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Autore: Meli_mao    07/09/2010    10 recensioni
"Teneva tra le mani un bambino, la prima volta che si sedette lì. Pochi capelli, occhi neri, sangue maledetto. Ma un bambino resta un cucciolo d’uomo, qualunque sia il suo nome."
Come sempre sono ispirata da canzoni e da momenti deprimenti. Garp è, di nuovo, il protagonista solitario di questa mia mini Flash.
Spero che qualcuno la possa apprezzare nella sua brevità.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Note:

E’ una storia brevissima, lo so. Il fatto è che sono due giorni che non faccio altro che piangere ogni volta che mi guardo l’ultima puntata uscita domenica. Non che non mi aspettassi la scena, seguendo io il manga, eppure con quella musica di sottofondo io non ho resistito.
E, lo ammetto, ho pianto anche nello scriverla.
Come d’abitudine mi sono lasciata guidare dalle note di una canzone, http://www.youtube.com/watch?v=kSVv7LWAkuo&feature=related, di cui questo è il link.
Che altro posso dire?
Solo Garp ultimamente mi ispira, e non in modo positivo visti i risultati.
Comunque sia non volevo tenerla nel computer senza uno scopo, e ho preferito postarla.
Spero che qualcuno sia rimasto colpito quanto me da quella scena, di cui qui ho riportato anche le frasi!
Detto questo.. torno nel mio angolino a deprimermi!

 

 

 

Accidenti a te, Ace.

 

 

 
Un passo. Un gradino. Un ricordo.
Un vecchio uomo come lui dovrebbe essere stanco di quello.
Non ha nient’altro da fare.  
Varca la soglia di quella casa sperduta su un altura, alle sue spalle il piccolo villaggio di Foosha.
È un odore familiare, un calore soffocante e un’amara solitudine quello che lo accoglie.
In un angolo una sedia a dondolo, davanti ad una finestra sul mare, rimane immobile fino a quando lui non ci si lascia andare sopra.
Teneva tra le mani un bambino, la prima volta che si sedette lì.
Pochi capelli, occhi neri, sangue maledetto.
Ma un bambino resta un cucciolo d’uomo,  qualunque sia il suo nome.
Dall’altra parte un letto.
Ricorda due corpicini magri dormirci sopra e ricorda anche sé stesso coprirli con un lenzuolo, senza svegliarli.

 
“Voglio solo stare qui”

 
Non ci sono altre parole.  Eppure non è il suo angolo di paradiso, quella misera casetta in legno. Un tempo lo era, quando i suoi capelli erano ancora per metà neri, le sue cicatrici meno evidenti, e i suoi pugni più vigorosi.
A lui piaceva tornare lì, passare le giornate spiando i suoi due nipoti in mezzo alla foresta, da soli a cavarsela.
Ore che gli resta? Un silenzio opprimente.
Un marine e un nonno. Lui era sempre stato entrambe le cose, con orgoglio.  
Abbassa il capo, con nuove lacrime attorno agli occhi.

 
“Non provo pietà per i furfanti…. Ma non vale lo stesso per la famiglia”

 
Lui desiderava così tanto averne una.
Nessuno riuscirebbe ad essere indifferente di fronte ad una morte, come si può chiedergli di esserlo davanti a quella del suo primo nipote.
Si lascia dondolare un poco dai movimenti della sedia, posando lo sguardo sopra al pavimento coperto da segni rigati.  Colpa di quello stupido attrezzo che Makino l’aveva obbligato a comprare. Un girello, così si chiamava. Da Ace era passato a Rufy, come secondo la più antica tradizione. Abbozza un sorriso, Garp.
Quello strumento non aveva fatto altro che permettere alle gambette dei due mocciosi di seguirlo per l’intera stanza, senza tregua. Ed in più aveva rovinato il legno.
Il problema era suo però, se n’era accorto troppo tardi.
E alla fine non aveva potuto fare nulla.
Impotente, di nuovo.

“E io… cosa ti aspetti che faccia?”

Qualcuno bussa alla porta, piano.
Tossisce un attimo, nascondendo il misero dolore ed asciugando le lacrime.
Impreca, con voce grossa, in un imbarazzo mal celato. Si regge sulle gambe, malfermo, dirigendosi verso l’entrata.
Ma poi si ferma.
Che importa?
I suoi piani, tutti falliti.
I suoi ideali, tutti scemati.
I suoi nipoti…

 

“Accidenti a te, Ace”

 

   
 
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