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Autore: Stupid Lamb    07/09/2010    14 recensioni
Edward è vittima della recessione, ed ha un mucchio di responsabilità: come reagirà quando gli si presenterà un'opportunità tanto strana quanto allettante? - Mini FF - AU, AH, OOC
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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A seguito di numerosi messaggi da parte di chi non ha potuto inviare un sms in occasione del “Voi donate, Noi scriviamo” di questa estate, ho deciso di rendere disponibile il mio extra

A seguito di numerosi messaggi da parte di chi non ha potuto inviare un sms in occasione del “Voi donate, Noi scriviamo” di questa estate, ho deciso di rendere disponibile il mio extra. Esso va, con una dedica speciale, a tutti coloro che vorrebbero leggere più di quanto invece possono permettersi. So cosa significa e so che non è bello.

 

Grazie ancora una volta per aver donato, e per aver contribuito a raccogliere fondi per la popolazione africana.

---

 

Questo capitolo parte lì dove finisce la storia principale. Edward apre la porta di casa, si trova

davanti Bella. I due si baciano.

Buona lettura.

---

 

Capitolo 5

 

Edward

“Sì. Ricominciamo.”

Mi allontano da lei quel tanto che basta per farla entrare nel mio appartamento, e

all’improvviso mi rendo conto delle condizioni della mia umilissima dimora. Ogni angolo è pulito,

in ordine, ma vecchio, molto vecchio. E’ un appartamento fatiscente, e io non posso offrirle altro in

questo momento, se non quattro mura fatiscenti, decorate con un quadretto che è qui fin dal mio

arrivo.

Bella è in imbarazzo. Le sue guance sono rosse. Gli occhi bassi.

“Vieni,” le dico prendendola per mano. “Ti mostro la cucina, e ne approfitto per appoggiare

questi sul tavolo.”

Questi sono i biscotti al marzapane che sua madre ha preparato.

Bella mi segue nel breve corridoio, fino alla camera arredata come una cucina. Sedie spaiate,

un tavolo spartano. Ogni cosa è dignitosa, ma non posso fare a meno di sentirmi piccolo di fronte a

lei.

Non dovrebbe essere così. Dovrei essere in grado di offrirle di più. Anche per un breve

attimo come questo.

Bella mi guarda mentre sistemo i biscotti su un ripiano.

Dopo averlo fatto, apro il frigorifero per controllare che ci sia qualcosa da bere. Latte per il

bambino, un paio di birre scadenti.

“Um… vuoi… posso… posso offrirti qualcosa?” Chiudo lo sportello del frigorifero ed apro

quello della dispensa. Anche lì, c’è poco. “Dovrei avere del tè.” Prendo la scatola di tè, ringraziando

gli angeli perché al suo interno vi sono due bustine, le ultime.

“Il tè andrà benissimo,” risponde Bella. “Dov’è Daniel?” chiede guardandosi attorno.

“E’ con mio fratello, Jasper… dovrebbe essere qui fra poco,” dico controllando l’orologio.

Riempio il bollitore e lo metto sul fuoco. Mi giro verso di lei, e dopo un respiro profondo le

parlo.

“Grazie per l’idea del colloquio. So che… so che siete stati tu e Jasper a… ad orchestrare

tutto.”

Lei si avvicina, mi prende le mani. “Com’è andata? Quando sono entrata nell’ufficio di Aro

e ti ho visto…” Abbassa di nuovo gli occhi. La sua voce tradisce grande emozione.

“E’ lui,” dico accarezzando le sue dita. “Tuo marito. E’ lui, è Aro.”

Bella muove il capo in un cenno di assenso.

“Mi ha dato il lavoro,” dico in un soffio.

“Sul serio?” esclama alzando gli occhi sui miei. “Ce l’hai fatta?”

“Sì, comincio domani.”

“Oh, Edward! E’ meraviglioso!” Si alza sulle punte, appoggia le mani sul mio petto e mi

bacia. Un bacio veloce sulle labbra, un bacio che mi fa tremare.

“Grazie. Non so come tu abbia fatto, ma grazie.”

“Grazie a te,” ribatte lei, e vorrei chiederle per cosa mi ringrazia, ma il fischio del bollitore

ci interrompe. Verso l’acqua nelle due tazze – scelgo per me quella col bordo scheggiato – e

zucchero il tè prima di passarne una a Bella. Ci sediamo al tavolo sistemato accanto alla finestra e

per un po’ beviamo il liquido caldo in silenzio.

“Parlare con te mi ha aiutata,” dice lei ad un certo punto. “Molto più che parlare con le mie

amiche… o presunte tali. Ciò che mi hai detto sul mio matrimonio, le parole che hai usato,

Daniel…”

“Daniel? Mio figlio?”

“Proprio così,” annuisce lei con un sorriso. “Vederlo in ufficio così spesso è stato… è un

bambino felice, sai? La sua gioia è evidente. E’ stata una spinta per me.”

Sollevo le sopracciglia, sorpreso. “Una spinta? Daniel è… lui è un bambino. Tutti i bambini

alla sua età sono felici.”

Bella sorride e scuote il capo. “No, Edward. Non tutti lo sono.”

“Sono contento che tu abbia lasciato Aro. Voglio dire… non in quel senso… cioè, anche in

quel…” Wow, bella figura. Complimenti. “Credo che tu abbia fatto la scelta giusta,” riesco a dire

dopo qualche secondo d’impaccio. “Indipendentemente da tutto.”

Indipendentemente da me.

Lei sorride, beve un altro sorso di tè. “Non sarà facile,” riflette. “Avrò bisogno di una casa,

non posso stare con mia madre per sempre; un lavoro, un’auto. Non sarà facile, ma almeno sarò da

sola. Voglio dire,” si corregge subito, “non sarò con lui.”

Sorrido io adesso.

E’ surreale. Se all’inizio mi avessero detto che dilettarmi come intrattenitore telefonico per

donne annoiate e in cerca di divertimento mi avrebbe condotto alla persona che ho di fronte avrei

riso a più non posso.

Surreale. Questa situazione, non lei. Lei è qui. Ed è magica.

Sto per aprire la bocca, quando il suono del campanello mi interrompe.

“E’ Jasper,” le dico. “Ha riportato Daniel.”

Mi affretto a raggiungere la porta d’ingresso. Faccio accomodare mio fratello, il quale ha

mio figlio fra le braccia, e gli chiedo a bassa voce di andare via. “Perché?”

“Perché sì.”

“Ma no. Dimmi almeno com’è andato il colloquio!”

“Abbassa la voce!” ribatto. “Il colloquio è andato bene, ho il posto, grazie. Ora vai. Ti

chiamo domani.”

Jasper vorrebbe farmi altre domande, ma non ci riesce perché lo sbatto letteralmente fuori.

Non saprei come giustificare la presenza di Bella qui, adesso, e soprattutto non saprei

spiegargli come faccio a conoscerla. Né lui né Emmett sanno della linea erotica, e grazie al mio

nuovo lavoro spero che non lo sappiano mai.

“Come stai, ometto?” chiedo a Daniel mentre compio i pochi passi che ci separano dalla

cucina. Lo libero dal piumino e dal cappello proprio quando ci troviamo davanti agli occhi estasiati

di Bella, la quale si alza ed unisce le mani con fare commosso.

“Ciao, Daniel!” esclama.

Lui si guarda attorno, appoggiando una mano sul mio viso, e sorride mostrando quattro denti

da latte.

“Oh, Edward, è un amore!”

“Vuoi… vuoi tenerlo?”

“Posso?”

“Certo.”

Le passo Daniel, il quale non si fa problemi ad andare fra le braccia di Bella, e resto ad

osservarli per un minuto. Lei gli bacia le guance, poi gli parla a bassa voce chiedendogli dove è

stato, cos’ha fatto di bello. Poi si accorge del mio sguardo, e sembra quasi in imbarazzo.

“Scusa…” mormora.

“No,” ribatto. “E’ tutto tuo. Ti spiace se vado un attimo…” indico il resto della casa, ma in

realtà ho bisogno del bagno.

“No, fai pure. Noi due restiamo qui, vero piccolo?”

Dopo aver chiuso a chiave la porta del bagno, mi appoggio ad essa e chiudo gli occhi.

Cosa sta accadendo? Cosa è accaduto alla mia vita nel giro di ventiquattrore? Ieri ero senza

un lavoro, senza speranza, depresso. Oggi mi sento come se potessi ricominciare a mordere il

mondo.

Dipende dal fatto che ho finalmente un posto dignitoso? Un lavoro che mi permetterà di

poter dire cosa faccio senza provare vergogna? Un lavoro che mi consentirà di non nascondermi più

dai miei genitori?

Dipende da Bella? Dal fatto che l’ho ritrovata, e nella maniera più impensabile? Dal fatto

che per tutto questo tempo, è stata sempre presente nella mia vita?

Non lo so. Non lo so.

Lavo le mani, e ne approfitto per gettarmi un po’ d’acqua sul viso. La presenza di Bella

nell’altra stanza mi rende più nervoso del solito.

“Eccomi,” dico facendo ritorno in cucina, ma quando li vedo mi fermo di scatto e resto ad

osservarli.

Bella è seduta su una delle sedie spaiate, e Daniel è ancora fra le sue braccia. Posso vedere

le sue manine attaccate al collo di lei, e posso vedere la mano di Bella accarezzargli la schiena. Ha

gli occhi chiusi.

Mormora qualcosa, una specie di nenia, e lui è tranquillo e rilassato.

Vederli così è strano. L’ennesimo momento surreale. Daniel di solito è a proprio agio con gli

estranei, credo infatti che sia forse troppo piccolo per distinguere fra simpatie ed antipatie. Tuttavia

mi sembra che si stia godendo completamente il tempo con Bella e per me, vederli così, è surreale

ed emozionante al tempo stesso.

Quando faccio un passo in vanti la gomma delle scarpe stride sul pavimento, e Bella riapre

gli occhi. “Ehi!” esclama come se l’avessi spaventata.

“Ehi,” rispondo con un sorriso, andandomi a sedere sulla mia sedia.

Daniel si accorge di me, ma continua a rimanere nella stessa posizione. La piccola testa è

appoggiata sulla spalla di Bella, gli occhi rivolti verso di me. Le braccia sono ancora attaccate al

suo collo.

“E’ sveglio?” sussurra lei.

Annuisco.

“Vuoi che…” e prova a passarmelo, ma io le faccio cenno che non deve preoccuparsi, che

può continuare a tenerlo.

Sarò anche un pazzo (e nell’ultimo periodo credo di averlo ampiamente dimostrato) ma mi

piace osservarli assieme. Lo faccio fino a che Daniel - è pur sempre un bambino - decide di essere

annoiato ed inizia a piagnucolare. Lo prendo dalle braccia di Bella e mi rendo conto che è quasi

l’ora della merenda.

“Devo preparargli il latte,” le dico.

“Oh, certo. Vuoi che giochi un po’ con lui nel frattempo?”

“Grazie.”

Daniel torna con Bella per consentirmi di prendere latte, bottiglia e tutto l’occorrente per la

sua merenda. “Edward, non hai un… un seggiolone?” chiede lei ad un tratto.

Accidenti. “Um… no, no. Ne avevo uno, ma si è rotto e non…” E non ho avuto più la

possibilità di comprarne un altro.

“Ok, ok,” si affretta a dire lei. “Non importa. Daniel ed io ci stiamo divertendo così, vero

piccolo?”

Lui emette qualche suono incomprensibile, Bella ride di gusto, e io mi sento ancora

umiliato, ma più leggero. Non è colpa di Bella se non sono in grado di adempiere a tutti i miei

obblighi come genitore. Non è colpa sua se in parte ho fallito.

“Edward,” mi dice mentre verso il latte nella bottiglia. “La madre di Daniel… hai avuto

notizie di lei?”

“No,” rispondo. “Tanya si è completamente dimenticata di lui.”

Mi volto per andare verso di loro, e gli occhi di Bella sono posati sul viso di Daniel, il quale

rimane seduto in silenzio sulla sue ginocchia.

“Io non potrei mai dimenticarmi di lui,” dice lei. “Né di te,” aggiunge guardando nella mia

direzione.

Daniel beve il suo latte in silenzio. Gli unici rumori che emette sono quelli di soddisfazione

quando il liquido tiepido gli passa nella gola e arriva nello stomaco.

“Pensi di rimanere molto da Renèe?” chiedo a Bella con un groppo alla gola, sperando che

la sua risposta possa darmi in qualche modo sollievo.

“Almeno fino alla fine dell’anno. Ho bisogno di rimettermi in piedi, te l’ho detto, e poi…

poi…”

“Poi?”

“Niente.”

“No, Bella… poi?”

“Niente,” dice con decisione. L’aria serena del suo viso fa spazio all’imbarazzo. Mi viene

accanto e si china su di me per dare un bacio a Daniel. “Sarà meglio che vada. Mia madre si starà

chiedendo che fine abbia fatto.”

Perché vuole andare via? Ho detto o fatto qualcosa? E il nostro ‘Ricominciamo’? Tornerà,

vero?

“Vieni a cena qui,” dico in fretta, senza farle una vera e propria domanda. “Potrei preparare

qualcosa, oppure ordinare due pizze. Vieni a cena qui,” chiedo.

Il suo viso è proprio a pochi centimetri dal mio. Fra di noi, Daniel e i suoi mugolii di

soddisfazione mentre beve il latte.

Il viso di Bella si addolcisce, sorride. “Va bene. A più tardi.”

 

***

 

Quando Bella torna per la cena, Daniel è già nella sua culla a dormire. Lei mi chiede di poterlo

vedere, e io non esito ad aprire la porta dell’angusta cameretta di mio figlio. A Bella sembra non

importare dell’arredamento privo di ogni comodità, di ogni lusso, di ogni colore che si addica ad un

piccolo dell’età di mio figlio. Si avvicina alla culla e lo copre fino al petto, rimanendo incantata dal

suo viso dolcemente intrappolato nel mondo dei sogni.

Ordiniamo due pizze e due birre, e sono felice di potermele permettere. Devo attingere al

piccolo fondo per le emergenze contenuto in un barattolo del caffè, e devo lottare con Bella in

presenza del ragazzo della pizzeria onde evitare che sia lei a pagare.

Fra di noi è ancora lei quella più ricca. Lo dicono i suoi orecchini, lo dicono i suoi capelli

ancora freschi di parrucchiere, lo dicono i suoi vestiti, il suo profumo fruttato.

Ciò nonostante sono io l’uomo, e secondo le buone maniere con cui ho convissuto per tutti

questi anni, è sempre l’uomo a pagare.

Anche quando bisogna prendere i soldi dal fondo per emergenze situato nella dispensa.

Per fortuna Bella non se ne accorge. Ci sediamo sul divano e parliamo mentre consumiamo

la nostra cena. Chiacchiere semplici, nulla di impegnativo. Sua madre, Daniel, i miei fratelli.

Fino a che le pizze finiscono, fino a che finiscono anche le birre.

Ci guardiamo, abbassiamo gli occhi, ci sorridiamo. Non c’è nulla di maturo nei nostri gesti,

soprattutto quando le nostre dita passeggiano nel medesimo posto sullo schienale del divano.

“Posso farti una domanda?” chiedo ad un tratto.

“Sì.”

“Perché hai deciso di aiutarmi dopo che… dopo che io… dopo che non ho più lavorato alla

linea erotica?”

Bella sorride. “A dire il vero ho deciso di aiutarti prima di quella sera. Pensi che lo abbia

fatto perché tu…. Perché noi…”

“No, non sto dicendo questo. Tuttavia è strano, non trovi? Hai deciso di darmi una mano

senza conoscermi davvero. E poi,” chiedo lasciandomi andare alla curiosità, “come hai fatto a

capire che ero proprio io il padre di Daniel? Come hai fatto a collegare tutto? Hai corso un rischio

non indifferente…”

“Un rischio simile a quello che hai corso tu,” replica lei. “Quando mi hai raccontato di tuo

figlio, quando mi hai parlato di te, di tua moglie. L’hai fatto senza conoscermi. Potevo anche essere

una psicopatica, non trovi?”

“No…” rispondo con la voce di un quindicenne. “Io sapevo che… sentivo che… sapevo che

tu eri diversa.”

“E lo sapevo anch’io, Edward. Sapevo che eri e sei diverso. Ho parlato con Jasper, ho

collegato i punti: quanti trentunenni disoccupati con un figlio di nome Daniel esistono a Seattle? Ho

rischiato. E mi è andata bene.”

Non so se è lei ad avvicinarsi o io. Non so chi bacia per primo chi.

So solo che quando le mie labbra si trovano sulle sue, il surreale diventa normale,

spiegabile, realissimo.

“Quando ti ho detto che intendo ricominciare… voglio farlo davvero,” dice lei fra un bacio e

l’altro.

“Lo so,” rispondo accarezzandole il viso. “E’ lo stesso per me.” Bacio le sue guance, gli

occhi, i lobi delle orecchie. “Cosa volevi dirmi prima? Prima di andartene? Ti sei bloccata…”

“Oh.” Abbassa gli occhi, arrossisce.

“Cosa?” Le alzo il viso usando due dita sotto il mento. “Cosa c’è? Cosa volevi dirmi?”

“Niente.”

“Bella.”

“Davvero, Edward. E’ una cosa troppo grande da chiederti… mi prenderesti per matta se lo

facessi, se…”

“Cosa? Cosa vuoi chiedermi?”

Una parte di me accetterebbe qualsiasi sua richiesta adesso.

Bella mi guarda, gli occhi grandi e marroni nei miei. Si morde il labbro inferiore, riflette sul

da farsi.

“E’ accaduto tutto in fretta,” sussurra. “Tu, Daniel, Aro. In questi giorni ho fantasticato

spesso ad occhi aperti, pensando a te e a come potrebbe essere la mia vita se tu… se noi…” Si

allontana e scuote il capo. “E’ una stupidaggine… io… lascia perdere. Lascia perdere, Edward.”

“Non è una stupidaggine, Bella. Dimmelo. Dimmelo.”

Non ho idea di cosa voglia dire, ma ho bisogno di saperlo. E’ come se dalle sue parole possa

derivare qualcosa di buono anche per me.

“Ho pensato,” dice a bassa voce, torturandosi le dita, “che sarebbe bello ricominciare…

insieme. Ricominciare nello stesso luogo, magari. Ho pensato che a me serve un appartamento, e

che con il nuovo lavoro tu avresti potuto cercarne uno più grande, e che insieme avremmo potuto

unire le nostre forze, e…” Si ferma, il respiro le si blocca. “Dio, sono una stupida.” Si copre il viso

con le mani. “Sono proprio una di quelle disperate che chiamano alle linee erotiche,” sussurra. “Io

non ti conosco, tu non conosci me. Non c’è stato nulla fra di noi, e forse non ci sarà mai nulla se

non questo piccolo calore, questi piccoli momenti. Dio,” esclama, “non sono passate neppure dodici

ore dalla prima volta che ci siamo visti…” Si alza dal divano, continua a torturarsi le dita. “E io

sono qui a chiederti di cercare una casa con me. Ho pensato che… ho sognato che potesse… che

potessimo… ho pensato che potesse funzionare, ho pensato alle cose che abbiamo in comune, mi

sono detta che Daniel ha bisogno di un supporto costante, di una papà sereno.” Si ferma di nuovo,

stavolta per osservare i miei occhi spalancati. “Sono una pazza. Devo andarmene.” E fa per avviarsi

alla porta, ma riesco a bloccarla afferrando la sua mano nella mia.

“Bella, calmati.”

“No, no. Devo andarmene. Starai pensando che sono una squilibrata, in fondo non ci

conosciamo, non… non…”

“Ehi… calmati. Respira.” L’attiro a me, ci sediamo di nuovo. “Bella, io non so cosa dire. Di

una cosa sono convinto, però: non sei pazza. Non ci conosciamo neanche da dodici ore, è vero. Io

ho un carico enorme di problemi, e probabilmente lo stesso vale per te: tuo marito, il divorzio. Hai

ragione, Daniel ha bisogno di un padre sereno, di una casa più accogliente, e in fondo ho bisogno

anch’io di determinate cose. Ma in questo momento… non posso lasciare che la mia mente viaggi

troppo lontano. Non sono ancora certo che il lavoro allo studio legale duri per un tempo sufficiente

a rimettermi in piedi. Da un momento all’altro potrei perdere anche quell’impiego, e in quel caso

sarei di nuovo in questa condizione.

“Le tue parole… le tue parole mi danno fiducia, mi rincuorano. Mi danno speranza, Bella.

Perché penso a mia moglie, e poi vedo te. Tu, che non mi conosci, non hai esitato un attimo a

metterti in gioco per me e per mio figlio. Non ti considero una disperata, né una pazza. Sei una

donna speciale,” dico accarezzandole la guancia con i polpastrelli. “E l’idea di ricominciare con

te… l’idea che tu possa frequentare Daniel, l’idea che lui possa darti la spinta necessaria affinché tu

possa riuscire a rialzarti. Tutto questo è allo stesso tempo surreale e magnifico.” Mi fermo, lascio

andare una mezza risata. “Adesso sarai tu a pensare che sono matto.”

“No,” dice accarezzandomi il viso. “No. Hai ragione,” riflette. “Hai ragione. Sai, Edward…

il mio matrimonio è stato costruito sul mio bisogno di evadere da qui, da questo quartiere, e sulle

apparenze da mantenere per compiacere mio marito. Con te, ora, per la prima volta… mi sono

sentita come… ho capito che…”

“Lo so,” dico abbracciandola. “Lo so.”

Restiamo in silenzio per qualche minuto, e so che stiamo entrambi pensando alla stessa cosa.

Esiste un periodo di tempo standard per lasciarsi coinvolgere in questo modo? Esiste un

decalogo da seguire prima di arrivare a dirsi certe cose? Esiste un galateo da seguire per chi

guadagna soldi attraverso una linea erotica e si scopre legato ad una cliente?

Come capire qual è la cosa giusta da fare? Come muoversi?

Come agire, quando la vita che credevi normale non c’è più, e ogni cosa che davi per

scontata è sparita, evaporata, finita?

Tutto cambia. Prospettive, metri di giudizio, sensazioni, idee.

Non ho la più pallida idea di cosa accadrà fra me e Bella. Abbiamo entrambi dei problemi da

affrontare e da risolvere, e un qualcosa che sta nascendo – o forse è già nato – sembra condizionare

i nostri pensieri oltre che i nostri cuori.

Le voglio bene, o forse di più. E’ possibile o è l’ennesimo elemento surreale di questa nuova

vita?

E’ davvero convinta delle sue parole, quando mi chiede di andare a vivere con lei?

Come fare per capirlo? Come fare per essere certo che le cose, da oggi in avanti, andranno

bene? Il mio lavoro sarà duraturo? Lei riuscirà a trovarne un altro? Daniel avrà bisogno di

medicinali costosi? Aro non si stancherà di me? Tanya tornerà ed avanzerà pretese sulla mia vita e

su quella di mio figlio.

Pensare a queste eventualità mi rende insicuro, vuoto dentro. Automaticamente stringo il

corpo di Bella al mio con più forza, e la sua vicinanza riesce a calmarmi, ad infondermi di nuovo

quella speranza di cui ho bisogno, ora più che mai.

In fondo siamo simili, io e lei. Dobbiamo ripartire da zero, o quasi.

Dobbiamo rimboccarci le maniche ed andare avanti, e di certo non lo faremo per l’ultima

volta.

Ma forse può andare meglio se siamo in due. Forse, indipendentemente dai baci, dai piccoli

momenti di calore, da ciò che sento di provare per questa sconosciuta, qualcosa può nascere.

Qualcosa può prender vita fra di noi.

“Voglio riparlarne,” le dico allontanandomi da lei. “Voglio riparlarne. Ho bisogno di

tempo… per il lavoro, per tutto, e anche tu ne hai bisogno, ma voglio riparlarne, Bella. Voglio

prendere in considerazione la tua proposta.”

“Davvero?”

“Davvero.”

Le sorrido, e lei risponde al mio gesto appoggiando il viso sul mio petto.

“Posso lasciare che Daniel sia la mia spinta?”

“Sì che puoi.” Le accarezzo i capelli, la schiena. “Sarà anche la mia.”

E poi, un altro momento surreale. Chiudo gli occhi e vedo noi tre in una casa che non è

questa, in un quartiere che non è questo. Tutto è più luminoso, più bello, meno fatiscente. Il

frigorifero è pieno, dal soffitto non piove. Bella ha Daniel fra le braccia e mi sorride. Io sono

appena rientrato dal lavoro, vado incontro ad entrambi e li abbraccio.

Un sogno? Una possibile realtà? Un’utopia?

Solo il futuro potrà dirmelo.

 

 

Fine

   
 
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