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Autore: Valaus    15/09/2010    13 recensioni
Era la seconda volta che riprendeva conoscenza in una camera del San Mungo. In entrambi i casi, ci aveva quasi rimesso le penne. E, in entrambi i casi, c’entrava Malfoy. Stavolta, però, si trattava di Lucius. Lucius Dannato Malfoy, per la precisione.
Prima Classificata e vincitrice del Premio Giuria e del Premio Trama al contest "A Griffin for a Snake... make your choice!" indetto da vogue91 sul forum di EFP
Genere: Dark, Generale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katie Bell, Lucius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Questa storia ha partecipato al contest "A Griffin for a Snake... make you choice!" indetto da vogue sul forum di EFP, classificandosi – con mio sommo stupore O.o – prima e vincendo il Premio Giuria ed il Premio Trama.
Il contest prevedeva che si scegliessero due numeri, uno a cui era abbinato un/una Grifondoro ed uno a cui era abbinato un/una Serpeverde. Le mie scelte sono ricadute rispettivamente su Katie Bell e Lucius Malfoy e, dopo ore, ore, ore, ore ed ore di fatica e di metaforiche – ma nemmeno tanto – testate contro il muro, ne è venuta fuori la fict che state per leggere.
Una storia che, nonostante l'ottimo risultato ed il meraviglioso giudizio dell'altrettanto meravigliosa giudicia, continua a non convincermi tantissimo u.u
Ringrazio in anticipo chiunque avrà il cuore e lo stomaco di leggere "sta roba".
Ma, ancora di più, ringrazio chi vorrà rendermi partecipe delle sue opinioni con una recensione :)
Se poi voleste cospargermi di piume e pece in maniera più approfondita, la mia pagina di FB è a vostra disposizione: link











A Vonica
Perché questo abominio è anche e soprattutto colpa tua.
E perchè resti sempre e comunque la mia giudiciaH preferita <3













"Dove c'è molta luce, l'ombra è più nera"










Nero.
Vedeva nero.
Vedeva nero con gli occhi, nascosti dalle palpebre ancora abbassate.
E vedeva nero con gli altri “occhi”, quelli della mente.
Pensieri neri, vuoti, inconsistenti.
Nessun ricordo, nessuno spiraglio di luce nell’oscurità che ottenebrava la sua testa pulsante ed indolenzita.
Il dolore, quello sì che lo avvertiva.
E non solo alla testa.
Dolore in tutto il corpo, lancinante, perforante.
Finalmente, si decise a rischiare.
Aprì gli occhi con una lentezza quasi esasperante, cercando di abituarsi gradualmente alla forte luce candida che la stava investendo.
Sole.
Sole caldo, lucente.
Dunque, era giorno.
Ma quale giorno?
Non ricordava nulla.
Dove fosse. Da quanto tempo si trovasse lì. Perché. Come ci fosse arrivata. Chi ce l’avesse portata.
Chi.
Un flash, un lampo, un guizzo di luce.
Per un istante, nella sua mente prese forma un’immagine vaga.
Un uomo.
Alto, bello come un Dio, severo, algido.
Le suscitava sentimenti contrastanti, qualcosa che non riusciva a spiegarsi in alcun modo.
E, ne era certa, non dipendeva dal suo momentaneo stato semicomatoso.
Il ritratto dell’uomo fu rapidamente sostituito dallo spettacolo che le sue iridi, infine spalancate, le offrivano.
Bianco, bianco e ancora bianco.
Bianco il letto su cui era sdraiata, bianche le lenzuola che la coprivano, bianco il comodino vuoto alla sua destra, bianca persino la flebo attaccata al suo braccio. 1
Una stanza d’ospedale, senza ombra di dubbio.
Sospirò.
Era la seconda volta che riprendeva conoscenza in una camera del San Mungo. E, in entrambi i casi, ci aveva quasi rimesso le penne.
I ricordi degli eventi che avevano portato alla sua degenza iniziarono pian piano ad affiorare nella sua mente.
Le immagini si susseguivano una dopo l’altra, come in un flashback.
Rabbrividì. Aveva davvero sfiorato la morte per un soffio, quella volta.
Eppure, era ancora lì.
Onestamente, ne era sorpresa.
Era sorpresa di essere ancora viva. Notò che stranamente non le importava nulla. Se la morte era il vuoto nero dal quale si era appena svegliata, allora non era niente per cui angustiarsi. Non avrebbe mai notato la differenza. 2
Del resto, tutta la sua esistenza si era trasformata in un enorme, gigantesco buco nero. Da quando aveva perso la luce, la sua luce, su di lei erano calate le tenebre più oscure, avvolgendola, soffocandola quasi.
Richiuse stancamente gli occhi, con un secondo sospiro.
Dopotutto, quasi le dispiaceva essersi risvegliata. Avrebbe di gran lunga preferito morire.
Almeno, avrebbe potuto sperare di rivederlo.
Corrugò la fronte. No, probabilmente non l’avrebbe rivisto in ogni caso.
Era del tutto certa che lui, in quel momento, stesse felicemente saltellando su una qualche soffice nuvoletta, con la sua luminosa aureola sopra la testa e due grandi ali sulla schiena. O magari stava giocando a Quidditch con i Cherubini.
Ridacchiò sommessamente, per quanto le misere energie che le erano rimaste in corpo glielo concedessero.
Oh sì, ce lo vedeva proprio. Quella era senza ombra di dubbio la sua idea di Paradiso Eterno.
Ma lei...
Lei non li avrebbe visti i Cherubini. Non più.
La sua anima aveva perso qualunque barlume di purezza.
Era corrotta, deturpata, guasta.
Il Paradiso non l’avrebbe visto nemmeno col telescopio.
Si sarebbe ritrovata a marcire all’Inferno per l’eternità. Ma almeno avrebbe avuto buona compagnia, su questo ci poteva scommettere.
All’Inferno con i malvagi, coi reietti.
Coi dannati.
Dannati.
Sgranò di colpo gli occhi, sussultando.
Eccolo, il tassello mancante.
Il Dannato.
Era a causa sua se si trovava in quel letto d’ospedale.
In qualche recondito angolo della sua mente, si levò una voce di protesta, repentinamente zittita.
Sì, probabilmente dire che si trovava lì a causa sua era discretamente errato.
Ma non importava. In un modo o nell’altro, la colpa di tutto era sempre riconducibile a lui.
Lui.
Il Dannato.
Era la seconda volta che riprendeva conoscenza in una camera del San Mungo. In entrambi i casi, ci aveva quasi rimesso le penne.
E, in entrambi i casi, c’entrava Malfoy.
Stavolta, però, si trattava di Lucius.
Lucius Dannato Malfoy3, per la precisione.
Inclinò leggermente la testa all’indietro sul cuscino, puntando gli occhi al bianco soffitto che la sovrastava.
E dire che fino a qualche mese prima, Lucius Malfoy era semplicemente il padre di Draco, il ragazzo che per errore l’aveva maledetta e quasi uccisa durante il suo settimo anno ad Hogwarts.
Fino a qualche mese prima, era un Mangiamorte come gli altri. Nulla di speciale o di rilevante.
Ora, invece, Lucius Malfoy era l’uomo che aveva stravolto la sua esistenza.
No, non esattamente.
L’esistenza se l’era stravolta da sola, di sua spontanea volontà.
Ma lui le aveva dato una grossa mano.
Dopotutto, era anche per merito suo se era diventata ciò che era diventata.
Una Mangiamorte.
Un’espressione di disgusto si dipinse spontaneamente sul suo volto.
Certo, non che si potesse considerare una vera Mangiamorte.
Ma, in ogni caso, aveva agito come tale.
Aveva vissuto come tale.
Aveva ucciso come tale.
Sì, aveva ucciso. E non ne era affatto pentita.
Buffo. Aveva scardinato una delle sue poche certezze.
Era stata terribilmente sicura, anni addietro, che mai e poi mai avrebbe spezzato la vita di un altro essere umano. Nemmeno c’avrebbe provato, o addirittura pensato.
E invece...
Com’era arrivata fino a quel punto?
Quando era iniziato il suo lento declino verso la perdizione?
Ovvio, era tutta una serie di eventi concatenati.
Quella battaglia.
La sua morte.
La conseguente perdita di significato della propria esistenza.
E poi, quella missione...




*






Guerra.
Una parola che fa rabbrividire, che rievoca immagini strazianti, che atterrisce l’animo.
Eppure, al tempo stesso, una parola che i bambini usano per giocare.
“Giochiamo alla guerra”, “Facciamo la guerra”.
Giocano, e ridono. Non ne conoscono ancora il vero significato. Per loro è solo uno dei tanti divertimenti dei pomeriggi passati al parco con gli amichetti.
Ma poi arriva la Guerra, quella vera, quella che fa paura. Quella che ferisce, uccide, distrugge.
E, allora, il gioco finisce.
Il gioco finisce, e con esso anche l’infanzia.
Quella dolce e spensierata età si sgretola lentamente sotto il peso degli infausti eventi.
E i bambini smettono di essere bambini.
Diventano uomini.


Erano anni in cui si cresceva in fretta, e quando l'infanzia si sbriciolava tra le loro mani molto bambini avevano già lo sguardo da vecchi. 4
Katie Bell non era più una bambina, almeno non anagraficamente.
Diciotto anni appena compiuti, un diploma in tasca, un bagaglio di utili nozioni fresco di studio ed un lungo percorso davanti a sé.
Un futuro roseo, che prevedeva un buon lavoro, un bel marito, una famigliola felice.
Ogni volta che ci pensava, che si soffermava ad immaginare a come sarebbe stata la sua vita negli anni a venire, a cosa il mondo avesse in serbo per lei, Katie sorrideva. Gli occhi le brillavano, animati dalla luce della speranza, e le labbra si distendevano in un tenero sorriso.
Poi, un grigio mattino di novembre, ogni singola speranza di Katie era stata spazzata via, distrutta, calpestata.
Persa.
Morta.
Quello sguardo così pieno di vita, quegli occhi luminosi, quel sorriso ricco di gioia. Tutto in lei era appassito, tutto spento.
Katie Bell aveva a malapena diciotto anni, e l’aria di una triste donna di ottanta, ricca di rimorsi e rimpianti e prossima all’abbraccio dell’oscura Mietitrice.
Li sentiva, quando parlavano di lei.
Una morta che cammina. Così la definivano.
Erano preoccupati per lei, per quella sua svogliatezza, per quell’apatia, per la malinconia con cui si trascinava costantemente.
Temevano per la sua salute. Fisica, ma soprattutto mentale.
Una morta che cammina. Neppure immaginavano quanto avessero ragione.
Perché Katie era morta.
Uccisa nel fiore dei suoi anni, alle prime luci dell’alba di una lugubre giornata di fine novembre.
Uccisa da tre semplici parole, pronunciate non altrettanto semplicemente dal suo ex Cercatore, dal presunto Salvatore del Mondo Magico.
Oliver. E’. Morto.
Ricordava ogni singola cosa di quell’istante.
Il viso di Harry, il tono della sua voce mentre le parlava, il modo in cui le stringeva la mano, accarezzandola delicatamente per infonderle quella forza che le era mancata di colpo.
Ricordava i suoi giri di parole, come aveva balbettato tentando di narrarle gli eventi di quella notte: l’attacco a sorpresa di quei Mangiamorte in un vicolo di Hogsmade, maledizioni che volavano da ogni parte, la loro strenua resistenza, e poi...
E poi quell’incantesimo che stava per colpire Harry alle spalle, Oliver che gli faceva da scudo, il suo corpo senza vita che stramazzava al suolo.
Morto.
Ricordava ogni cosa. Persino la pioggia che scrosciava contro le finestre del salotto, come se stesse a sua volta partecipando al dolore della ragazza.
Ricordava le mille, contrastanti sensazioni che l’avevano investita. Ricordava la rabbia cieca, il dolore che sembrava spaccarle il petto, la devastazione, il senso di vuoto ed inutilità.
Ricordava di aver, per la prima volta in vita sua, odiato Harry Potter.
Di averne scansato con stizza la mano, come se il contatto con la pelle di quel ragazzo l’avesse ustionata.
Ricordava tutto.
Quello era stato l’ultimo giorno della vita di Katie Bell.
Da allora, lei aveva smesso di vivere.
Semplicemente, esisteva.
Respirava, camminava, si nutriva – poco – , parlava – ancora meno – , dormiva – quasi per nulla.
Il suo cuore batteva, i suoi polmoni inspiravano ed espiravano ossigeno, i suoi occhi vedevano, le sue orecchie sentivano, il suo corpo si muoveva.
Esisteva. Era un essere umano in pieno possesso delle proprie facoltà fisiologiche e mentali.
Ma, per il resto, Katie non viveva più.
Era morta assieme al ragazzo che amava, all’uomo che progettava di sposare, a quello che avrebbe dovuto essere il padre dei suoi figli. Era morta assieme ad Oliver Baston, al suo Oliver, in quell’umido vicolo.
Lui, per lo meno, riposava in pace.
Lei no. Lei era condannata a rimanere in quella dimensione inutile. Sola, vuota, spenta.
Una morta che cammina.
Condannata ad andare avanti, quando tutto ciò che voleva fare era solo fermarsi e non ripartire mai più.
La sua vita, fino ad allora, era stata una deliziosa giostra. Una serie di alti e bassi in groppa ad un cavalluccio bianco, che dondolava al ritmo di un’allegra canzoncina.
Ma, adesso, quella giostra non era più così divertente. Era fredda, tortuosa, ammaccata. Niente più cavalluccio bianco, niente più dolce dondolio, niente più canzoncine.
E niente più alti. Solo un unico, profondo, insormontabile basso.
Katie voleva scendere da quella giostra.
Ma non poteva farlo.
Troppo codarda per cercare il suicidio, troppo poco importante per rientrare nelle mire di qualche folle omicida, troppo inutile per rischiare la propria vita in battaglia.
Semplicemente, condannata.
Condannata ad andare avanti.


Quel giorno, non aveva la benché minima voglia di partecipare all’ennesima riunione dell’Ordine della Fenice.
Ne era membro, vero. Ma ormai anche la guerra aveva perso qualunque interesse.
Non gliene importava più un accidente.
Che si prendesse l’intero Mondo Magico, quella dannata, viscida Serpe!
Per lei non sarebbe cambiato nulla.
Nonostante ciò, sapeva di dover partecipare. Almeno per una questione di apparenza.
Si era seduta su una delle sedie della Sala da Pranzo, tra Ron Weasley e Neville Paciock.
Vedeva Potter e Lupin parlare dalla loro postazione a capotavola, sbracciarsi, illustrare piantine e rispondere alle domande degli altri membri. Eppure, non ascoltava una sola parola di ciò che stavano dicendo.
Avrebbe preferito non dover partecipare a quella riunione.
Col senno di poi, forse sarebbe stato assai meglio.
La voce di Harry le arrivò distrattamente, mentre lei continuava imperterrita a fissare una crepa nel tavolo da pranzo del numero 12 di Grimmauld Place.
< E’ inutile girarci intorno, senza più Piton siamo fottuti.>
Lupin aggrottò le sopracciglia di fronte alla terminologia alquanto colorita del ragazzo, ma al contempo annuì.
< Severus era un elemento fondamentale.> confermò < Grazie alle sue soffiate, riuscivamo a venire sempre a conoscenza delle mosse di Voldemort con largo anticipo, sapevamo dove colpire per fare male e quando intervenire per evitare delle stragi. E, soprattutto, eravamo costantemente aggiornati sulla questione Horcrux.>
< Stai dicendo, in pratica, che adesso siamo allo sbaraglio?> domandò Tonks < Che agiamo alla cieca?>
< E’ dura da ammettere, ma è così.>
< Il che ci porta al motivo fondamentale di questa riunione.> avanzò Harry < Abbiamo resistito fin troppo. Sono mesi che tiriamo la corda con tutta questa situazione, ma non riusciamo a trovare una via d’uscita. Abbiamo bisogno di una spia. Di un infiltrato tra i Mangiamorte.>
Katie, improvvisamente attenta, sollevò lentamente lo sguardo.
< Piton ci aveva svelato in che modo Vold... Voi-sapete-chi > si ricorresse immediatamente, memore del tabù posto sul nome del mago < recluta i nuovi adepti. Ergo, sappiamo come introdurre la nostra talpa tra le sue fila. Il problema è chi.>
< Non è un compito facile, è innegabile.> sottolineò Remus, vagando con lo sguardo tra i partecipanti alla riunione < La spia dovrà essere credibile. Qualcuno che abbia un valido motivo per schierarsi con i Mangiamorte, e che riesca a non destare sospetti per tutto il tempo. E’ un grosso rischio, enorme. La vostra vita sarebbe a repentaglio in ogni singolo istante. Ma, se agiste correttamente, potremmo ottenere la vittoria finale nel giro di un paio di mesi.>
< Ora, ovviamente alcuni di noi non possono decisamente candidarsi per questo compito.> disse Harry < Se io, o Ron ad esempio, ci presentassimo al cospetto di Voi-sapete-chi proclamando di volerci unire al suo esercito, dubito che lui se la berrebbe. Non è così stupido. La spia deve innanzitutto essere qualcuno di plausibile.>
Silenzio.
Tutti erano terrorizzati all’idea di addentrarsi a quel modo nella tana del lupo. Nessuno si sentiva all’altezza.
Dopo qualche istante, dall’altro capo del tavolo si levò una voce.
< Beh, io potrei...>
< No!>
Katie si voltò a fissare la scena. Hermione Granger aveva seccamente interrotto sul nascere quella proposta.
Il ragazzo al suo fianco sospirò.
< Granger...>
< Ho detto di no!> sentenziò lei, col tono di chi non ammetteva repliche.
Lupin e Potter si guardarono.
< Effettivamente Hermione, lui è senza ombra di dubbio il più indicato per...>
< NO!> gridò lei, scattando in piedi. < No, no, no, no, no, no e NO!>
Le labbra di Katie si contrassero nel lieve abbozzo di un sorriso.
Era indubbiamente uno spettacolo impagabile.
Hermione Granger che tentava di proteggere Draco Malfoy.
Lui si alzò in piedi a sua volta, posandole le mani sulle spalle e tentando di farla ragionare.
< Ascoltami, l’idea mi piace molto meno che a te, ma io sono estremamente più credibile di chiunque altro in questa stanza per assumere quel ruolo, e...>
< No Draco, dannazione! Tu sei quello che rischia più di tutti invece! Se ti presenti di fronte a Lui, ti uccide all’istante. Tu hai tradito, sei scappato, ti sei unito a noi. E Tu-sai-chi lo sa!> grosse lacrime iniziarono a rigare le guance della fanciulla < Ti ucciderà, ti... no, no non puoi, stupido furetto, non puoi, non puoi, non puoi.>
Nessuno aveva avuto il coraggio di interrompere lo sfogo di Hermione, nonostante praticamente tutti condividessero l’opinione di Draco.
Katie abbassò lo sguardo. Non conosceva bene la Granger, ma l’aveva vista cambiare notevolmente da quando aveva iniziato a frequentare il ragazzo.
Malfoy si era presentato a Grimmauld Place due giorni dopo l’assassinio di Piton da parte di Voldemort. Raccontò che l’ex insegnante di Pozioni l’aveva messo al corrente del suo ruolo di spia dell’Ordine non appena si era reso conto che il ragazzo iniziava a dare segni d’insofferenza nei confronti del Signore Oscuro, dei Mangiamorte e di tutta la loro “missione” in generale. Gli aveva rivelato la locazione della sede dell’Ordine, così che avesse potuto unirsi a loro se e quando avesse deciso di dare una svolta alla propria vita.
La morte del suo mentore era stata l’impulso di cui Draco aveva bisogno.
I membri dell’Ordine erano inizialmente diffidenti fino all’inverosimile. Ma la sincerità del ragazzo era stata comprovata in più modi, e alla fine l’avevano accettato tra di loro.
Col tempo, Malfoy si era rivelato un valido elemento, sia sul campo di battaglia che sul piano tattico dell’azione. Proprio le sue ottime capacità di pianificatore, oltre alla sua conoscenza della magia oscura e di molti segreti dell’esercito avversario, l’avevano portato ad essere affiancato ad Hermione Granger nelle ricerche e nella preparazione dei piani di attacco.
Come il loro rapporto si fosse evoluto, Katie davvero non lo sapeva.
Non era particolarmente vicina a nessuno dei due – anche se, ad onor del vero, dalla morte di Oliver non era proprio vicina a nessuno – e non aveva mai prestato loro particolare attenzione. Certo, volente o nolente aveva notato che passavano sempre più tempo insieme, si era accorta che avevano smesso di insultarsi giorno e notte, aveva colto qualche occhiata ambigua.
Comunque, aveva capito ciò che era successo tra loro solo quando un pomeriggio era capitata per caso nello studio ed aveva visto la Granger complimentarsi con Malfoy per una sua brillante deduzione scoccandogli un languido bacio sulle labbra, peraltro immediatamente ricambiato dal ragazzo.
Forse era l’unica in quella casa ad essersi persa il passaggio da “colleghi” a “coppia”.
Non aveva idea di come si fossero svolte le cose, ma onestamente non le importava neppure più di tanto. Preferiva non soffermarsi ad osservarli. Troppi ricordi, troppo dolore.
Ad ogni modo, era assolutamente certa che quella relazione avesse cambiato la ragazza. Prima, Hermione non si sarebbe mai lasciata andare ad una simile manifestazione dei propri sentimenti in pubblico.
E non avrebbe mai pianto di fronte all’Ordine.
Quel gesto le aveva richiesto un’estrema dose di coraggio.
Indubbiamente, era stata molto più coraggiosa di lei.
Malfoy tentava ancora di obiettare.
Lo vide alzare gli occhi al cielo, esasperato.
< Maledizione!> ringhiò. La scrollò con forza per costringerla a rialzare lo sguardo. < Guardami.> le ordinò.
Lei obbedì. Aveva gli occhi rossi ed ancora pieni di lacrime.
A Katie si strinse il cuore. Serrò con forza i denti.
Come poteva lui non capire?
Poi, quando vide l’espressione del ragazzo addolcirsi in un modo così inusuale per lui, comprese.
Lui capiva eccome. Proprio perché capiva, voleva farlo.
Per lei. Per metterla in salvo, per garantirle un futuro sereno.
Era disposto a mettere a repentaglio la propria vita per la donna che amava.

< Hermione...> iniziò, accarezzandole teneramente una guancia.
La ragazza stava per interromperlo.
Nessuno dei due ebbe il tempo di dire altro.
< Lo faccio io.>
In un istante, tutti gli occhi furono puntati su Katie Bell.


Dire che tutto l’Ordine aveva tentato di dissuaderla era un eufemismo.
Aveva quasi temuto che Angelina ed i gemelli si prostrassero ai suoi piedi supplicandola in lacrime di ripensarci.
Nessuno riusciva a credere che la dolce, tenera, docile, innocente ed indifesa Katie fosse disposta a prestarsi ad un simile gioco.
Un gioco al massacro, per inciso.
Lei, da parte sua, era stata assolutamente irremovibile.
E, di fronte alla sua caparbietà, nonché alla validità delle sue motivazioni, persino Harry Potter aveva dovuto desistere.
Del resto, chi meglio di lei? Aveva perso l’amore della sua vita, morto indirettamente a causa del Prescelto. Anzi, a dire il vero neppure troppo indirettamente.
Sarebbe stato assai plausibile che la giovane, accecata dalla rabbia nei confronti del responsabile della dipartita del suo fidanzato, avesse deciso di dare una svolta alla propria esistenza e collaborare con Voldemort all’eliminazione del suddetto ragazzo.
Vendetta.
Non esiste al mondo una motivazione con basi più solide.
Katie l’aveva dichiarato esplicitamente, ignorando l’espressione contrita di Harry di fronte alle sue parole.
Non aveva avuto remore nell’ammettere che non temeva affatto per la propria incolumità. Non le importava di morire, non quando la vita per lei non aveva più senso.
Anzi, se fosse morta per una così valida causa, ne sarebbe stata lieta.
Su un solo aspetto aveva taciuto.
Il suo desiderio di vendetta era autentico.
Era stato essenzialmente quello a spingerla a proporsi. Nel preciso istante in cui aveva realizzato che Malfoy stava per compiere quel passo per la Granger, lei aveva deciso di fare altrettanto.
Per Oliver.
Per lui, si sarebbe infiltrata tra i Mangiamorte. Avrebbe scoperto chi era quel fottuto bastardo che l’aveva ucciso. E gli avrebbe restituito il favore, a qualunque costo.
Dopodiché, sarebbe anche potuta morire soddisfatta.
Vendetta.
Non esiste al mondo una motivazione con basi più solide.


< Non devi.>
La voce di Malfoy l’aveva raggiunta alle spalle, facendola sussultare.
Si voltò e lo vide appoggiato con la spalla contro lo stipite della porta della sua stanza, le braccia incrociate al petto, serio come forse mai l’aveva visto prima.
< Non devo cosa?>
< Fare quello che stai facendo, Bell.>
Katie inarcò le sopracciglia. Draco Malfoy che si preoccupava per la sua sorte? Che tentava di dissuaderla dal compiere un gesto così rischioso?
Che le parlava, soprattutto, visto che in quasi dieci anni di “conoscenza” non si erano mai scambiati neppure un saluto?
Aveva dell’incredibile. E dell’ironico, quasi.
Avrebbe riso, se ne fosse stata ancora capace.
< Seriamente, con tutti quelli che hanno cercato di convincermi a ripensarci, credi davvero che proprio tu potresti riuscirci?> replicò lei.
Draco storse il naso in una smorfia.
< E chi ti ha detto che io voglia farlo?> disse il ragazzo.
Spiazzata, Katie tacque per qualche secondo.
< Allora cosa vuoi?> proruppe poi, voltandosi per dargli nuovamente le spalle.
Lo sentì sospirare amaramente.
< La vendetta non ti porterà a niente, lo sai?>
Sgranò gli occhi, sconcertata. Tornò a fissarlo, con un’espressione di puro stupore dipinta in viso.
< Non lo riporterà indietro, non redimerà la sua anima o cazzate varie.> continuò lui < E non farà sentire meglio te. L’unica cosa che ne otterresti sarebbe la colpa di un omicidio a gravarti sulle spalle. E fidati, quando uccidi qualcuno, non torni più indietro. Sei dannato per l’eternità.>
La voce di Malfoy aveva una nota di fondo malinconica e rancorosa. Per un attimo, Katie considerò che probabilmente c’era qualcosa di personale in quelle parole.
Poi, si ricordò che non gliene importava alcunché.
Più che altro, era solo sbalordita del fatto che tra tutti gli amici, i conoscenti, i colleghi, le persone che le volevano bene, l’unico che l’avesse capita davvero fosse stato proprio lui.
Scrollò le spalle.
< Anche se fosse, non vedo come la cosa ti riguardi.> replicò, secca.
Il ragazzo scosse lentamente il capo.
< Non mi riguarda, e nemmeno me ne frega. Fatti pure ammazzare, butta tutta la tua vita nel cesso con le tue stesse mani, fai come ti pare. Solo, non mi piace la gente che agisce in maniera stupida.>
Katie lo fulminò con lo sguardo.
< Se non te ne frega niente di me, non dovrebbe importarti nemmeno se mi comporto da stupida. Non è che in realtà sei solo contrariato dal fatto che qualcuno ti ha rubato il ruolo da eroe della situazione?> lo provocò lei.
< Non sono mai stato un eroe. E non ho mai voluto esserlo. Gli eroi sono fin troppo sopravvalutati. Sono solo dei pazzi sconsiderati che rischiano la pelle per qualche applauso. Ed io, alla mia, ci tengo fin troppo per giocarmela così.> si scostò dalla porta, voltando le spalle alla ragazza < Sono solo un gentiluomo, Bell. Ed un gentiluomo che si rispetti interviene per far rinsavire una bella fanciulla che pare aver perso il lume della ragione. O, perlomeno, ne fa il gesto.>
Le labbra di lei si piegarono in un ghigno.
< Da quando stai con la Granger, ti sei rammollito parecchio.>
Draco ruotò leggermente il capo, fissandola.
< Al contrario, non sono mai stato tanto uomo quanto adesso.> sentenziò.
Mosse qualche passo verso il corridoio, ma si fermò quasi subito.
< Fai attenzione.> aggiunse < Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera.5 >
Katie corrugò la fronte.
< Che cavolo significa?>
Vide le spalle del ragazzo incurvarsi appena.
< Spero che tu non debba mai scoprirlo.> concluse, quasi sottovoce.




*






Quando fece il suo ingresso nel vasto salone, quel giorno, Katie si sarebbe aspettata di tutto.
Eccetto un applauso.
Rimase per qualche istante spiazzata, ad osservare le mani callose dalle lunghe falangi simili ad artigli che producevano quel suono.
Poi, riprese a camminare. A testa alta, sguardo fiero ed espressione glaciale. Il disgusto e la paura soffocati come al solito sotto una fredda maschera d’indifferenza.
Si arrestò a pochi metri da Lui, continuando a fissarlo.
Era una delle poche che aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.
Quasi tutti gli altri Mangiamorte, al suo cospetto, chinavano il capo e distoglievano lo sguardo, timorosi e pieni di riverenza.
Lei no.
Lei manteneva fisso il contatto visivo. A malapena sbatteva le palpebre, per non interromperlo.
Oggettivamente, quell’uomo era un mostro. Era crudele, meschino, abietto, terribile. La cattiveria fatta persona. Sospettava che i favolisti Babbani avessero in mente qualcosa di molto simile a lui quando avevano ideato la figura del “lupo cattivo”. Era pura malvagità.
Eppure, Katie non riusciva a smettere di fissare quegli occhi diabolici. 6
In molti erano paralizzati da quello sguardo, incuteva loro terrore, li faceva rabbrividire.
Lei non era particolarmente temeraria o sprezzante del pericolo. Anche lei, in fondo all’anima, era sconvolta da tremiti di paura.
Ma quegli occhi, quei malefici occhi rossi, riuscivano ad iniettarle quella dose di coraggio necessaria ed indispensabile ai fini della sua recita.
Perché ogni volta che lo fissava, ricordava che tutti gli orrori a cui aveva assistito negli ultimi anni erano da attribuirsi a lui.
La paura che serpeggiava tra loro ogni singolo istante, la tensione, la disperazione, la distruzione. Ogni lutto, ogni amico perduto, ogni vita spezzata, ogni infanzia strappata via.
Tutto, tutto risaliva a lui.
Ogni cosa.
Anche la morte di Oliver.
Soprattutto la morte di Oliver.
Quando lo fissava in quegli occhi diabolici, si ricordava per quale motivo stava vestendo i panni neri e deplorevoli di un servo dell’Oscuro Signore. E la sua fermezza, la sua tenacia, persino il suo coraggio erano più solidi che mai.
< Congratulazioni, giovane Katie.> esordì Voldemort, facendo vagare il suo sguardo malefico sull’esile figura di fronte a lui < Ad essere onesti, avevo qualche remora nei tuoi confronti, quando ti sei presentata qui alcuni mesi fa. Ma devo ammetterlo, ti sei rivelata una collaboratrice ineccepibile.>
Katie trattenne a stento una smorfia.
Collaboratrice.
La maniera “politically correct” di definire un’adepta, una serva. Una schiava.
< Sono molto orgoglioso di te, ragazzina.> proseguì lui < Hai una lunga e luminosa strada di fronte a te. Ti aspettano grandi cose, ed ho intenzione di dartene un assaggio quanto prima.>
Di fronte al suo ghigno, lei si limitò ad un cenno del capo.
L’aveva capito fin da subito. Meno parlava, meglio riusciva a vincere il proprio timore.
Voldemort spostò lo sguardo alla destra della ragazza, ed immediatamente la sua espressione mutò. < Hai fatto un buon lavoro.> dichiarò, sprezzante < Almeno per una volta. A quanto pare, sei più bravo a gestire i figli degli altri. Chissà, forse è una questione di geni.>
Chiuse la frase con una risata malvagia, che fece accapponare la pelle di Katie. Tutti i Mangiamorte presenti nel salone si unirono all’ilarità del loro signore.
L’uomo di fianco a lei, invece, mantenne lo sguardo saldo di fronte a sé, imperturbabile.
< Grazie, mio Signore.> proruppe poi, prima di essere accomiatato da un blando gesto della mano.
Mentre si voltava verso l’ingresso della stanza, la ragazza si concesse una rapida occhiata al suo accompagnatore.
Se gliel’avessero detto qualche mese prima, ci si sarebbe fatta una grossa risata. Un po’ come quella che ancora scuoteva il petto di Voldemort.
Eppure, doveva riconoscerlo.
Mai avrebbe pensato che sarebbe potuto succedere.
Ma, effettivamente, Katie Bell provava pena.
Pena per Lucius Malfoy.
Compassione per il demonio. 7


Camminarono in silenzio l’uno affianco all’altra nei tetri corridoi di Malfoy Manor. Non dissero una parola per tutto il tragitto.
Ormai Katie c’era abituata. In quei mesi trascorsi in sua compagnia, Lucius non si era mai rivelato un grande amante della conversazione.
Da un aristocratico snob con la puzza sotto il naso come lui si sarebbe aspettata ore ed ore di sciorinamenti vari sulla superiorità dei Purosangue, la nobiltà della loro causa, la propria gloria personale e l’onore della sua famiglia.
Niente.
Le loro conversazioni vertevano quasi esclusivamente sugli insegnamenti che lui era obbligato ad impartirle.
Sì, Lucius Malfoy era il suo “insegnante” personale.
L’aveva scoperto il giorno stesso in cui si era presentata al cospetto di Voldemort, chiedendo di poter essere investita dell’onore di servire lui e la sua valorosa battaglia.
Sapeva poco di quell’uomo, ma in precedenza era quasi del tutto sicura che il padre di Draco rivestisse un qualche ruolo strategico all’interno dell’organico dei Mangiamorte. Comandante, o qualcosa del genere.
Insomma, una personalità di spicco.
Ed invece, era stata messa a conoscenza del suo ruolo di istruttore delle nuove leve.
Niente di eccezionale. Soprattutto tenendo conto che, nell’Ordine, quel ruolo gemello spettava all’accoppiata Lovegood-Paciock.
Non aveva mai indagato più di tanto, ma era certa che ci fosse qualcosa sotto.
Le parole del Signore Oscuro, quel giorno, l’avevano illuminata.
A quanto pare, sei più bravo a gestire i figli degli altri.
Draco.

Così ovvio. Come aveva potuto non pensarci prima?
Osservò Lucius con la coda dell’occhio. Era ammirevole la stoicità con cui sopportava le angherie, i soprusi, le risa e lo scherno.
Non batteva ciglio.
Indossava anche lui costantemente la stessa maschera d’indifferenza che Katie si era cucita addosso.
Ma era una maschera, senza dubbio.
Per mesi, Katie Bell era stata del tutto disinteressata a qualunque cosa la circondasse. La sua vita da quando Oliver non c’era più aveva perso consistenza, e con essa ogni sua minima parte.
Non le importava delle sorti delle persone che le stavano accanto. Se avvertiva malessere o disagio in qualcuno, non si preoccupava di indagarne le cause e tentare di risollevargli il morale. Se vedeva qualcuno piangere, tirava dritto.
Semplicemente, era indifferente al mondo intero.
Eppure, negli ultimi mesi, si era sorprendentemente riscoperta interessata.
Lucius le interessava. Era curiosa, voleva indagare nel suo passato e nella sua psiche, completare i pezzi di quell’avvenente puzzle biondo.
Percepiva il suo turbamento, e voleva conoscerne i motivi.
Non comprendeva appieno cosa avesse risvegliato il suo interesse sopito.
Con tutta probabilità, sentiva che quell’uomo le era in qualche modo affine.
Entrambi avevano subito perdite considerevoli. Sapeva che la moglie di Lucius era deceduta qualche settimana dopo la fuga di suo figlio, vittima di ripetute torture.
Entrambi si trascinavano stancamente in esistenze che non sentivano più come proprie.
Entrambi erano stati schiacciati da quella guerra.
Entrambi combattevano le proprie emozioni celandole dietro una facciata di freddo distacco.
Paradossalmente, Lucius Malfoy era quanto di più simile a lei potesse esserci in quel momento.
Il fato aveva un pessimo senso dell’ironia, almeno nei confronti di Katie Bell.
Raggiunsero l’ala del maniero adibita agli alloggi dei Mangiamorte. Percorsero un breve corridoio, fino a ritrovarsi di fronte alla porta del loro appartamento.
Una vasta stanza con un confortevole salottino comune, su cui si affacciavano le due porte delle loro camere da letto.
Essendo Katie l’unica nuova recluta, condivideva quell’alloggio con il suo istruttore.
Lucius le aprì la porta, cedendole il passo. Lei quasi sogghignò.
Lo faceva ogni volta. Ed ogni volta, lei si ricordava di quando Draco si era definito un gentiluomo.
Buon sangue non mente, si ripeteva.
Una volta richiusa la porta, l’uomo si diresse verso il caminetto. Stappò una bottiglia di Whisky Incendiario adagiata sul ripiano, se ne versò un abbondante sorso in un bicchiere di cristallo e si buttò a sedere sulla poltrona, smuovendo il calice con un lento movimento circolare del polso.
Katie storse le labbra. Si sbottonò il mantello, lasciando che scivolasse sul pavimento. Non si curò di raccoglierlo da terra, bensì avanzò di qualche passo, fino a raggiungere il divano adiacente alla poltrona su cui sedeva lui.
Si accomodò, scoccandogli un’occhiataccia.
< Non ti sembra un po’ troppo presto per bere?> chiese.
Lucius si limitò a scrollare le spalle, buttando giù un altro lungo sorso.
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
< Come ti pare...> sentenziò.
Rimase seduta in silenzio, a fissarlo. La curiosità la stava lentamente divorando. Era una sensazione che non avvertiva più da nemmeno lei ricordava quanto.
Ma non sapeva in che modo iniziare la sua “indagine”. O meglio, in che modo farlo evitando che Lucius si trincerasse come suo solito dietro una barricata di silenzio.
Perché lui era fatto così. Non si preoccupava d’infrangere le più antiche leggi del galateo, della buona educazione e della conversazione civile tra esseri umani.
Se gli argomenti che Katie tentava di affrontare con lui non erano di suo gradimento, semplicemente taceva. Anzi, fingeva quasi di non sentirla.
Lucius Dannato Malfoy e la sua dannatissima omertà.
Passò qualche minuto a rimuginare tra sé e sé, finché non fu proprio lui a rompere il silenzio, prendendola in contropiede.
< Cosa vuoi domandarmi?>
Katie sgranò gli occhi, sorpresa.
< Eh?>
L’uomo inclinò il capo verso di lei, fissandola.
< Mi stai scrutando da almeno cinque minuti, Bell. E quando fai così, è perché vuoi ficcare un po’ il naso nei fatti miei. Dunque ripeto: cosa vuoi domandarmi?>
Lei sbatté un paio di volte le palpebre. Non credeva che avesse imparato a conoscerla così bene.
Decise di ripagarlo con la stessa moneta. Schietta, diretta e brutale.
< Stai pagando le colpe di tuo figlio. E’ per questo che ti hanno rifilato questo incarico schifoso, non è così?>
Vide un’ombra scura passare sul volto di Lucius. Poi, lentamente, lui annuì.
Doveva aver compreso che era inutile tentare di negare l’ovvio. E, conoscendo Katie, era altrettanto inutile tentare di sfuggire alle sue domande. Tanto, prima o poi, ne sarebbe venuta a capo comunque.
< Quando Draco ha disertato, il Signore Oscuro ha sfogato la sua frustrazione su me e Narcissa. Lei, buon’anima, non ha resistito a lungo. E io mi sono visto retrocesso di molti gradi, costretto ad occuparmi di poppanti come te.>
La ragazza ignorò l’offesa, lasciando che proseguisse.
< Secondo lui, la colpa del comportamento deplorevole di mio figlio è da imputare quasi esclusivamente a me. “Un buon padre non alleva ragazzini smidollati”. Per un po’ si è divertito a punirmi corporalmente, poi ha evinto che la derisione e l’umiliazione feriscono più di cruciatus e maledizioni varie.>
Katie scosse il capo.
< Scusa se te lo chiedo, ma perché ti ostini a subire così? Perché non ti ribelli?>
Lucius rise cupamente.
< E cosa dovrei fare? Imitare mio figlio e cercare rifugio sotto le gonne dell’Ordine?>
< Sarebbe un’idea.> confermò lei < E’ vero, probabilmente ti condannerebbero alla detenzione. Ma se decidessi di collaborare con loro, ti sconterebbero molti anni di pena. E poi saresti libero. Con tuo figlio.>
Lui inarcò un sopracciglio, scettico.
< Dubito che sarebbero così clementi con me. E in ogni caso, Draco non ci tiene particolarmente a riavermi con sé. E nemmeno io.>
Katie sbuffò, ironica.
< Già. Quindi, quando mi facevi tutte quelle domande su di lui, su come stesse o cosa facesse, era solo per fare conversazione?>
Lo vide scrollare il capo.
< Non capisci. Lui è mio figlio, e questo non cambia. Nonostante abbia tradito, nonostante sia fuggito, nonostante collabori con l’Ordine e si sia fidanzato con una Mezzosangue. Lui resta comunque il mio Draco. Per questo non voglio più avere a che fare con lui.>
Lei aggrottò le sopracciglia, accavallando le gambe.
< Hai ragione. Non capisco.>
< Draco ha un marchio sul braccio sinistro ed un cognome pesante che graveranno su di lui per il resto della sua esistenza. Anche se la guerra dovesse volgere a favore dell’Ordine, anche se tra qualche anno lui dovesse diventare un Auror e sposare la Granger, resterebbe comunque un Malfoy. Non sarà mai illibato come gli altri. In molti continueranno a guardarlo con sospetto, a dubitare di lui. Le colpe della sua famiglia ricadranno sulle sue spalle, e lui non potrà farci niente. Dovrà fare il doppio della fatica rispetto agli altri, perché il suo operato e la sua persona vengano apprezzati indipendentemente dal fatto che si tratta di un ex Mangiamorte.>
Si bloccò, bevve un altro sorso di Whisky, poi proseguì.
< Un padre pentito in galera non contribuirebbe affatto alla sua immagine. Io desidero il meglio per mio figlio. Ed il meglio per lui, allo stato attuale, è che io mi tenga il più alla larga possibile.>
Colpita, Katie rimase a fissarlo in silenzio. Vide un sorriso strano fare capolino sul suo volto.
< Ma non credere che non abbia pensato di darmela a gambe, in un modo o nell’altro.>
< E allora perché non l’hai fatto?> chiese.
Lui allungò una mano verso di lei, sfiorandole delicatamente una guancia.
< E lasciare un simile fiorellino indifeso in mezzo a questo branco di rozzi e volgari assassini? Un gentiluomo che si rispetti non abbandona una signora in nessuna circostanza. Dovresti saperlo, piccola mia.>
La ragazza aggrottò le sopracciglia.
< Non sono la tua piccola.> sibilò.
Lucius sorrise bonariamente, scuotendo il capo.
< Katie, Katie...>
Lei scacciò via la sua mano con un gesto di stizza.
< Non chiamarmi per nome. 8 Te l’ho già detto mille volte.>
L’uomo ghignò.
< E mille volte ancora me lo ripeterai.>
Stizzita, Katie scattò in piedi, dirigendosi a passo spedito verso la propria stanza e sbattendosi con violenza la porta alle spalle.
Lucius rimase seduto sulla propria poltrona, a sorseggiare Whisky Incendiario e a fissare l’ingresso della camera della ragazza.


Katie aveva sempre avuto paura del buio, fin da quando era bambina.
Per questo, dormire in quella stanza senza finestre, avvolta nella completa oscurità, le aveva creato fin da subito non pochi problemi.
Se a questo si aggiungevano gli incubi, la sensazione di sporco che continuava ad avvertire su di sé anche dopo essersi sfilata di dosso gli abiti da Mangiamorte, la schiacciante oppressione della colpa e tutte le emozioni trattenute durante la giornata che, lontano da occhi indiscreti, si scatenavano in libertà, dormire diventava praticamente impossibile.
Aveva passato innumerevoli notti in posizione fetale, quasi soffocata tra le lenzuola, a fissare un punto indistinto nel buio con le lacrime agli occhi.
Poi, era riuscita a trovare un efficace metodo per addormentarsi.
O meglio, a voler essere precisi, lui aveva trovato lei.
Sentì lo scricchiolio della porta che veniva spalancata, ma non si mosse. Rimase ferma, sdraiata su un fianco, ad osservare il piccolo spiraglio di luce che filtrava dalla porta socchiusa, per poi spegnersi una volta richiuso l’uscio.
Avvertì anche il rumore di passi. Non si preoccupava mai di non farsi sentire da lei, e Katie non se ne lamentava.
Rimase immobile anche quando sentì il rumore delle molle del letto che si contraevano, ed il materasso che si piegava alle sue spalle sotto il peso di un altro corpo.
E non si mosse neppure quando una mano forte afferrò il lenzuolo che la copriva e lo gettò ai piedi del letto, lasciandola coperta solo con un paio di culotte nere ed una canottierina dello stesso colore.
Anche quando la stessa mano iniziò ad accarezzare il suo corpo con una lentezza quasi esasperante, lei non fece alcunché. Non riuscì ad impedire al suo battito cardiaco di accelerare e al suo respiro di farsi quasi affannoso, ma il suo corpo non mosse un singolo muscolo.
Non aveva bisogno di voltarsi per sapere chi le stesse riservando tutte quelle attenzioni. Ormai era diventato quasi un rito, che si ripeteva ogni notte.
Katie chiuse gli occhi, quando sentì il calore delle sue labbra sul proprio collo. Le sentì baciarla, morderla e leccarla avidamente, come se la stessero assaggiando.
Avvertì il suo corpo farsi più vicino, fino a premere contro la propria schiena.
All’altezza dei reni, sentiva la sua eccitazione pulsare prepotentemente contro di lei.
Le sfuggì un gemito, quando una mano s’insinuò sotto la canottiera, stringendole voracemente un seno.
Un tempo, pensare di lasciarsi toccare da un uomo che non fosse Oliver quasi la disgustava. Era qualcosa d’inaccettabile, e a suo dire inattuabile.
Eppure, non avvertiva il minimo senso di colpa.
La prima volta che era successo, qualche mese prima, lei l’aveva semplicemente lasciato fare, rimanendo inerte ed immobile sotto di lui mentre grosse lacrime silenziose le solcavano il volto.
Come una bambola.
Ma, dopo, aveva dormito. Era finalmente riuscita a chiudere gli occhi e a concedersi un buon sonno ristoratore.
Il giorno dopo avevano finto che nulla fosse accaduto, ma la notte lui si era presentato nuovamente nel suo letto. Le aveva sussurrato qualcosa sul fatto che voleva tentare di aggiustarla.
Lei aveva risposto piccata che non c’era nulla da aggiustare, non era rotta. 9
Lui aveva ridacchiato, smentendola.
Era rotta. Non nel corpo, era rotta nell’anima, spezzata.
Ma, aveva aggiunto, anche lui era altrettanto rotto. E, forse, due pezzi rotti potevano compensarsi, ed aggiustarsi a vicenda.
Da quel momento, Katie aveva smesso di essere una bambola. Aveva iniziato ad essere partecipe di quel lieve piacere. E, probabilmente, qualcosa in lei si era effettivamente aggiustato. Perché adesso riusciva a dormire, la notte.
Non capiva per quale motivo lui avesse scelto proprio lei.
Non era l’unica donna del maniero. Anzi, ce n’erano molte assai più belle e disponibili di lei.
All’inizio credeva di essere solo l’ennesima di una lunga lista. Poi, si era resa conto di essere l’unica a cui fosse concessa l’esclusiva.
Tra tutte quelle donne, lui aveva scelto proprio Katie.
Forse perché era la più semplice da circuire. O forse, sospettava, perché anche lui si era reso conto di quanto fossero affini.
Prese a baciarle la nuca dietro all’orecchio, mentre le sue mani viaggiavano su tutto il corpo della ragazza. Le sfilò lentamente la canottiera, gettandola sul pavimento.
< Katie...> sussurrò.
Lei allungò il braccio sinistro all’indietro, infilando la mano tra i suoi lunghi capelli per poi stringere con forza qualche ciocca tra le dita.
Inclinò la testa verso la sua spalla, inarcando la schiena in risposta alle carezze delle dita di lui, scivolate sotto la stoffa delle culotte.
< Non chiamarmi per nome.> sentenziò, con la voce scossa dai gemiti.
In un attimo, lui ribaltò le posizioni, ergendosi sopra di lei.
Katie chiuse gli occhi.
Probabilmente avrebbe dovuto sentirsi in colpa, almeno nei confronti di Oliver.
Dopotutto, non era lui l’uomo che si faceva largo tra le sue gambe, accarezzandole il seno e baciandole il collo. Non era Oliver.
Ma la cosa non la tangeva più di tanto.
Perché ogni notte, dopo aver fatto l’amore con Lucius Malfoy, Katie riusciva a dormire.


Voldemort le aveva promesso un assaggio delle grandi cose che l’avrebbero aspettata.
Ma, piuttosto che un assaggio, aveva deciso di riservarle un grosso boccone.
Nell’arco di poche settimane, Katie Bell si era vista passare da recluta di basso grado a combattente scelta.
E dire che lei quasi dubitava di essere in grado di tenere in mano una bacchetta nel modo giusto.
Non sapeva se fosse la rabbia, quell’ombra che la stava lentamente divorando dall’interno, a donarle tutta quella tempra combattiva. Fatto sta che si era rivelata suo malgrado una guerriera piuttosto abile.
Lucius l’aveva messa in guardia, però.
Con il Signore Oscuro, la gloria tanto rapidamente arriva, altrettanto rapidamente scompare.
Non ci voleva nulla a finire dalle sue grazie in disgrazia.
E Katie, per giunta, camminava sul filo del rasoio.
Con quel salto di qualità, le informazioni da passare all’Ordine erano aumentate in numero ed importanza. Ma riuscire a trasmetterle senza venire scoperta stava diventando sempre più difficile.
Quella situazione rischiava di compromettere seriamente la sua salute mentale.
Da una parte, si ritrovava ad interpretare un ruolo non suo, a fingere ventiquattro ore su ventiquattro, a servire un uomo che odiava, a combattere contro i suoi amici. Conduceva un doppio gioco che pendeva sulla sua testa come un’enorme spada di Damocle. Ed in nessun modo riusciva a scacciare i sensi di colpa e di disgusto per ciò che era diventata. Si sentiva costantemente sporca, macchiata, impura.
D’altro canto, però, Katie aveva scoperto che la vita del Mangiamorte non le dispiaceva poi tanto. Certo, odiava Voldemort e la sua causa folle ed insensata, ma combattere con una simile libertà, senza freni ed inibizioni, era una valvola di sfogo per quel male oscuro che l’attanagliava come mai era riuscita a trovarne in precedenza. Per la prima volta dalla scomparsa di Oliver, aveva riacquistato interesse e – ebbene sì – piacere nel vivere. E, sebbene odiasse ammetterlo, le lusinghe del Signore Oscuro dopotutto non la lasciavano completamente indifferente.
Si sentiva come in un tiramolla. Come se due estremi la strattonassero in direzioni opposte e lei si trovasse nel mezzo, in bilico tra l’una e l’altra parte.
Tutto ciò minava la sua lucidità in modo preoccupante.
Per questo, Katie si era riscoperta più che mai bisognosa di Lucius.
Si era aggrappata a lui come ad uno scoglio in mezzo al mare, ad un’ancora di salvezza.
Sebbene fosse salita di grado, aveva mantenuto il suo vecchio alloggio da recluta, vicino a quello dell’uomo. Ed ogni notte, si addormentava accanto a lui.
I momenti con Lucius erano gli unici in cui si sentiva finalmente serena, sebbene la sua non fosse una pacatezza totale e completa.
Con lui non era Katie la Mangiamorte, Katie membro dell’Ordine, o Katie la spia. Era semplicemente Katie.
Sebbene non gli permettesse di chiamarla per nome.
Né di baciarla.
Il che poteva sembrare piuttosto paradossale, visto che si concedeva a lui ogni notte.
Ma era più forte di lei.
Il bacio, il chiamarsi per nome, erano qualcosa di troppo intimo. Non era disposta ad andare così in là.
Lucius Malfoy era l’unica sua luce in quel mondo pieno di ombre. Ma ciò non significava che tra loro vi fosse del sentimento.
Non c’era, punto.
E Katie non voleva neppure crearne l’illusione.


Narcissa Malfoy.
Sua moglie.

Era un argomento che non avevano mai affrontato. Lui non ne parlava, lei non chiedeva.
Però, non si poteva fingere che non fosse esistita.
Lucius era stato sposato. Sua moglie era morta.
Morta come morto era Oliver.
Altra cosa che li accomunava.
Possibile che lui non ci pensasse mai? Avevano avuto un figlio insieme, una vita, un passato.
Possibile che riuscisse a scopare ogni notte con qualcuna che non era lei senza sentirsi minimamente in colpa?
Solitamente, dopo il sesso non parlavano mai.
Restavano sdraiati in silenzio l’uno accanto all’altra, prendendo lentamente sonno.
Non dormivano abbracciati. Altro momento d’intimità che Katie non era disposta a condividere con lui. Si sfioravano solo perché le dimensioni del letto li costringevano a stare vicini.
Quella notte, tuttavia, lei parlò.
Sentire la sua voce nell’oscurità fece quasi sussultare Lucius.
< Parlami di tua moglie.>
L’uomo, basito, tacque per qualche istante.
< Perché?> domandò poi, ostentando freddezza.
< Perché era tua moglie.> sentenziò lei, con ovvietà.
Lo sentì muoversi sul materasso. Immaginò che si fosse tirato su a sedere.
< Era, appunto. Non c’è nulla da dire al riguardo.>
Altri movimenti. Questa volta si era alzato dal letto.
Lo sentì raccogliere la vestaglia da terra ed uscire a passi pesanti dalla stanza.
Senza esitare, Katie lo imitò. Strattonò il lenzuolo fino a sfilarlo da sopra il materasso, se lo avvolse rapidamente intorno al corpo e seguì l’uomo nel salottino.
Lo trovò seduto alla sua solita poltrona, col solito bicchiere di Whisky che veniva agitato col solito movimento circolare del polso.
Gli si avvicinò. Si sedette sul bracciolo destro, guardando fisso la parete di fronte a sé.
< Ero fidanzata.> esordì poi < Col ragazzo migliore del mondo. Lo amavo alla follia, e lui quasi mi venerava. Dovevamo sposarci, una volta finita la guerra. Mi aveva fatto la proposta senza anello, perché non aveva ancora abbastanza soldi per poterselo permettere. Aveva strappato una pagliuzza alla sua scopa preferita e l’aveva intrecciata a mo di cerchio. Mi aveva regalato quello, anche se si vergognava come un ladro. Per me era come se mi avesse donato un diamante. Ho accettato senza nemmeno pensarci su.>
Lucius mandò giù un sorso di alcool.
< Perché mi stai dicendo questo?>
La ragazza abbassò lo sguardo verso di lui.
< Perché anche lui è morto. E la sua scomparsa mi ha lasciato un solco dentro. Ti ricordi quando mi hai detto che ero rotta? Avevi ragione. Ero rotta. Quello mi aveva rotta.>
Allungò una mano verso di lui, intrecciando un dito con una ciocca di capelli biondi.
< Mi avevi detto che anche tu eri rotto. Suppongo che fosse per tua moglie.>
L’uomo rimase in silenzio a fissare il contenuto del suo bicchiere. Poi, scagliò con violenza il calice nel camino acceso, alimentando una forte vampata.
< Non sono stato capace di fare nulla per lei.> mormorò, fissando con sguardo assente la fiamma < Non sono riuscito a proteggerla, non sono riuscito a salvarla. Non le ho dato la vita che meritava. E’ morta invocando il nome di Draco, e io non sono stato in grado di condurlo al suo capezzale. Non sono neppure stato capace di vendicarla. Ci ha dovuto pensare mio figlio.>
Sospirò, abbassando la testa.
< Mio figlio. Si è macchiato le mani col sangue dell’assassino di sua madre. La sua anima ne pagherà le conseguenze per tutta la vita, ed io non sono stato capace di metterlo in salvo da tutto ciò. Sono un inetto, un inutile. So solo fallire.>
Katie sussultò.
Ora capiva le parole che Draco le aveva rivolto dopo la sua decisione di assumere il ruolo di spia.
La vendetta non ti porterà a niente, lo sai? Non lo riporterà indietro, non redimerà la sua anima o cazzate varie. E non farà sentire meglio te. L’unica cosa che ne otterresti sarebbe la colpa di un omicidio a gravarti sulle spalle. E fidati, quando uccidi qualcuno, non torni più indietro. Sei dannato per l’eternità.
La sua mente fu attraversata da un flash.
Ricordava.
Malfoy che singhiozzava tra le braccia della Granger, che ripeteva “sono un assassino, sono un assassino”. Hermione che tentava di consolarlo accarezzandolo e sussurrandogli che aveva solo dato ad un mostro la sua giusta punizione.
Katie aveva assistito alla scena senza prestarvi più di tanta attenzione. Non le interessava ciò che accadeva intorno a lei.
Ma adesso, tutto acquistava un senso.
Draco aveva vendicato sua madre, uccidendo l’uomo a cui Voldemort aveva dato l’incarico di torturarla per il tradimento del figlio. E la colpa di quell’omicidio lo tormentava ancora.
Aveva tentato di metterla in guardia, di impedirle di ripetere il suo stesso errore.
Ma lei non aveva dubbi. Non sarebbe stata la stessa cosa.
Non si sarebbe mai e poi mai pentita di aver eliminato la feccia che aveva spezzato la giovane vita del suo Oliver.
Accarezzò lentamente i capelli di Lucius.
< Non siamo poi così diversi, tu ed io.> gli disse.
Lui rise amaramente.
< Bell’affare.>
Katie, mossa da un qualcosa a cui non riuscì a dare un nome né tantomeno un senso, scivolò dal bracciolo sulle ginocchia dell’uomo.
Stupito, lui rialzò lo sguardo, squadrandola.
Lei gli sorrise debolmente, scostandogli dal viso una lunga ciocca e portandogliela dietro l’orecchio.
< Lascia che io ti aggiusti.>
Lucius sgranò gli occhi. Era la prima volta che si comportava così.
Di solito, era lui a fare tutto. Lei, semplicemente, si limitava a concedergli raggio d’azione.
Quella Katie sensuale ed invitante mai si era presentata di fronte ai suoi occhi.
Persino lei stessa ne era sorpresa. Neppure con Oliver aveva mai preso l’iniziativa.
L’uomo fece vagare il proprio sguardo su di lei. Poi, tornò a fissarla, freddo e stoico come sempre.
< Quello è di troppo.> affermò, indicando il lenzuolo con un cenno del capo.
Katie abbassò lo sguardo, fissando a sua volta il tessuto che le nascondeva il corpo. Poi, si alzò in piedi di fronte a lui.
Aveva deciso di giocare. Tanto valeva farlo per bene.
Afferrò i due lembi intrecciati che mantenevano saldo il lenzuolo sul suo petto e li sciolse, facendo scivolare il panno bianco a terra.
Completamente svestita, di fronte ai suoi occhi. Per la prima volta, alla luce.
Visibile.
Esposta.
Nuda.


Katie era una Mangiamorte. Ormai, almeno all’apparenza, la era a tutti gli effetti.
Come tale, perciò, doveva ricevere il Marchio.
Un segno d’onore, di vanto, di potere.
Un segno di depravazione, di terrore, di dannazione eterna.
Il Signore Oscuro aveva deciso che era pronta. Si era dimostrata abile e fedele a sufficienza per essere riconosciuta in maniera ufficiale come sua adepta.
In una fredda notte di febbraio, Katie Bell era stata marchiata.
Come una bestia da macello.
Quando ne aveva parlato coi suoi contatti all’Ordine, le avevano detto che non era costretta a farlo. Ma rifiutarsi avrebbe significato far cadere la copertura.
Il suo compito di spia sarebbe terminato, lasciato a metà. E lei non aveva intenzione di farlo.
Si sarebbe sacrificata. Lei ed il suo giovane e candido braccio.
Una volta finita la guerra, tutti avrebbero saputo che era stata costretta a ricevere quel terribile tatuaggio solo per permettere alla Fazione della Luce di trionfare. Non sarebbe stata guardata con sospetto e disgusto, ma con venerazione e rispetto.
Un’eroina. Con un abominio sull’avambraccio ad accompagnarla per il resto della sua esistenza.
Durante la cerimonia, Voldemort aveva fatto un discorso vagamente osceno, su come la Marchiatura fosse pressappoco simile alla perdita della verginità. Solo una lieve punturina, e ben presto al dolore si sarebbe sostituito il piacere. Il piacere di servire l’Oscuro Signore, il piacere di godere appieno del potere. Sarebbe finalmente diventata una donna, smettendo del tutto i panni della fanciulla.
Aveva visto i sogghigni lascivi sui volti dei Mangiamorte. Probabilmente, quel riferimento alla sessualità aveva portato tutti quei porci ad immaginare la ragazza in situazioni assai differenti.
A Katie non importava. Che immaginassero quello che volevano. Era tutto ciò che avrebbero mai avuto di suo. Una fantasia.
Non condivideva affatto il punto di vista di Voldemort.
Fare l’amore per la prima volta, con Oliver, era stato uno dei momenti più belli di tutta la sua vita.
Quello, invece, era semplicemente orrendo. Non il peggiore in assoluto, ma ci andava molto vicino.
E non era tanto il dolore, quanto la puzza di carne bruciata. Le dava il voltastomaco.
Sentiva le lacrime pungerle gli occhi, ma le ricacciava indietro ad una ad una. Si mordeva il labbro inferiore e tratteneva.
Tratteneva tutto. Il pianto, la nausea, le urla. Tutto.
Per non guardare lo scempio che si stava compiendo sulla sua pelle, aveva fatto vagare lo sguardo per la stanza. Fino ad incontrare due occhi grigi. Caldi e rassicuranti, nonostante il colore spento.
Familiari.
Uno sguardo muto, ma per lei ricco di significato. Avvertì immediatamente un senso di conforto farsi spazio dentro di lei.
Una cosa effettivamente accomunava quella cerimonia con la perdita della verginità.
Da quel momento, non sarebbe stata più la stessa. Non sarebbe più potuta tornare indietro, mai più.
Il braccio pulsava, bruciava, doleva. Ma era la sua anima ad aver riportato le ferite peggiori.
Quella notte, Katie si era addormentata tra le lacrime.
E, per la prima volta, stretta al petto di Lucius Malfoy, che le accarezzava i capelli e le posava di quando in quando piccoli baci sulla fronte.
Lucius Malfoy, che considerava come quelle chiome more, quella pelle liscia, quel corpicino esile che ancora portava su di sé i segni di un’adolescenza appena trascorsa non fossero Narcissa.
Non erano sua moglie.
Eppure, non ci vedeva nulla di male in tutto ciò.


Katie era stata una spia eccellente. Sempre attenta, sempre discreta, sempre efficiente.
Riportava all’Ordine informazioni essenziali, riusciva a non insospettire nessun Mangiamorte, Voldemort riponeva cieca fiducia in lei ed Harry Potter stava seriamente considerando di costruirle una statua d’oro per il suo operato straordinario.
Mai una distrazione, mai un passo falso.
Fino a quella sera.
Era stata convocata dal Signore Oscuro nel salone del maniero. Fin lì, nulla di strano.
Quando era entrata aveva subito avvertito una strana aria pesante, minacciosa. Non ci aveva prestato particolare attenzione. Presentarsi al cospetto di Voldemort non era certo come andare a fare una scampagnata per i boschi. Si percepiva sempre una certa tensione.
Ma quando, giunta di fronte a lui, aveva notato il suo sguardo, Katie aveva sentito un brivido correrle lungo la schiena.
Era fottuta.
< Bell.> esordì lui, la voce epurata dal solito tono mellifluo con cui le si rivolgeva < Questa mattina ti ho mandata a chiamare per affidarti una missione della massima importanza. Mi è stato detto che non ti trovavi nella tua stanza. Né in nessun’altra parte del maniero.>
Il cuore della ragazza mancò un battito. Cercò di mantenere la calma, almeno esteriormente.
Ma aveva sentito le gambe cederle all’improvviso.
< Che fine avevi fatto, Bell?> domandò Voldemort, con un tono che non prometteva davvero nulla di buono.
Katie inspirò una generosa boccata d’aria, augurandosi con tutta se stessa che la propria voce non la tradisse.
< Signore, non mi era stato detto che dovevo rimanere nella mia stanza in attesa di vostre istruzioni.>
< Non è questo il punto.> la zittì lui, glaciale < Ti ho fatta cercare in lungo ed in largo, senza trovare la benché minima traccia della tua presenza. Dunque, non eri nel maniero. E se non eri nel maniero, eri uscita per andare da qualche parte, senza rendere noti a nessuno i tuoi spostamenti. Perciò te lo chiedo di nuovo: che fine avevi fatto, Bell?>
Era fottuta.
Era dannatamente fottuta.
Anzi, “fottuta” non rendeva a sufficienza l’idea di quanto effettivamente fosse fottuta.

Annaspò, mentre il suo cervello ricercava disperatamente una risposta a quella domanda.
< Era con me.> proruppe all’improvviso una voce.
Incredula, Katie si voltò alla sua destra. Lucius Malfoy era avanzato di un passo, deciso, con lo sguardo rivolto verso Voldemort.
Quest’ultimo inarcò un sopracciglio.
< Con te, Malfoy?>
Lucius annuì.
< Sì, Signore. L’ho condotta alle prigioni per insegnarle come torchiare i prigionieri. Mi sembrava una grave mancanza che una Mangiamorte marchiata non avesse ancora imparato a farlo.>
La ragazza fissava l’uomo alla sua destra cercando di mascherare l’assoluto stupore che le scuoteva l’anima.
< E perché non ne sapevo niente?> proseguì Voldemort.
Lucius chinò il capo.
< E’ colpa mia Signore. Mi sono dimenticato di parlarvene. Mi scuso se vi ho privato della ragazza quando ne avevate bisogno. Se l’avessi saputo, l’avrei lasciata nella sua stanza.>
Voldemort fece vagare il suo sguardo da Malfoy a Katie, studiandoli. Poi scrollò le spalle.
< Poco male. Temevo che la nostra giovane Bell avesse avuto dei ripensamenti sulla sua permanenza qui, ma a quanto pare mi ero sbagliato. Vai pure.> la congedò, con un cenno del capo.
Katie fece un rapido inchino, poi si voltò. Nel farlo, lanciò un’occhiata a Lucius, incontrando il suo sguardo.
Di fronte all’espressione eloquente dei suoi occhi, comprese.
Perché lei, quella mattina, non era nelle prigioni assieme a lui. Non ci aveva mai neppure messo piede in quel luogo.
Quella mattina, Katie si era incontrata in gran segreto con Tonks, il suo contatto con l’Ordine. E le aveva passato le nuove informazioni appena raccolte.
Lucius l’aveva coperta. Lucius aveva mentito al Signore Oscuro per lei.
E dal suo sguardo, le fu chiaro.
Lucius sapeva.


Che Lucius Malfoy non fosse un Mangiamorte come gli altri, l’aveva capito già da parecchio.
Ma che addirittura fosse un Mangiamorte folle al punto da mentire a Voldemort per proteggere lei...
No, questo decisamente non era normale.
L’aveva atteso seduta sulla sua solita poltrona. Era stata quasi tentata di servirsi a sua volta un bicchiere di Whisky Incendiario, ma sapeva che l’alcool le dava subito alla testa e voleva essere perfettamente lucida per affrontare quel discorso.
Lui rientrò una mezz’ora dopo di lei. La vide seduta al suo posto, e la squadrò perplesso.
Katie decise di non perdere tempo coi convenevoli.
< Perché l’hai fatto?> gli chiese, senza alzarsi dalla sua postazione.
Lucius la fissò in silenzio per qualche istante, poi si diresse verso il ripiano sopra il camino. Solo dopo aver stappato la bottiglia di Whisky ed aver iniziato a versarne il contenuto, si decise a risponderle.
< Fatto cosa, Katie?>
La ragazza emise uno sbuffo vagamente simile ad un ringhio.
< Bell.> lo ricorresse, secca < E non fare il finto tonto, sai di cosa sto parlando.>
L’uomo si limitò a scrollare le spalle, per poi assaporare un lungo sorso di alcool.
Esasperata, Katie balzò in piedi. Gli si parò davanti, gli sfilò con un gesto di stizza il bicchiere dalle mani e lo gettò a terra con violenza, infrangendo il vetro sul parquet lucido e spargendo il liquido intorno ai loro piedi.
< Malfoy cazzo, rispondimi!> era fuori di sé dalla rabbia. Quella reticenza la faceva impazzire < Perché gli hai detto che stamani ero con te, quando sai benissimo che è una menzogna bella e buona?>
Lui sospirò stancamente.
< Qual è il tuo problema? Ti ho coperto le spalle, non era ciò che volevi?>
< No!>
Lucius ghignò.
< Allora vuoi che vada a dire al Signore Oscuro che gli ho mentito?>
Katie alzò gli occhi al cielo.
< Non ho detto questo.> si passò una mano sul volto, sospirando < Hai idea del rischio che stai correndo?>
< Sto tremando di paura.> commentò lui, sarcastico.
< Beh, forse dovresti!>
L’uomo scosse il capo, con un sorrisetto ironico dipinto in volto.
Non era mai stato un temerario. Piuttosto il contrario. Ed ora si esponeva così solo per proteggere una ragazzina che conosceva a malapena?
Doveva aver perso il lume della ragione.
< Non ti interessa nemmeno sapere dove fossi stamani?> lo provocò.
Lui le scoccò un’occhiata eloquente.
< Come se ne avessi bisogno.>
Bingo.
Dunque aveva ragione. Lucius sapeva.
Sapeva che lei era una spia, e le reggeva il gioco?
< Perché non mi smascheri allora?> proseguì Katie < Riguadagneresti la stima e gli onori che hai perso. Forse Lui ti eleggerebbe suo braccio destro.>
L’uomo la fulminò con lo sguardo.
< Taci, sciocca ragazzina.> replicò, stizzito < Non hai idea di ciò che dici.>
Le voltò le spalle, dirigendosi verso la porta della propria stanza.
< Malfoy...> lo richiamò lei.
Lucius si bloccò. Senza fissarla, riprese a parlare.
< Non ho intenzione di smascherarti, né ora né mai. Non m’interessa riguadagnare onori e stima, o essere promosso, per averti venduta a Lui. E se si verificheranno altre situazioni come quella di poco fa, io ti coprirò nuovamente le spalle.>
Katie fissò la sua schiena in silenzio, impressionata.
< Sono stato un codardo, e per questo ho perso mia moglie e mio figlio. Ma non ho intenzione di perdere anche te.> concluse, prima di chiudersi nella propria camera.
La ragazza rimase a fissare la porta della sua stanza.
Non sapeva cosa pensare.
Come doveva tradurre quell’ultima affermazione?
Dal suo atteggiamento, dal modo in cui la guardava, da come la toccava, da come faceva l’amore con lei aveva dedotto che con molta probabilità le si era affezionato.
Ma non aveva idea che Lucius tenesse a lei fino a quel punto.
L’aveva messa sullo stesso piano di Draco e Narcissa. Loro li aveva persi, e non voleva che la cosa si ripetesse anche con lei.
Che provasse qualcosa per lei?
Ma tra loro non c’era sentimento. Nemmeno l’illusione.
Non lo baciava, non si lasciava chiamare per nome.
Però aveva dormito abbracciata a lui.
E non poteva ignorare che, quando l’Ordine le aveva detto che pur di non farsi marchiare avrebbe potuto rinunciare alla missione, non era stato solo il desiderio di non lasciare il lavoro incompiuto a farle rinunciare all’offerta.
Era stato qualcosa d’incontrollabile.
Aveva pensato che, così, avrebbe dovuto dire addio a Lucius. E lei non voleva farlo, dopotutto.
Si buttò a sedere sulla poltrona, coprendosi il volto con le mani.
Forse, aveva sottovalutato la situazione.
Aveva giocato col fuoco. E si era scottata.
Non ustionata. Nemmeno abbrustolita.
Scottata.
Di quelle scottature che lasciano un lieve segno rosso sulla pelle, e dopo qualche giorno spariscono. Di quelle che bruciano un po’, solo un po’. Di quelle per cui imprechi e t’infili il dito in bocca cercando di alleviare il dolore con la saliva, ma non piangi.
Ma, comunque, si era scottata.
E forse, lui si era persino fatto più male di lei.


Augustus Rookwood. 10
Augustus Rookwood.
Augustus Rookwood.

Quel nome continuava a rimbombarle nella testa.
Augustus Rookwood.
Finalmente ce l’aveva.
Un nome, un volto. Un fottuto figlio di puttana da eliminare nel modo più doloroso e straziante possibile.
Draco l’aveva messa in guardia sul non lasciarsi troppo trascinare dalla voglia di vendetta.
Fanculo. Non gli avrebbe dato ascolto.
Aveva raccontato a Lucius di Oliver. E, dopo che lui aveva ammesso – seppur non esplicitamente – di essere a conoscenza del suo doppiogioco, gli aveva rivelato le sue intenzioni.
< Sono qui anche per trovare il bastardo che ha ucciso il mio fidanzato, e dargli ciò che si merita.>
Anche Lucius l’aveva messa in guardia. Aveva tentato di dissuaderla dal compiere quel gesto.
Fanculo. Non avrebbe dato ascolto nemmeno a lui.
Aveva impiegato mesi.
Mesi d’indagini silenziose, mesi di ricerche, di domande ed affermazioni buttate lì, di moine in cambio di informazioni. E alla fine, aveva ottenuto ciò che voleva.
Un nome, un volto. Il suo fottuto figlio di puttana.
Quando Lucius era andato a cercarla nella sua stanza, quella sera, aveva trovato un bigliettino di Katie sul letto.
Due semplici frasi.
E lui era corso fuori. Per inseguirla. Per raggiungerla.
E’ stato Augustus Rookwood. Sto andando a prenderlo.




*






La fasciatura alla testa le prudeva da impazzire. Ma il Guaritore che l’aveva visitata qualche ora prima si era raccomandato di non grattarla, o la ferita non si sarebbe cicatrizzata.
Si sentiva impotente, sdraiata su quel letto a fissare un soffitto bianco.
Abbassò lo sguardo sul proprio braccio sinistro. Notò che le avevano applicato una fasciatura che nascondeva il Marchio.
Sogghignò. Gentile da parte loro.
Sbuffò, riposizionando la testa dritta sul guanciale. Conservava pochi ricordi confusi di quanto accaduto con Rookwood.
L’aveva raggiunto durante una missione con un altro paio di Mangiamorte. Stavano tentando d’introdursi in casa di non sapeva quale funzionario del Ministero per estorcergli non sapeva quale informazione su non sapeva quale piano dell’Ordine.
Non le importava.
Il suo obiettivo era Augustus Rookwood. Lui e solo lui.
Dapprima avevano creduto che Katie fosse arrivata come rinforzo. Ma quando lei aveva iniziato a scagliare maledizioni contro di loro, avevano capito che c’era qualcosa che non andava.
Ne era derivata una lunga e sanguinosa battaglia.
Il fottuto figlio di puttana era morto, di questo era sicura. L’aveva ucciso lei stessa.
Cranio perforato da un Avada Kedavra scagliato direttamente in fronte. Un colpo da maestro. Voldemort sarebbe stato fiero di lei.
Se non avesse ucciso uno dei suoi, ovvio.
Ricordava che Lucius era arrivato sul posto per proteggerla. Al piccolo gruppo di Mangiamorte se n’erano aggiunti altri, richiamati in soccorso.
Una feroce lotta a colpi di bacchetta. Lei e Lucius contro tutti gli altri.
Era stata colpita più e più volte. Era ferita e dolorante.
Ma continuava a combattere.
Ora non si trattava più di vendicare Oliver.
Ora vendicava se stessa.
Non sapeva quando aveva perso conoscenza.
Ricordava solo le braccia di Lucius che la sorreggevano, ed una voce familiare in lontananza.
Una voce che aveva già sentito, una voce che...
Sgranò gli occhi di colpo, sentendo il respiro venirle meno.
Shacklebolt.
Era quella la voce che aveva sentito.
Gli Auror, dunque.
Erano intervenuti gli Auror. E magari anche l’Ordine.
Venne scossa da un brivido.
Se loro avevano raggiunto il luogo della battaglia, allora forse avevano catturato i Mangiamorte con cui stava combattendo.
E quello era un bene.
Ma Lucius?
Che ne era stato di lui?
Le sue elucubrazioni vennero interrotte dal rumore della porta che si apriva. Si voltò verso di essa.
Finalmente un volto amico. Sorrise.
Senza ricordare che a lui non aveva più sorriso da mesi.
< Harry...> disse flebilmente.
Il ragazzo apparve sorpreso di quell’accoglienza, ma subito le sorrise di rimando. Si avvicinò al suo letto, sedendosi sul bordo del materasso.
< Come ti senti?> le chiese.
Katie fece una smorfia.
< Come se fossi appena stata calpestata da una mandria di Ippogrifi impazziti. Mi fanno male persino muscoli e parti del corpo che non credevo di avere. E questa fasciatura alla testa mi prude come l’Inferno. Ma, se escludi questo, bene.>
Harry ridacchiò, scrollando il capo. Si arrischiò a sfiorare una mano della ragazza, e gliela strinse quando vide che lei non lo respingeva.
< Siamo stati tutti così in pena per te Katie! Te la sei vista davvero brutta.>
< Già, per un po’ meglio evitare le missioni da spia.> ironizzò lei.
< Su questo non c’è il minimo dubbio.> replicò Potter serio < Abbiamo sbagliato a lasciare che tu t’infiltrassi tra i Mangiamorte. Aspetta!> la zittì, spegnendo sul nascere le sue proteste con un gesto della mano < Non sto dicendo che tu non abbia fatto un ottimo lavoro. Tutt’altro. Sei stata semplicemente eccezionale, grazie a tutte le informazioni che ci hai passato siamo riusciti a rintracciare tutti e sette gli Horcrux e a distruggerne sei. Siamo pronti per affrontare Vol... Tu-sai-chi. Ed entro breve, potremmo tornare a pronunciare il suo nome senza alcun problema.>
Katie sorrise.
Avrebbero vinto. Anche grazie a lei.
Dopotutto, non si era rivelata così inutile come credeva di essere.
< Ma ciò non toglie che tu abbia affrontato un pericolo incredibile. Ti hanno presa per i capelli, sei stata letteralmente ad un passo dalla morte. Non avrei dovuto permettere che rischiassi così tanto.>
La ragazza gli sorrise.
< Harry, tutti quanti rischiamo in questa guerra. Anche chi non vi prende parte. Forse sarei stata ferita mortalmente anche rimanendomene buona e tranquilla a Grimmauld Place con tutti voi. Ma almeno, grazie al rischio che ho corso io, ben presto nessuno sarà più in pericolo.>
Lui ricambiò il sorriso, stringendole più forte la mano. Poi, la sua espressione divenne improvvisamente cupa. Abbassò la testa, distogliendo lo sguardo da quello di lei.
< Katie, io...> sospirò < Non hai idea di quanto mi dispiaccia per quello che è successo ad Oliver. Ogni notte rivivo quella scena come un incubo. Gli volevo bene, era mio amico, e... ti giuro Katie, io mi sento così in colpa. Non...>
< No, Harry.> lo interruppe lei. < Non è colpa tua. Ed io ho sbagliato a prendermela con te. Oliver ti ha fatto da scudo non perché tu sei il Prescelto. L’ha fatto perché eri suo amico. E quando si vuole bene a qualcuno, si cerca di proteggerlo in ogni modo.>
Rabbrividì nel pronunciare quell’ultima frase, e sperò che il ragazzo non l’avesse notato.
< Mi dispiace di averti colpevolizzato così. Tu non c’entri nulla con ciò che è successo. Chiunque al posto di Oliver avrebbe fatto lo stesso. Solo che è toccato a lui.>
Potter scosse la testa.
< Non tutti. Ci voleva un coraggio enorme per fare qualcosa di simile. E lui ne aveva da vendere.>
Katie annuì, sorridendo. Si sollevò faticosamente a sedere, poi si avvicinò al ragazzo e l’abbracciò.
Solo dopo che si fu sdraiata di nuovo, riprese a parlare.
< Harry?>
< Mh?>
< I Mangiamorte che erano lì con me... ecco, li avete catturati?>
Lui la osservò perplesso.
< Se per “catturati” intendi “raccolto i loro cadaveri da terra” allora sì, li abbiamo catturati.>
Katie sgranò gli occhi.
Cadaveri?
< Sono... morti?>
Harry annuì.
< Tutti morti?> chiese, una nota di panico nella sua voce.
< Sì, tutti morti. Ah beh, eccetto Malfoy, ovvio.>
La ragazza fu quasi sul punto di tirare un sospiro di sollievo.
< Ah. E di lui che ne è stato?> domandò, cercando di suonare il più indifferente possibile.
< Ha confessato.> replicò Potter.
Lei aggrottò le sopracciglia, confusa.
< Confessato?>
Il giovane annuì.
< Ha confessato tutto. Ha detto che lui e gli altri Mangiamorte erano lì in missione, che li ha eliminati tutti per essere l’unico a godere degli elogi del Signore Oscuro, che tu l’hai raggiunto per fermarlo e lui, avendo scoperto che eri una spia, ha cercato di ucciderti.>
Katie aveva gli occhi talmente sgranati che rischiavano di schizzarle fuori dalle orbite.
< Ha confessato ogni cosa, ed ha confermato ogni capo d’accusa che pendeva sulla sua testa, dichiarandosi pienamente colpevole. Si è consegnato quasi spontaneamente. Credo che non ci stia molto con la testa, perché quando gli Auror l’hanno imprigionato ha iniziato ad urlare che preferiva morire piuttosto che sapere suo figlio con una Mezzosangue. Mi chiedo come abbia scoperto di Draco ed Hermione.> scrollò le spalle con noncuranza, poi proseguì < Ad ogni modo, è rinchiuso nelle prigioni dell’Ordine. 11 A guerra conclusa, verrà eseguita la sua condanna.>
La ragazza sentì lo stomaco attorcigliarsi su se stesso.
< Condanna?> chiese, con un filo di voce.
Harry annuì lentamente.
< Lucius Malfoy è stato condannato a morte. 12 >


La guerra si era conclusa a favore dell’Ordine da appena due giorni, quando finalmente Katie aveva potuto lasciare l’ospedale.
Non era ancora nel pieno delle forze, ma finalmente non doveva più stare sdraiata a letto ed attaccata ad una flebo.
Aveva passato tre lunghe settimane al San Mungo. E, nel frattempo, aveva avuto luogo lo scontro finale.
Voldemort non c’era più.
Sconfitto dal Bambino Che è Sopravvissuto. Sparito per sempre nel nulla.
I suoi servitori erano stati rispediti al Creatore con lui, oppure marcivano in qualche cella in attesa di un processo.
Solo un paio di loro erano riusciti a fuggire, ma gli Auror erano già alle loro calcagna.
Tutto si era risolto per il meglio.
Quasi tutto.
Katie venne scortata nel lungo corridoio da una guardia. Tenne lo sguardo fisso di fronte a sé per tutto il tragitto, evitando di soffermarsi sulle varie celle che la circondavano.
Infine, la guardia si fermò di fronte all’ultima porta. La aprì e le cedette il passo.
< Non più di cinque minuti.> sentenziò, ricevendo un cenno del capo in risposta.
Ancora stentava a credere di essere riuscita ad ottenere il permesso di vederlo. Era quasi impossibile visitare un condannato a morte, soprattutto uno del suo calibro.
Del resto, nonostante tra i Mangiamorte fosse caduto in disgrazia, per il resto del mondo era ancora un elemento importante di quel temibile e folle esercito.
Aveva dovuto fare leva sulla compassione di Harry, interpretando magistralmente la parte dell’affranta ragazzina appena scampata alla morte che vuole mettersi l’anima in pace e perdonare il suo quasi assassino prima che venga eseguita la sua condanna.
Come sempre, Katie Bell era stata un’attrice coi fiocchi.
Sobbalzò quando la porta della cella venne richiusa alle sue spalle.
Lo vide voltarsi verso di lei e sgranare gli occhi.
< Che ci fai tu qui?> le chiese, incredulo.
Lei avanzò fino a raggiungere l’angolo contro cui era accovacciato. S’inginocchiò di fronte a lui.
< Ti rintani nei cantucci come i topi, Malfoy?> commentò lei sarcastica.
Lucius ghignò.
< Vedo che non hai perso il vizio d’impicciarti degli affari miei, Bell.> la rimbeccò lui < Sei venuta a darmi l’estremo saluto?>
Katie si rabbuiò.
< Mi hanno detto che hai raccontato una marea di frottole. Ti sei preso la colpa di tutto quello che è successo, ed hai lasciato che ti catturassero. Perché?>
L’uomo la fissò intensamente.
< Tu non hai perso il vizio d’impicciarti, io quello di coprirti le spalle.>
Lei sospirò, scrollando il capo.
< Non avresti dovuto. Io me la sarei cavata.>
< Ma così te la sei cavata meglio, no?>
Lo fulminò con lo sguardo.
< Hai confessato crimini che neppure hai commesso. Ti rendi conto che ti hanno condannato a morte per tutto questo?>
Lui ridacchiò.
< Sì, ne sono vagamente consapevole.>
Katie chiuse gli occhi ed inspirò a fondo. Come poteva ragionare con uno che si comportava così?
< Perché non hai detto loro la verità? Perché non gli hai spiegato come sono andate le cose? Perché non hai detto loro che mi hai retto il gioco, che mi hai protetta? Perché non hai confessato che già da tempo progettavi di abbandonare i Mangiamorte, e sei rimasto solo per non lasciare indifesa me?>
Lucius fece una smorfia.
< Tu fai troppe domande.>
La ragazza ringhiò, esasperata.
< Cazzo, perché non hai parlato? Perché?>
Lui la scrutò, soppesando le sue parole.
< Parlare è da stupidi.> commentò poi.
< E tacere è da codardi. 13 >
< Non è una novità, ti pare?>
Katie sospirò.
< Tu non sei un codardo. Un codardo non avrebbe fatto ciò che tu hai fatto per me.>
Lui allungò una mano verso il suo viso, sfiorandone il contorno.
< Un codardo forse no. Un folle, di sicuro.>
La giovane fissò il suo volto, e ciò che vi lesse la fece rabbrividire.
Lucius non si era scottato.
Si era completamente ustionato.
< Tutto il male che uno fa nella vita ritorna, Katie. E io ne ho fatto tanto. Tanto. 14 >
Lei lo lasciò parlare. Senza fargli notare che l’aveva chiamata per nome. E senza rimproverarlo per questo.
< Ne ho fatto agli altri e a me stesso. E chi ho fatto soffrire di più sono proprio le persone che amo. So benissimo che se avessi raccontato la verità all’Ordine, probabilmente avrei evitato questa condanna. Avrei fatto qualche anno di prigione, e poi sarei stato libero. Ma non lo merito, non lo merito affatto. E’ giusto che uno paghi per i propri errori, ed è giunto il momento per me di rendere conto dei miei.>
Le posò una mano su una guancia. Lei glielo permise, godendo il calore del suo tocco sulla propria pelle.
< E poi ricordi quello che ti avevo detto su Draco, e sul fatto che avermi tra i piedi sarebbe stato solo un male per lui? Ecco, non ho cambiato idea. La sua vita sarà assai migliore senza di me, credimi.>
Una lacrima silenziosa sfuggì al controllo di Katie, scivolando fin sulle dita di Lucius. Lui l’asciugò, e le sorrise.
< Però voglio che tu sappia, Katie Bell, che sei una delle cose migliori che mi siano mai capitate in tutta la mia vita. E nonostante tutto il male che ho fatto, sapere di averti protetta in questi mesi e di aver impedito che ti accadesse qualcosa di male mi permetterà di morire con l’anima in pace. Perciò non cercare di salvarmi. Perché l’hai già fatto.>
Lei chiuse gli occhi, cercando d’impedire alle altre lacrime di seguire la sorte di quella prima fugace.
< Non sprecare la tua vita, Katie. Non passare il resto della tua esistenza a piangere la morte del tuo fidanzato, rifiutandoti di dare un senso a ciò che ti circonda. Tu non sei rotta, sei solo ammaccata. E quando qualcosa è ammaccato, non smette di funzionare. Continua a farlo. Ed anche tu devi. Devi andare avanti, piccola. Lui non vorrebbe vederti ridotta in questo stato. Vorrebbe che tu tornassi a vivere, anche senza di lui. Anche per lui. Questo glielo devi.>
Katie riaprì gli occhi, soffocando un singhiozzo.
Dio, quanto aveva ragione! C’era voluto Lucius Dannato Malfoy per farglielo capire.
Lo scrutò in silenzio per qualche secondo. Poi si chinò verso di lui, e posò le proprie labbra sulle sue.
L’uomo rimase immobile, interdetto.
Mai prima di allora Katie lo aveva baciato. Né aveva permesso a lui di baciarla.
Si ricompose, iniziando a rispondere al bacio.
Non c’era passione, né desiderio, né foga.
Era un bacio dolce, quasi accennato.
Un bacio che sapeva d’addio.
Si separarono quando il bisogno d’aria iniziò a farsi impellente. La ragazza lo fissò con uno sguardo indecifrabile.
< Ti amo.> gli disse poi.
Lucius sorrise.
< No, non è vero. Ma grazie per averlo detto. 15 >


Non appena scoccarono i cinque minuti, la guardia bussò alla porta, facendo capire a Katie che era il momento di andare.
Lei si alzò da terra, ripulendosi il vestito dalla polvere, rivolse un’ultima occhiata a Lucius e si diresse verso l’uscita.
< Bell...> la richiamò lui.
Si bloccò, voltando il capo.
< Katie.> lo corresse.
L’uomo sorrise.
< Katie. Dì a Draco che mi dispiace. E che auguro a lui e alla Granger tutto il meglio. Sarà anche una Mezzosangue, ma non dev’essere così male se è riuscita a conquistare mio figlio.>
La ragazza scosse la testa.
< Non ce n’è bisogno. Lo sa già, Lucius.>


Quando mise piede fuori dalla prigione, fu investita in pieno da un raggio di sole, che la costrinse a coprirsi il volto con una mano.
Avvalendosi di quella protezione, alzò gli occhi al cielo.
Immaginò che Oliver la stesse guardando, da lassù.
E, per la prima volta dopo mesi, finalmente sorrise.
Un sorriso vero, sereno, felice.
Katie Bell era tornata a vivere.








~Fine~









Riferimenti:

1) Mi vergogno come una ladra per tutto ciò, ma la frase sul bianco della stanza d’ospedale di Katie è una mia citazione di me stessa u.u E’ tratta dal secondo capitolo della mia long semi-abbandonata “October and April”, dove Draco Malfoy descrive allo stesso modo la sua stanza. Solo dopo averla scritta ho sentito suonare un campanello d’allarme nel mio cervello che mi avvisava che “questa cosa non è nuova”. Colta da un deja-vu sono corsa a controllare, ed ho notato che la frase scritta in quell’occasione era identica, fatta eccezione per il passaggio dal soggetto maschile ad uno femminile. Ho deciso di non modificarla, non tanto per megalomania e desiderio di auto citarmi, quanto perché mi sembrava adatta ai fini narrativi.
2) L’intero periodo è tratto da “La regina dei castelli di carta” di Stieg Larsson, per la precisione dal risveglio dal coma post-operatorio di Lisbeth Salander.
3) Altra citazione di Larsson, stavolta dell’intera saga. L’espressione Lucius Dannato Malfoy riprende pari pari il Kalle Dannato Blomkvist attraverso il quale Lisbeth si riferisce a Mikael.
4) Tratto da “Il gioco dell’Angelo” di Carlos Luis Zafón.
5) La frase, così come il titolo dell'intera storia, è una citazione di Johann Wolfgang von Goethe, tratta dal primo atto del “Götz von Berlichingen”.
6) L’intero paragrafo “Oggettivamente [...] diabolici” è ispirato neppure troppo velatamente alla canzone di Lady Gaga “Monster”, in particolare al ritornello (“That boy is bad/ And honestly/ He's a wolf in disguise/ But I can't stop staring in those evil eyes”)
7) Manco a dirlo, qui l’ispirazione si deve a “Sympathy for the devil” dei Rolling Stones
8) Questa frase di Katie, così come la precedente “non sono la tua piccola” sono liberamente ispirate ad un’altra canzone di Lady Gaga, “Alejandro” (“Don’t call my name [...]/I’m not your babe [...]”)
9) La frase prende spunto dalla canzone “Hello” degli Evanescence (“Don’t try to fix me/ I’m not broken”)
10) Non è un personaggio di mia invenzione, ma un vero Mangiamorte. Lavorava all’Ufficio Misteri e da lì passava informazioni a Voldemort, prima di essere smascherato da Karkaroff ed imprigionato ad Azkaban. Compare nel quinto libro, dove partecipa all’evasione di massa dei Mangiamorte assieme a Bella e Rodolphus. Combatte nella battaglia di Hogwarts e viene sconfitto da Aberforth Silente. Non c’è un motivo particolare per cui l’ho scelto. Avevo bisogno di un Mangiamorte non particolarmente conosciuto, ed il suo nome è il primo che mi è capitato sottomano ^^
11) Inizialmente avevo pensato di destinare Lucius ad Azkaban. Ma poi mi sono ricordata che i Dissennatori combattono dalla parte di Voldemort, dunque ho ritenuto più plausibile che i Mangiamorte catturati venissero rinchiusi in celle create appositamente dall’Ordine, cosicché non avessero possibilità di fuga.
12) Lo so, probabilmente è un po’ esagerata come cosa u.u Ma Lucius, in quanto Mangiamorte, ha fatto cose deplorevoli. Ha tramato, ucciso e sterminato. Inoltre, ha confermato tutte le imputazioni a suo carico, dichiarandosi dunque colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Nella saga della Row, scampa l’incarcerazione “redimendosi” durante la battaglia di Hogwarts. In questa storia, non c’è alcuna redenzione per lui. Ed Auror e Ordine, inaspriti da tutti quegli anni di guerra, sono meno clementi verso i criminali come lui.
13) “Parlare è da stupidi, tacere è da codardi, ascoltare è da saggi” è una citazione de “L’Ombra del Vento” di Carlos Luis Zafón.
14) Tratto da “Il gioco dell’Angelo”, sempre di Zafón.
15) Ovviamente, questo pezzo è preso pari pari dalla struggente scena finale della settima ed ultima stagione di “Buffy”. Ma l’interpretazione è totalmente diversa, almeno secondo me. Buffy dice a Spike di amarlo perché effettivamente lo ama – e nessuno riuscirà mai a dissuadermi da questa convinzione u.u Sono una Spuffy sfegatata, io – , sebbene se ne sia resa conto troppo tardi. Spike le dice che non è vero perché stenta a crederlo, ma la ringrazia di avergli regalato, prima di morire, quelle parole che da troppo tempo aspettava di sentirsi dire. Katie, invece, non ama affatto Lucius. Gli è affezionata, gli vuole bene, è attratta da lui. Non gli è indifferente, tutto sommato prova qualcosa. Ma non lo ama. Per il semplice fatto che ama ancora Oliver, e non è pronta a lasciare il posto che lui occupa nel suo cuore a qualcun altro. Lucius, al contrario, la ama. Non quanto e come amava Narcissa, ma in ogni caso è innamorato di lei. Katie già aveva iniziato a sospettarlo, ma ne ha la conferma definitiva durante quell’ultima chiacchierata. Lei è consapevole di non amarlo. Ma decide comunque di dirglielo, per lasciargli un ultimo bel ricordo prima della sua esecuzione. Tuttavia, lui è ben consapevole che la sua dichiarazione non è sincera, ma la ringrazia comunque perché è ciò di cui aveva bisogno.
Per amor di cronaca, tutta questa assurda storia si deve proprio a questa citazione. E’ stata questa scena ad ispirarmi la fict (ebbene sì, sono partita con l’ideare il finale e poi c’ho costruito intorno una storia -.- Roba da matti! xD)







NdA (che vi potete pure risparmiare)

Dunque... come già detto in precedenza, questa storia è stata scritta per il contest "A Griffin for a Snake". Anche perché, onestamente, dubito che una simile idea mi sarebbe potuta venire spontaneamente xD
Questa fict è stata qualcosa di vagamente simile ad un parto per me, ho sudato sette camicie per scriverla. Mi sono divertita a partecipare, quello è ovvio. Ma diciamo che quando mi sono capitati i personaggi avevo previsto di faticare molto meno =P
Detto ciò, ci tenevo a puntualizzare due punti in particolare (puntualizzare i punti... ma sono un genio!! u.u).
Innanzitutto, la scena "lemon" tra Katie e Lucius. L'espressione è correttamente inserita tra virgolette, ma ad ogni modo è la cosa più lemon che abbia mai scritto in tutta la mia pseudo-carriera di pseudo-fanwriter ^^
Proprio per questo, ero piuttosto titubante. Sono assai brava a leggere questo genere di scene, ma a scriverle sono una frana con la F maiuscola xD
Secondariamente, Lucius.
Onestamente, non è certo il personaggio più dolce ed affettuoso della saga, anzi. Ma mi ero alquanto stufata di vedergli sempre affibiata la parte del crudele padre-padrone. Cioè ok, ogni tanto ci può anche stare se serve ai fini della trama di una particolare storia, però il troppo stroppia! Lui non è un babbino da coccole e giocattoli, ma la mia impressione personale è che nemmeno l'immagine di freddo genitore disinteressato dal cuore di pietra gli si confacia.
Lucius, per me, ama suo figlio, così come ogni padre che si rispetti ama la propria prole. Che poi non si sprechi particolarmente nel manifestare il suo affetto ed abbia un modo tutto particolare di volergli bene, è un conto. Ma non mi piace leggere storie in cui dimostra di non tenere neppure minimamente a Draco, perchè lo trovo poco verosimile.
In conclusione, rinnovo i miei ringraziamenti alla giudice, i complimenti a tutte le altre partecipanti, ed ulteriori ringraziamenti a chi leggerà e/o recensirà la storia.
Infine, per i miei "aficionados", sappiate che "October & April" non è morta. Sta soffrendo molto, ma non ha ancora esalato l'ultimo respiro xD Mi ci vorrà un pò di tempo per riordinarmi le idee e riprendere a pubblicare, ma settimana prossima dovrei ricominciare a scrivere. Dunque, non temete, prima o poi avrete il nuovo aggiornamento ;)
Vi lascio con lo strepitoso giudizio della strepitosa giudice, giudizio che mi ha lasciata basita ma molto molto gongolante ^^





Valaus “Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera”

-Grammatica: 10
-Lessico: 10
-Stile: 10
-IC: 10
-Originalità: 10
-Attinenza al tema del concorso: 15
-Giudizio personale: 5

Totale: 70/70

…come sempre, partirò dalla grammatica.
Ho riscontrato, come in un’altra storia, soltanto un errore, per cui non me la sono sentita di abbassare il punteggio per un'unica svista. Svista peraltro comprensibile, dato che hai scritto ‘affondo’ al posto di ‘a fondo’. Per sicurezza ho controllato, perché effettivamente l’ho visto scritto così più volte, e ho constatato che è errato, nonostante l’uso comune che se ne fa. Per il resto, nessun’imprecisione, di nessun tipo.
Il lessico è... beh, oserei definirlo camaleontico. Mi piace come si modula in base al personaggio che parla, in base al grado di solennità che la situazione stessa richiede. Come il linguaggio più colloquiale che usano Harry, Hermione, Draco e Katie, contrapposto al linguaggio di Lucius, ad esempio. Il che potrebbe anche sembrare scontato, ma... a livello di scrittura amatoriale è una dettaglio a cui normalmente si fa poco caso, quindi è risultato comunque qualcosa di piacevole da leggere.
Lo stile è assolutamente sublime. La storia era decisamente lunga, eppure non ho staccato (quasi) mai gli occhi dal foglio e prima che me ne rendessi conto era finita. Indice di un modo di scrivere fluido, accattivante, che fa sì che il lettore non si annoi né si distragga. Le descrizioni sono ben dosate con i dialoghi e con la narrazione, cosa che davvero aiuta la scorrevolezza del testo.
Per quanto concerne invece l’IC, dopo averci pensato su, ho scelto di valutare più che altro la caratterizzazione, per due motivi: innanzitutto, del carattere di Katie Bell non sappiamo assolutamente niente, quindi si tratta quasi di un personaggio creato ex novo. Per quanto riguarda Lucius invece, di lui sappiamo fin troppe cose, ma va detto che l’ottica sotto cui l’hai presentato tu esula da qualsiasi cosa la Rowling abbia mai scritto, ed è stato colpito da eventi che ne possono benissimo aver plasmato, almeno in parte, il carattere. Perciò... ho trovato Katie di una profondità quasi disarmante. Sei riuscita a calarti nella psiche di una ragazza alla quale è capitata una tragedia non da poco, e che non riesce davvero, come hai scritto, a vivere più, ma solo ad esistere. Ogni suo ragionamento, ogni sua azione, è plausibile e giustificata in modo da renderla un personaggio di cui ci si riesce facilmente ad innamorare. Lucius dal canto suo conserva moltissime caratteristiche da solito snob... modulate per l’appunto da quanto gli è accaduto, sia la fuga di Draco che la morte di Narcissa. E tu l’hai reso un personaggio davvero interessante, quasi strappandolo via a quell’univocità che invece gli aveva conferito la Rowling. Pensa con la sua testa, compie delle azioni che vanno oltre il suo tornaconto, prova delle sensazioni che da lui non ci si aspetterebbero... e tutto questo riuscendo comunque a rimanere fedele al suo personaggio, alla sua testardaggine, al suo sarcasmo quasi irritante. Nota di merito anche per aver dato una buona caratterizzazione anche di Draco e (anche se decisamente meno marcata) di Hermione e di Harry. Cosa lodevole dato che si tratta di personaggi che compaiono per poche righe, di cui però ti preoccupi di chiarire i punti di vista e le emozioni.
Quanto all’originalità, ti devo davvero fare i miei complimenti. Hai creato una storia plausibile, con un espediente assolutamente realistico, che non appare affatto stereotipato e che... beh, sa di qualcosa di nuovo (o almeno, io non ho mai letto nulla del genere). Oltre a questo, hai scritto un finale che non è né felice né triste, ma che comunque ha un ché di positivo e di negativo, cosa sicuramente apprezzabile ai fini della narrazione e dell’originalità stessa.
Davvero nulla da dire o eccepire sull’attinenza al tema del contest, in quanto i due sono presenti, sono protagonisti, e soprattutto sei riuscita in qualche modo a rendere profondo il loro rapporto, a renderli affini in modo... mmm, si dice ancora ‘sopraffino’ in questo secolo?!
Davvero Val, una storia meravigliosa dalla prima all’ultima riga. Lo ammetto, normalmente quando indico dei contest e mi si presentano delle storie particolarmente lunghe non gioisco, perché finisco con l’annoiarmi la maggior parte delle volte. Eppure leggendo la tua non c’è stato un secondo in cui ho voluto fare dell’altro, in cui ho smesso di leggere. Mi ha fatta sorridere (te l’ho detto, quel ‘Kalle Dannato Blomkvist’ alias ‘Lucius Dannato Malfoy’ per me resterà nella storia), mi ha fatta innamorare del personaggio di Katie e ancora di più di quello di Lucius. Apprezzati inoltre i riferimenti fatti nel testo, a partire dal titolo (e te lo dice un’estimatrice di Goethe) per poi protrarsi lungo tutta la lettura, dagli esempi più ‘elevati’, quali quelli fatti a Zafòn, fino a Hello e Sympathy for the devil... per non parlare della scena finale. Leggendo la nota, non mi ha sorpreso scoprire che tutto partiva da quella scena. Da convinta sostenitrice di Spuffy, esattamente come te, ho riconosciuto lo zampino del finale della settima stagione e non ho potuto fare a meno di domandarmi se la reazione giusta fosse sorridere o mettermi a piangere.
Val, se questa è la tua idea di obbrobrio... allora direi che sei messa benissimo! Non hai deluso le mie aspettative nel modo più assoluto. Ti faccio i complimenti per questo (ennesimo) capolavoro. Bravissima, davvero.





   
 
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