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Autore: Angeline Farewell    03/09/2010    2 recensioni
Una stalker psicopatica ha funestato i primi anni della carriera di Eddie Vedder arrivando a tentare il suicidio lanciandosi con l'auto contro i cancelli della sua casa di Seattle qualche mese dopo il ritrovamento del cadavere di Cobain. La cronaca storica finisce così, della donna non si saprà più nulla. O Forse no.
WARNING: Minor Character Death.
[...]Madeleine era sempre stata una ragazza chiusa, talmente timida da sembrare praticamente tonta – e forse un po’ lo era davvero – e senza particolari attrattive se non, appunto, quella di essere una ragazza, una femmina adolescente. E a Grayland era già tantissimo. Era una cittadina orribile, Grayland, grigia come suggeriva il nome, nemmeno il verde dei campi e del bosco che la circondava riusciva ad emergere nell’appiattimento
triste di quel microscopico agglomerato urbano. Ed era piovosa, cupa, povera. Piccola soprattutto, troppo per contenere qualunque cosa: meno di mille anime incastrate tra un pezzo ferroso d’oceano e i campi, nemmeno la statale arrivava in quel buco.
La 101 si fermava ad Aberdeen, proseguiva per Raymond, ma nessuno aveva mai pensato fosse necessario collegare Grayland al resto dello stato, come se nemmeno fosse parte
Genere: Drammatico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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A state of love and darkness.

17. 07. 2008

La sindrome del foglio bianco colpisce solo chi non ha niente da dire, me ne accorgo adesso. Perché ora, forse per la prima volta in quarantatre anni, non ho davvero più niente da dire ed il bianco mi circonda e mi sovrasta.

Mi dispiace sarebbe troppo scontato e banale, però forse sono le uniche parole spendibili: seriamente, mi dispiace. Per la mia bambina, per quella che sta arrivando, per l’amore che non sono riuscito a portare all’altare, per i quattro santi che mi hanno sopportato e supportato fino ad ora, per quasi vent’anni tra alti vertiginosi e bassi disastrosi. Per mia madre che ne vedrà andar via un altro, stavolta senza nemmeno essere preparata a dovere.

Nemmeno io ero preparato a dovere. Vent’anni fa, paradossalmente, lo sarei stato di più. L’avrei capito meno, ma mi sarebbe sembrato anche più plausibile. Ma vent’anni fa ero un cazzone come tutti quelli della mia generazione, quella X ce l’avevamo stampata sulla fronte come un marchio d’idiozia, probabilmente, e morire giovani ci sembrava un traguardo più che appetibile.

Però, insomma… Dopo che Kurt se n’è andato in quel modo assurdo, un pensierino sul vivere un po’ di più, a provare a campare decentemente un po’ di più, io l’avevo fatto, sul serio. Volevo davvero invecchiare. Vedere i capelli bianchi, le rughe, la pancia che avanza e poi cede del tutto, il respiro che si spezza dopo l’ennesima uscita sulla tavola nell’acqua gelata di gennaio. Ci stavo finalmente arrivando, quel traguardo, a quarantatre anni, non lo vedi più così lontano, e a me non faceva paura, dopo la nascita di Olli avevo cominciato ad accarezzarlo come una meta ambita. Ero cresciuto anch’io, insomma.

Invece niente da fare. L’ultima nota mi si è spezzata in gola a metà, non credo riuscirò a tirar fuori altro stasera, ed anche per questo dovrei dire mi dispiace. In compenso, anche se non sento quasi più niente, le urla della folla continuano a raggiungermi. Da dove però, onestamente, non credo di saperlo più.

 

17. 07. 1994

Madeleine Kelly aveva ventidue anni e poco tempo a disposizione.

Non era quel che avresti detto una bella ragazza, troppo anonima e incolore si mimetizzava nel grigiore di Seattle come una goccia di pioggia tra le tante. Eppure, a soli ventidue anni, Madeleine aveva già due figli da accudire e soprattutto mantenere. Due figli che avevano due padri diversi che non si erano mai premurati nemmeno di conoscerli, figurarsi di sganciare un solo dollaro per il mantenimento.

Madeleine era sempre stata una ragazza chiusa, talmente timida da sembrare praticamente tonta – e forse un po’ lo era davvero – e senza particolari attrattive se non, appunto, quella di essere una ragazza, una femmina adolescente. E a Grayland era già tantissimo.

Era una cittadina orribile, Grayland, grigia come suggeriva il nome, nemmeno il verde dei campi e del bosco che la circondava riusciva ad emergere nell’appiattimento triste di quel microscopico agglomerato urbano. Ed era piovosa, cupa, povera. Piccola soprattutto, troppo per contenere qualunque cosa: meno di mille anime incastrate tra un pezzo ferroso d’oceano e i campi, nemmeno la statale arrivava in quel buco.

La 101 si fermava ad Aberdeen, proseguiva per Raymond, ma nessuno aveva mai pensato fosse necessario collegare Grayland al resto dello stato, come se nemmeno fosse parte della contea. Cittadina inutile, cittadina di vecchi.

Però Madeleine era giovane e le ragazze a Grayland scarseggiavano. Quindi anche la piccola e scialba Madeleine Kelly ebbe il suo invito per il ballo di fine anno, ebbe la sua orchidea appuntata al polso, il suo vestito di tulle, la foto di rito. Così come l’altrettanto rituale sbronza: ricordava vagamente persino il dolore del frettoloso rapporto sessuale che era seguito sul retro della palestra, incastrata tra un rastrello e un mucchio di foglie secche impregnate di umidità.

Ricordava molto di più il dolore lancinante che nove mesi dopo l’aveva costretta ad allargare le gambe per la seconda volta in vita sua, stavolta per far venir fuori il frutto di quella sveltina inutile.

Madeleine aveva appena diciotto anni quando era nato Sean e l’unica cosa che ricordava di quel giorno era una radiolina accesa in sala parto che passava una canzone che non aveva mai sentito prima, ma sembrava le stesse parlando: sei ancora viva, no? Nonostante tutto sei ancora viva.

Ryan era arrivato nemmeno due anni dopo e neppure di quel rapporto Madeleine aveva grandi ricordi. In quel periodo lavorava alla pensione del signor Walsh che da bravo cattolico qual’era, aveva cristianamente chiuso un occhio sul fatto fosse una sgualdrina e l’aveva assunta come cameriera permettendole così di mantenere un figlio che non sapeva neppure bene come prendere in braccio: Madeleine aveva una famiglia, ma le era proibito persino guardarli in faccia per strada, figurarsi chiedere sostegno. Solo sua sorella maggiore aveva tentato di aiutarla passandole qualche dollaro quando poteva, ma Madeleine aveva smesso di accettarli quando – ormai all’ottavo mese della prima gravidanza – Eileen era stata ricoverata in ospedale e ne aveva avuto per una settimana. Era caduta dalle scale, dicevano.

I Kelly non erano cattive persone, ma erano poveri, chiusi in una morale cattolica da clan del secolo scorso, non si erano mai davvero integrati nel tessuto sociale americano ed avevano pochissimi rapporti persino con la piccolissima comunità irlandese della cittadina. Una figlia diciottenne che rimane incinta del primo che capita era stata una vergogna che non avevano saputo né accettare né perdonare, quindi Madeleine era stata completamente dimenticata, cancellata dal clan. E aveva dovuto cavarsela da sola.

Ma Ryan, appunto.

Madeleine – che era sempre stata chiamata da tutti solo Madeleine, benché fosse un nome antiquato e nemmeno comodo da portare: semplicemente, a nessuno era mai interessato darle diminutivi affettuosi. – non aveva avuto altri ragazzi dopo la nascita di Sean, anzi, i più la ignoravano volutamente, era diventata ancor più invisibile a dispetto del seno inaspettatamente sbocciato con la maternità ed ai fianchi più generosi e finalmente femminili: ma aveva diciotto anni ed un figlio a carico, nessuno si sarebbe imbarcato in una relazione con tali premesse, tanto più se il soggetto in questione era Madeleine Kelly, quella strana, quella stupida, quella che dopo il parto aveva cominciato a girare con il walkman perennemente acceso camminando come se il resto del mondo non esistesse.

Eppure Ryan era arrivato, era nato in una notte di mare grosso che aveva quasi mangiato l’intera spiaggia di Grayland nell’autunno del millenovecentonovantatre.

Madeleine non reggeva l’alcool e lo sapevano tutti. Ed era tonta, era noto anche quello.

Per festeggiare la Santa Pasqua, il signor Walsh organizzava sempre un piccolo ricevimento ed invitava non solo i bravi irlandesi cattolici della comunità, ma anche gli altri: Nostro Signore era risorto per tutti, in fondo.

Era stato durante la festa nel marzo di quell’anno che era successo, probabilmente proprio sulla spiaggia sulla quale l’aveva sorpresa addormentata l’alta marea senza mutandine; era tornata alla pensione coperta di sabbia e con l’abito fradicio fino alla vita.

Agnes, l’altra ragazza che di solito divideva con lei i turni di pulizia delle camere, l’aveva coperta con il vecchio Walsh, mentre Sally si era occupata di Sean, che era stato lavato e nutrito a dovere, sicuramente meglio di come avrebbe fatto lei.

Le due ragazze le avevano ripetutamente chiesto cosa le fosse successo, dove fosse sparita per così tante ore, ma Madeleine non aveva saputo rispondere, conscia solo del fatto che non avrebbe dovuto bere tutti quei punch durante le pause e di avere un terribile mal di testa e la schiena a pezzi.

Poi, il mese successivo, non aveva avuto il ciclo, e nemmeno quello dopo.

Ryan era nato con taglio cesareo a causa di un’infezione vaginale che aveva preso chissà come, ma Madeleine non si era preoccupata più di tanto: sapeva che sarebbe andato tutto bene, non era mai stata tanto radiosa come da quando aveva scoperto di essere nuovamente incinta.

La prova fosse matta, insomma.

In città tutti, nessuno escluso, pensavano fosse stupida, una specie di ritardata che ai test attitudinali aveva sempre preso punteggi bassissimi, che non riusciva a prendere una sufficienza nemmeno in economia domestica e che impiegava tantissimo a capire quello che le veniva spiegato. Al liceo, l’assistente sociale l’aveva convocata nel suo ufficio un paio di volte, aveva parlato con i suoi genitori, ma si era arreso molto presto: a Grayland in fondo non servivano grossi cervelli, bastavano un paio di braccia in più per la terra, Madeleine sarebbe stata perfetta in quello.

Ma non le importava cosa dicevano gli altri, pensassero quel che volevano: lei sapeva che prima o poi sarebbe successo, sapeva che lui l’avrebbe raggiunta.

Di nuovo.

Madeleine non ne aveva mai parlato con nessuno, era il suo segreto. In realtà non avrebbe proprio saputo a chi raccontarlo, non aveva nessuna amica, nemmeno Sally e Agnes lo erano. L’aiutavano per compassione, per Sean, perché anche loro pensavano fosse un po’ tonta, ma avevano abbastanza buon cuore dal non farglielo pesare, niente di più. Madeleine era sempre stata sostanzialmente sola anche prima che la sua famiglia la mettesse alla porta.

Ma era cambiato tutto, Ryan era la prova che aveva ragione, che non si era illusa, che lui la stava davvero aspettando.

Il giorno della nascita di Sean, Alive non era ancora una hit e Pearl Jam erano solo due parole senza senso, ma le radio dello stato di Washington erano attente alle ultime novità della scena locale, soprattutto quelle della rete universitaria, per questo Madeleine era riuscita ad ascoltarla anche lì a Grayland.

Non se n’era accorta subito, era sempre stata lenta in fondo, ma lui le stava parlando, già allora, mentre spingeva e urlava con tutte le sue forze pregando Dio perché la uccidesse lì, all’istante, tutto pur di smettere di soffrire in quel modo. Ma era vero, una volta che il bambino è nato, il dolore viene dimenticato, nel suo caso però, non era stata la vista di Sean a farle dimenticare le sofferenze terribili patite fino a pochi secondi prima: era stata la voce filodiffusa in sala che le arrivava attutita, ma potente e vischiosa come ambra.

Quella voce, in quell’istante orribile in cui si sentiva la spoglia vuota di un insetto, l’aveva avvolta come una coperta calda, come un fiume di resina collosa l’aveva rinchiusa in un ventre umido e materno dal quale non voleva uscire.

Madeleine aveva comprato Ten dopo appena una settimana e dopo due aveva già quasi consumato il nastro della cassetta. Dopo un mese aveva scritto la prima lettera della sua vita ed era cominciato tutto.

Lui non era come veniva presentato in tv, non era una persona scostante, non era scorbutico o lunatico o violento. Lui era dolce e Madeleine lo sapeva bene.

Quando nel dicembre del 1991 Madeleine aveva scritto quella lettera, in verità non si aspettava molto in cambio.

Però, dopo qualche settimana, nella cassetta delle lettere aveva trovato qualcosa di diverso dalle solite bollette: lui le aveva risposto davvero.

Così come poi aveva risposto alla seconda, alla terza, alla quarta lettera. Passava sempre un po’ più tempo tra una risposta e l’altra, ma arrivava.

A Madeleine sembrava lui la conoscesse da sempre, ogni volta sapeva cosa dirle per farla sentire meglio, aveva sempre una parola gentile.

E non l’aveva mai chiamata Madeleine. Per lui, lei era Maddie.

Lui era stata la prima persona a non usare il suo nome per intero, il primo ad interessarsi tanto a lei da regalargliene un altro.

Madeleine, a dispetto dei suoi disgraziati diciotto anni da ragazza madre, poteva dirsi addirittura felice, aveva letto e riletto quei fogli coperti di una scrittura fitta e minuta fino a consumarli, fino ad imparare a memoria ogni parola, lei che non era mai riuscita a ricordare nemmeno le date della guerra di Secessione.

Di sera, dopo il lavoro, guardava Sean, lo allattava tenendolo sulle ginocchia come le avevano insegnato le infermiere di ostetricia, e silenziosamente sognava che avesse lui come padre.

Eddie aveva degli occhi meravigliosi, Eddie aveva un così bel viso e una voce così dolce; Eddie sarebbe stato un padre stupendo per Sean, sapeva che lui non l’avrebbe mai abbandonato, non avrebbe mai abbandonato lei.

Madeleine nemmeno sapeva chi l’avesse messa incinta, Josh Kinney – che l’aveva accompagnata al ballo - si era immediatamente tirato fuori affermando che, a metà della festa, l’aveva persa di vista ed era stato insieme ad Alice Cooper, Sten Meyer e Cathy Nowak, e i tre avevano confermato la sua versione. E poi lo sapevano tutti che Josh l’aveva invitata solo per non andarci da solo visto che le ragazze più carine erano già prese: almeno la tonta non portava gli occhiali o l’apparecchio per i denti.

Madeleine non voleva sapere chi fosse in realtà il padre di Sean, così come non le interessava chi fosse quello di Ryan, perché era sicura fosse stato l’oceano a portarglieli. E l’oceano era lui, lui che lo cavalcava e lo cantava e lo viveva.

Non sapeva bene quando quella consapevolezza si fosse alla fine impadronita di lei, ma sapeva di non sbagliarsi, le prove erano lampanti, non era riuscita a coglierle solo perché – lo dicevano tutti, in fondo – era lenta: ma Eddie l’aveva pazientemente aspettata, l’aveva meticolosamente istradata, ed alla fine aveva capito.

La prova definitiva l’aveva avuta ascoltando Vs. dopo la nascita di Ryan, se pure le fosse rimasto qualche dubbio residuo, Eddie si era premurato di rassicurarla: Daughter era stata scritta per lei, Eddie sapeva, Eddie sentiva tutto quello che sentiva lei. Madeleine aveva ascoltato quella canzone ed era scoppiata a piangere, quelle maledette imposte che calavano le ricordava ancora perfettamente, ricordava benissimo il rumore secco ed il buio che poi l’avvolgeva; i panni sporchi vanno lavati in famiglia, non occorre altri sappiano.

Era stata sciocca a non capirlo prima, stupida ad aver pensato gli occhi chiari di Sean e Ryan avessero qualcosa a che fare con l’azzurro slavato dei Kelly che comunque a lei non era toccato. I suoi bambini erano speciali, erano piccoli principi concesseli dal Re che stava richiamando la sua Maddalena.

Ed Eddie era il re di quell’epoca senza forma e senza Dio la cui corona era un elmetto arrugginito, la cui spada era una matita mezza mangiucchiata.

Per questo un giorno aveva preso i bambini, aveva caricato nella sua vecchia macchina i pochi abiti e le poche cose che possedeva, e si era diretta a nord, verso Aberdeen, verso la Statale che l’avrebbe condotta a lui.

Le cose non erano andate subito bene, Seattle era una città enorme, e Madeleine non era mai davvero uscita da Grayland se non per la scuola o per fare spese ad Aberdeen o a Raymond.

Aveva usato i pochi soldi che aveva risparmiato per le emergenze per prendere in affitto una squallidissima camera in un motel nella zona del porto, non esattamente delle più tranquille, ma non le importava più di tanto. Anche se le era sempre stato detto non fosse esattamente una bellezza, ormai sapeva che gli altri si erano sempre sbagliati, perché lui l’aveva scelta, in fondo, quindi era speciale. Forse fu quella nuova consapevolezza basata sul nulla a darle il coraggio di entrare davvero nelle bettole del porto e delle zone limitrofe per cercare un lavoro – uno qualunque – ed a darle una sicurezza sfacciata che non passava inosservata.

Ottenne un lavoro come cameriera in una birreria poco distante dal motel dove viveva e, facendo i turni di notte, poteva permettersi di andare in giro durante il giorno: sapeva che lui la stava aspettando, ma non sapeva ancora come fargli sapere che lei aveva capito, che era pronta, probabilmente non gli lasciavano più leggere la posta, perché erano mesi che non rispondeva più alle lettere che – puntualmente ogni mercoledì e venerdì – gli spediva.

Forse la stava mettendo alla prova.

Non aveva importanza, per il momento si sarebbe accontentata di accudire i suoi figli raccontando loro di quanto fosse meraviglioso il loro papà, di quanto la loro vita sarebbe stata perfetta una volta che si fossero riuniti.

Intanto il millenovecentonovantaquattro era arrivato con il suo carico di nevischio sporco e freddo pungente, portando novità che a Madeleine non erano piaciute.

Eddie continuava a giocare con lei, continuava a non farsi trovare, continuava a farsi vedere in giro con quella.

E le sfuggiva, fingeva di non vederla per strada quando lo incrociava – non molto – fortuitamente, continuava a non rispondere alle sue lettere, aveva trasformato la sua casa in una fortezza.

Eppure lui lo sapeva, doveva saperlo ormai che lei era a Seattle, che era lì per lui.

Sean stava diventando sempre più grande e cominciava a chiedere di quando avrebbe potuto conoscere suo padre e lei glielo aveva detto, glielo aveva scritto che non sapeva più cosa rispondere al loro bambino. Perché continuava a giocare con lei, perché la metteva ancora alla prova?

Aveva fatto tutto quello che doveva, tutto quello che lui le aveva chiesto costringendola a decifrare messaggi sempre più sottili ed ambigui, ma lei aveva capito, stava crescendo i suoi figli nel miglior modo possibile, nel culto del loro meraviglioso padre.

E aveva continuato ad amarlo ogni giorno, aveva pregato ogni giorno davanti a quella croce che non rendeva merito alla sua bellezza, continuava a preservarsi per lui e per lui soltanto, stornando le offerte degli avventori del locale in cui lavorava.

Per quanto si sforzasse non riusciva a capire. 

Intanto i mesi passavano, quello stupido di Cobain era stato trovato morto pochi giorni dopo la Santa Pasqua ed il mondo ancora non aveva capito che era un falso profeta: era morto il giorno dopo la festa della Resurrezione, non era un indizio sufficiente?

Erano tutti degli stupidi, e quella era la fine che quel pallone gonfiato si era meritato per aver detto quelle cose orribili su Eddie.

Forse era stato proprio Eddie a…

Tremò a quel pensiero, ma era un brivido di piacere, quasi il potere del padre dei suoi figli le stesse nuovamente scivolando dentro.

Forse anche quello era un segno, le stava chiedendo di attendere. Avrebbe atteso.

Madeleine attese fino al tre giugno del millenovecentonovantaquattro, data in cui il suo mondo crollò. Eddie si era sposato con quella. Eddie l’aveva abbandonata, aveva abbandonato lei e i loro bambini per un’orrenda sciacquetta bruna ed aveva osato sbatterglielo in faccia in quel modo orribile. Perché lui lo sapeva che lei era membra del TenClub, lo sapeva eccome, per quello aveva fatto spedire in ritardo il vinile che ogni Natale regalavano ai fans, per poter allegare quella lettera, voleva dividere il momento con loro, lui.

Madeleine Kelly era arrabbiata. Era furiosa. Madeleine Kelly si tagliò i lunghissimi capelli rossi quasi a zero, non voleva più essere una Maddalena da dipinto, e scoprì di essere di nuovo brutta. Madeleine Kelly guardò i suoi figli, ma finse di non cogliere il bagliore verde acqua negli occhi di Sean, gli occhi di Josh Kinney.

Madeleine Kelly non aveva nessuna intenzione di rinunciare al padre dei suoi figli, all’unico accettabile.  

Fu per quello che, un caldo e appiccicoso pomeriggio di luglio, Madeleine lasciò i bambini ad una vicina, prese l’auto e si diresse verso quella che avrebbe dovuto essere casa sua, non dell’altra.

Non vollero farla entrare, le dissero persino che Eddie comunque non era in casa, che era a Washington con il resto del gruppo, che c’era la testimonianza davanti al Congresso e, cosa, non li leggeva i giornali?

A Madeleine non importava più nulla dei giornali, non voleva più vedere il suo viso tramite una foto, la faceva stare troppo male. Voleva guardarlo in faccia, voleva guardarlo negli occhi e trovare il colore di quelli di Sean e Ryan.

Era tornata indietro solo per fare inversione ad u, premere l’acceleratore a tavoletta e cercare di forzare il cancello d’ingresso.

Forse le lacrime le avevano annebbiato la vista, però, perché sbagliò mira e non fu esattamente il cancello che divelse.

Almeno così le dissero qualche giorno dopo all’ospedale, quando Madeleine si svegliò coperta di bende e con dolori atroci in tutto il corpo. Ma nessuno volle credere al suo, di racconto. Nessuno volle chiamare Eddie per farlo andare da lei, nessuno le permise mai più di rivedere i suoi bambini.

Tutto quello che per anni le fu concesso, dal giorno del ricovero in poi, fu di fingere. Fingere di aver capito, fingere di sapere di essere malata e di voler guarire, fingere di aver superato un’ossessione senza motivo.

Era stato lo stesso Eddie, in fondo, a spiegarle come uscire da quella situazione.

   
 
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