“Debbie è sua madre!”

“Si, e allora?”

“Allora non vale! Non cercare di fare il furbo con me, Taylor!”

“E due! Hai detto la stessa cosa per Daphne!”

Steve incrociò le braccia la petto. “Le mamme non contano, voglio nomi di amici, Justin. Amici giovani, etero e possibilmente che non abbiano ancora bisogno del pannolone.”

Justin lo colpì in faccia col cuscino. “Uno: né Debbie né nessuno dei miei amici ha bisogno del pannolone…”

“… ancora per poco…”

“… due: questo cazzo di gioco comincia a stancarmi…”

“… finché imbrogli…”

Justin continuò ad ignorarlo. “… e tre: ok, hai ragione, non conosco molte persone etero…”

“Ma usciamo con un sacco di gente a New York!” Steve lo fissò incredulo.

“E io dovrei considerare amici quei quattro sfigati con cui tu mi obblighi ad uscire? Ti prego! Li conosco a malapena!”

“Questo perché tu sei un asociale…”

Justin sorrise. “Non è la prima volta che lo sento, ma la cosa non mi sfiora. Considero mio amico solo chi è davvero mio amico e con chi esce con me solo per ubriacarsi gratis e per entrare nei locali più in della Grande Mela.”

“L’amicizia in questo campo non esiste, Justin. Tutti vogliono qualcosa da te, cosi come tu vuoi qualcosa da loro; è sempre un do ut des, nessuno fa niente per niente. Credevo l’avessi capito dopo due anni.”

“Bè, per me non è così.” Justin si alzò dal letto e iniziò a frugare nelle sue valige. “So cosa vuol dire avere dei veri amici, amici su cui puoi contare, che ci sono quando chiedi il loro aiuto… e anche quando non lo chiedi.”

Steve sbuffò scettico. “Justin Taylor che chiede aiuto? Non ci crederei nemmeno se lo vedessi.”

Justin estrasse una delle sue vecchie magliette dal groviglio di indumenti ammonticchiati nel bagaglio. “Un uomo sa quando accettare un aiuto.”

“E questa dove l’hai sentita?” Steve gli gettò i vecchi pantaloni di felpa grigia su cui era comodamente seduto. “Cerchi questi?”

Justin li afferrò al volo. “Grazie.”

“Scommetto che è stata la vecchia e saggia Debbie a darti questo consiglio. Già me la immagino: una dolce e premurosa mammina preoccupata per il suo pupillo.”

Justin sorrise divertito. “Oh, non potresti essere più lontano dalla realtà. Se solo la vedessi…”

“Allora chi?” Steve ci pensò su. “Il tizio con cui hai realizzato il fumetto, Michael giusto?”

Justin annuì e si sfilò la maglia. “Si, ma non è lui.”

“Qualche altro amico gay?” Incalzò mentre Justin finiva di spogliarsi e si infilava i vestiti per dormire.

“Più o meno.”

“Oh oh.” Steve gli sorrise sadico. “Ho capito.”

“Ne dubito.” Justin tornò verso il letto e si sdraiò di nuovo. “E poi perché la nostra discussione sugli etero è finita sui miei amici gay?”

“Proprio perché gli amici etero non ci sono!”

Justin chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie. “E…?”

“Ed è triste, Justin! Incredibilmente triste!” Steve si girò verso di lui, poggiando la guancia sulla mano.

Justin sorrise appena. “Mi è appena venuto in mente il terzo etero.”

Steve lo guardò dubbioso. “Davvero?”

“Si.” Justin riaprì gli occhi. “Tu!”

“Lo sapevo! Hai imbrogliato anche col terzo!” Steve si sdraiò di nuovo, mentre Justin rideva del suo disappunto.

“Così impari a voler darmi lezioni!”

Steve sbuffò, rivolgendo le spalle al suo amico. “Me ne ricorderò.”

“Ora vorrei dormire.” Justin si allungò per arrivare all’interruttore. “Ti dispiace sloggiare?”

Steve sprofondò di più nel cuscino e si sfilò le scarpe. “Ti dispiace chiudere il becco e spegnere quella cazzo di luce? Ho un sonno pazzesco.”

Justin roteò gli occhi e spinse l’interruttore. “Mi domando come mai hai prenotato la stanza se poi rompi le palle a me!”

“Notte, grande artista.” Steve sorrise nel buio.

“Buonanotte, stronzo.”

 

 

 

 

 

 

Ed ecco il primo capitolo! Allora ho voluto incentrarlo più su Justin (anzi tutto su Justin dato che degli altri non c’è ombra, ma non temete…) perché è lui quello che se n’è andato e che adesso ha una nuova vita lontana da Pittsburgh, dalla famiglia, dagli amici (soprattutto gay, come qualcuno gli ha gentilmente fatto notare XD) e soprattutto dall’uomo più bello, sexy e dolce del mondo ossia Brian Kinney! Ho voluto mostrare almeno un po’ il suo rapporto con Lindsay e soprattutto quello con Melanie: fin dalle prime puntate ho amato il riguardo e l’affetto che Mel, sempre così tosta, ha mostrato nei riguardi di Justin. Ogni volta che gli succedeva qualcosa, era sempre da Melanie che lui andava cosi come Brian correva da Lindsay. Ho voluto quindi creare una specie di parallelismo tra i due rapporti, perché è così che io li ho sempre visti.

Nel prossimo capitolo vedremo un po’ com’è la sua vita a New York e come se l’è passata negli ultimi due anni, prima di tornare nella gloriosa Pittsburgh e ritrovare tutti gli altri. Allora, che dire? Steve è un personaggio di mia invenzione, come avrete capito, che rimarrà abbastanza presente, così come lo rimarranno Linz, Mel, Gus e JR… che sesta stagione sarebbe senza di loro, sennò?

Dopo questo sproloquio senza senso vi lascio, sperando che abbiate voglia di lasciarmi una recensione e dirmi cosa ne pensate e soprattutto se valga la pena continuare oppure dovrei buttarmi giù da un ponte con tutte le mie idee!

Grazie in anticipo a tutti e a presto!

  
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