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Autore: Natalja_Aljona    04/09/2010    4 recensioni
Giuseppe, fan dei Beatles da (circa) 46 anni, ricorda.
Sognando Liverpool da Messina, i Sixties attraverso gli occhi di mio padre.
"Mi manca l’unità del gruppo . Mi manca il gruppo. Eravamo alla fine degli anni ’60 e la scoperta dell’amicizia per me coincise quasi subito e quasi completamente con il gruppo. Il complesso, per essere più precisi, come lo chiamavano allora, per sottolinearne l’accezione musicale. Era proprio bello sentirsi parte di un complesso. Nel mio caso all’inizio eravamo solo due. Io e Salvatore, l’amico del cuore. In una doppia versione. Una più seria, classica. Nel soggiorno di casa mia, io al piano e lui al violino a provare l’Ave Maria di Shubert, ma con la testa ai Beatles. Sì, perché all’estremo opposto del soggiorno c’era il giradischi: con i dischi dei Beatles".
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buon pomeriggio a tutti!

Oggi è il 4 Settembre, il giorno del mio compleanno(ebbene sì, ho compiuto tredici anni...xD) e stamattina, sulla scrivania dello studio di mio padre, ho trovato, tra gli altri regali, questi fogli, narranti il mito dei Beatles dagli occhi dei ricordi di mio padre...

Mi accingo quindi a postarli qui, sperando che anche voi, alla fine della lettura, vi ritroviate con il sorriso stampato sul volto come è successo a me stamattina... ;)

A presto, da un ormai(sigh!) tredicenne...

Marty ;)

A mia figlia piacciono i Beatles

(riflessioni in sei lp e qualche 45)



-Io avrei un’idea – disse Giango, -

Torno agli anni sessanta, prendo

Il treno per Liverpool, vado da

Paul McCartney e gli dico: dai,

con quel fesso occhialuto di John

Lennon non farai mai strada, fai

le canzoni con me.


Pane e Tempesta

Stefano Benni, 2009



A mia figlia piacciono i Beatles. Anzi li adora. E così mi ha fatto ricordare che li adoravo anch’io. E li adoro ancora. Ma soprattutto mi ha fatto capire che mi mancano. In A Hard Day’s Night, il loro primo film pieno di gag in uno stile tra i Monty Python e Mr. Bean, a un certo punto Paul, riferendosi a quello che interpreta il ruolo di un suo improbabilissimo nonno, afferma: “gli piace minare l’unità dei gruppi”. Ecco. E’ proprio questo che mi manca. Mi manca l’unità del gruppo. Mi manca il gruppo. Eravamo alla fine degli anni ’60 e la scoperta dell’amicizia per me coincise quasi subito e quasi completamente con il gruppo. Il complesso, per essere più precisi, come lo chiamavano allora, per sottolinearne l’accezione musicale. Era proprio bello sentirsi parte di un complesso. Nel mio caso all’inizio eravamo solo due. Io e Salvatore, l’amico del cuore. In una doppia versione. Una più seria, classica. Nel soggiorno di casa mia, io al piano e lui al violino a provare l’Ave Maria di Shubert, ma con la testa ai Beatles. Sì, perché all’estremo opposto del soggiorno c’era il giradischi: con i dischi dei Beatles.


Rubber Soul


Credo sia stato il primo disco dei Beatles a entrare in casa mia. In un angolo della memoria galleggia l’immagine sbiadita di un 45 giri, Michelle; ma non so dire se sia arrivato prima o dopo. E torna il concetto di gruppo. Sì perché Rubber Soul era proprietà “del gruppo”. L’avevamo acquistato per 3300 lire io e Salvatore, dopo averlo visto esposto in un piccolo negozio di elettricità in via Tommaso Cannizzaro. Dentro quella copertina sarei voluto entrare. Per l’esattezza nella backcover. Mi piacevano quei quattro con i loro pantaloni attillati, le loro camicie con le punte del colletto arrotondate e le cravatte scure dal nodo stretto. Mi piaceva l’atmosfera che si respirava in quella foto. Me li immaginavo in una pausa delle registrazione del long-playing, a chiacchierare tra loro di musica e chissà che altro. C’era armonia in quella foto. La stessa armonia di Drive my car o di I’m lookin’ trough you. C’erano informazioni in quella copertina. Che a quell’epoca nessuno avrebbe avuto se non i fortunati possessori di quel long-playing. Chi altrimenti avrebbe potuto sapere che Paul suona il fuzz-bass in Think for yourself? ma anche il piano e l’harmonium? E quei quattro diventarono una specie di fratelli maggiori che sarebbe stato bello avere. Con i Beatles è evidente non fu mai possibile. Ma con altri sì. Ci furono altri “fratelli maggiori” in quegli anni a guidare la mia passione per i Beatles e per la musica.


Revolver


E finalmente i miei genitori mossi a compassione ci trovarono un insegnante di chitarra. A me e all’inseparabile Salvatore. Si andava in questo appartamento di viale Principe Umberto a imparare da Alfredo, giovanissimo studente universitario al primo anno di medicina. E via con accordi, scale, barrè e quant’altro. Lì il primo incontro con Revolver. Non sapevamo ancora che Alfredo era il chitarrista di un gruppo, “I Cristallini”, che rifaceva splendidamente e in modo assolutamente identico i pezzi dei Beatles. Il concetto di cover all’epoca era di là da venire. Ma era anche un insegnante estremamente innovativo, Alfredo: perché accanto alla rumba e al limbo ci dava da imparare le canzoni dei Beatles come compiti per casa! Risale ad allora il mio incondizionato amore per Here, There And Everywhere, e per I’m only sleeping. Si può dire che quelle furono le uniche lezioni e anche le più belle. Poi si andò avanti imparando da altri fratelli maggiori, dentro e fuori dai dischi. Ma c’è da dire ancora una cosa su questo periodo. “I Cristallini” erano un gruppo. Un gruppo musicale ma anche un gruppo di amici. E quell’unica volta che li vidi insieme l’unità del gruppo c’era e come. Vennero a suonare il 13 agosto del 1967 per la mia festa di compleanno nella casa che avevamo al mare. Arrivarono al mattino con il loro carico di strumenti che depositarono nel soggiorno della casa di Salvatore. Poi se ne andarono tranquilli a fare il bagno. Li trovammo sulla spiaggia a scherzare fra di loro, a prendersi in giro tra un tuffo e la scrittura semi-seria della scaletta per il “concerto” della sera. Sembravano i Beatles di A Hard Day’s Night o di Help! Sarebbero e saranno diventati medici, avvocati, ingegneri, ma credo che dei Beatles e di quel periodo si ricordino ancora. Le sorprese non erano ancora finite quel giorno. Perché la sera ascoltammo una splendida esecuzione di Revolver, credo prima ancora di sentire l’originale e di avere tra le mani il disco di vinile con l’etichetta della Parlophone.


Sergent Pepper’s


A questo punto il gruppo c’era! Avevamo conosciuto Manlio e Pino e il complesso si era definitivamente costituito.

.

La formazione era evidentemente quella dei Beatles: io e Pino alle chitarre (lead guitar o chitarra solista, come si diceva all’epoca, io e rhytm guitar, o chitarra ritmica, Pino). Manlio alla batteria e Salvatore al basso o chitarra-basso per usare ancora una dizione in voga in quegli anni. Nome del gruppo “I 4 amici”, traduzione italiana e adattamento da “Five friends” che era il gruppo in cui aveva militato il fratello di Manlio.



E Sergent Pepper’s? Sergent Pepper’s è l’incontro con altri cinque fratelli maggiori che c’insegnarono qualcosa e ci fecero entrare sempre di più nell’universo dei Beatles. I cinque in questione erano i “Green Rats”, divertente e maccheronica traduzione inglese dei nostri sorci verdi. Si riunivano per provare nei locali della scuola elementare che avevo frequentato. L’aggancio era stato infatti il figlio della bidella. Tanino. Tanino La Versa, bizzarro ma carismatico personaggio. Batterista e leader indiscusso del gruppo, me lo ricordo con le sue giacche verde militare piene di spille, i capelli lunghi e la sua usatissima Giulietta Sprint rossa. Ci ho ripensato qualche sera fa guardando per la prima volta Magical Mistery Tour e assistendo a una stralunata gara del pullman con alcune auto tra cui, appunto, una Giulietta Sprint. Imparammo a suonare Sgt.Pepper’s nell’arrangiamento dei Green Rats che si erano dovuti ingegnare in qualche modo a trovare un’alternativa ai fiati della versione originale. E poi “With a little help from my friends”, prima ancora di sentirla nella versione aggressiva e coinvolgente di Joe Cocker. E mi restano nel cuore le atmosfere suggestive di “For the benefit of Mr.Kite” e di “Fixing a hole”


The White Album & Abbey Road


Dopo un paio d’anni di più o meno felice convivenza anche il nostro gruppo ebbe le sue vicissitudini. L’unità del gruppo cominciò ad essere minata. Ci fu una breve periodo in cui fummo in cinque, (“I quattro amici più lui”), con Sandro alle tastiere, ma non funzionò molto. Provavamo in un enorme padiglione della fiera campionaria di Messina, perché il padre di Sandro ne era funzionario. Ricordo che litigammo furiosamente dopo che Sandro e altri amici suoi operarono un vero e proprio “rapimento” della nostra amplificazione vocale. La recuperammo dopo una rovente telefonata tra il sottoscritto e Sandro e la cosa finì lì. Poi sostituimmo Pino con Eugenio, chitarrista molto più valente e amico di Manlio. Di questo passaggio testimoniano alcune vecchie foto che ci ritraggono nell’isola di Vulcano dove eravamo andati a suonare nei giorni di Carnevale. Alla fine il gruppo si sciolse.



All things must pass


Il 1970 fu l’anno decisivo. I Beatles si separarono in aprile, noi non ricordo quando ma non molto tempo dopo. Ricordo solo che finì un periodo, forse un’epoca. Continuai a suonare da solo, qualche volta con amici e compagni di strada anche validi e interessanti. Qualcosa era però cambiato. Si faceva strada una sorta di individualismo in cui lo spirito di gruppo, il sereno divertimento dello stare in gruppo era sconosciuto o non aveva posto. Così l’ultimo album di quell’avventuroso periodo fu “All things must pass” che risuonava malinconico già allora e già a partire dal titolo. Forse è vero, tutte le cose devono passare ed “è un peccato”, come lo stesso George canta in “Isn’t it a pity”.

Ed è per questo che non comprerò mai quella Fender Telecaster che a 15 anni avrei tanto desiderato. Suonare da solo non è la stessa cosa che in gruppo. La famosa unità del gruppo. Mia figlia l’ha capito e credo che sia per questo che le piacciono così tanto i Beatles. La sento ancora autenticamente rammaricata per la fine di una storia che è soprattutto una magica storia di amicizia. Spero che prima o poi abbia anche lei il suo gruppo e che possa provare le stesse emozioni “live”, dal vivo, come si dice per i concerti.



Perché a mia figlia piacciono i Beatles.

E a me piace mia figlia...

e anche i Beatles!

G.P.








  
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