Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: Koori_chan    03/09/2010    3 recensioni
Hellas è tornata a casa portando con sé amore, dolore e una nuova speranza. Il tempo dei grandi imperi sta finendo, lo sente, ma ci sarà qualcuno in grado di portare avanti il ricordo della grande Grecia.
E Turchia, il solito ragazzo allegro e malizioso, che ruolo avrà in tutto questo? Riuscirà ad affrontare il crudele destino che lo attende?
Hellas e Turchia, Daphne e Sadiq.
Passato, presente e futuro.
E la Felicità che fu loro negata.
Attenzione! OC! Hellas/Antica Grecia... Hope you enjoy! =D
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Antica Grecia, Turchia/Sadiq Adnan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Avrei Voluto__La Felicità ci è Proibita.




Casa

Le era mancata Atene, con i suoi palazzi, le sue case, i suoi templi immacolati… ma adesso era finalmente tornata e avrebbe potuto nuovamente godere dell’azzurro intenso del suo adorato Egeo, che per tanto tempo aveva potuto solamente sognare.

Hellas era tornata a casa.

Troppo emozionata per aspettare ancora, aveva imboccato di corsa la via per l’Acropoli, incurante del fatto che tutta quella strada in salita fosse sconsigliata per una donna nelle sue condizioni.

Cadde in ginocchio davanti al grande tempio di Atena, quasi commossa, gli ulivi che circondavano l’edificio emanando un profumo di antica saggezza.

- Ecco, amore mio, questa è casa. Io sono nata qui… - sussurrò al vento, stringendosi nella sua mantella verde.

Eppure il suo sorriso veniva contraddetto da quelle lacrime che colavano lente lungo le sue guance. Perché tornare a casa in quel modo non era mai stato nei suoi progetti.

Cos’era rimasto delle antiche glorie? Solo un ricordo, vago, nebuloso, che si sarebbe dissolto con la sua morte. Nessuno poteva ormai raccontare la loro storia, le loro avventure, gli odi e gli amori, nessuno avrebbe mai più potuto ricordare l’aria di festa, la gioia e il dolore. Era tutto finito.

Aegypt, per prima, se n’era andata, lasciando un enorme buco nella sua vita. Li aveva lasciati tutti di stucco, in grande stile, proprio come piaceva a lei. Aveva scritto la parola fine con un veleno crudele, che bruciava nei vivi più forte del rimorso.

Si, le mancava, Aegypt, e la cosa triste era che se ne rendeva conto solo adesso che non ci poteva più fare niente.

E poi ecco che, lentamente, la morte aveva sussurrato i suoi segreti anche a Roma, stroncato dalla sua lunga, inarrestabile agonia.

E di nuovo erano state lacrime, incredulità, dolore. Era stata rabbia, perché non era giusto, perché lui non lo meritava, perché nemmeno lei lo meritava. Almeno non in quel momento.

Se n’era tornata a casa, Hellas, perché voleva che il passato non fosse completamente dimenticato, perché forse un giorno loro sarebbero stati solamente vecchi stati ormai estinti, ma tutti avrebbero riconosciuto la loro grandezza.

- Santissima Atena, ti prego… veglia su di lui… -

Si asciugò le lacrime con un gesto rapido, perché lei era forte, era battagliera, una guerriera orgogliosa che non conosceva la resa. Forte come Achille, intelligente come Odisseo, tenace come Penelope. Lei era la Grecia, la grande, magnifica Grecia. Di cose ne temeva, eccome, ma aveva sempre il coraggio di affrontarle, e anche quella volta avrebbe guardato in faccia il suo destino con orgoglio.

Lei non era sola.

Dei passi svogliati la raggiunsero alle spalle, fermandosi incima alla grande scalinata di marmo di fronte al tempio.

- Ah, Daphne! –

Quella voce non le era nuova, affatto.

Si alzò in piedi lentamente, tanto quanto glielo potevano permettere le sue condizioni, per poi voltarsi verso la fonte di quel richiamo.

- Buongiorno, Sadiq! – sorrise educatamente.

Il turco rimase un momento interdetto dallo stato di tranquillità della donna, che di solito lo scacciava malamente, ma si riprese rapidamente, avvicinandosi a lei.

- E’ da un bel po’ che non ci si vede! Come te la passi? –

Hellas abbassò lo sguardo, il verde dei suoi occhi offuscato da un sentimento che ormai aveva imparato a conoscere. Il ragazzo si pentì immediatamente della sua frase e si fece stranamente serio, mentre, impacciatissimo, le metteva una mano sulla spalla.

- Già, ecco… ho saputo di Aegypt e Impero Romano… mi dispiace… -

- Ti ringrazio, ma è inutile perdere se stessi nel dolore. Il mondo va avanti e noi con lui, non credi? – sorrise debolmente, cercando di farsi forza con la sua frase decisa pronunciata con voce tremolante.

Indugiò un momento sulla figura di Sadiq, quel giorno non portava la sua inquietante mascherina bianca, né quel suo improbabile e bizzarro copricapo. Indossava solamente una candida tunica rifinita di rosso e oro e i suoi occhi solitamente allegri e un po’ maliziosi erano diventati all’improvviso quasi premurosi, preoccupati, mentre annuivano per darle ragione.

- Beh, tu che hai fatto, invece, in tutto questo tempo? –

- Mah, le solite cose: donne, guerra, donne… mi sono dato da fare per rifornire il mio harem. Devo dire che dal tuo amichetto Persia ho trovato dei pezzi davvero interessanti… - e sorrise malizioso, come era solito fare prima di rischiare la vita dopo una sua battutina a doppiosenso indirizzata a Hellas.

- Tuttavia perché possa ritenermi soddisfatto ho bisogno ancora di una cosa. Mi manca la perla più rara… - sussurrò, avvicinandola a se con un gesto fulmineo.

- Sadiq. –

Fu un attimo, una parola, il suo nome.

Ma era il tono con cui l’aveva pronunciato che aveva bloccato Turchia.

- Io aspetto un bambino. –

Lapidaria, come al solito. Con Daphne si andava sempre dritti al sodo, non amava i rigiri di parole.

Ma faceva male. Dannazione, faceva male davvero…

Alzò gli occhi fino a incrociare quelli di lei. Quell’affermazione sembrava esserle cosatata molto, come se avesse dovuto scavare in una ferita profonda non ancora del tutto rimarginata.

E lui? Era lì, umiliato, triste, come se quella donna gli avesse trafitto il cuore con la sua lunga lancia. Gli veniva da piangere, ma il grande Sadiq Adnan non se lo poteva permettere, non poteva e non voleva lasciare che Hellas si accorgesse che, con tutte le donne che cadevano ai suoi piedi, lui desiderava solo e veramente lei.

Quante volte aveva sognato il suo viso, le sue labbra, i suoi occhi?

Quante volte aveva immaginato di averla li, con lui, la regina più bella di tutte? La sua intelligenza lo aveva stregato: mai, in tutti i suoi harem, aveva potuto contare una donna così saggia, acuta, e al contempo aggraziata e meravigliosa.

No, la sua Hellas era unica, e come tutte le cose uniche, impossibile da avere.

Almeno per lui.

- E’… è suo? – chiese, masochista, conoscendo la risposta.

- Si. – la mora annuì, triste, perché quella notizia avrebbe voluto darla con il padre a stringerle la mano e sorridere radioso come sempre; perché quella notizia, a lui, avrebbe voluto non dover darla mai.

E così Sadiq capiva. Capiva che quella donna libera e indomabile come le onde scure dell’Egeo aveva trovato la sua pace, la sua gioia, il suo amore.

E non era stato lui quello in grado di darglielo.

Cos’aveva Roma di tanto speciale? Cos’aveva Roma che lui non aveva? Come aveva fatto, diamine, ad innamorarsi di quel gladiatore e non di lui? Lui era bello! Era simpatico, e si, anche se raramente lo dava a vedere, anche lui era intelligente! Avrebbe fatto di tutto per lei! Avrebbe prosciugato gli oceani! Avrebbe spento la luna! Avrebbe staccato le stelle dal cielo per farne una collana da donare a lei, la stella più brillante, la donna che amava!

Ma forse, tutto questo, Roma l’aveva fatto prima di lui.

La sua espressione mutò dall’incredulo all’irato, mentre alzava una mano al cielo per caricare un sonoro schiaffo. Daphne chiuse gli occhi, pronta a riceverlo, perché lei sapeva dei sentimenti di Turchia, e capiva quanto adesso dovesse star soffrendo. Il suo gesto era più che giusto.

Ma lo schiaffo non arrivò, la mano del turco si posò sulla sua guancia con inaspettata delicatezza.

Riaprì gli occhi, ritrovando in quelli di Sadiq una luce dolce, gentile, mentre le accarezzava il viso. Non era mai riuscito ad arrivare a tanto, non aveva mai sfiorato davvero la candida pelle della greca, ma adesso che lo faceva capiva che i suoi sogni non le rendevano giustizia. Ed il suo amore accresceva, proprio quando avrebbe dovuto soffocarlo.

- S… Sadiq? –

- Sono certo che sarai una mamma bravissima… - sussurrò.

E poi accadde l’impossibile, accadde che ciò che lui aveva sempre desiderato, almeno in piccolo, si realizzò.

Lo abbracciò.

Forte, affondando le mani nella sua tunica. Piangeva, ma non era triste, era un pianto di gioia, grato, perché lo sapeva che sotto quella scorza da duro in realtà c’era un bravo ragazzo, un ragazzo dolce.

- Ti voglio bene, Sadiq… -

Una frase così, pronunciata da lei, era davvero un miracolo. E anche se avrebbe voluto di più, per una volta, seppe accontentarsi. Non credeva che avrebbe mai potuto rivolgergli tali parole e quell’affetto, anche se in misura minore di quel che desiderava, era come un traguardo, come una piccola pace anche per lui.

Le cose uniche sono tali perché non appartengono a nessuno. Non si può ingabbiare il vento, non si può inscatolare il mare, e se si copre un tulipano con una campana di vetro esso appassirà, perdendo quel suo bellissimo profumo che lo distingueva dalle semplici pratoline.

Hellas non poteva essere sua, no, ma la sua gratitudine, il suo affetto, bastavano a guarire, almeno in parte, le sue ferite.

- Dai, vediamo se lo senti! – esclamò lei, asciugandosi le lacrime ed esibendo uno dei suoi meravigliosi sorrisi.

- C… cosa?! –

- Il bambino! Coraggio, dammi una mano! –

E senza attendere una risposta afferrò una mano del ragazzo, andandola a posare delicatamente sul suo ventre. Turchia avvampò a quel dolce gesto così inatteso, così inusuale…

- Allora? Senti niente? –

Si concentrò, ma nulla. Stava per rispondere, quando un sonoro calcione gli colpì la mano, che ritrasse istintivamente.

Hellas rise, accarezzandosi la pancia amorevolmente.

- Devo dire che andate già d’amore e d’accordo, eh? – fece ironica.

Sadiq si grattò la nuca imbarazzato.

- Ha preso tutto da te… - ribatté, ancora leggermente rosso in viso.

- Hai già deciso come chiamare questo demonietto? – si informò, continuando a fissare incuriosito e un po’ diffidente la sua pancia.

Daphne sospirò, alzando gli occhi al cielo azzurro.

- No, non ancora, non so nemmeno se sarà maschio o femmina! Però mi piacerebbe un nome importante, ma semplice… qualcosa degna di una persona forte, responsabile, che sappia difendere il suo popolo senza mai arrendersi, ma tenga sempre i piedi per terra… -

- Un po’ come la mamma… - sorrise il turco, perdendosi nell’espressione sognante della donna.

- Oh no, affatto… molto meglio della mamma… -



*





Non credeva che partorire fosse così doloroso.

Almeno avesse avuto una donna a darle una mano! Ma figuriamoci, lei doveva fare sempre tutto da sola, arrangiarsi. Tuttavia quel dolore non era niente paragonato alla gioia di poter vedere suo figlio, un bellissimo maschietto, addormentarsi fra le sue braccia.

Ah, se Roma avesse potuto vederlo ora…

Ma non doveva rattristarsi, adesso che il suo bambino era finalmente nato.

- Tu sarai il mio erede, sarai la grande Grecia, sai, piccolo mio? – sussurò dolcemente al bimbo, cullandolo con grazia.

Avrebbe voluto dormire anche lei, era distrutta, faceva fatica persino a stare seduta, ma doveva vegliare su di lui, proteggerlo dal male…

Improvvisamente sentì un forte rumore fuori dalla sua casetta. Che cos’era? Un fruscio di stoffa, un tintinnio di metallo. Soldati? Da lei? Perché?

Strinse il neonato al petto, ragionando rapidamente.

Se erano soldati greci non c’era problema, ma se fossero stati nemici? In quelle condizioni non poteva scappare, figuriamoci combattere!

La porta si aprì, mentre una voce apostrofava la gente all’esterno.

- Ci penso io, ma lasciatemi divertire un po’, prima… -

Pallida, spaventata, rannicchiata fra le lenzuola, fu così che la vide Turchia. La Hellas di un tempo ormai un ricordo lontano.

Chiuse la porta con cautela, avvicinandosi al letto.

- Sadiq? –

- Daphne Karpusi… sono venuto per ucciderti. –

Una frase secca, seria, molto poco da Sadiq. Una frase che le mise addosso un terrore mai provato.

- Cosa?! Ma… Sadiq, non… non puoi! –

Il ragazzo distolse lo sguardo, infiammandosi.

- Cosa credi, che a me faccia piacere? Pensi che sia contento di ucciderti? –

- Allora perché…? –

- Questo è il volere del mio capo… -

Solo in quel momento si accorse del fagottino fra le braccia di Hellas e si bloccò.

- Quello è…? –

Daphne sorrise mestamente, lasciando che il ragazzo potesse vedere il viso tranquillo del bambino.

- Si, è mio figlio… -

- E’… è davvero bellissimo… - sussurrò Sadiq, ma l’altra non lo stava ascoltando.

- Che morte del cavolo… l’avevo sempre immaginata gloriosa, degna di essere narrata in un poema, e invece guardami, muoio in casa mia, come un topo, senza nemmeno riuscire a proteggere mio figlio… -

E quelle cos’erano? Lacrime? Oh, Hellas, complimenti! Una donna forte come te che si mette a piangere invece che ragionare a mente fredda!

Ma lei non riusciva a guardare il viso di suo figlio, adesso leggermente imbronciato, con la consapevolezza che non avrebbe mai visto la luce del sole, non avrebbe mai sentito la brezza estiva sulla pelle, non avrebbe mai potuto godere della freschezza della spuma dell’onda…

Voleva che quel bambino avesse un futuro, voleva accompagnarlo passo dopo passo lungo la sua vita, aiutarlo nelle difficoltà, stargli vicina…

- Non credo proprio di essere una mamma bravissima… -

Sadiq le si avvicinò ancora, le prese il viso fra le mani e le asciugò le lacrime, per poi posarle un dolce bacio sulla fronte.

- Certo che lo… -

Ma la sua rase fu interrotta da un grido proveniente dall’esterno.

- Sadiq! Quanto ci metti?! Vuoi che veniamo noi a darle il colpo di grazia? –

All’interno i due si guardarono, spaventati.

- Il bambino… - sillabò Turchia a fior di labbra.

- Eh? – Hellas gli indirizzò un’occhiata confusa.

- Forse… forse lui si può salvare… Ma se entrano quelli non c’è più speranza… - spiegò agitato, gridando alla gente di fuori di lasciargli ancora un minuto.

E Hellas capì che non c’era più spazio per i grandi imperi, che a nessuno interessava più delle vecchie radici.

Finiva lì, dove tutto era iniziato. Finiva in quella casetta di pietra bianca, sulla collina di fronte al mare.

Finiva per lei, ma iniziava per qualcun altro.

- Avrei voluto tanto poterlo veder crescere… -

Sadiq prese il fagotto dalle sue mani, mentre Hellas pregava tutto l’Olimpo affinchè non si svegliasse. Non ci voleva proprio l’inconfondibile pianto di un bambino.

- Farò del mio meglio con questo demonietto. – sorrise il turco mentre lo adagiava in una cesta, coprendolo come meglio poteva.

Estrasse dalla cintola il suo pugnale ricurvo, compagno fedele che in quel momento disprezzava ed odiava con tutto se stesso. Che compito ingrato gli era capitato, che destino crudele li aveva toccati…

Hellas si sistemò, prendendo respiri profondi. Si, aveva paura, ne aveva tantissima, i suoi occhi erano sgranati e il corpo scosso di tanto in tanto da fremiti incontrollabili.

- Digli che sarò sempre con lui. –

- Sicuro. Ma vedrai, ce la farà.

Ci vuole un nome importante per un bimbo speciale, proprio come la sua mamma. Una persona forte, responsabile, che sappia difendere il suo popolo senza mai arrendersi, ma tenga sempre i piedi per terra… Che ne dici di Heracles? –

Daphne sorrise.

- Come il semidio? –

- Come il semidio. –

E mentre parlavano le lacrime scendevano copiose dagli occhi di entrambi, perché il destino era stato davvero crudele, perché Sadiq si era fatto carico di un peso che non sapeva se sarebbe riuscito a portare, perché uccidere la donna che amava, no, non era proprio da lui. Ne aveva stroncate di vite, senza timore, senza indugiare, aveva visto tanti occhi spegnersi, tante suppliche restare inascoltate, ma mai, mai aveva versato una lacrima.

E adesso eccolo lì, stringeva la mano della sua dea, sperando che un miracolo accadesse.

Ma non succedeva niente.

Hellas lanciò un’ultima occhiata a suo figlio, per poi tornare a perdersi negli occhi di Turchia.

- Dico che è perfetto… -

E sorrisero, mentre le loro lacrime si mischiavano.

E fu un attimo, la lama che cadeva dall’alto, il sangue che giungeva alle labbra, il suo ultimo sorriso.

Fu un attimo come il girdo di un gabbiano, come un’onda che si infrange sulla scogliera, come un fulmine nella tempesta.

Moriva così, in una giornata di sole. Una giornata come tante, che nessuno avrebbe mai ricordato.

Ma infondo meglio così.

La sua mano scivolò via da quella di Sadiq. Un attimo, ma gli sembrò eterno.

L’eternità del dolore, l’eternità della morte.

L’eternità dell’amore.

Fu un attimo, ma le bastò per sorridere.

Aveva ragione, come al solito.

Era finita anche lei, e adesso sarebbe stata solo vita vissuta di stati ormai estinti…






Note dell'Autrice:

Dunque, da dove incominciare?
Beh, intanto qui Daphne andrebbe considerata come Impero Bizantino, anche se lei ha sempre preferito farsi chiamare Hellas.
Il povero Sadiq era davvero innamorato di lei, ma gli ordini sono ordini... U.U
Una storia triste, perchè nemmeno nazioni potenti come l'Impero Romano, l'Antico Egitto o la Grecia possono vivere in eterno...
Forse Sadiq è legermente OOC. Ok, tanto OOC, ma io me lo sono immaginato così, in un momento veramente difficile in cui nemmeno lui riesce a fare l'idiota come suo solito.
E poi si è accollato Heracles, l'inizio di una luuuunga storia! Ah, se Hellas avesse saputo.... XD <3
Spero che vi sia piaciuta, lasciate qualche recensione! =D
Kisses by Koori-chan
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Koori_chan