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Autore: Dils    07/09/2010    3 recensioni
Matilde è timida e non dice mai di no. Non sa cos’è l’amore e non le interessa.
Ha una cotta terribile per Joe Jonas, il cantante del suo gruppo preferito, e non fa che parlare di lui. Cosa succederà quando nella sua classe arriverà un misterioso ragazzo americano di nome Chuck?
Ambra è un artista. Ama la musica e l’arte. La sua vita procede bene finché la rottura con il suo storico ragazzo e i problemi in famiglia non la sconvolgeranno.
Denise è convinta di sposarsi con il suo ragazzo e di vivere per sempre con lui. I suoi genitori si erano fidanzati giovanissimi perché non sarebbe potuto essere così anche per lei? Le sue certezze, però, cadranno quando capirà di vedere un suo compagno di classe con luce diversa che da un semplice amico.
Stella è una scrittrice e vive di libri.
Scrive pensieri su quel ragazzo che la fa tanto soffrire, scrive sul suo rapporto difficile con suo padre, scrive così... solo per il gusto di farlo e di scappare dalla realtà.
Con il suo fido iPod gira per la città persa nel suo mondo e non si accorge di quell’amico che le rivolge attenzioni speciali.
Ma soprattutto loro sono quattro ragazze unite da un amicizia eterna.
Loro sono le “Mads”, perché sono pazze.
Pazze da morire.
Storia cancellata e riscritta.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pazze da morire.



Diventi rossa se qualcuno ti guarda
e sei fantastica quando sei assorta
nei tuoi problemi, nei tuoi pensieri.
(Albachiara - Vasco Rossi)


Si sedette svogliatamente sul banco –quello vicino alla finestra, nella seconda fila, per nascondersi meglio- poggiando a terra lo zaino rosso, guardando distrattamente la classe ancora mezza vuota, era arrivata in anticipo, come sempre. Denise, al contrario, come suo solito, ancora non si vedeva, ed era certa che sarebbe piombata in classe, trafelata, appena in tempo per il suono della seconda campanella, che dettava l’inizio delle lezioni.
Non sapendo che fare, sfilò dallo zaino il libro di Latino, certa che quel giorno la malefica professoressa l’avrebbe interrogata, più che per passare il tempo che per ripassare veramente, era totalmente e innegabilmente negata con quella materia quindi un ripasso veloce non avrebbe certo migliorato la situazione.
Intanto i compagni avevano iniziato ad entrare, chi tra risate sconnesse, chi tra chiacchiere, chi preoccupato per qualche interrogazione, chi ancora mezzo addormentato.
Ogniqualvolta che qualcuno la salutava, lei rispondeva con un gesto veloce e appena accennato.
Asia, una sua compagna di classe con cui ogni tanto lei e Denise uscivano anche fuori scuola con altri amici, si sedette elegantemente sul banco davanti al suo, poggiando stancamente la schiena contro il muro.
«Ciao Mati! Ripassi latino?» Lei annuì distrattamente, sorridendo.
«Hai bisogno d’aiuto?»
Asia era quel genere di ragazza. Gentile e carina, in un modo quasi stomachevole. Per di più era una specie di genietto e aveva tutti voti alti nonostante studiasse si e no un’ora e mezzo al giorno, come facesse non lo sapeva nemmeno lei stessa. Era così perfetta da poter risultare quasi odiosa, ma nonostante tutto non potevi fare a meno di volerle bene, per tua sfortuna. «Non riesco a capire questa perifrastica passiva…»
Asia era appena partita nella spiegazione quando la prima campanella suonò, facendo così in modo che tutti gli alunni si precipitarono, tra la confusione generale, al proprio posto, e quasi in contemporanea apparve Denise, ansante, come aveva previsto, appena in tempo che la professoressa arrivasse. La ragazza in questione velocemente si tolse il giacchetto e si avvicinò al banco accanto a quello di Matilde, dove si sedette pesantemente, spossata dalla corsa che aveva fatto per arrivare in orario.
Quando si riprese, si girò dietro di lei, dove la accolse lo sguardo divertito e terribilmente cristallino di Luca, un altro loro compagno di classe che era diventato loro amico anche fuori scuola, bè, era diventato amico di Denise, un po’ meno suo, a cui lei sorrise spontaneamente prima di girarsi di nuovo velocemente a causa dell’arrivo della tanto temuta professoressa.
La professoressa Demofonti era una donna tarchiata sulla cinquantina, dai capelli tinti di un biondo chiarissimo tenuti sempre in una crocchia alta sulla fronte e i vestiti perennemente in ordine, che aveva una terribile fissa per la pulizia, per questo girava sempre con una bottiglietta di alcool rosa e uno straccio in mano ed ogni mattina puliva meticolosamente la cattedra, con sguardo schifato e ossessivo. Quella mattina, ovviamente, la tanto consueta scenetta si ripeté e, dopo aver salutato gli alunni, si mise a pulire.
La prima settimana al Liceo Scientifico, due anni prima, erano rimasti scioccati da quella professoressa così strana e apparentemente perfida, ma con il tempo avevano scoperto in lei una donna, sì, autoritaria ma capace di trattarti con una dolcezza inaudita, quasi come una seconda mamma. Certo, tutto questo quando non doveva interrogare.
«Bene, allora, sbaglio o oggi devo interrogare?»


Le lezioni proseguivano come al solito e, tra qualche scoppio di ilarità collettiva, interrogazioni più o meno disastrose (era riuscita a prendere sei a Latino!), spiegazioni noiose, era arriva l’ora di ricreazione. Appena era suonata la campanella, Matteo era comparso in classe con una velocità inaudita visto che la sua aula si trovava due piani sopra la loro.
Matilde fece spallucce, era abituata a quel genere di comportamento da parte del ragazzo: stravedeva per Denise. La ragazza in questione, che in quel momento si stava mettendo il giacchetto celeste per uscire in cortile a comprare la merenda, sorrise vedendolo arrivare.
«Ciao Amore!»
Per tutta risposta lui la baciò, così, davanti a tutta la classe, come se niente fosse, senza prestare attenzione nemmeno alla professoressa che, in tutto ciò, era rimasta a guardarli con un tenero sorriso in faccia. Sì, aveva un debole per Denise, le ricordava la se stessa di più di trent’anni prima.
Matilde allora scosse la testa, divertita, prendendo il giacchetto per uscire in cortile, quando sentì due voci familiari provenire dal corridoio.
Stella e Ambra avanzavano nel piccolo corridoio chiacchierando animatamente di un qualcosa che le fece scoppiare in risa convulse, facendo così in modo che metà scuola si girasse perplessa al loro passaggio.
Matilde non si sorprese più di tanto, quella scenetta andava avanti da due anni ormai. Era sempre così, con quelle due. Attiravano, volenti o nolenti, l’attenzione. Ambra, gli occhi verdi divertiti, i capelli biondo cenere raccolti in una crocchia improvvisata, avanzava sistemandosi la kefiah acqua marina, in coordinato con la camicia stile boscaiolo e i jeans strappati. Stella, i lunghi capelli mossi lasciati sciolti, indossava i soliti jeans scuri, a sigaretta, delle semplici ballerine bianche, una maglietta grigia coperta da un grande cardigan a grandi righe orizzontali, grigie e blu. Il perfetto ritratto dello “Star style”, come l’avevano soprannominata, giocando con il suo nome.
Nonostante quel giorno la sua amica si comportasse normalmente, ridendo e scherzando come solo lei sapeva fare, sapeva che dentro di lei stava morendo pian piano, lentamente. Lo vedeva nei suoi occhi, vedeva che quella sofferenza la consumava giorno dopo giorno, sapeva che tutta quella sua esuberanza era solo una maschera che usava per affrontare il mondo. Una maschera che ogni tanto, per una frase sbagliata o un ricordo improvviso, si sgretolava e faceva chiudere Stella in se stessa, nel mondo in cui nessuno le faceva del male.
Quella stessa maschera che utilizzava per cercare ignorare la verità, la realtà delle cose. Sì, sapeva anche perché Stella era in quello stato. Non glielo aveva detto apertamente, ma la conosceva quasi –anzi, sicuramente- più di se stessa e spesso le parole, tra di loro, erano più che superflue.
Adorava Denise e Ambra, ma c’era qualcosa di indefinibile che legava lei e Stella. Una complicità quasi impercettibile agli sguardi altrui, un filo stretto che le univa innegabilmente. Solo con lei riusciva ad essere se stessa, quando erano insieme i caratteri completamente opposti –quello di lei, timida e riservata, e quello dell’altra, esuberante e completamente pazza- si annullavano ed erano… semplicemente loro stesse.
Non esistevano che le loro risate, le loro chiacchiere serene, le loro canzoni preferite cantante al cielo e la loro amicizia. Vederla così le faceva male, perché quella che aveva di fronte era solo l’ombra dell’amica che per lei era stata Stella da tredici anni a quella parte.
Le faceva male soprattutto perché non poteva farci niente, non poteva prendere quel sentimento e farlo andare via come se niente fosse. E non poteva certo chiedere a Denise di lasciare quello che ormai tutti credevano fosse la sua anima gemella. Non capiva come potesse l’amore ridurre qualcuno in quel modo. D’altro canto lei, l’amore, proprio non riusciva a capirlo; lo sognava, questo sì, ma le era ancora ignoto e, per quanto la riguardava, talmente lontano che nemmeno si sforzava a capirlo. Ma decise, in quel momento, mentre salutava due delle sue migliori amiche, che non si sarebbe mai ritrovata a morire per un ragazzo –che non fosse Joe Jonas, certo-, di questo ne era certa.


Ambra e Stella tornarono velocemente in classe, consapevoli di essere in un ritardo mostruoso. Loro, al contrario di Matilde e Denise, frequentavano il Liceo Classico che era immediatamente accanto allo scientifico perciò riuscivano a vedersi quasi sempre a ricreazione come se fossero nello stesso istituto, l’unica pecca era che non sentivano mai la campanella della loro scuola che dettava la fine dell’intervallo e arrivavano puntualmente in ritardo a lezione.
Come previsto la professoressa era già in classe, pronta a iniziare la lezione di Greco, e le guardò male non appena fecero il loro ingresso in classe, ma non disse niente, perciò le due scivolarono il più silenziosamente possibile nei loro banchi, infondo all’aula, sotto la finestra, cercando di non attirare l’attenzione. Naturalmente il buon proposito non sortì l’effetto desiderato perché Ambra –sempre la solita- inciampò su uno zaino e cadde rumorosamente. Dopo qualche minuto di risatine convulse, un evidente imbarazzo di Ambra e qualche rimprovero da parte della professoressa, la lezione cominciò.
La classe tornò nello stato di semi-dormiveglia in cui era prima, sembrava che nessuno si fosse mosso dalla propria posizione tanto le espressioni e i gesti erano li stessi di prima. Se non fosse stato per il cambio di materia avrebbe potuto tranquillamente pensare che se l’era immaginato, l’intervallo. La lezione procedeva tranquillamente, la professoressa spiegava e, ovviamente, quasi nessuno prendeva appunti, tranne alcune eccezioni.
Stella incrociò lo sguardo divertito di Andrea, che sedeva dall’altra parte della stanza ma sempre all’ultimo banco, e gli lanciò un sorriso complice, certa che avrebbero rinfacciato a Ambra quella figuraccia fino alla fine dei suoi giorni.
Conosceva Andrea fin dalle scuole medie, quando era un grassoccio e impacciato ragazzino di undici anni, e avevano fatto subito amicizia. Complice la passione comune per Harry Potter e la lettura in generale. Avevano passato un mese in completa simbiosi, e si erano detti di tutto. Avevano parlato dei loro genitori, entrambi separati, dei loro sogni, dei loro interessi, delle loro paure. Gli aveva detto cose che non aveva mai detto nemmeno alle sue migliori amiche, paure che non avrebbe mai confessato mai a nessun’altro.
Con Andrea era così, fin da subito c’era stata una specie di connessione, tra loro due, un sentimento profondo che gli aveva uniti forse inconsapevolmente.
Ora, sedicenni e vaccinati, erano molto lontani dall’essere i ragazzini che erano stati quando si erano conosciuti, cinque anni prima, eppure non era cambiato molto.
Erano ancora… qualcosa. Più che migliori amici, più che fratelli, più di qualsiasi cosa.
Eppure, nonostante ciò, nemmeno a lui era riuscita a confessare ciò che provava verso Matteo. Non sapeva nemmeno lei il perché. Forse, per la prima volta in vita sua, temeva il suo giudizio. Temeva che gli dicesse, perfino lui, “sei una stupida, Stella, sei una persona spregevole… è la tua migliore amica”.
In un attimo, come succedeva oramai troppo spesso, Stella si chiuse dentro la sua fortezza di ferro, dentro quel guscio in cui nessuno, nemmeno Andrea, riusciva ad entrare e si mise a guardare con occhi malinconici e spenti fuori dalla finestra.
Lasciando Andrea, per l’ennesima volta, a chiedersi cosa stesse succedendo alla ragazza a cui teneva più della sua stessa vita.

  
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