A seguito di numerosi messaggi da parte di
chi non ha potuto inviare un sms in occasione del “Voi donate, Noi scriviamo”
di questa estate, ho deciso di rendere disponibile il mio extra. Esso va, con
una dedica speciale, a tutti coloro che vorrebbero leggere più di quanto invece
possono permettersi. So cosa significa e so che non è bello.
Grazie ancora una volta per aver donato, e
per aver contribuito a raccogliere fondi per la popolazione africana.
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Questo capitolo parte lì dove finisce la
storia principale. Edward apre la porta di casa, si trova
davanti Bella. I due si baciano.
Buona lettura.
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Capitolo 5
Edward
“Sì. Ricominciamo.”
Mi allontano da lei quel tanto che basta per
farla entrare nel mio appartamento, e
all’improvviso mi rendo conto delle
condizioni della mia umilissima dimora. Ogni angolo è pulito,
in ordine, ma vecchio, molto vecchio. E’ un
appartamento fatiscente, e io non posso offrirle altro in
questo momento, se non quattro mura
fatiscenti, decorate con un quadretto che è qui fin dal mio
arrivo.
Bella è in imbarazzo. Le sue guance sono
rosse. Gli occhi bassi.
“Vieni,” le dico prendendola per mano. “Ti
mostro la cucina, e ne approfitto per appoggiare
questi sul tavolo.”
Questi sono i biscotti al marzapane che sua madre ha preparato.
Bella mi segue nel breve corridoio, fino
alla camera arredata come una cucina. Sedie spaiate,
un tavolo spartano. Ogni cosa è dignitosa,
ma non posso fare a meno di sentirmi piccolo di fronte a
lei.
Non dovrebbe essere così. Dovrei essere in
grado di offrirle di più. Anche per un breve
attimo come questo.
Bella mi guarda mentre sistemo i biscotti su
un ripiano.
Dopo averlo fatto, apro il frigorifero per
controllare che ci sia qualcosa da bere. Latte per il
bambino, un paio di birre scadenti.
“Um… vuoi… posso… posso offrirti qualcosa?”
Chiudo lo sportello del frigorifero ed apro
quello della dispensa. Anche lì, c’è poco. “Dovrei
avere del tè.” Prendo la scatola di tè, ringraziando
gli angeli perché al suo interno vi sono due
bustine, le ultime.
“Il tè andrà benissimo,” risponde Bella. “Dov’è
Daniel?” chiede guardandosi attorno.
“E’ con mio fratello, Jasper… dovrebbe
essere qui fra poco,” dico controllando l’orologio.
Riempio il bollitore e lo metto sul fuoco.
Mi giro verso di lei, e dopo un respiro profondo le
parlo.
“Grazie per l’idea del colloquio. So che… so
che siete stati tu e Jasper a… ad orchestrare
tutto.”
Lei si avvicina, mi prende le mani. “Com’è
andata? Quando sono entrata nell’ufficio di Aro
e ti ho visto…” Abbassa di nuovo gli occhi.
La sua voce tradisce grande emozione.
“E’ lui,” dico accarezzando le sue dita. “Tuo
marito. E’ lui, è Aro.”
Bella muove il capo in un cenno di assenso.
“Mi ha dato il lavoro,” dico in un soffio.
“Sul serio?” esclama alzando gli occhi sui
miei. “Ce l’hai fatta?”
“Sì, comincio domani.”
“Oh, Edward! E’ meraviglioso!” Si alza sulle
punte, appoggia le mani sul mio petto e mi
bacia. Un bacio veloce sulle labbra, un
bacio che mi fa tremare.
“Grazie. Non so come tu abbia fatto, ma
grazie.”
“Grazie a te,” ribatte lei, e vorrei
chiederle per cosa mi ringrazia, ma il fischio del bollitore
ci interrompe. Verso l’acqua nelle due tazze
– scelgo per me quella col bordo scheggiato – e
zucchero il tè prima di passarne una a
Bella. Ci sediamo al tavolo sistemato accanto alla finestra e
per un po’ beviamo il liquido caldo in
silenzio.
“Parlare con te mi ha aiutata,” dice lei ad
un certo punto. “Molto più che parlare con le mie
amiche… o presunte tali. Ciò che mi hai
detto sul mio matrimonio, le parole che hai usato,
Daniel…”
“Daniel? Mio figlio?”
“Proprio così,” annuisce lei con un sorriso.
“Vederlo in ufficio così spesso è stato… è un
bambino felice, sai? La sua gioia è
evidente. E’ stata una spinta per me.”
Sollevo le sopracciglia, sorpreso. “Una
spinta? Daniel è… lui è un bambino. Tutti i bambini
alla sua età sono felici.”
Bella sorride e scuote il capo. “No, Edward.
Non tutti lo sono.”
“Sono contento che tu abbia lasciato Aro.
Voglio dire… non in quel senso… cioè, anche in
quel…” Wow, bella figura. Complimenti. “Credo
che tu abbia fatto la scelta giusta,” riesco a dire
dopo qualche secondo d’impaccio. “Indipendentemente
da tutto.”
Indipendentemente da me.
Lei sorride, beve un altro sorso di tè. “Non
sarà facile,” riflette. “Avrò bisogno di una casa,
non posso stare con mia madre per sempre; un
lavoro, un’auto. Non sarà facile, ma almeno sarò da
sola. Voglio dire,” si corregge subito, “non
sarò con lui.”
Sorrido io adesso.
E’ surreale. Se all’inizio mi avessero detto
che dilettarmi come intrattenitore telefonico per
donne annoiate e in cerca di divertimento mi
avrebbe condotto alla persona che ho di fronte avrei
riso a più non posso.
Surreale. Questa situazione, non lei. Lei è
qui. Ed è magica.
Sto per aprire la bocca, quando il suono del
campanello mi interrompe.
“E’ Jasper,” le dico. “Ha riportato Daniel.”
Mi affretto a raggiungere la porta d’ingresso.
Faccio accomodare mio fratello, il quale ha
mio figlio fra le braccia, e gli chiedo a
bassa voce di andare via. “Perché?”
“Perché sì.”
“Ma no. Dimmi almeno com’è andato il
colloquio!”
“Abbassa la voce!” ribatto. “Il colloquio è
andato bene, ho il posto, grazie. Ora vai. Ti
chiamo domani.”
Jasper vorrebbe farmi altre domande, ma non
ci riesce perché lo sbatto letteralmente fuori.
Non saprei come giustificare la presenza di
Bella qui, adesso, e soprattutto non saprei
spiegargli come faccio a conoscerla. Né lui
né Emmett sanno della linea erotica, e grazie al mio
nuovo lavoro spero che non lo sappiano mai.
“Come stai, ometto?” chiedo a Daniel mentre
compio i pochi passi che ci separano dalla
cucina. Lo libero dal piumino e dal cappello
proprio quando ci troviamo davanti agli occhi estasiati
di Bella, la quale si alza ed unisce le mani
con fare commosso.
“Ciao, Daniel!” esclama.
Lui si guarda attorno, appoggiando una mano
sul mio viso, e sorride mostrando quattro denti
da latte.
“Oh, Edward, è un amore!”
“Vuoi… vuoi tenerlo?”
“Posso?”
“Certo.”
Le passo Daniel, il quale non si fa problemi
ad andare fra le braccia di Bella, e resto ad
osservarli per un minuto. Lei gli bacia le
guance, poi gli parla a bassa voce chiedendogli dove è
stato, cos’ha fatto di bello. Poi si accorge
del mio sguardo, e sembra quasi in imbarazzo.
“Scusa…” mormora.
“No,” ribatto. “E’ tutto tuo. Ti spiace se
vado un attimo…” indico il resto della casa, ma in
realtà ho bisogno del bagno.
“No, fai pure. Noi due restiamo qui, vero
piccolo?”
Dopo aver chiuso a chiave la porta del
bagno, mi appoggio ad essa e chiudo gli occhi.
Cosa sta accadendo? Cosa è accaduto alla mia
vita nel giro di ventiquattrore? Ieri ero senza
un lavoro, senza speranza, depresso. Oggi mi
sento come se potessi ricominciare a mordere il
mondo.
Dipende dal fatto che ho finalmente un posto
dignitoso? Un lavoro che mi permetterà di
poter dire cosa faccio senza provare
vergogna? Un lavoro che mi consentirà di non nascondermi più
dai miei genitori?
Dipende da Bella? Dal fatto che l’ho
ritrovata, e nella maniera più impensabile? Dal fatto
che per tutto questo tempo, è stata sempre
presente nella mia vita?
Non lo so. Non lo so.
Lavo le mani, e ne approfitto per gettarmi
un po’ d’acqua sul viso. La presenza di Bella
nell’altra stanza mi rende più nervoso del
solito.
“Eccomi,” dico facendo ritorno in cucina, ma
quando li vedo mi fermo di scatto e resto ad
osservarli.
Bella è seduta su una delle sedie spaiate, e
Daniel è ancora fra le sue braccia. Posso vedere
le sue manine attaccate al collo di lei, e
posso vedere la mano di Bella accarezzargli la schiena. Ha
gli occhi chiusi.
Mormora qualcosa, una specie di nenia, e lui
è tranquillo e rilassato.
Vederli così è strano. L’ennesimo momento
surreale. Daniel di solito è a proprio agio con gli
estranei, credo infatti che sia forse troppo
piccolo per distinguere fra simpatie ed antipatie. Tuttavia
mi sembra che si stia godendo completamente
il tempo con Bella e per me, vederli così, è surreale
ed emozionante al tempo stesso.
Quando faccio un passo in vanti la gomma
delle scarpe stride sul pavimento, e Bella riapre
gli occhi. “Ehi!” esclama come se l’avessi
spaventata.
“Ehi,” rispondo con un sorriso, andandomi a
sedere sulla mia sedia.
Daniel si accorge di me, ma continua a
rimanere nella stessa posizione. La piccola testa è
appoggiata sulla spalla di Bella, gli occhi
rivolti verso di me. Le braccia sono ancora attaccate al
suo collo.
“E’ sveglio?” sussurra lei.
Annuisco.
“Vuoi che…” e prova a passarmelo, ma io le
faccio cenno che non deve preoccuparsi, che
può continuare a tenerlo.
Sarò anche un pazzo (e nell’ultimo periodo
credo di averlo ampiamente dimostrato) ma mi
piace osservarli assieme. Lo faccio fino a
che Daniel - è pur sempre un bambino - decide di essere
annoiato ed inizia a piagnucolare. Lo prendo
dalle braccia di Bella e mi rendo conto che è quasi
l’ora della merenda.
“Devo preparargli il latte,” le dico.
“Oh, certo. Vuoi che giochi un po’ con lui
nel frattempo?”
“Grazie.”
Daniel torna con Bella per consentirmi di
prendere latte, bottiglia e tutto l’occorrente per la
sua merenda. “Edward, non hai un… un
seggiolone?” chiede lei ad un tratto.
Accidenti. “Um… no, no. Ne avevo uno, ma si
è rotto e non…” E non ho avuto più la
possibilità di comprarne un altro.
“Ok, ok,” si affretta a dire lei. “Non
importa. Daniel ed io ci stiamo divertendo così, vero
piccolo?”
Lui emette qualche suono incomprensibile,
Bella ride di gusto, e io mi sento ancora
umiliato, ma più leggero. Non è colpa di
Bella se non sono in grado di adempiere a tutti i miei
obblighi come genitore. Non è colpa sua se
in parte ho fallito.
“Edward,” mi dice mentre verso il latte
nella bottiglia. “La madre di Daniel… hai avuto
notizie di lei?”
“No,” rispondo. “Tanya si è completamente
dimenticata di lui.”
Mi volto per andare verso di loro, e gli
occhi di Bella sono posati sul viso di Daniel, il quale
rimane seduto in silenzio sulla sue
ginocchia.
“Io non potrei mai dimenticarmi di lui,”
dice lei. “Né di te,” aggiunge guardando nella mia
direzione.
Daniel beve il suo latte in silenzio. Gli
unici rumori che emette sono quelli di soddisfazione
quando il liquido tiepido gli passa nella
gola e arriva nello stomaco.
“Pensi di rimanere molto da Renèe?” chiedo a
Bella con un groppo alla gola, sperando che
la sua risposta possa darmi in qualche modo
sollievo.
“Almeno fino alla fine dell’anno. Ho bisogno
di rimettermi in piedi, te l’ho detto, e poi…
poi…”
“Poi?”
“Niente.”
“No, Bella… poi?”
“Niente,” dice con decisione. L’aria serena
del suo viso fa spazio all’imbarazzo. Mi viene
accanto e si china su di me per dare un
bacio a Daniel. “Sarà meglio che vada. Mia madre si starà
chiedendo che fine abbia fatto.”
Perché vuole andare via? Ho detto o fatto
qualcosa? E il nostro ‘Ricominciamo’? Tornerà,
vero?
“Vieni a cena qui,” dico in fretta, senza
farle una vera e propria domanda. “Potrei preparare
qualcosa, oppure ordinare due pizze. Vieni a
cena qui,” chiedo.
Il suo viso è proprio a pochi centimetri dal
mio. Fra di noi, Daniel e i suoi mugolii di
soddisfazione mentre beve il latte.
Il viso di Bella si addolcisce, sorride. “Va
bene. A più tardi.”
***
Quando Bella torna per la cena, Daniel è già
nella sua culla a dormire. Lei mi chiede di poterlo
vedere, e io non esito ad aprire la porta
dell’angusta cameretta di mio figlio. A Bella sembra non
importare dell’arredamento privo di ogni
comodità, di ogni lusso, di ogni colore che si addica ad un
piccolo dell’età di mio figlio. Si avvicina
alla culla e lo copre fino al petto, rimanendo incantata dal
suo viso dolcemente intrappolato nel mondo
dei sogni.
Ordiniamo due pizze e due birre, e sono
felice di potermele permettere. Devo attingere al
piccolo fondo per le emergenze contenuto in
un barattolo del caffè, e devo lottare con Bella in
presenza del ragazzo della pizzeria onde
evitare che sia lei a pagare.
Fra di noi è ancora lei quella più ricca. Lo
dicono i suoi orecchini, lo dicono i suoi capelli
ancora freschi di parrucchiere, lo dicono i
suoi vestiti, il suo profumo fruttato.
Ciò nonostante sono io l’uomo, e secondo le
buone maniere con cui ho convissuto per tutti
questi anni, è sempre l’uomo a pagare.
Anche quando bisogna prendere i soldi dal
fondo per emergenze situato nella dispensa.
Per fortuna Bella non se ne accorge. Ci
sediamo sul divano e parliamo mentre consumiamo
la nostra cena. Chiacchiere semplici, nulla
di impegnativo. Sua madre, Daniel, i miei fratelli.
Fino a che le pizze finiscono, fino a che
finiscono anche le birre.
Ci guardiamo, abbassiamo gli occhi, ci
sorridiamo. Non c’è nulla di maturo nei nostri gesti,
soprattutto quando le nostre dita
passeggiano nel medesimo posto sullo schienale del divano.
“Posso farti una domanda?” chiedo ad un
tratto.
“Sì.”
“Perché hai deciso di aiutarmi dopo che…
dopo che io… dopo che non ho più lavorato alla
linea erotica?”
Bella sorride. “A dire il vero ho deciso di
aiutarti prima di quella sera. Pensi che lo abbia
fatto perché tu…. Perché noi…”
“No, non sto dicendo questo. Tuttavia è
strano, non trovi? Hai deciso di darmi una mano
senza conoscermi davvero. E poi,” chiedo
lasciandomi andare alla curiosità, “come hai fatto a
capire che ero proprio io il padre di
Daniel? Come hai fatto a collegare tutto? Hai corso un rischio
non indifferente…”
“Un rischio simile a quello che hai corso
tu,” replica lei. “Quando mi hai raccontato di tuo
figlio, quando mi hai parlato di te, di tua
moglie. L’hai fatto senza conoscermi. Potevo anche essere
una psicopatica, non trovi?”
“No…” rispondo con la voce di un
quindicenne. “Io sapevo che… sentivo che… sapevo che
tu eri diversa.”
“E lo sapevo anch’io, Edward. Sapevo che eri
e sei diverso. Ho parlato con Jasper, ho
collegato i punti: quanti trentunenni
disoccupati con un figlio di nome Daniel esistono a Seattle? Ho
rischiato. E mi è andata bene.”
Non so se è lei ad avvicinarsi o io. Non so
chi bacia per primo chi.
So solo che quando le mie labbra si trovano
sulle sue, il surreale diventa normale,
spiegabile, realissimo.
“Quando ti ho detto che intendo ricominciare…
voglio farlo davvero,” dice lei fra un bacio e
l’altro.
“Lo so,” rispondo accarezzandole il viso. “E’
lo stesso per me.” Bacio le sue guance, gli
occhi, i lobi delle orecchie. “Cosa volevi
dirmi prima? Prima di andartene? Ti sei bloccata…”
“Oh.” Abbassa gli occhi, arrossisce.
“Cosa?” Le alzo il viso usando due dita
sotto il mento. “Cosa c’è? Cosa volevi dirmi?”
“Niente.”
“Bella.”
“Davvero, Edward. E’ una cosa troppo grande
da chiederti… mi prenderesti per matta se lo
facessi, se…”
“Cosa? Cosa vuoi chiedermi?”
Una parte di me accetterebbe qualsiasi sua
richiesta adesso.
Bella mi guarda, gli occhi grandi e marroni
nei miei. Si morde il labbro inferiore, riflette sul
da farsi.
“E’ accaduto tutto in fretta,” sussurra. “Tu,
Daniel, Aro. In questi giorni ho fantasticato
spesso ad occhi aperti, pensando a te e a
come potrebbe essere la mia vita se tu… se noi…” Si
allontana e scuote il capo. “E’ una
stupidaggine… io… lascia perdere. Lascia perdere, Edward.”
“Non è una stupidaggine, Bella. Dimmelo.
Dimmelo.”
Non ho idea di cosa voglia dire, ma ho
bisogno di saperlo. E’ come se dalle sue parole possa
derivare qualcosa di buono anche per me.
“Ho pensato,” dice a bassa voce,
torturandosi le dita, “che sarebbe bello ricominciare…
insieme. Ricominciare nello stesso luogo, magari.
Ho pensato che a me serve un appartamento, e
che con il nuovo lavoro tu avresti potuto
cercarne uno più grande, e che insieme avremmo potuto
unire le nostre forze, e…” Si ferma, il
respiro le si blocca. “Dio, sono una stupida.” Si copre il viso
con le mani. “Sono proprio una di quelle
disperate che chiamano alle linee erotiche,” sussurra. “Io
non ti conosco, tu non conosci me. Non c’è
stato nulla fra di noi, e forse non ci sarà mai nulla se
non questo piccolo calore, questi piccoli
momenti. Dio,” esclama, “non sono passate neppure dodici
ore dalla prima volta che ci siamo visti…”
Si alza dal divano, continua a torturarsi le dita. “E io
sono qui a chiederti di cercare una casa con
me. Ho pensato che… ho sognato che potesse… che
potessimo… ho pensato che potesse
funzionare, ho pensato alle cose che abbiamo in comune, mi
sono detta che Daniel ha bisogno di un
supporto costante, di una papà sereno.” Si ferma di nuovo,
stavolta per osservare i miei occhi
spalancati. “Sono una pazza. Devo andarmene.” E fa per avviarsi
alla porta, ma riesco a bloccarla afferrando
la sua mano nella mia.
“Bella, calmati.”
“No, no. Devo andarmene. Starai pensando che
sono una squilibrata, in fondo non ci
conosciamo, non… non…”
“Ehi… calmati. Respira.” L’attiro a me, ci
sediamo di nuovo. “Bella, io non so cosa dire. Di
una cosa sono convinto, però: non sei pazza.
Non ci conosciamo neanche da dodici ore, è vero. Io
ho un carico enorme di problemi, e
probabilmente lo stesso vale per te: tuo marito, il divorzio. Hai
ragione, Daniel ha bisogno di un padre
sereno, di una casa più accogliente, e in fondo ho bisogno
anch’io di determinate cose. Ma in questo
momento… non posso lasciare che la mia mente viaggi
troppo lontano. Non sono ancora certo che il
lavoro allo studio legale duri per un tempo sufficiente
a rimettermi in piedi. Da un momento all’altro
potrei perdere anche quell’impiego, e in quel caso
sarei di nuovo in questa condizione.
“Le tue parole… le tue parole mi danno
fiducia, mi rincuorano. Mi danno speranza, Bella.
Perché penso a mia moglie, e poi vedo te.
Tu, che non mi conosci, non hai esitato un attimo a
metterti in gioco per me e per mio figlio.
Non ti considero una disperata, né una pazza. Sei una
donna speciale,” dico accarezzandole la
guancia con i polpastrelli. “E l’idea di ricominciare con
te… l’idea che tu possa frequentare Daniel,
l’idea che lui possa darti la spinta necessaria affinché tu
possa riuscire a rialzarti. Tutto questo è
allo stesso tempo surreale e magnifico.” Mi fermo, lascio
andare una mezza risata. “Adesso sarai tu a
pensare che sono matto.”
“No,” dice accarezzandomi il viso. “No. Hai
ragione,” riflette. “Hai ragione. Sai, Edward…
il mio matrimonio è stato costruito sul mio
bisogno di evadere da qui, da questo quartiere, e sulle
apparenze da mantenere per compiacere mio
marito. Con te, ora, per la prima volta… mi sono
sentita come… ho capito che…”
“Lo so,” dico abbracciandola. “Lo so.”
Restiamo in silenzio per qualche minuto, e
so che stiamo entrambi pensando alla stessa cosa.
Esiste un periodo di tempo standard per
lasciarsi coinvolgere in questo modo? Esiste un
decalogo da seguire prima di arrivare a
dirsi certe cose? Esiste un galateo da seguire per chi
guadagna soldi attraverso una linea erotica
e si scopre legato ad una cliente?
Come capire qual è la cosa giusta da fare?
Come muoversi?
Come agire, quando la vita che credevi
normale non c’è più, e ogni cosa che davi per
scontata è sparita, evaporata, finita?
Tutto cambia. Prospettive, metri di
giudizio, sensazioni, idee.
Non ho la più pallida idea di cosa accadrà
fra me e Bella. Abbiamo entrambi dei problemi da
affrontare e da risolvere, e un qualcosa che
sta nascendo – o forse è già nato – sembra condizionare
i nostri pensieri oltre che i nostri cuori.
Le voglio bene, o forse di più. E’ possibile
o è l’ennesimo elemento surreale di questa nuova
vita?
E’ davvero convinta delle sue parole, quando
mi chiede di andare a vivere con lei?
Come fare per capirlo? Come fare per essere
certo che le cose, da oggi in avanti, andranno
bene? Il mio lavoro sarà duraturo? Lei
riuscirà a trovarne un altro? Daniel avrà bisogno di
medicinali costosi? Aro non si stancherà di
me? Tanya tornerà ed avanzerà pretese sulla mia vita e
su quella di mio figlio.
Pensare a queste eventualità mi rende
insicuro, vuoto dentro. Automaticamente stringo il
corpo di Bella al mio con più forza, e la
sua vicinanza riesce a calmarmi, ad infondermi di nuovo
quella speranza di cui ho bisogno, ora più
che mai.
In fondo siamo simili, io e lei. Dobbiamo
ripartire da zero, o quasi.
Dobbiamo rimboccarci le maniche ed andare
avanti, e di certo non lo faremo per l’ultima
volta.
Ma forse può andare meglio se siamo in due.
Forse, indipendentemente dai baci, dai piccoli
momenti di calore, da ciò che sento di
provare per questa sconosciuta, qualcosa può nascere.
Qualcosa può prender vita fra di noi.
“Voglio riparlarne,” le dico allontanandomi
da lei. “Voglio riparlarne. Ho bisogno di
tempo… per il lavoro, per tutto, e anche tu
ne hai bisogno, ma voglio riparlarne, Bella. Voglio
prendere in considerazione la tua proposta.”
“Davvero?”
“Davvero.”
Le sorrido, e lei risponde al mio gesto
appoggiando il viso sul mio petto.
“Posso lasciare che Daniel sia la mia
spinta?”
“Sì che puoi.” Le accarezzo i capelli, la
schiena. “Sarà anche la mia.”
E poi, un altro momento surreale. Chiudo gli
occhi e vedo noi tre in una casa che non è
questa, in un quartiere che non è questo.
Tutto è più luminoso, più bello, meno fatiscente. Il
frigorifero è pieno, dal soffitto non piove.
Bella ha Daniel fra le braccia e mi sorride. Io sono
appena rientrato dal lavoro, vado incontro
ad entrambi e li abbraccio.
Un sogno? Una possibile realtà? Un’utopia?
Solo il futuro potrà dirmelo.
Fine