Ecco a voi l'ennesima storia su una ipotetica sesta serie, dopo la tristissima 5x13. So che ci sono già moltissime fanfiction sullo stesso argomento, ma ho voluto comunque dare la mia versione. Spero che vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa è la mia prima
fanfiction su Queer As Folk, non ho idea di come sia uscita o di come
io abbia
avuto la malsana idea di pubblicarla, fatto sta che ho scritto il primo
capitolo quasi di getto. Non è altro che una continuazione
della serie, una
specie di sesta stagione (in attesa che venga davvero realizzata
ç_ç), curiosa
e ansiosa di descrivere le vite dei nostri amati dopo la 5x13. Inutile
dire che
ci sono spoiler e che accetto ogni tipo di critica e consiglio, spero
solo che
vi piaccia e che io riesca a rendere perfettamente giustizia a questo
meraviglioso telefilm che mi ha davvero cambiato la vita.
1.
When Dreams Come True
“Mi
lasci esprimere la mia piena
ammirazione e stima al grande artista che ha incantato
Toronto.” Justin sorrise
imbarazzato abbassando lo sguardo.
“E
non mi dica che sono il primo!
Non riesco a credere che qualcuno col suo talento non sia abituato ai
complimenti!”
“Justin
è sempre molto modesto.”
Scherzò Steve lanciando un’occhiata divertita al
suo amico. “Non ama molto trovarsi
al centro dell’attenzione.”
Il
signor Summers scoppiò in una
fragorosa risata. “Allora credo proprio che abbia sbagliato
mestiere!”
Steve
cercò di non ridere, ma si
beccò ugualmente un’occhiataccia di Justin.
“Sono lieto che apprezzi il mio
lavoro, signor Summers. La sua approvazione è un
onore.”
L’uomo
di mezza età davanti a lui
fece un cenno col capo. “Mia figlia è rimasta
totalmente rapita dai suoi
capolavori. Meredith è una studentessa
d’arte.” Spiegò orgoglioso.
“Anzi, in
tutta sincerità è stata sua l’idea di
trascinarmi qui. Era così elettrizzata di
assistere alla mostra del nuovo genio dell’arte
contemporanea!”
Justin
arrossì appena. “Ringrazi
tanto anche lei allora. È merito suo se il famoso Edmund
Summers ha trovato del
tempo da dedicarmi.”
Summers rise dinuovo. “Oh, Taylor! Devo
proprio ammetterlo! Lei
ci sa fare!”
Steve
sorrise soddisfatto: avere
uno come Summers tra i sostenitori non poteva che essere un bene per la
carriera di Justin; se poi anche sua figlia era una sua ammiratrice era
meglio
ancora! Le ragazze avevano un debole per la sua aria da bravo ragazzo.
“Per
Justin sarebbe un piacere
conoscere sua figlia.” Suggerì candidamente.
Justin
inarcò un sopracciglio e
fece per ribattere, ma Summers lo anticipò. “Vado
subito a cercarla. Dev’essere
qui da qualche parte.”
Steve
annuì appena. “Non vediamo
l’ora.”
L’uomo
sorrise un’ultima volta ai
due ragazzi e si allontanò con passo traballante verso il
centro della sala, il
quarto bicchiere di champagne ancora saldamente stretto nella mano
destra.
Justin
aspettò che l’uomo fosse
fuori portata d’orecchi prima di voltarsi furioso verso
Steve. “Si può sapere
che cazzo vuoi fare?”
Steve
estrasse il suo palmare. “Mi
occupo della tua carriera, Justin. Non è per questo che mi
hai assunto?”
“Appunto!
Devi occuparti della mia
carriera, non della mia situazione
sentimentale!”
“Nessuno
sta cercando di
accasarti, Justin. Rilassati.” Steve afferrò al
volo una delle tartine ai
gamberi che i camerieri portavano qua e là e gli sorrise
tranquillo. “Se riesci
ad accaparrarti il favore di uno come Summers, sei a posto.
È lui che detta
legge qui a Toronto!”
“Già.”
Justin lo guardò scettico.
“Ma voglio che Summers mi apprezzi per i miei quadri e per il
mio talento, non
perché me la faccio con sua figlia!”
“Non
devi fartela davvero con sua
figlia! Cerca solo di essere… gentile.”
Justin
incrociò le braccia al
petto visibilmente scocciato. “Gentile?”
“Si,
gentile, Justin; falle
qualche complimento, offrile un drink, regalale una delle opere, fai
quello che
vuoi… Basta che quella ragazza stasera esca di qui
innamorata pazza di te.”
Justin
scosse la testa e voltò le
spalle al suo amico; Steve lo seguì. “Sai che non
lo farò; mi conosci ormai.”
Steve
sbuffò. “Hai idea delle
possibilità che avremmo qui grazie alla raccomandazione di
Summers? Tutte le
più famose gallerie di Toronto sarebbero disposte ad
uccidere per avere una tua
mostra!”
“Non
ho bisogno della
raccomandazione di nessuno, io!” Scattò nervoso,
cercando di mantenere bassa la
voce. “Sono arrivato fin qui con le mie sole forze, senza
l’aiuto di nessuno. E
continuerà così; se le cose andranno male, vuol
dire che me ne tornerò a New
York!”
Steve
lo afferrò per un braccio.
“Justin, ascolta. So quanto tu sia eticamente
corretto.” Fece una mezza smorfia
di disgusto che nonostante tutto fece sorridere Justin.
“Però so quanto talento
hai; e se Summers può aiutarti, almeno
all’inizio,” si affrettò a
precisare davanti all’espressione omicida del
suo cliente “a farti conoscere, perché non
approfittarne?”
Justin
roteò gli occhi. “Perché lo
dico io! E io sono quello che paga il tuo stipendio, Steve! Quindi
chiudi il
becco!”
Steve
alzò le mani in segno di
resa. “Come vuoi, sei tu il capo. Cercavo solo di renderti
ricco e famoso; ma
se vuoi tornare a disegnare fumetti in una squallido negozietto di
Pittsburgh,
fai pure. Tua madre sarà felice di riaverti a
casa.”
“Hai
finito?” Chiese Justin
spazientito, trangugiando in un sorso un bicchiere di champagne.
“E
sono sicuro che anche la tua
ragazza ne sarà entusiasta.”
Justin
sorrise gentile a due
signori dall’aria distinta che gli fecero i complimenti e
continuò a camminare.
“Daphne è la mia più vecchia amica;
è come una sorella per me.”
“Se
io avessi una sorella del
genere, sarei sicuramente a favore dell’incesto,
credimi.”
“Cazzo
se sei disgustoso, Steve.”
Steve
ghignò divertito. “Ma
dimenticavo che tu non apprezzi il fascino femminile come me.”
“Come
una maniaco sessuale,
intendi?” Lo stuzzicò Justin.
“Signor
Taylor!”
Justin
e Steve si voltarono verso
il curatore della mostra che camminava affannato verso di loro.
“Signor
Taylor, quasi non la
trovavo in questa bolgia.”
Justin
sorrise all’uomo. “Tutto
bene? È successo qualcosa? La vedo agitato.”
L’uomo
sorrise scuotendo la testa.
“Volevo chiederle se fosse disponibile ad incontrare una mia
cara amica, anche
lei curatrice di mostre; ne sarebbe davvero onorata.”
“Mi
dispiace.” S’intromise
immediatamente Steve. “Sa che Justin, per contratto, non
è più disponibile per
altre gallerie.”
“Ma…”
Balbettò l’uomo. “Lei mi ha…
mi ha detto che la conosce già.”
“Davvero?”
Chiese Steve scettico.
“Non credo davvero sia possibile.”
“Si
chiama Petersen, Lindsay
Petersen.”
Steve
scosse le spalle. “Spiacente,
non conosciamo nessun Peterson.”
“Linz?”
Domandò Justin spalancando
gli occhi. “Linz è qui?”
Steve
si voltò stupito verso di
lui mentre l’uomo sorrideva allegro. “Ha sentito
che era in città e si è
precipitata alla sua mostra.”
“Non
posso crederci!” Disse Justin
incredulo. “Dov’è?”
Il
vecchio curatore fece per
parlare, ma una voce ben nota a Justin lo anticipò.
“Ehi
grande artista!” Lo chiamò la
voce divertita di Melanie. “Hai un minuto per due vecchie
amiche?”
Justin
sorrise raggiante correndo
incontro alle sue amiche e abbracciandole con slancio.
“Ragazze! Che bella
sorpresa!”
Melanie
schioccò un bacio sulle
guancia di Justin mentre Lindsay continuava a stritolarlo nel suo
abbraccio.
“Come stai? Dio, ma quanto tempo è
passato?”
Justin
si staccò finalmente dalle
due ragazze sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi contagiosi.
“Quasi due anni.
Dall’ultima volta che ci siamo visti a Pittsburgh.”
Melanie
gli scompigliò i capelli,
un po’ lunghi sulle orecchie come li aveva già
portati in passato. “Sei
diventato ancora più bello.”
Justin
scosse la testa. “Mi sembra
di sentire mia madre.”
Lindsay
gli sorrise affettuosa. “A
proposito di mamme… “ Si guardò intorno
“Mel dove sono finiti i bambini?”
Melanie
indicò le poltroncine in
un angolo della sala e sorrise a sua moglie. “Erano stanchi
di girare qua e là
e si sono seduti laggiù.”
“Ci
sono anche i bambini?” Chiese
Justin sorpreso.
Lindsay
annuì. “La babysitter ci
ha bidonato all’ultimo momento.”
“Ti
andrebbe di rivederli?” Gli
chiese Melanie.
Justin
esitò per un istante,
incerto su quello che avrebbe dovuto fare.
Certamente
aveva una voglia
smisurata di rincontrare Gus e Jenny Rebecca, di vedere quanto fossero
cresciuti, di capire se si ricordassero ancora di lui, di quello strano
tizio che
anni prima li aveva riempiti di regali.
Eppure
non era certo di averne il
coraggio.
Con
Jenny Rebecca era stato amore
a prima vista fin dalla prima volta che l’aveva tenuta tra le
braccia, così
morbida e profumata, così dolcemente innocente; ormai
avrebbe dovuto essere una
bella signorina di quasi tre anni, con gli occhi scuri di Michael e i
capelli
ramati di Mel. Quante volte mentre vagava di notte per le vie
illuminate di New
York aveva pensato a lei?
Porca
puttana, certo che gli
andava di rivederla, ma il vero problema era un altro.
Perché
per quanto amasse
incondizionatamente Jenny Rebecca, che tuttavia conosceva ben poco, era
Gus che
non vedeva l’ora di rincontrare.
Gus,
quel piccolo bambino dallo
sguardo sveglio e dal sorriso contagioso che aveva visto nascere. Nel
vero
senso della parola.
Se
ripensava a quella notte in cui
era andato in ospedale per la sua nascita, il cuore iniziava quasi a
fare male
tanto batteva forte; la stessa notte in cui tutta la sua vita era
cambiata.
O
iniziata, dipendeva dai punti di
vista.
Avrebbe
avuto il coraggio di
rivedere quel meraviglioso bambino che gli ricordava la sua vecchia
vita?
Quella fatta di nottate al Babylon, pranzi domenicali da Debbie e
giornate
passate al Diner? Lo stesso bambino che, anno dopo anno, diventava
sempre più
uguale a suo padre?
Sospirò
piano e cercò di
sorridere.
Il suo bellissimo papà.
Scosse
la testa e cercò di scacciare
quei pensieri troppo dolorosi. Pensare a lui
era troppo doloroso. “Sarei felicissimo di rivedere i
bambini.” Cercò di
suonare il più convincente possibile.
Mel
e Linz gli sorrisero radiose.
“Hai da fare dopo la mostra, grande artista?”
“Dio,
avevo dimenticato quanto
eravate brave in cucina!” Justin trangugiò un
boccone di arrosto, leccandosi le
labbra. “Davvero ottimo!”
Linz
sorrise, accomodandosi a
tavola. “Sono contenta che ti piaccia, tesoro.”
“E
scommetto che non mangi
qualcosa di sano e fatto in casa da almeno un mese.” Mel gli
lanciò un’occhiata
di traverso.
Justin
sorrise. “Due, veramente.
Dall’ultima volta che mia madre è venuta a
trovarmi.”
Le
due donne si scambiarono uno
sguardo. “Una volta ti piaceva cucinare.” Gli
ricordò Mel.
“Adesso
sono un’artista, Mel.”
Justin cercò di assumere pose da grand’uomo
facendo scoppiare a ridere
entrambe.
“Giusto,
Mel.” Linz gli diede
scherzosamente manforte. “Il piccolo Justin non ha tempo per
cucinare. È un
artista adesso.”
“Oh
ma smettila di darti tutte
queste arie!” Mel gli lanciò un tovagliolo
beccandolo in faccia. “Per me
rimarrai sempre il ragazzino timido e sorridente che si
presentò in ospedale
alla nascita di Gus!”
Justin
scoppiò a ridere. “Oddio,
se penso che sono già passati sette anni mi sento
improvvisamente vecchio!”
Linz
ridacchiò. “Se ti senti
vecchio tu, noi dovremmo essere due cariatidi!”
“Ehi!
Parla per te!” Si risentì
Mel, ridendo.
“Mamma,
Gus ruba la mia bambola!”
Jenny Rebecca entrò di corsa in salotto strillando a
squarciagola, seguita da
suo fratello.
“Zitta,
spiona!” La sgridò Gus
rincorrendola.
La
bambina si gettò in grembo a
Linz mentre Gus corse di filato da Melanie. “Mamma, Gus
è un prepotente!”
“E
tu sei una mocciosa petulante!”
“Cattivo!”
“Viziata!”
“Adesso
basta!” Gridò Mel cercando
di sovrastare le loro urla; i bambini parvero calmarsi, ma rimasero a
guardarsi
in cagnesco. “Gus, restituisci la bambola a tua
sorella!”
“Ma,
mamma…”
“Subito,
Gus.” Ribadì Lindsay.
Il
ragazzino sbuffò contrariato e
lanciò la povera bambola ai piedi della sorellina che gli
fece una linguaccia
prima di agguantarla e metterla al sicuro tra le sue braccia.
“Si
può sapere che ti è preso?”
Domandò Mel al suo primogenito. “Non è
da te comportarti così.”
Gus
incrociò le braccia al petto e
mise il broncio. “Papà dice che devo farmi
rispettare da Jenny perché lei è una
femmina e l’ha sempre vinta. Anche nonna Debbie le
dà sempre ragione.”
“E
quindi devi fare il prepotente
e romperle tutti i giochi?”
Lui
scosse le spalle. “Papà ha
detto di trovare il punto debole del nemico e di sfruttarlo. Solo
così si
vince.”
Mel
inarcò un sopracciglio e
guardò sua moglie di traverso. “Io sono sempre
stata contraria alle visite dei
bambini a Pittsburgh.” Indicò Gus. “E
forse avevo ragione.”
“Io
voglio andare da papà.” Confessò
placida Jenny Rebecca, lo sguardo ancora fisso sulla sua bambola
ritrovata.
Linz le accarezzò i capelli sorridendole appena.
“Lo so, amore. E prometto che
presto torneremo a trovare papà e Ben.”
“E
Hunter?” Chiese Gus
preoccupato.
Linz
annuì. “Promesso. E anche zio
Emmett, zio Ted e i nonni.” Lanciò
un’occhiata significativa a Mel. “Vero,
mammina?”
Sua
moglie sbuffò contrariata,
roteando gli occhi. “Io ci rinuncio.”
Justin
ridacchiò inforcando una
patata arrosto. “Mi mancava tutto questo.”
Jenny
Rebecca si precipitò di
nuovo su per le scale seguita a ruota da suo fratello che ancora le
gridava
contro. Linz si sporse verso la scalinata e gridò al suo
primogenito di
lasciare in pace la piccola.
“Cosa?”
Chiese Mel sorseggiando il
suo viso. “Le grida, le liti, la
confusione…?”
“Si.”
Justin sorrise. “E anche voi
due. E Gus. E Jenny Rebecca.”
Linz
tornò a tavola e gli
scompigliò i capelli. “Anche tu ci sei mancato, Topino.”
“Oddio!”
Justin scoppiò a ridere
strozzandosi quasi con l’acqua. “Erano anni che non
sentivo quel nomignolo!”
Le
due donne risero. “Noi invece
lo sentiamo spesso.”
“Si,
praticamente tutte le volte
che andiamo da Debbie.” Specificò Mel.
“Chiede sempre di te.”
“Se
qualcuno ti ha sentito, ti ha
visto…”
“…
se mangi abbastanza…”
“…
se sei felice…”
“…
se qualcuno ti tratta male…”
Justin
abbozzò un sorriso. “Tipico
di Debbie.”
Mel
annuì. “Si è sempre
preoccupata per te; sei sempre stato il più giovane nella
nostra… strana famiglia.”
“Ma
anche il più forte e tenace.”
Linz gli offrì un’altra porzione di pasticcio.
“Sei riuscita a realizzare tutti
i tuoi sogni.”
Justin
sorrise. “Direi di sì.”
“E
a proposito di sogni.” Mel gli
rivolse un’occhiata furbesca. “Chi era quel bel
ragazzo con cui passeggiavi
alla mostra?”
Linz
trattenne a stento un
sorriso. “È davvero un bel bocconcino.”
“Oh,
per favore!” Justin roteò gli
occhi non credendo alle sue orecchie. “Steve è
solo un amico.”
“Si,
certo…” Fece Mel accondiscendente.
“Un amico carino.”
“Si,
Mel, un amico carino, gentile
ed etero.”
Linz
ridacchiò. “Bè, mai dire mai,
tesoro.”
“È
il mio manager. Si occupa della
mia carriera e nient’altro.”
“Potrebbe
anche espandere i suoi
orizzonti.”
Justin
scosse la testa.
“Credetemi, Steve è la cosa più etero
che abbia mai messo piede su questa
terra.”
Linz
sospirò. “È un vero peccato,
comunque.”
“Io
credo di no. Steve non è la
persona più affidabile del mondo.” Si strinse
nelle spalle. “E nemmeno la più
fedele.”
Mel
gli sorrise. “E tu puoi avere
di meglio; anzi devi avere di
meglio.
Sei una persona meravigliosa, e tu lo sai.”
“Grazie.”
Disse Justin arrossendo.
Si asciugò la bocca col tovagliolo color crema e
ricambiò il sorriso. “Allora,
che si dice di nuovo a Pittsburgh? Ci sono novità? Altri
amici che si
apprestano a percorrere la navata?”
Linz
rise. “No, per il momento
Michael e Ben sono stati gli unici.”
“E
credo lo rimarranno.” Precisò
Mel. “Non ci sono più i gay romantici di una
volta.”
“Come
stanno?” Chiese Justin
rilassandosi contro lo schienale della sua sedia.
Mel
si alzò e iniziò a raccogliere
i piatti. “Tutti bene; sai come sono. Sempre in giro a
divertirsi e a fare
baldoria.”
“Anche
se un po’ meno che in
passato.” Linz ridacchiò. “Non sono
più dei giovanotti.”
“Se
ti sentissero…” Justin sorrise
immaginandosi le loro facce.
“Comunque
Linz ha ragione.” Mel si
riaccomodò a tavola. “Michael e Ben sono sempre
più innamorati…”
“…
alle volte fanno venire la
carie persino a noi!” Sussurrò Linz scioccata.
“…
Hunter non è più scappato, per
la loro sanità mentale, Ted e Blake sembrano ancora due
piccioncini in luna di
miele e Emmett… bè, Emmett è il solito
Emmett! Sempre stravagante e sopra le
righe.”
Justin
incrociò le braccia al
petto. “Sono contento che almeno lì le cose siano
sempre le stesse. In qualche
modo mi sento rassicurato.”
Mel
e Linz gli sorrisero, prima di
scambiarsi un rapido sguardo pieno di imbarazzo; Justin le
liberò
dall’impiccio, sapendo benissimo quale argomento avevano
paura di intavolare
con lui. Si schiarì la voce. “Volete dirmi come
sta oppure avete paura che possa dare di matto e uccidervi
tutti?”
Linz
si morse il labbro nervosa
torturandosi le mani. “Non… non sapevamo
se…”
“…
potevate nominare l’Innominabile?”
Mel
annuì. “Temevamo che non
avresti apprezzato.”
Justin
posò le mani sulle loro
braccia per rassicurale. “È solo una relazione che
è finita male; una storia
come tante nel mondo. Non dovete preoccuparvi.”
Mentì, ben consapevole di
farlo. Ormai era diventato bravo a ripetersi quel mantra; peccato che
non lo
avesse mai aiutato.
“Sai
che non è così.” Lo
contraddisse Lindsay.
Mel
guardò seria Justin e gli
strinse la mano. “La vostra non è una storia
normale. Non lo è mai stata.”
Justin
deglutì a fatica e provò a
sorridere, nonostante l’ormai familiare e lancinante dolore
al petto. “Già.”
Lindsay
si alzò e prese una delle
foto sistemate con cura sul mobile scuro alle sue spalle; era posata
dietro
tutte le altre, quasi completamente nascosta. Justin si chiese se fosse
finita
là dietro a causa della sua visita di quella sera. Gliela
porse sorridendo.
“Non è cambiato molto.”
“È
sempre lo stesso coglione
cinico e egocentrico.” Puntualizzò Mel beccandosi
un’occhiataccia di Lindsay.
“Sono
lieto di sentirlo.” Disse
sincero Justin, ammirando la foto stretta tra le sue mani.
“L’ultimo
compleanno di Gus. “
Spiegò Linz.
C’era
Gus in primo piano che
soffiava le candeline mentre un Brian dall’aria scocciata gli
teneva le mani
sulle spalle. Sorrise; come al solito stava cercando di non far vedere
quanto
fosse diventato sentimentale e quanto in realtà amasse suo
figlio. Lui era
Brian Kinney! Non avrebbe mai potuto mostrare l’affetto
sconfinato che provava
come qualunque altro genitore normale. Non
sarebbe mai stato patetico, avrebbe chiarito se fosse stato
lì con loro.
“Probabilmente stava dando di matto contando le candeline
sulla torta…”
Mel
ridacchiò. “Soprattutto quando
si è reso conto che se Gus aveva sette anni lui era
già arrivato a quota
trentasei.”
“Dev’essere
stato uno shock per
lui.” Scherzò Justin, senza staccare gli occhi
dalla foto. Col pollice sfiorò
appena il volto di Brian mentre un groppo fastidiosamente noto gli si
formava
in gola. Possibile che fosse diventato anche più bello in
quei due anni?
Linz
lo guardò intenerita; forse
non era stata una buona idea mostrargli quella foto. “Ti va
un po’ di dolce?”
Chiese per cercare di alleggerire l’atmosfera.
Justin
annuì, restituendole la
foto. “Volentieri, grazie.”
La
donna si alzò e si diresse
verso la cucina, risistemando la cornice al suo posto. Mel si
voltò verso sua
moglie sorridendole appena, prima che questa sparisse
nell’altra stanza; poi
rivolse un’occhiata affettuosa a Justin. “Tutto
okay?”
Il
ragazzo le sorrise incerto. “È
che… è successo tutto in fretta, non me
l’aspettavo.”
“Intendi
noi?”
“Intendo
tutto.” Appoggiò la
schiena contro la sedia. “Prima Toronto, poi voi, Gus, Jenny,
la foto…”
Mel
gli prese una mano. “Mi
dispiace.”
“No,
sono contento. Sorpreso, ma
contento. Avevo voglia di rivedervi, mi ha fatto bene… Ci
sono momenti in cui
tutto diventa difficile, in cui non faccio altro che maledirmi per
essermene
andato, per aver cambiato le carte in tavola…”
“E
oggi è uno di quei momenti?”
Justin
gli sorrise allegro. “Lo
era.”
Mel
si alzò dal suo posto e si
accomodò accanto a lui. Gli accarezzò i capelli.
“Sai che per me sei sempre
stato speciale, Sunshine. E non so dirti quanto io sia contenta di
averti
rivisto oggi.”
“Anche
io sono felice, Mel.”
L’abbracciò stretta. “Sai ho sempre
invidiato l’amicizia tra Brian e Linz… era
così naturale, così spontanea, non avevano
bisogno di parlare per capirsi,
bastava uno sguardo.”
“Ho
sempre avuto l’impressione che
Brian sia sempre stato il grande amore di Linz.” Sorrise tra
sé. “Se lei non
fosse stata lesbica.”
“E
lui gay.” Justin sorrise.
“Sarebbe stato divertente vederli.”
“Terrificante,
vuoi dire.”
“Comunque
si sono sempre
sostenuti, non si sono mai giudicati o criticati; semplicemente erano
lì, l’uno
per l’altro.” Le prese la mano. “E poi un
giorno ho capito che anch’io avevo
un’amica speciale.”
Mel
sorrise. “Daphne?” Scherzò.
“Daphne
è più una sorella. È lei
che mi fa le ramanzine e le lavate di capo quando faccio qualche
cazzata, è lei
che mi riporta sulla retta via ed è lei che mi sprona a non
piangermi addosso e
a cacciare fuori le palle.”
“Ho
sempre pensato che fosse una
tosta.”
Justin
annuì. “E lo è. Però ho
anche te.” Mel arrossì. “La mia amica Melanie-vi-prendo-a-calci-nel-culo-Marcus.
La persona migliore del mondo che ha cercato sempre cercato di
difendermi da
tutto e tutti.”
“Principalmente
dal tutti.” Gli sorrise.
“Il mio piccolo Sunshine.”
“Alle
volte quando sono
particolarmente giù di morale da non riuscire nemmeno a
dipingere, esco dal mio
appartamento nell’East Village e cammino per la
città: di notte, di giorno, con
la pioggia o col sole, cammino e immagino. Immagino voi, te e Linz e la
vostra
vita. I bambini da portare a scuola, i vestiti in lavanderia da
ritirare, il
lavoro, la spesa da fare e la cena da preparare…”
”Una noia, insomma…” Mel sorrise.
“Mi
tranquillizza. Pensare a voi
mi calma e mi rende felice. Non hai idea di quante volte mi abbiate
salvato dal
manicomio.”
“Bè,
nemmeno la tua vita può
essere tanto male. Linz mi ha fatto leggere alcune recensioni sulle
mostre che
hai tenuto a New York.”
Justin
abbozzò un sorriso. “Sono
felice per come vanno le cose e non vorrei sembrare un
ingrato…”
“Non
è facile stare lontano dalla
tua famiglia, è comprensibile…”
“…
e solo che alle volte mi fermo
e penso se sia stata la scelta giusta.”
“E
lo è stata?”
Justin
si strinse nelle spalle.
“Chiedo l’aiuto del pubblico.”
Mel
lo guardò seria. “Ascoltami
bene: tu sei diventato un grande artista, hai realizzato i tuoi sogni e
hai
combattuto per tutta la tua fottuta vita per arrivare dove sei adesso.
I
rimpianti fanno parte del gioco, così come gli ostacoli, le
vittorie e le
sconfitte, ma tu ce l’hai fatta, Justin. Ce l’hai
fatta, cazzo! Fai quello che
hai sempre sognato di fare, dipingere, dare vita alle tue emozioni
più profonde
e nascoste attraverso la tua arte, attraverso i colori, i pennelli, i
chiaroscuro… è quello che fai. Ed è
quello che noi, tutti noi, abbiamo sempre
voluto per te.” Justin annuì appena. “I
momenti di sconforto ci saranno sempre,
siamo essere umani, perennemente insoddisfatti e costantemente
spaventati dal
fallimento.”
“E
se tutto questo dovesse finire?
Se tutto quello che mi sono lasciato dietro fosse stato sacrificato per
nulla?
Se…”
”Sono un po’ troppi se,
mi pare.” Mel
gli prese la mano. “Goditi questo momento fantastico, tesoro,
goditi i tuoi
successi e i tuoi meriti; sei ancora troppo giovane per avere una crisi
di
mezza età e rimettere in discussione tutta la tua
vita.” Gli fece un
occhiolino. “Aspetta almeno di avere trentanove
anni.”
Justin
abbozzò un sorriso. “Hai
ragione.” Mel annuì soddisfatta. “E io
sono un coglione.”
“Più
o meno, ma sei giovane e
possiamo perdonarti per questa volta. Ricordati però di non
dubitare mai di te stesso
e delle tue scelte; sei una persona straordinaria di cui siamo tutti
fieri, di
cui chiunque sarebbe fiero, e avere dei dubbi non ti rende un ingrato,
ti rende
solo adulto, adulto e consapevole del fatto che non sei infallibile, ma
che
come tutto il mondo puoi sbagliare e avere delle incertezze.
L’importante è non
farsi buttare giù, non arrendersi mai e difendere con le
unghia e con i denti
quello che si è tanto faticosamente conquistato.”
“Non
sono il tipo che si arrende,
lo sai.” La rassicurò Justin sorridente.
Mel
l’abbracciò di nuovo. “Certo
che lo so. Sei sempre stato il più forte.” Gli
sussurrò all’orecchio. “Il
più
forte di tutti noi.”
Justin
aprì la porta della sua
camera d’albergo e si sfilò il giubbino di pelle,
gettandolo sulla poltrona,
poi si gettò a peso morto sul letto.
Un
leggero picchiettare alla porta
lo riscosse poco prima che si addormentasse; si alzò dal
letto.
“Allora,
sei tornato!” Gli chiese
Steve, entrando in camera e sdraiandosi comodamente sul letto.
Justin
chiuse la porta mentre gli
faceva teatralmente cenno di accomodarsi. “Fai pure come
fossi a casa tua,
Steve.”
Il
ragazzo gli sorrise. “Divertito
con le tue amiche?”
“Si.”
Justin tornò verso il letto,
buttandosi sul materasso a pancia in giù.
“È stata una bella serata.”
“Anche
le tue amiche non erano
niente male.” Justin sollevò la testa dal cuscino
e inarcò un sopracciglio.
“Che c’è? Ho solo detto che sono dei
tipi… interessanti!”
“Ho
per caso omesso il piccolo
particolare che sono tutte e due sposate? Tra
loro?”
Steve
spalancò la bocca
sbalordito. “Sono lesbiche?” Justin
annuì, sprofondando di nuovo nel cuscino.
“Cristo santo, Justin! Ma conosci qualche etero?”
Il
ragazzo ridacchiò. “Conosco
te.”
“E
io con chi dovrei farmela? Se
aspetto per te…”
“Abituati
a fare da solo…” Lo
prese in giro, un sorriso nascosto dal cotone leggero del guanciale.
“Prendi in mano la
situazione…”
“Ah
ah ah, quanto sei spiritoso,
Taylor.”
“Potrei
presentarti la mia amica
Daphne. È carina, sai?”
Steve
si sollevò sui gomiti.
“Guarda che non mi freghi! Ogni volta che la tua amica viene
in città, tu fai
di tutto per tenermi lontano! Finora sono riuscito a vederla solo in
foto, il
che mi fa quasi pensare che tu mi abbia rifilato la foto di qualche
bella sconosciuta
e che la tua cara Daphne sia una specie di cesso ambulante!”
Justin
lo colpì forte al braccio,
senza nemmeno alzare la testa. “Vaffanculo! Daphne
è una bellissima ragazza! E dopo
quello che hai detto, sono sempre più convinto a non fartela
conoscere!”
“Geloso?”
Lo punzecchiò.
“No,
solo preoccupato che la mia
migliore amica finisca con un idiota etero della peggior
specie.”
Steve
si sollevò di scatto a
sedere. “Daphne è etero,
vero?”
Justin
si girò su un fianco e lo
guardò con la fronte aggrottata. “Non posso
credere che tu me lo stia chiedendo
davvero.”
“Quindi
è un sì o un no?”
“Certo
che è etero, coglione che
non sei altro! Ma come cazzo fai ad uscirtene
così?”
Steve
scosse le spalle. “Tu
conosci solo gay!”
“Io
non conosco solo gay! Conosco
un sacco di gente etero!”
“Ok,
fammi tre nomi.”
“Cosa?”
Justin spalancò gli occhi.
“Fammi
i nomi di tre persone che
conosci che non siano gay.”
Justin
si mise seduto e si
appoggiò alla spalliera del letto, stringendo il cuscino le
braccia. “Che
idiozia!”
“Tre
nomi, Justin, sto
aspettando.”
Justin
lo guardò contrariato. “Daphne.”
“Non
vale.”
“Perché
no? È una ragazza etero ed
è mia amica.”
Steve
sbuffò. “Ok, per stavolta la
accetto. Va’ avanti.”
Justin
alzò lo sguardo e prese a
fissare il soffitto pensieroso. “Debbie.”
Borbottò a mezza voce, imbarazzato.
“Debbie?”
Steve inarcò un
sopracciglio. “Che sarebbe?”
Justin
scosse le spalle.
“Un’amica.”
“Non
me ne hai mai parlato.”
“Invece
sì! Sono certo di averla
nominata qualche volta.”
Steve
scosse la testa. “Non mi
pare…. Aspetta!” Guardò Justin con
espressione risentita. “Non era Debbie la
tipa che lavorava con te in quella bettola di Pittsburgh?”
Justin
scivolò con la schiena sul
materasso senza replicare, improvvisamente interessato alla finestra di
fronte
a lui.
“È
lei!” Gridò Steve colpendolo
forte al braccio.
“Ahia!”
“Mi
stai prendendo per il culo!”
Justin
gli lanciò un’occhiata
contrariata. “Cos’ha lei che non va? È
una donna, è etero ed è mia amica.”
Steve
socchiuse gli occhi
studiando la sua espressione. “C’è
qualcosa che non mi dici.”
“Del
tipo?” Justin cercò di
sembrare naturale.
“Debbie,
Debbie… non era solo una
tua collega…” Steve si tamburellò il
mento pensieroso. “Non aveva lo stesso
nome anche…” Lo guardò di nuovo male
prima di colpirlo un’altra volta al
braccio.
“Ahia!
E adesso che ho fatto?”
Justin si massaggiò il braccio dolorante; sicuramente il
giorno dopo avrebbe
avuto un livido grosso come una casa. “E per favore, la vuoi
smettere di
picchiarmi?”
“Michael!”
Gridò Steve indignato.
Justin
roteò gli occhi, capendo al
volo di essere stato scoperto. “Che c’entra
Michael?”
“Debbie
è sua madre!”
“Si,
e allora?”
“Allora
non vale! Non cercare di
fare il furbo con me, Taylor!”
“E
due! Hai detto la stessa cosa
per Daphne!”
Steve
incrociò le braccia la
petto. “Le mamme non contano, voglio nomi di amici,
Justin. Amici giovani, etero e possibilmente che non abbiano
ancora bisogno del pannolone.”
Justin
lo colpì in faccia col
cuscino. “Uno: né Debbie né nessuno dei
miei amici ha bisogno del pannolone…”
“…
ancora per poco…”
“…
due: questo cazzo di gioco
comincia a stancarmi…”
“…
finché imbrogli…”
Justin
continuò ad ignorarlo. “… e
tre: ok, hai ragione, non conosco molte persone
etero…”
“Ma
usciamo con un sacco di gente
a New York!” Steve lo fissò incredulo.
“E
io dovrei considerare amici
quei quattro sfigati con cui tu mi
obblighi ad uscire? Ti prego! Li conosco a malapena!”
“Questo
perché tu sei un
asociale…”
Justin
sorrise. “Non è la prima
volta che lo sento, ma la cosa non mi sfiora. Considero mio amico solo
chi è davvero mio amico
e con chi esce con me
solo per ubriacarsi gratis e per entrare nei locali più in
della Grande Mela.”
“L’amicizia
in questo campo non
esiste, Justin. Tutti vogliono qualcosa da te, cosi come tu vuoi
qualcosa da
loro; è sempre un do ut des,
nessuno
fa niente per niente. Credevo l’avessi capito dopo due
anni.”
“Bè,
per me non è così.” Justin si
alzò dal letto e iniziò a frugare nelle sue
valige. “So cosa vuol dire avere
dei veri amici, amici su cui puoi
contare, che ci sono quando chiedi il loro aiuto… e anche
quando non lo chiedi.”
Steve
sbuffò scettico. “Justin
Taylor che chiede aiuto? Non ci crederei nemmeno se lo
vedessi.”
Justin
estrasse una delle sue
vecchie magliette dal groviglio di indumenti ammonticchiati nel
bagaglio. “Un
uomo sa quando accettare un aiuto.”
“E
questa dove l’hai sentita?”
Steve gli gettò i vecchi pantaloni di felpa grigia su cui
era comodamente
seduto. “Cerchi questi?”
Justin
li afferrò al volo.
“Grazie.”
“Scommetto
che è stata la vecchia
e saggia Debbie a darti questo consiglio. Già me la
immagino: una dolce e
premurosa mammina preoccupata per il suo pupillo.”
Justin
sorrise divertito. “Oh, non
potresti essere più lontano dalla realtà. Se solo
la vedessi…”
“Allora
chi?” Steve ci pensò su.
“Il tizio con cui hai realizzato il fumetto, Michael
giusto?”
Justin
annuì e si sfilò la maglia.
“Si, ma non è lui.”
“Qualche
altro amico gay?” Incalzò
mentre Justin finiva di spogliarsi e si infilava i vestiti per dormire.
“Più
o meno.”
“Oh
oh.” Steve gli sorrise sadico.
“Ho capito.”
“Ne
dubito.” Justin tornò verso il
letto e si sdraiò di nuovo. “E poi
perché la nostra discussione sugli etero è
finita sui miei amici gay?”
“Proprio
perché gli amici etero
non ci sono!”
Justin
chiuse gli occhi,
massaggiandosi le tempie. “E…?”
“Ed
è triste, Justin!
Incredibilmente triste!” Steve si girò verso di
lui, poggiando la guancia sulla
mano.
Justin
sorrise appena. “Mi è
appena venuto in mente il terzo etero.”
Steve
lo guardò dubbioso.
“Davvero?”
“Si.”
Justin riaprì gli occhi.
“Tu!”
“Lo
sapevo! Hai imbrogliato anche
col terzo!” Steve si sdraiò di nuovo, mentre
Justin rideva del suo disappunto.
“Così
impari a voler darmi
lezioni!”
Steve
sbuffò, rivolgendo le spalle
al suo amico. “Me ne ricorderò.”
“Ora
vorrei dormire.” Justin si
allungò per arrivare all’interruttore.
“Ti dispiace sloggiare?”
Steve
sprofondò di più nel cuscino
e si sfilò le scarpe. “Ti dispiace chiudere il
becco e spegnere quella cazzo di
luce? Ho un sonno pazzesco.”
Justin
roteò gli occhi e spinse
l’interruttore. “Mi domando come mai hai prenotato
la stanza se poi rompi le
palle a me!”
“Notte,
grande artista.” Steve
sorrise nel buio.
“Buonanotte,
stronzo.”
Ed ecco il primo capitolo! Allora
ho voluto
incentrarlo più su Justin (anzi tutto su Justin dato che
degli altri non c’è
ombra, ma non temete…) perché è lui
quello che se n’è andato e che adesso ha
una nuova vita lontana da Pittsburgh, dalla famiglia, dagli amici
(soprattutto
gay, come qualcuno gli ha gentilmente fatto notare XD) e soprattutto
dall’uomo
più bello, sexy e dolce del mondo ossia Brian Kinney! Ho
voluto mostrare almeno
un po’ il suo rapporto con Lindsay e soprattutto quello con
Melanie: fin dalle
prime puntate ho amato il riguardo e l’affetto che Mel,
sempre così tosta, ha
mostrato nei riguardi di Justin. Ogni volta che gli succedeva qualcosa,
era
sempre da Melanie che lui andava cosi come Brian correva da Lindsay. Ho
voluto
quindi creare una specie di parallelismo tra i due rapporti,
perché è così che
io li ho sempre visti.
Nel prossimo capitolo vedremo un
po’ com’è la
sua vita a New York e come se l’è passata negli
ultimi due anni, prima di
tornare nella gloriosa Pittsburgh e
ritrovare tutti gli altri. Allora, che dire? Steve è un
personaggio di mia
invenzione, come avrete capito, che rimarrà abbastanza
presente, così come lo
rimarranno Linz, Mel, Gus e JR… che sesta stagione sarebbe
senza di loro,
sennò?
Dopo
questo sproloquio senza senso vi lascio, sperando che abbiate voglia di
lasciarmi una recensione e dirmi cosa ne pensate e soprattutto se valga
la pena
continuare oppure dovrei buttarmi giù da un ponte con tutte
le mie idee!