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Autore: baka_the_genius_mind    02/09/2010    11 recensioni
«Mi spieghi come siamo finiti a parlare dei tuoi bigodini? Possibile che ogni conversazione debba andare a concludersi con i tuoi blateramenti riguardante la preservazione della tua bellezza?»
«Sai, capita quando si è abominevolmente belli.» rispose con noncuranza, fingendo di lucidarsi le unghie sulla maglietta.
[Dedicata a Jo. Lei sa perchè.]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kai, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a Jo.

Lei sa perchè.






It seems an acceptable mistake

I love you more than my music



Chi l'ha inventato quel detto?

Ditemi chi si asserito per la prima volta che a tutto c'è un limite, che lo trucido.

Tentai di alzare lo sguardo e lo vidi tutto preso da un'immensa tazza di latte caldo, che tuttavia non riusciva a nascondere neanche parte del monumentale sorriso soddisfatto che aveva piantato sulle labbra.

Ghignava.

Che gli dei mi dessero l'acume per capire cosa kso frullava in quella testa matta, perchè io di certo non ce l'avevo.

Sghignazzava lo scriccioletto, rideva deliziato come se ci fosse stata una mano dispettosa a fargli il solletico sotto ai piedi - tortura che mi aveva dissuaso a sottoporgli quando un giorno, solo avvicinando un dito alla pianta esposta, mi aveva schiacciato l'intera mano a terra, calpestandola come se fosse un ragno.

Era ed è tuttora un cantante in confezione salvaspazio, mignon di natura, ma quando necessita tira fuori la forza di una piccola valanga in caduta libera. Di dimensioni alquanto ridotte, ma dolorosa quanto le sorelle maggiori.

Difatti era pure riuscito ad incrinarmi una falange con lo scherzetto del pestone.

Certo fu che da quel giorno ho guardato con compassione i poveri ingenui che hanno tentato di fargli il solletico.

E non solo sotto ai piedi.

Takanori lo soffre ovunque.

Se gli sfiori la pancia e sei alla sua altezza (ovvero, come fa spesso e malignamente notare Reita, a circa un metro e mezzo da terra) rischi di diventare orbo, altrimenti il puffetto opta per un cazzotto in pieno stomaco, sicuramente istintivo ed involontario, ma indubbiamente distruttivo, soprattutto se si è reduci da una cena in casa di Uruha, che, caro lui!, si farà anche in quattro per preparare i piatti preferiti di ognuno, ma il solo risultato che ottiene è un'intossicazione alimentare formato famiglia. Idem con patate se gli afferri la parte inferiore dell'avambraccio, anche solo per spostarlo dalla traiettoria che congiunge Aoi e la macchinetta del caffè, recentemente eletta unica donna della sua vita. L'ultima volta che ci ho provato, onde evitare di ritrovarmi il vocalist spalmato a terra come un tappeto (Yuu non guarda in faccia nessuno quando c'è in ballo il suo caffè), ho ricevuto in risposta un “ih” così acuto, improvviso e prolungato da frantumarmi i timpani e togliermi almeno dieci anni di vita.

Per non parlare del collo.

Dei santissimi, il collo.

Ancora mi chiedo come abbiamo fatto a resistere per più di due giorni, io, che ero (e sono tuttora) innamorato perso di quel collo snello e affusolato da anni e che da altrettanto tempo sognavo di marchiare con ogni sorta di morso e succhiotto, e lui, che se solo glielo guardavi con troppa intensità saltava su come una trappola per topi.

La prima volta che ho tentato di baciargli il collo mi ha tirato una testata degna di un wrestler.

E non sto scherzando.

Sono dovuto scendere a patti anche con questa sua stranezza (ben poca cosa, rispetto ad altre sue abitudini) e al testo risolvemmo il dilemma delle notti in modo a dir poco bizzarro.

Per evitare di assumere il ruolo di suo personalissimo saccone da boxe notturno quando, abbracciandolo a dietro, respiravo lievemente sulla sua nuca, invertimmo i ruoli - inventando una posizione innovativa che ancora oggi troneggia durante i nostri sonni.

Ovvero lui, con una grazia tutta sua degna di un branco di elefanti in calore, si appollaiava sulla mia schiena, in modo da farmi sentire più chiaramente tutta la variegata serie di mugolii e versetti vari che emetteva durante la notte, dal momento che la sua bocca si trovava incollata al mio orecchio.

Appiccicai gli occhi alla mia tazzina di caffè, avvilito.

Appena poche settimane prima avevo giurato a lui stesso che al mondo non esisteva una persona più importante, per me. Gli avevo confessato con le lacrime agli occhi di amarlo più della mia adorata musica.

Gli lanciai una seconda occhiatina fugace, ma i suoi occhi erano così sereni e brillanti che mi vergognavo anche solo di guardarlo.

«Itoshii Yutaka?»

Lo ignorai, alzando il giornale davanti al mio volto come una muraglia.

Cioè, tentai di ignorarlo. Come si fa ad ignorare il richiamo della perfetta metà della tua esistenza?

Feci forza sulla mia volontà - che, a pelle, mi avrebbe indotto a lanciare il corriere all'aria e bermi la bellezza del suo volto con un solo sguardo - per concentrarmi sulle parole dell'articolo.

Ero tutto intento nella soporifera lettura dei dettagli riguardanti la chiusura in rialzo della borsa di Tokyo, quando, tutto ad un tratto, le parole slittarono rapidissime e il quotidiano mi scivolò via dalle mani, senza possibilità che io potessi stringere le dita per trattenerlo a me e, magari, per nascondermici dentro fino alla Giudizio Universale.

«Mi presti un po' di attenzione, Kai?»

I suoi occhi mi apparvero davanti al volto e io non potei fare altro che osservarlo in ogni più insignificante dettaglio.

La pupilla non perfettamente tonda, ma impercettibilmente schiacciata al lati, ma in modo così leggero che nessuno se ne sarebbe mai accorto se non avesse passato ore in mera venerazione di quegli occhi come me. E le iridi scure, che quasi sfumavano in nero attorno ad essa, rendendo ancora più difficile accorgersi di questa sua peculiarità da felino. La forma dell'occhio sottile che si allungare dolcemente verso le tempie e che lui sottolineava con decisi tratti di matita nera; gli zigomi tondi, sopra quelle guance dalla perfetta morbidezza.

Rimasi incantato dal suo sguardo, ne rimasi preda, entusiasta prigioniero, e quando le sue labbra, gelose che la mia attenzione non le avesse nemmeno sfiorate, toccarono le mie, mi fu dato il colpo di grazia.

Inerme.

Inconsapevolmente, mi privava di ogni arma, prima fra tutte la mia volontà.

Riusciva a dominarmi con un solo sguardo e sottomettermi con un bacio.

«Tu sei...» mormorò in un sussurro sulla mia bocca «...il re delle seghe mentali.»

Non mi preoccupai certo di ascoltare ciò che usciva da quelle labbra e mi premurai, invece, di chiudergliele con un secondo bacio, cingendo la sua vita sottile con un braccio e stringendomelo addosso.

«Mi stai ascoltando?» mormorò poi con un morbido sospiro, sedendomisi a cavalcioni; scivolai in avanti con il bacino, permettendogli così di sistemare comodamente le gambe, incrociandole dietro di me.

«No.» ammisi in un impeto di sincerità, afferrandogli i fianchi e facendolo slittare giusto sulla mia mezza erezione. All'inizio temevo che avrebbe considerato una debolezza la costante e perpetua eccitazione che mi correva sotto pelle in sua presenza, ma aveva fatto presto a smentire questo mio dubbio.

Nascosi il volto nell'incavo del suo collo, improvvisamente mortificato.

«Viaviavia, mi fai il solletico!» strillò lui, contorcendosi come un'anguilla; piegò di scatto la testa di lato, imprigionandomi il cranio in una morsa che somigliava più ad una mossa di lotta libera.

Tentai di scivolare indietro – temetti veramente che mi avrebbe decapitato a suon di testate – ma evidentemente dovetti fargli ulteriormente solletico coi capelli, perchè lanciò un grido acutissimo esattamente dentro il mio padiglione auricolare.

«Takanori, cazzo!»

Alzò il capo quel poco che mi permise di sgusciare fuori dalla sua stretta e quando finalmente ne fui liberato lo guardai con gli occhi di fuori.

«Scusa.» mormorò lui, il capo ancora incavato nelle spalle in posizione di difesa.

«Non sei tu che ti devi scusare.» ribattei io, poggiando la fronte contro il suo torace, mogio come un cane bastonato.

«Yutaka...» mormorò lui affondando una mano nei miei capelli, con un tono di vago e dolcissimo rimprovero.

«Ti prego, Taka, ti prego perdonami.»

«Non hai niente da farti perdonare...»

Esalai uno sbuffo. «Mi fai sentire ancora più stronzo.»

Posò il mente sulla sommità del mio capo.

«Posso spiegarti? Senza che tu mi interrompa?»

Rimasi qualche istante in silenzio.

Non era lui che doveva spiegarmi i motivi per cui mi aveva perdonato, ma io che dovevo tentare in qualche modo di dimostrargli che l'amavo alla follia e che non c'era niente e nessuno al mondo che potesse, non dico usurpare, ma anche solo minacciare la sua posizione di mia unica ragione di vita.

Le sue spiegazioni non avrebbero fatto altro che accentuare la mia granitica e oggettiva convinzione di non meritare neanche un briciolo di lui.

Annuii ugualmente, con una smorfia.

«Io ti amo, Yutaka. Lo so che tu sei convinto di non meritarmi e so anche che ti sottovaluti con una tenacia e un accanimento che ha dell'incredibile.» fece una pausa, sbuffando una piccola risata fra i miei capelli «So anche che è inutile cercare di farti cambiare idea, che sei fatto così e difatti ho smesso mesi fa di incazzarmi per questo.»

Mi afferrò il volto e mi allontanò da quel cantuccio caldo per guardarmi dritto negli occhi.

«So che mi ami, non ho neanche il più microbico dubbio sul tuo amore. E questa mia certezza è la forza che mi tiene in vita.»

Non riuscii a farlo continuare.

Componeva testi che avrebbero fatto piangere delle statue di marmo, ma io sapevo che lo imbarazzava parlare senza noi quattro che lo supportavano con le melodie. Gli posai due dita sulle labbra, invitandolo ad alzare lo sguardo che l'impaccio aveva costretto ad abbassare pochi istanti prima.

Ma lui mi prese dolcemente il polso, chiedendomi tacitamente il permesso di finire.

«Tu mi ami più della... musica.» bisbigliò e l'ultima parola ebbe una leggere sfumatura interrogativa, come se davvero ciò che aveva detto fosse talmente inconcepibile da poter essere espresso senza il timore di pronunciare una terribile bestemmia.

Annuii con un piccolo sorriso.

Molti si sarebbero offesi nel saperlo, ma io avevo capito fin dal primo bacio che lui non sarebbe mai riuscito a darmi la stessa importanza della musica, figuriamoci una quantità superiore. E la cosa mi era parsa così ovvia che impermalirsi per questo sarebbe stato come risentirsi del fatto che il Sole sorgesse ogni mattina da est.

«Ecco...» riprese un po' imbarazzato «Io lo so. Lo so ed è questo il motivo per cui mi stupisco che tu ti senta ancora in colpa per una sciocchezza simile.»

Sospirai.

«Voglio dire, io ci ho riso sopra, perchè tu non riesci a farlo?»

«A volte mi sembra che tu non capisca bene cos'è successo...»

Lui sbuffò, scocciato, incrociando le braccia al torace e sporgendo le labbra in un broncio che mi scioglieva il cuore ogni santa volta; lui lo sapeva benissimo, e infatti sgranò gli occhi portando una mano alla bocca, mormorando un flebile ops, accompagnato da un sorrisetto malizioso.

Gli sorrisi in risposta.

«Mettiamola così, se tu mi avessi chiamato Reita quando stavamo scopando io-»

«Dèi del cielo, Takanori

Lui mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite.

«Beh? Che ho detto? Guarda che se dico scopare oppure» e mimò le virgolette con due dita «fare l'amore, l'atto pratico rimane quello, eh!»

Feci una smorfia.

«Lo sai benissimo che scopare mi sa di film porno di seria Z!»

Mi ritrovai davanti al naso ad uno dei suoi ghigni più maliziosi.

«Certo. E so anche che ti eccito da morire quando faccio lo sboccato.»

Avvampai furiosamente, e cercai di dissimulare tale rossore alzando gli occhi al cielo e sbuffando.

«Come se ci fosse un momento in cui la tua vista non mi eccita...» ammisi poco dopo, facendo un sorrisetto.

Si portò una mano al mento, pensieroso. «Forse quando mi metto i bigodini?»

Scoppiai a ridere.

«Mi spieghi come siamo finiti a parlare dei tuoi bigodini? Possibile che ogni conversazione debba andare a concludersi con i tuoi blateramenti riguardante la preservazione della tua bellezza?»

«Sai, capita quando si è abominevolmente belli.» rispose con noncuranza, fingendo di lucidarsi le unghie sulla maglietta.

Non trovai altro modo, per placare quello scoppio di egocentrismo acuto, che chiudergli quelle labbra arroganti con un altro bacio. Metodo che, lo ammetto, mi consentiva di trarre vantaggio della presunzione che quel piccolo soldo di cacio canterino sfoggiava. In quell'occasione, oltretutto, fu l'unico modo per non dichiararmi vergognosamente d'accordo con lui.

Si staccò dalle mie labbra scoccandomi uno sguardo di rimprovero.

«Devo ancora capire come fai a distrarmi sempre.»

No scusa, itoshii hito... io che distraggo te?

«Sai, capita quando si bacia come Dei scesi in Terra.» lo scimmiottai prendendolo in giro.

Lui sorrise.

«Yutaka, non hai fatto niente di male.» mormorò all'improvviso.

Mi incupii.

«Non è vero. Ti ho chiamato-»

«Reita. Mi hai chiamato Reita.» inclinò leggermente il capo facendo scivolare i boccoli rossicci sulla spalla. «Mi sembra un errore-»

«Non provare a dire 'accettabile', non ci provare neanche.»

Corrugò la fronte, ma sembrò ricordarsi degli effetti sconvolgenti che certe sue smorfie avevano sulla mia psiche e non si imbronciò.

«Quanto la fai lunga!»

«Takanori...»

«No, zitto!» esclamò imperiosamente, tappandomi la bocca con una mano «Ripeto: se stessimo scop- mmh, facendo l'amore e tu gridassi, con le tue belle spinte da animale in calore,» feroce vampata di rossore alle guance «il nome di Reita in mezzo all'orgasmo, ecco, comincerei a farmi le mie belle seghe mentali.»

Strinse le labbra in un'espressione pensierosa.

«Soprattutto mi chiederei in che universo speri di fare di Ryo Suzuki un passivo.»

Gli lanciai un'occhiata quanto più sconvolta potessi, dal momento che quella mano mi impediva ancora -e anche piuttosto rudemente- la parola.

«Stavi semplicemente pensando a lui»

Riuscii a scavalcare le sue dita con un gesto secco della testa.

«Penso ad un altro mentre ti consolo di una giornata andata male a prove?» gli chiesi inarcando eloquentemente un sopracciglio.

Lui fece spallucce. «Non escludo di diventarlo presto, ma non sono ancora così egocentrico da pretendere che tu pensi a me ogni istante della tua vita.»

Sbuffai per l'ennesima volta e feci per aprire bocca con la ferrea intenzione di ribattere acidamente...

Mi afferrò per il colletto della camicia e mi inchiodò in un bacio famelico.

...intenzione che si scontrò violentemente contro la sua lingua, uscendone pressoché polverizzata.

Mi limitai a proferire un lungo e veramente poco intelligente mmmmh, per poi abbandonarmi a lui.

«Archiviata?»

Grazie tante, si era premurato di abbattere coscienziosamente ogni mia più piccola difesa, prima di domandarmi di metterci una pietra sopra, in modo da, al giusto momento, poter tirare in ballo la scusa ma te l'ho anche chiesto!.

E io, cretino ed innamorato com'ero, glielo lasciavo fare, esibendo pure un sorriso da ebete che non aveva eguali sulla faccia del pianeta Terra.

«Archiviata.»

Lui applicò il suo sigillo personale alla discussione con un sorriso dei suoi. Uno di quei suoi rari sorrisi che non avevo mai visto in cinque anni che ci conoscevamo, se non quando mi ero dichiarato a lui. Uno di quei sorrisi che custodisco gelosamente per me.

«Sai cosa facciamo adesso?»

«Cosa?»

È vero, non riuscivo ad organizzarmi un pensiero di senso compiuto quando lui era nelle vicinanze (beh, diciamo che anche quand'era lontano e io pensavo a lui, risultava complicato concentrarsi), ma ero così sfacciatamente innamorato e così sfrenatamente felice della vita che me ne fregava ben poco.

«Tu mi prendi in braccio...» e aspettò diligentemente che gli ubbidissi «...mi porti di là...» e colmò i pochi secondi che impiegai per percorrere alla cieca il corridoio con una cascata di baci sul mio volto «...e mi prendi fino a svenire, in ogni posizione contemplata o no dall'intera umanità...» fece scivolare una mano sul mio torace, fino alla nuca «...e miraccomando le spinte da animale.»

Gli sorrisi e continuai a sorridere mentre mi attenevo alle sue disposizioni, sorridevo mentre facevano l'amore come due bestie e sorridevo mentre mi chinavo a baciare ed asciugare ogni lacrima di bruciante e furioso piacere che rigava quelle guance.

Sorridevo quando lo sentii cadere, esausto fra le braccia di Morfeo e sorridevo anche quando lo seguii, pochi istanti dopo.


Fine.


















Note di Mya: Con mia somma commozione mi rendo conto ora che questa shot (se non ho fatto male i calcoli - cosa molto probabile, d'altronde) è la ventesima fan fiction postata in questo fandom, comprese le long ancora in corso *si asciuga lacrimuccia*

Mmh, beh, in realtà “Sekkai” è in un altro fandom, ma diciamo che comprende i GazettE anche quello u_u

L'ho già detto nella Premessa di “The Invisible Wall” ma lo ripeto: vi amo.

Vi amo con tutto il cuore.


Hime, amore mio, quello che devi sapere lo sai già.

Io non sono molto brava a dire le cose come stanno. Alla fine scado sempre nel banale.

Ma come il Ruki di questa shot riesce ad esprimere sé stesso attraverso la musica, io tento di farlo attraverso ciò che scrivo.

Non mi ricordo neanche dove, ma ho letto che noi siamo più felici quando chi ci ama ci dice 'grazie' che quando ci dice 'ti amo'. Personalmente io mi sciolgo puntualmente quando mi dici entrambe le cose.

Vorrei trovare qualcosa di meno scontato sia di un 'ti amo' sia di un 'grazie' e ti giuro che lo cercherò.


Voglio ringraziare ogni singola persona che mi è stata vicina in questi miei venti progetti e a quelle che mi staranno vicine nei quattro ancora in corso. Voglio ringraziare le mie affezionate lettrici che mi seguono dappertutto, voglio ringraziare chi non legge finchè non sarà sicura di recensire (e chi vuole intendere intenda... gli altri, in camper! ...okay, niente, battuta penosa), voglio ringraziare chi mi da le lacrime con una recensione, voglio ringraziare chi ci riesce con un papiro e voglio ringraziare chi riassume tutto in due parole (le nostre famosissime capacità telepatiche di sintesi, Hime xD), voglio ringraziare chi mi fa ribaltare in terra dalle risate (Guren, sentiti tirata in causa) e voglio ringraziare chi mi fa pensare, voglio ringraziare chi ha messo la mia umilissima e grata persona fra gli autori preferiti, voglio ringraziare chi c'è sempre e chi si fa vedere a sprazzi, voglio ringraziare chi mi ha aperto gli occhi su un mondo nascosto che ora è la mia vita (Arigato. Non sai quanto hai fatto, non sai chi sono e probabilmente non sai neanche che esisto, ma arigato, domo arigato gozaimasu.).

E voglio anche ringraziare chi mi aiuta a sbrogliare le matasse di Salvatore, aiutandomi ad andare avanti dopo un blocco aberrante e voglio ringraziare chi sa l'inglese molto meglio della sottoscritta e mi impedisce di fare una figura da cammello quando decido di usarlo.

Grazie.

È poco ma viene dal cuore.


Mata ne,

ci si rivede alla ventunesima fan fiction (peraltro già in via di stesura).

Mya




  
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