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Autore: Railen    02/09/2010    8 recensioni
L’uomo sorrise e si avvicinò quando ormai mancava un solo minuto allo show. «Puoi spiegare anche a me il significato di “I love you”?». La domanda era seria, eppure Bambolina si domandò il perché gli interessasse tanto. Ma non fece domande e spiegò anche a lui la stessa cosa che aveva detto al fratello. Magari voleva fare un regalo ai fan italiani destreggiandosi in quella nuova lingua… sempre che Jared gli concedesse l’uso del microfono. Shannon rimase ad ascoltare con attenzione. La indicò un momento, con aria confusa. «Quindi a te dovrei dire “ti amo”?». Bambolina arrossì violentemente, abbassando la testa. Si passò una mano sulla fronte e ritrovò il proprio contegno. Non era il caso di farsi smascherare così per un errore. Scosse la testa e sul viso le si dipinse un sorriso tenerissimo. «No. Essendo tua amica devi dirmi “ti voglio bene”. Il “ti amo” devi usarlo con la persona di cui sei innamorato».
One-Shot ispirata da non so cosa. Semplicemente da Shannon, credo.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I’m screaming “I love you so”.

«Grazie a tutti!».
La ragazza alzò una mano in aria a salutare il grande pubblico riunitosi al Palasharp di Milano e fece un mezzo inchino. Le urla non cessavano, ma solo perché mancava pochissimo che quel palco venisse occupato dalle vere star.
Si voltò e tornò nel backstage, seguita dal resto della band.
Suo cugino Karim – nonché bassista della band - l’affiancò e le fece l’occhiolino. «Siamo stati bravi, vero?».
Lei gettò la testa all’indietro e rise, annuendo compiaciuta. «No. Siamo stati grandiosi!».
Jensen e Sam, rispettivamente chitarrista e batterista, risero all’unisono e abbracciarono i loro compagni di avventura che li precedevano di qualche passo.
«Bambolina ha ragione: siamo stati perfetti!».
Tutti e quattro risero, scaricando così il nervosismo e l’adrenalina che avevano usato sul palco. Per quante volte affrontassero una folla come quella, non si abituavano mai. C’era sempre il terrore da palcoscenico, che poi passava appena uno di loro incominciava a suonare il proprio strumento.
Arrivati alla porta del camerino, Bambolina bussò per pura cortesia. Più che altro gli era già capitato di entrare e di trovare i ragazzi mezzi nudi e prima di riprendersi e di uscire dal camerino rossa di vergogna, era rimasta qualche secondo ad osservare quei gran bei corpi che si ritrovava davanti.
Alla fine le risatine generali l’avevano fatta riprendere per poi farla fuggire a gambe levate.
Sospirò al ricordo e scosse la testa, scacciando il pensiero. Sapeva che le capitava spesso di assumere un’espressione da pesce lesso al pensiero.
La porta si aprì e un Tim circospetto si guardò in giro, per poi abbassare lo sguardo di molto. Lui era fin troppo alto e se Bambolina era solo un metro e cinquantacinque di altezza, non era colpa sua.
La ragazza notò la sua manovra fin troppo recitata e porto le braccia incrociate al petto, sollevando un sopracciglio con evidente disapprovazione.
«Ehi, bentornati!». Tim si spostò di fianco, facendo entrare la band di supporto.
«Thank you, baby!». Bambolina sorrise, entrando nel camerino. Si guardò attorno e notò che tutti erano vestiti, per sua immensa fortuna. Voleva evitare altre figure poco carine.
Tomo le si avvicinò, appoggiando un braccio sulle sue spalle. «Com’è andata?».
Jared interruppe le sue elucubrazioni mentali di cui stava mettendo a corrente anche Emma e si voltò verso la band, avvicinandosi a Bambolina.
«C’è gente lì fuori, Bambi?». La luce nel suoi occhi chiari bruciava spietata.
Jared sapeva perfettamente quanto la ragazza odiasse quel soprannome, ma aveva incominciato ad usarlo… Con il risultato che tutti ora la chiamavano così.
Ormai la ragazza faticava anche a ricordarsi il suo vero nome.
Sonia – questo era il suo nome – era nata a cresciuta a Milano e a diciannove anni si era trasferita a Los Angeles dove viveva suo zio, il fratello di sua madre. Una volta approdata lì, aveva scoperto che suo cugino Karim, che era il figlio dello zio, aveva una band.
Una giornata al karaoke aveva convinto Karim che Sonia sarebbe stata la vocalist perfetta per la loro band rock. E lei, ben contenta, aveva accettato.
Aveva studiato canto e chitarra, scrivendo al tempo stesso canzoni. Poi avevano deciso di fare la loro gavetta esibendosi in vari locali ed erano stati notati in modo positivo. Avevano trovato una piccola cerchia di fan e si erano autoprodotti un CD.
Infine erano approdati sui più importanti palchi del mondo come supporter dei Thirty Seconds To Mars.
«Per prima cosa, non mi chiamare Bambi». Sapeva di parlare con un muro, però ci teneva a precisarlo sempre. Il soprannome di Bambolina le era stato appioppato fin da piccolissima per le sue dimensioni ridotte. Ora, a ventidue anni, era alta un metro e un tappo di sughero. «E secondo… Ma che cacchio di domanda è? Certo che c’è gente! E’… stupendo. Non ne hai idea».
In realtà un’idea Jared l’aveva eccome. Aveva affrontato concerti su concerti e capiva benissimo l’entusiasmo da principiante che aveva Bambolina. Pure a lui capitava di esserne travolto, benché fosse un veterano del palcoscenico.
«E’ bello essere a casa», continuò la ragazza con gli occhi sognanti. Finalmente erano a Milano e il giorno dopo avrebbero potuto riposare e girovagare per la città. Lei però non vedeva l’ora di essere buttata giù dal letto per correre a casa tra le braccia della sua mamma, del suo papà e del fratello minore.
Shannon entrò in quel momento ma fu bellamente ignorato. Tutti erano stretti intorno alla band di supporto, chiedendo loro cosa ne pensassero del pubblico. Era sempre la solita storia e le risposte erano sempre quelle.
L’uomo ridacchiò. Cosa potevano aspettarsi da una band alla loro prima esperienza? Per loro era tutto stupendo, fighissimo. Erano sempre elettrizzati ed entusiasti. Ma alla fine il pubblico faceva quell’effetto anche ai Thirty Seconds To Mars.
Era rimasto a guardare il loro show per quella mezz’ora che gli era stata dedicata e gli era piaciuto. Avevano un grande impatto sul pubblico e Bambolina aveva una grande energia. Non aveva niente da invidiare a Jared – che aveva preso da modello - in quanto a muoversi continuamente sul palco insieme alla sua chitarra.
Non bastava solo una bella voce per quel lavoro; servivano anche una grande energia e moltissimo carisma, doti di cui la ragazza era estremamente dotata.
Si mise a fare stretching. Prima alle braccia, tirandole per bene. Scrocchiò le dita e le mosse, appurando il loro funzionamento. Poi si chinò su sé stesso, portando le mani alle caviglie e stirandosi per bene anche quelle.
«YATTA!». Quella sottospecie di verso giapponese proveniva da pochi metri di distanza da lui. Non fece in tempo ad alzarsi che si trovò Bambolina accozzata alla sua schiena e per poco non rischiò di schiantarsi per terra a causa dello sbilanciamento subito. Per fortuna la ragazza non era molto pesante.
«Ma che cazzo…», si lamentò Shannon, puntando le mani sul pavimento per evitare di trovarselo appiccicato al viso.
«Dai, se fai stretching con me sopra ti stiri maggiormente. Su, tutti questi muscoli serviranno a qualcosa!». E gli tastò il braccio sinistro, dove faceva bella mostra di sé il tatuaggio di arte astratta che si era fatto tatuare anni e anni prima.
Shannon sbuffò e si sollevò, tenendo la ragazza per le gambe prima che cadesse. In tutta risposta, lei gliele cinse intorno alla vita.
«Sì, a suonare la batteria, non ha portare una balena come te!». Rise alzandosi di colpo.
Per tutta risposta Bambolina si aggrappò maggiormente a lui, stringendogli il collo con il braccio destro e bloccandogli la testa con il sinistro.
«Che cos’hai detto, nanerottolo?».
Con il fiato corto per lo strangolamento, Shannon ridacchiò. «Senti chi parla, l’altissima!».
«Ma almeno io sono una ragazza! Tu sei l’ottavo nano di Biancaneve!».
«Ma come osi, brutta…».
Shannon si gettò all’indietro e cadde sul divanetto bianco posizionato alle sua spalle. Bambolina rimane schiacciata sotto di lui e tossì affaticata, per poi strangolare maggiormente Shannon.
Jared li guardò esasperato e scosse la testa, avvicinandosi. Il fratello, anziché rilassarsi o prepararsi mentalmente al fatto che mancavano dieci minuti allo show, stava giocando allegramente con Bambi. Li guardò con disappunto, scrutandoli con gli occhi grigi.
«Ma vi sembra il momento di pomiciare?», domandò indicandoli, lì avvinghiati sul divano.
Il fratello ormai era nella più completa agitazione e gli chiedeva aiuto per evitare il soffocamento, indicando le braccia della ragazza intorno al suo collo. Lei, nel frattempo, si teneva avvinghiata anche con le gambe.
Bambi strabuzzò gli occhi senza lasciare la presa. «E questo tu lo chiami pomiciare? Lo fai in un modo piuttosto strano, Jared».
Jared le punto le iridi addosso, scrutandola minacciosamente. Aiutò il fratello ad alzarsi annaspante appena Bambi lo lasciò andare e prima che anche lei si alzasse, gli fu addosso.
La spinse di nuovo contro il divano e fece aderire il proprio corpo contro a quello di lei, bloccandole i polsi sopra la testa.
«Se vuoi ti do una dimostrazione pratica di come lo faccio io, così vediamo se si differenzia molto dal tuo».
Fece un sorriso assolutamente sexy e bastardo, inclinando leggermente la testa. Gli altri assistevano allibiti alla scena, così come Bambi che guardava il frontman un po’ spaesata.
Gli ci volle giusto qualche secondo per riprendersi e con aria di sfida cinse i fianchi a Jared con le gambe.
«E io che invece pensavo lo facessi strano… invece sembri uguale agli altri».
«Ma io sono molto più bravo».
«Questo è da vedere, Leto».
Jared gettò la testa all’indietro e rise di gusto, lasciando andare la presa sui polsi della ragazza. Si mise a cavalcioni su di lei, guardandola dall’alto in basso.
«Un giorno ti farò vedere, te lo prometto». L’uomo era decisamente sicuro di sé. Quel sorriso poteva appartenere solo a chi aveva davvero soddisfatto un sacco di donne.
Bambi alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, cercando di alzarsi in qualche modo, ma il corpo di Jared glielo impediva.
Puntò lo sguardo smeraldino in quello azzurrino di lui.
«Il fatto che tu abbia un nome importante, non significa che tu sia importante anche lì sotto!». Sorrise maliziosa, indicando il cavallo dei pantaloni dell’uomo.
Karim, Jensen e Sam si lasciano sfuggire un coro di “UUUUUH!” con in sottofondo le risatine di Tomo e Tim, che si nascondevano alla vista del frontman per non pagarla cara. Vicki e Emma invece si fissavano, cercando a vicenda di non ridere e serrando le labbra il più possibile.
Braxton era incredulo e fissava Jared aspettandosi una qualsiasi punizione divina per la ragazza.
L’unico impassibile che fissava la coppia appropinquata sul divano era Shannon.
Jared fissò la ragazza incredulo, per poi diventare apertamente minaccioso.
«Staremo a vedere».
Una mano si posò sulla sua spalla, stringendola con eccessiva forza. Jared si voltò e incontrò lo sguardo assassino del fratello maggiore.
«Potresti toglierti da lei, per favore?», domandò Shannon con voce tremante.
Jared sorrise e gli lanciò uno sguardo d’intesa, portando le mani dietro alla testa come qualcuno che stava per essere arrestato.
«Come desideri tu, bro». Si alzò lentamente per non fare male a Bambi. Appoggiò le mani sulle ginocchia della ragazza per evitare strani scherzi alle sue parti basse. Un’occhiata al viso imbronciato di lei gli fece intuire che aveva avuto ragione a temere per i suoi gioielli e ringraziò il cielo per quell’improvviso campanello d’allarme che era scattato nel suo cervellino.
Quando fu in piedi guardò Shannon e gli passò a fianco, con un sorrisino divertito sul volto.
«E’ tutta tua».
In risposta ricevette una gomitata dal fratello e barcollando, Jared raggiunse Tomo, pronto a salire sul palco.
Bambolina si tirò su a sedere ed infine si alzò. Incontrò per caso lo sguardo stranito di Shannon e corrugò le sopracciglia.
«Ehi, tutto bene?», domandò, avvicinandosi di qualche passo.
Shannon si affrettò ad annuire e indietreggiò. «Tutto okay. Stiamo per salire sul palco». E fece un sorrisino.
Bambolina sorrise a sua volta, pensando che dietro a quello strano comportamento si celasse solo un po’ di nervosismo pre concerto.
L’uomo si voltò e raggiunse il resto della band, mettendosi a chiacchierare con Tim e sistemandosi lo smanicato di jeans borchiato.
Bambi si appoggiò al muro, fissando la band che parlava tranquillamente. Adorava vedere quella scena che praticamente si ripeteva quasi ogni sera. Amava vedere la loro preparazione, sentire le loro idee per lo show. Era sempre un momento magico quello.
Un uomo della security bussò alla porta e sbucò solo con la testa, guardando Jared negli occhi.
«Cinque minuti!». E detto ciò, richiuse la porta scomparendo.
Shannon incominciò a saltellare, seguito da Tomo. Tim invece rideva e scherzava con Braxton, mentre Jared stava dicendo qualcosa a Emma.
«Ohi, Jared!», urlò Bambi e tutti si fermarono a guardarla. Staccò la schiena dal muro e lo guardò divertita.
«Volevo ricordarti qualche lezioncina d’italiano. Si dice GRAZIE e non Grazi o Gratzia».
L’uomo la fulminò con lo sguardo. Si allontanò dal gruppo giusto di un metro e la guardò con le braccia ai fianchi. Una posa da Diva.
«Di che stai parlando?».
«Del fatto che ti fai sempre figo negli altri paesi. In Francia poi non ne parliamo: interi monologhi in francese, per non parlare delle canzoncine. E qui non sai nemmeno dire GRAZIE!».
«Ma io lo so dire!». Gli occhi del frontman saettavano.
Bambi scosse la testa, incrociando le braccia al petto. «Tu credi di saperlo, ma sbagli sempre. Ripeti con me, su: GRAZIE!».
Jared sembrava restio ma con un sospirò si arrese. «Ehm… Grazi?».
Bambolina scosse la testa, alzando le braccia al cielo. «Noooo! GRAZIE! Ricordati la E».
Jared ritentò. «Grazie!».
«Oh, perfetto! Vedi di non dimenticartelo!».
«Okay! Grazie!».
«No, Grazie a te».
Bambolina rise vedendo Jared che gongolava felice e continuava a ripetere quella parola – che finalmente sembrava aver imparato – a bassa voce, premendosi una tempia.
La ragazza tornò a godersi la scena appoggiandosi al muro. Che Jared avesse finalmente imparato? O almeno per quella sera.
Il frontman si voltò all’improvviso a guardarla e si avvicinò di nuovo.
«Devo chiederti un’altra lezione di italiano», disse con una luce strana negli occhi, pieni di curiosità.
Bambi alzò un sopracciglio. «Dimmi tutto».
Jared si grattò la testa a lato, per non rovinare la cresta che svettava in cima alla sua testa. «Volevo chiederti… com’è che si dice “I love you” in italiano?».
Bambi sorrise e si apprestò a spiegare il significato che I love you aveva in italiano.
«Dunque, la frase “I love you” ha due significati in italiano». Jared increspò le sopracciglia attento alla spiegazione, così la ragazza continuò. «C’è il “ti voglio bene” che si usa con la famiglia, con gli amici in generale. Poi c’è il “ti amo”. Questo viene usato per la persona con cui si sta insieme o di cui si è innamorati».
Jared aveva seguito attentamente la lezione. «E io quale dovrei usare?».
Bambolina rifletté. Tutti e due andavo bene per l’occasione, ma sicuramente il “ti amo” aveva una connotazione migliore, sia da sentirsi dire che per l’affetto che legava la band agli Echelon. E in più era molto più semplice da ricordare.
«Direi il “ti amo”. Però dato che ti devi rivolgere a molte persone devi dire “vi amo”, che è plurale».
Jared annuì, congiungendo le mani. «Vi amo».
Bambi lo imitò con un sorriso. «Bravissimo», si complimentò per poi scandire ancora quelle due parole. «Vi amo».
Jared la ringraziò e tornò indietro ripetendo le parole apprese come un mantra. Alternava il “vi amo” al “grazie”.
Bambolina rise di gusto a quella scena. Tornò a guardare la band con un certo affetto. Ebbene sì, anche lei era una Echelon e amava ogni singolo momento che passava insieme ai suoi beniamini, senza contare che poteva seguire tutti i concerti.
All’improvviso si accorse dell’occhiata insistente di Shannon e inarcò un sopracciglio, sorpresa. Di solito quello era uno dei momenti in cui saltellava o dove si metteva d’accordo con Tomo su alcuni pezzi. Invece, in quel momento, aveva escluso tutti gli altri per guardarla.
«Che c’è?», sussurrò appena, facendo in modo che Shannon leggesse labiale.
L’uomo sorrise e si avvicinò quando ormai mancava un solo minuto allo show.
«Puoi spiegare anche a me il significato di “I love you”?».
La domanda era seria, eppure Bambolina si domandò il perché gli interessasse tanto.
Ma non fece domande e spiegò anche a lui la stessa cosa che aveva detto al fratello. Magari voleva fare un regalo ai fan italiani destreggiandosi in quella nuova lingua… sempre che Jared gli concedesse l’uso del microfono.
Shannon rimase ad ascoltare con attenzione. La indicò un momento, con aria confusa.
«Quindi a te dovrei dire “ti amo”?».
Bambolina arrossì violentemente, abbassando la testa. Si passò una mano sulla fronte e ritrovò il proprio contegno. Non era il caso di farsi smascherare così per un errore.
Scosse la testa e sul viso le si dipinse un sorriso tenerissimo.
«No. Essendo tua amica devi dirmi “ti voglio bene”. Il “ti amo” devi usarlo con la persona di cui sei innamorato».
Il silenziò sembrò calare all’improvviso, rotto solo da Braxton che incitava la band a salire sul palco. Ormai era ora.
Una lunga occhiata passò tra Shannon e Bambolina. Un’occhiata piena di significati e di segreti celati.
Shannon aveva capito perfettamente i due significati della parola “I love you” e sapeva come doveva usarli. Aveva ascoltato attentamente la lezione che Bambi aveva dato a suo fratello.
Aveva fatto finta di partecipare alla discussione tra Vicki, Emma e Tomo, annuendo appena quando qualcuno chiedeva il suo intervento. Tomo aveva capito ben presto che Shannon era lì con il corpo ma la sua mente era su Marte, così lo aveva lasciato perdere, lanciandogli qualche occhiata ogni tanto.
Shannon invece non si stava accorgendo di niente, a parte della voce di Bambolina che spiegava a Jared quello che doveva dire e con una scusa se lo era fatto rispiegare, per capire al meglio e per memorizzare dentro di sé quello che avrebbe dovuto dire.
Un sorriso e un’occhiata di quelle sexy che solo Shannon sapeva fare. Si chinò su Bambolina, avvicinandosi al suo viso e deviando all’ultimo.
«E allora torno a ripetermi», sussurrò roco al suo orecchio, assicurandosi che solo lei sentisse. «Ti amo».
Tornò in posizione eretta e la guardò intensamente.
Bambolina si sentì quasi svenire. Quelle parole che aveva agognato da un anno a questa parte ora erano lì, risuonavano ancora nell’aria e soprattutto nella sua testa.
Le erano appena state dette e tutto ciò che riusciva a fare era tenere gli occhi smeraldini esageratamente larghi e una mano sulla bocca.
«Shannon? Andiamo! Jared sta già salendo sul palco e noi dobbiamo andare prima di lui!». Tomo sbuffò d’impazienza.
Shannon non si voltò nemmeno verso l’amico. «Si, arrivo».
Guardò un’ultima volta Bambolina e poi si avviò nel corridoio, pronto a dare al pubblico le più belle emozioni che avrebbero provato nella loro vita.

 
Erano tutti seduti ad una lunga tavolata in un famoso ristorante di Milano e se la gente intorno cercava di mantenere un certo contengo, loro se ne fregavano altamente.
Erano quelli che urlavano di più, che facevano più casino ma nessuno gli diceva di abbassare la voce. Un po’ di sana allegria non guastava mai.
Bambolina era seduta alla sinistra di Vicki che a sua volta aveva a fianco Tomo. Emma era davanti a lei con Braxton.
Lungo la tavolata si distribuivano poi i membri della sua band insieme a Tim e altri collaboratori. Al lato opposto al suo sedevano Shannon e Jared.
Non tutti si erano accorti di quella stranezza, forse solo Tomo, Jared e Vicki. Infatti i due componenti della band lanciavano occhiate strane a Shannon mentre Vicki teneva le iridi blu su Bambolina.
Era strano che quei due stessero separati. Di solito durante le cene stavano sempre vicino. Erano i classici culo e camicia, inseparabili.
Ed ora, ecco che all’improvviso erano uno all’opposto dell’altra. Senza contare che Bambolina non degnava di un’occhiata Shannon, mentre lui non intendeva lasciar scivolare il suo sguardo da lei.
Jared si sporse leggermente verso il fratello al suo fianco.
«Non ti sta degnando di uno sguardo».
L’occhiata furiosa del fratello non lo fece desistere.
«Cosa le hai fatto per farti trattare così?», continuò.
Se Shannon non gli conficcò la forchetta nel palmo della mano, fu un vero miracolo. «Oh, ma vuoi stare zitto?».
Jared sembrò offeso. «Scusami, eh! Mi stavo solo preoccupando! Fa un po’ come vuoi!».
E detto ciò si alzò e percorse tutto il tavolo fino a Bambolina. Giusto per rompere ulteriormente le palle al fratello maggiore e farlo rodere come un criceto che non riesce a mangiare il suo seme di girasole.
Shannon era veramente arrabbiato. Non credeva che Bambolina fosse una di quelle persone.
Una di quelle che appena gli dici che ti piace, non ti parlano più, come se le avessi insultate pesantemente.
Eppure si stava comportando proprio così.
Durante gli show dei Thirty Seconds To Mars, Bambi stava nel backstage a seguirsi tutti i concerti. Cantava, saltava al ritmo dei “Jump” di Jared e incoraggiava Shannon ogni volta che lui si voltava a guardarla. C’era sempre un pollice puntato verso l’alto, un sorriso, qualcosa. Quella sera invece no.
Bambolina sembrava essere stata svuotata di qualsiasi energia. Guardava il concerto con aria pensierosa e senza mai incrociare lo sguardo preoccupato di Shannon. Lui cercava di attirare la sua attenzione in tutti i modi, ma gli occhi di lei seguivano la figura di Jared.
E quando il frontman si posizionava davanti alla batteria, lei guardava il pubblico. Non c’erano più stati segni di incoraggiamento, niente di niente.
Shannon si era sentito sempre più a disagio e arrabbiato, non solo perché Bambi fingeva che non esistesse, ma soprattutto per lo sguardo smeraldino che sentiva perforagli la schiena ogni volta che non guardava.
Non poteva davvero crederci. Non si aspettava un comportamento simile.
Forse era stata la sorpresa del momento. Forse doveva ancora digerire la notizia. Ma nel frattempo lei continuava a ridere, a scherzare… ma non con lui.
Jared si sedette al suo fianco, fissandolo.
«Qualsiasi cosa tu voglia dire, non dirla», si raccomandò Shannon.
Il fratello lo guardò e alzò le spalle, affondando la forchetta nel pesce che aveva nel piatto.
Mangiarono in silenzio giusto qualche secondo.
«Se ti può interessare, anche lei non è felice».
I due fratelli si guardarono negli occhi per un istante, infine Jared abbassò di nuovo le azzurrine sul piatto, lasciando Shannon perso nei suoi pensieri.


Bambolina stava camminando tra le strade della sua città. All’improvviso si era alzata dal tavolo appena finita la cena e aveva appioppato come scusa la voglia di tornare a girovagare per la città.
Tutti ci avevano creduto: come i Thirty Seconds To Mars correvano nella loro amata Los Angeles appena avevano qualche giorno libero, lei voleva poter stare tranquillamente nella sua città.
In realtà aveva solo bisogno di staccare da tutto quel caos e di stare da sola, di pensare.
Gli altri sarebbero tornati in l’albergo in macchina mentre lei aveva preferito andare a piedi e non le importava quanto fosse distante.
Al momento voleva solo rimanere da sola. Si era sentita a disagio per tutta la sera e aveva creduto di impazzire letteralmente. Soprattutto non sopportava di sentire lo sguardo di Shannon addosso.
Aveva sempre avuto occhi molto penetranti e magnetici e quel giorno era stato anche peggio.
Solo che non poteva credere alle parole che gli aveva detto. Inizialmente lo aveva scambiato per un errore e non era poi difficile crederlo. Tra i tre, quello che aveva maggiori difficoltà con le lingue straniere era Shannon. Se gli altri due tentavano di ripetere come pappagalli quello che gli intervistatori gli dicevano, lui preferiva dirlo in inglese.
Quando poi gli aveva fatto capire che non stava scherzando si era quasi sentita male.
Quelle erano parole importanti che non si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire, non da Shannon almeno. Tra loro c’era una splendida amicizia. Era un toccasana, una di quelle amicizie di cui non vedi l’ora che finisca un giorno per incominciarne un altro altrettanto splendido.
Di certo non avrebbe mai pensato che quella non fosse semplice amicizia… da entrambe le parti.
Sospirò e cacciò le mani nelle profondità delle tasche dello spolverino che indossava. Affondò il viso nella kefiah, fino al naso.
L’aria gelida di Dicembre le sferzava il viso e le schiariva le idee. Guardò affascinata la facciata maestosa del Duomo, rimanendo incantata. Lo aveva visto per anni, prima di trasferirsi a Los Angeles, ma ne rimaneva sempre affascinata.
Amava la sua città, anche se era sempre molto caotica. Tranne la notte, e infatti non c’era quasi nessuno in giro. Giusto qualche persona di passaggio, qualcuno che andava di fretta, in ritardo per un appuntamento o chissà cosa.
Sentì una strana sensazione quando si voltò per guardare alle sue spalle. Poche persone. Una donna le passò velocemente di fianco mentre due fidanzatini svoltarono nella vita al suo fianco. Rimase solo un uomo che si fermò a guardare una delle vetrine illuminate.
Tornò sui suoi passi, non del tutto sicura. Conosceva quella sensazione, quella di essere pedinata.
Gli bastava incrociare lo sguardo di qualcuno per capire le sue intenzioni, se non erano buone. Gli era già capitato di essere seguita in metropolitana e per fortuna era così pratica di quei luoghi e della folla milanese che era facile seminare il pervertito.
Gli era anche capitato di essere palpata in mezzo alla folla.
Era una sensazione singolare quella di pericolo: un brivido gelato lungo la schiena e tutti i sensi all’erta.
Si voltò di nuovo, come se niente fosse e tornò a guardare alle sue spalle. Sempre quell’uomo che la seguiva, o così credeva. Però il tizio si fermò di nuovo come se niente fosse. Lo guardò voltarsi verso l’ennesima vetrina – biancheria da donna che sicuramente gli sarebbe andata bene, come no – e si accese una sigaretta.
Bambolina tornò a camminare accelerando l’andatura ma senza farsi prendere dal panico. Non doveva farsi vedere spaventata o simili e non poteva nemmeno andare in albergo facendosi seguire da un possibile maniaco che avrebbe potuto ritrovare il giorno dopo.
Poteva essere un fan, ma dubitava di avere fan così grandi e soprattutto che la seguissero in quel modo. Non era ancora così famosa.
Girò bruscamente nella prima via che incontrò e attese dietro l’angolo. Non ne aveva la certezza, a parte delle sensazioni che sentiva sulla pelle, ma se l’uomo avesse girato nella via c’era una grande probabilità che la stesse pedinando.
Lì non c’era niente di interessante da guardare, a parte la vetrina di una biblioteca. E le vie laterali a quella potevano essere raggiunte da altre strade.
Attese qualche istante e poi vide l’uomo che girava nella via. Prima che lui potesse accorgersi della sua presenza, lo afferrò per il giubbotto pronta a difendersi.
Dopo essere stata palpata più volte in metropolitana e sui pullman, aveva imparato a difendersi, soprattutto perché era piccolina e doveva saper reagire prontamente. E la miglior difesa è l’attacco.
Prima di fare qualsiasi domanda o di tirargli una ginocchiata nelle parti basse, Bambi si concesse un’occhiata al pervertito, rimanendo di stucco.
Ancora più sorpreso era Shannon che la fissava con gli occhioni nocciola spalancati.
«Shannon?», domandò Bambolina incredula, accorgendosi di aver lasciato la presa sul giubbotto. Per la sorpresa aveva appoggiato le mani sul suo petto.
Le allontanò ma non prima di dargli un sonoro pugno all’altezza del cuore.
Shannon si massaggiò il punto colpito, corrucciando le sopracciglia. «Ehi!».
«Ma sei scemo? Pensavo fossi un maniaco, credevo di essere seguita!».
«E perché un maniaco dovrebbe seguirti?».
Bambolina lo fissò sconcertata. «Vuoi il disegno di quello che di solito fa un maniaco? Hai quarant’anni, dovresti saperle certe cose».
Shannon sbuffò una nuvoletta di calore nell’aria gelida di Milano. «Non intendevo questo. Volevo sapere se ti sembra che io abbia la faccia da maniaco».
La ragazza si soffermò a guardarlo. Occhi magnetici, sguardo super sexy… Voltò la testa dall’altra parte. «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
Gli diede le spalle e riprese a camminare, diretta all’albergo. Ora era decisamente più tranquilla dato che aveva accertato di non essere seguita da un pervertito.
Shannon però non era dello stesso avviso. L’indifferenza della ragazza lo feriva e lo faceva arrabbiare a livelli improponibili.
Rimase fermo dove si trovava e infilò le mani in tasca. «Mi stai evitando».
Bambolina si bloccò, sbarrando gli occhi. Tornò a guardarlo lentamente e capì quanto l’aveva ferito con il suo comportamento. Avrebbe voluto urlargli che gli dispiaceva, che era stata proprio deficiente a comportarsi così ma non era riuscita a reagire in un altro modo.
Era terrorizzata dalle parole di Shannon.
Si portò una mano tremante al viso, a massaggiarsi gli occhi stanchi. «Non è così…».
«E invece sì. Hai incominciato a farlo dopo che ti ho detto quella cosa».
«Non è vero!».
Shannon strinse i pugni dentro alle tasche e fissò il viso di Bambolina. Cristo santissimo, teneva gli occhi bassi e non osava guardarlo, ignorandolo di nuovo.
Era arrivato al limite per quella sera.
«Lo hai fatto durante il concerto! Ogni volta che ti guardavo, spostavi lo sguardo! E a cena ti sei seduta lontana da me quando di solito sei sempre vicino! Le chiameresti coincidenze? Se ti ha dato fastidio quello che ho detto, basta dirlo! Sono grande abbastanza per accettarlo!».
Quasi urlava ed erano solo i denti stretti ad impedirgli di farlo.
Bambi alzò gli occhi su di lui, triste.
«Io… Non lo so». Disse e di certo non era una scusa. Non sapeva come spiegarsi. «E’ stato strano. Cioè, tu hai semplicemente sbagliato a dire una cosa e io…».
Non lo vide nemmeno. Un attimo prima Shannon era fermo a fissarla furioso e l’attimo dopo le stringeva il viso tra le mani, costringendola a guardarlo.
La determinazione bruciava negli occhi cangianti dell’uomo.
«Io non ho sbagliato a dire proprio niente. Ho capito perfettamente la differenza tra “ti amo” e…». Strinse un attimo le labbra, pensieroso, le sopracciglia aggrottate. Aveva riflettuto così tanto sulla differenza tra le due frasi che non gli fu difficile trovare l’altra. «e il “ti voglio bene”».
La ragazza rispose con uno sguardo smarrito. Tutto ciò che riuscì a fare fu stringere le mani di lui appoggiate sul proprio viso.
«All’inizio non capivo», continuò Shannon senza lasciarla andare. Si umettò le labbra, spostò un secondo lo sguardo e poi tornò a lei. «Per te è così facile dire “I love you”. Lo dici a me, lo dici a Jared, lo dici a Tomo, lo dici a Vicki, a tuo cugino… a chiunque vuoi bene».
Era così. Bambolina era molto facile al “ti voglio bene”, era espansiva nelle sue dimostrazioni d’affetto. Non ci vedeva niente di male e non capiva dove fosse il problema.
Shannon sospirò, accarezzandole lo zigomo destro con il pollice.
«Quando mi sono accorto di provare più del semplice affetto che si prova per un’amica, ho provato a dirtelo».
Non era stato esplicito, non si era prostrato davanti a lei dicendogli “Ehi tu, sai che mi attiri?” o qualcosa di simile. Si era semplicemente avvicinato e le aveva sussurrato all’orecchio un dolcissimo “I love you”. Bambolina si era voltata a guardarlo con le guance colorate di un bel rosso acceso. Aveva sorriso teneramente e aveva risposto con un semplice “anch’io”.
Shannon aveva sperato che quello fosse il punto di svolta e invece non era cambiato niente. Si era sforzato di andare da lei e di dirle che l’amava, quando di solito rispondeva alla dimostrazione di affetto che Bambi gli riservava con un veloce “sì, si, anch’io”.
«Quando oggi hai spiegato la differenza che c’è in italiano, ho capito tutto», riprese. Nei suoi occhi ora c’era una tenerezza palpabile, che faceva mancare il respiro alla ragazza. «Dovevo fare in modo che tu distinguessi ciò che realmente intendevo».
Inclinò la testa di lato e avvicinò il viso a quello di Bambolina. Non lo allontanò e lasciò che si chinasse su di lei e che le loro labbra si sfiorassero.
Le labbra dell’uomo bruciavano su quelle della ragazza, che sentiva il cuore accelerare e il sangue che le scorreva nelle vene pareva ustionarla.
Portò le mani al suo viso, sentendo sotto i polpastrelli la rassicurante sensazione che le dava la barba che lui portava abitualmente.
Non protestò quando la lingua di lui cercò la sua e rispose al bacio, forse con troppo impeto, tanto che Shannon si ritrasse sorpreso.
La guardò mente gli occhi le si riempivano di lacrime.
«Che succede?», domandò preoccupato, accarezzandole i capelli corvini. «Mi… mi dispiace. Se tu non vuoi non sei obbligata a…».
Ma prima che potesse finire, la ragazza lo colpì con un pugno sul petto, mentre con l’altra mano provvedeva ad asciugarsi le lacrime che le avevano rigato le guance.
«Sei un imbecille».
Shannon le strinse la mano appoggiata al petto. «Questo è abbastanza noto… ma perché?».
«Perché di sì», rispose Bambi con rabbia, alzando la testa fieramente. «Non c’è un motivo vero e proprio!».
«E infatti questo mi rassicura. Insomma, mi picchi e mi dai dell’imbecille giusto per sport?».
«Ho aspettato così a lungo che ormai credevo fosse impossibile…».
Abbassò gli occhi a terra, evitando lo sguardo dell’uomo.
«Cosa stavi aspettando?», chiese Shannon, alla ricerca di una spiegazione plausibile.
Bambolina tornò a guardarlo, un misto di felicità e imbarazzo nella sua espressione.
«Te».
Shannon aggrottò le sopracciglia, grattandosi la barba. «Credo di non capire».
Bambi sospirò, stringendogli il giubbotto per non lasciarlo allontanare.
«Tutti quelli della mia band e i miei amici me lo hanno raccomandato: “non ti innamorare di uno di loro”». Fece una breve smorfia, alzando gli occhi al cielo. «Io vi adoro, adoro i Thirty Seconds To Mars, mi piace un sacco la vostra musica e l’energia che mettete nella band. Ma adoro anche gli uomini che siete. Non dei montati idioti ma persone normalissime che vanno avanti a coltivare un sogno». Si interruppe umettandosi le labbra. «E io ho cercato di non farmi coinvolgere troppo dai sentimenti, ma non sono un freddo pezzo di ghiaccio. Ho provato a vedervi solo come datori di lavoro, ecco. Ma poi mi avete coinvolto nelle vostre cazzate, come se fossimo grandi amici e allora mi sono lasciata andare».
Ridacchiò scuotendo la testa, senza togliere gli occhi dalle proprie mani che tenevano la giacca di lui.
Shannon non disse niente per parecchio tempo e Bambolina temette di aver fatto una cazzata. Era meglio se stava zitta.
Infine Shannon si riprese, facendo un lungo respiro.
«Mi stai dicendo che…». Le prese il mento tra le mani, costringendola a guardarlo.
Si fissarono negli occhi e lei annuì. «Che sono innamorata di te. Che sto sempre insieme a te perché mi fai stare bene. E che quando mi hai detto che mi amavi ho avuto paura che il tuo fosse un errore e non volevo credere alle tue parole. Ho avuto paura di una delusione».
Shannon ora si sentiva… bene. Leggero. Perfetto. Appoggiò le braccia sulle spalle di Bambi e si chinò in modo da avere il viso alla sua altezza.
Sorrise contento e gongolante. «E allora te lo ripeterò, in modo che ti si infili per bene in quel cervello bacato che ti ritrovi». Fece silenzio per un istante, giusto per aumentare la suspance. «Ti amo, Sonia».
Si avvicinò a baciarla, ma Bambi gli posò una mano sulle labbra.
«Ripetilo».
«Ti amo».
«No!», protestò con il broncio. «Ripetilo dicendo il mio nome».
«Sonia, io ti amo», sussurrò roco, incerto sul perché dovesse ripeterlo. «Ora sei contenta?».
La ragazza sorrise, lasciandosi stringere da Shannon che era tornato in posizione eretta.
«E’ la prima volta che dici il mio vero nome. Di solito mi chiami sempre Bambolina o Bambi».
Shannon storse il naso. «Veramente l’ho detto due volte».
Bambi gli diede un pugno sul fianco, prima di abbracciarlo. «Imbecille».
E ridacchiando come due scolaretti innamorati, si baciarono di nuovo.

 
«Domani ti va di venire con me a casa della mia famiglia?», chiese Bambi, intrecciando le dita a quelle di Shannon. Si stavano dirigendo verso l’albergo molto lentamente.
L’uomo parve spaventato. «Vuoi già presentarmi ufficialmente?».
La ragazza scrollò le spalle. «E’ l’unica occasione che ho e poi mia mamma sarebbe felice. “Oh finalmente ci sei riuscita!”. Ecco cosa mi direbbe».
L’uomo si era perso un’altra volta nel discorso. «Di che parli?».
Bambolina rise, sfregando il viso contro la spalla di lui. «Beh, diciamo che prima di innamorarmi definitivamente di te avevo una semplice cotta. Mia mamma si è sorbita il canto alle lodi su Shannon Leto per anni, poverina».
Questa volta fu l’uomo a ridere di gusto e annuì.
«A una sola condizione!».
«Tutto ciò che vuoi».
«Mi prometti che non farai più la scema con Jared?», supplicò Shannon, lasciando che Bambi dondolasse le loro mani. Era parecchio felice e lo si notava da come sorrideva. Praticamente gli angoli della bocca raggiungevano gli occhi.
«Sei geloso?». Gli lanciò un’occhiata divertita.
«Beh, diciamo che non sono felicissimo quando mio fratello fa allusioni sessuali su di te. Il punto è che tu gli dai man forte».
Bambolina rise, scuotendo la testa. «Se non lo faccio, vince lui! Va bene, smetterò e lascerò che dia aria a quella boccaccia che si ritrova, come se parlasse già poco. E comunque sia tra noi non potrebbe mai succedere niente: non sono bionda».
Shannon ridacchiò. «Non credo che ti darà fastidio quando gli dirò che stiamo insieme».
«Si arrabbierà?».
«Al contrario. Credo che ti importunasse solo per farmi ingelosire e per darmi una svegliata».
Bambolina si fermò di colpo, costringendo Shannon a fare lo stesso a causa delle mani intrecciate.
«Vorresti dire che lui lo sapeva già?».
L’uomo alzò gli occhi al cielo. «Credo che tutti lo sapessero. Jared è mio fratello, ci diciamo praticamente tutto. E anche con Tomo e comunque lo avevano capito da soli. Vicki… beh, è la ragazza di Tomo. Emma sicuramente lo sa grazie a Vicki o Jared. Braxton e Tim… beh, le voci girano».
«L’unica a non saperlo ero io, in pratica». La ragazza boccheggiò. Era stata così imbecille da non capire niente o Shannon aveva nascosto il tutto molto bene?
«Credo di sì, ma ormai è una cosa superata».
Entrarono in albergo e si diressero all’ascensore. Bambolina era ancora silenziosa.
«A proposito di allusioni sessuali…», disse Shannon, distogliendola dai suoi pensieri. Quando si voltò, sul viso del suo ragazzo c’era un sorriso malizioso. «Ti va di dormire con me?».
Bambolina non poteva credere alle sue orecchie. «Stiamo insieme da un quarto d’ora e già mi chiedi di venire a letto con te?».
Shannon strinse le labbra, piegando leggermente la testa di lato. «Tecnicamente non è esatto. Ti ho chiesto solo se vuoi dormire con me».
Bambi affilò lo sguardo. «Ma tu dormi nudo, lo sanno tutte». Ovviamente era il pubblico femminile a gioire a tale notizia.
L’uomo la fissò con sguardo sexy. Faceva proprio parte del suo essere quell’occhiata.
«Appunto».
Bambi si strinse nelle spalle. «Allora la sensazione di essere seguita da un maniaco era esatta…».
Shannon infilò le mani in tasca, fissando i numeri luminosi che indicavano i piani.
«Va beh, se non vuoi…».
«Io non l’ho mai detto».
Sul viso della ragazza comparve un sorriso perverso. I suoi occhi chiari non davano spazio all’immaginazione.
Appena le porte dell’ascensore si aprirono con un plin acuto, Shannon prese Bambolina per mano e si lanciò fuori nel corridoio. Ridevano come due ragazzini eccitati che stavano facendo qualcosa di stupido e illegale.
E invece era una cosa del tutto normale. Forse era solo tutta quell’attesa, quelle parole non dette, ad averli resi così impazienti.
«Ehi Shan! Bambi!».
I due si voltarono e si trovarono davanti Jared e Tomo che girovagavano per il corridoio. Probabilmente li avevano aspettati.
«Vi va di andare in camera di Braxton a…».
«STAI ZITTO!», urlarono i due all’unisono. Tomo si trattenne dal ridere mentre il sorriso di Jared morì sulle sue labbra, lasciando spazio ad un’incazzatura di dimensioni stratosferiche.
Shannon tentò di rimediare.
«Ehm, scusa bro, ma io e Sonia abbiamo da fare». Indicò la ragazza con un cenno della testa, mentre apriva la porta della sua camera.
Bambi entrò dentro e fece capolino solo con la testa.
«Dobbiamo fare un altro gioco, noi. Voi andate da Braxton a giocare a carte, su, da bravi. E vedete di non disturbare!».
Shannon fece spallucce, salutò il fratello e l’amico ed entrò nella camera, chiudendosi le porta alle spalle.
Jared e Tomo si guardarono.
«L’ha chiamata Sonia…», incominciò Tomo.
«E hanno un gioco da fare…», continuò Jared.
Sorrisero trionfanti per poi scoppiare a ridere.
«Finalmente!».
Sempre ridendo come degli idioti, si voltarono e si diressero verso la stanza di Braxton dove li aspettavano Vicki, Emma e Tim per una partita a carte.
Ovviamente pronti a spettegolare su quello che avevano appena visto.

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Beh, da cosa sia nata questa shot non lo so. E’ Shannon che mi ispira e stop ù_ù
E’ la prima volta che posto in questa sezione *_* Ho così tante idee da buttare giù sui 30 Seconds To Mars ma non trovo mai il tempo di mettermi a scrivere seriamente.
Va beh, per ora accontentiamoci di questa *w*
Detto ciò, spero di non aver fatto vomitare nessuno °-° Ah, il titolo è tratto dalla canzone Decode, dei Paramore. Amo loro, amo la canzone e pensavo che quella particolare frase ci stesse molto bene come titolo!

See you soon!
…Conoscendomi, potrebbe benissimo essere il Jared Leto’s SOON xDDD

   
 
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