Titolo: Così Celeste (She’s my baby.)
Fandom: La Compagnia dei Celestini
PG:
Lucifero, Celeste
Avvertimenti:
Fluff (se non erro xDD), introspettiva, song-fic
Conteggio parole: 3929, a quanto pare (:
Note (parte I): Aridaje col fluff: ora non mi ferma più nessuno, muahahaha :DDD Beh, ho avuto un vero flash ascoltando
questa canzone, e mi sono subito precipitata a buttar giù quelle che credevo
fossero”due righe”, che poi si sono rivelate essere un filino di più x°°°DDD
Disclaimer: Lucifero e Celeste appartengono a quel drittone
di Stefano Benni e a coloro che ne hanno acquistato i diritti per farne un
cartone u___ù
Dedicata ad Hikari, la mia musa ispiratrice.
Così Celeste
She’s my baby.
Le
gocce di pioggia battevano insistenti sul vetro della finestra, impedendogli di
riposare: aveva le ossa indolenzite e qualche linea di febbre, così la Bifferi
gli aveva consigliato di rimanere a letto tutto il giorno.
Memorino
e i gemelli sarebbero rimasti fuori per tutta la notte, dato che Squalo aveva
in serbo per loro un super-allenamento coi fiocchi, in vista dell’imminente
partita contro i Meniños.
-Peccato,
un po’ di compagnia non mi avrebbe poi fatto così male…- mormorò a voce bassa,
salvo poi scuotere la testa e girarsi sul fianco destro: questi non erano
pensieri tipici di Lucifero, bensì di una donnicciuola
piagnucolona.
Il
ticchettio sul vetro stava diventando sempre più insopportabile, così si cacciò
il cuscino sulla testa, intenzionato a soffocare tutto quel baccano.
Una
goccia, però, sembrava essere più pesante rispetto alle altre, avendo fatto un
rumore più secco del solito; così, temendo una bufera di grandine, si alzò a
fatica e si avvicinò alla porta-finestra, spalancandola di colpo e scrutando il
cielo che, nonostante l’ora tarda, poteva benissimo essere definito plumbeo.
Temporali
del genere erano il biglietto di visita di marzo, non di maggio.
Una
sferzata di vento gelido lo accolse ruvida e tagliente, come la lama del rasoio
che ogni tanto si divertiva a ferirgli una guancia, ora la destra, ora la
sinistra, ora entrambe.
Fu
però qualcos’altro a ferirlo non solo metaforicamente parlando:
-Porca
puttana...!- imprecò, portandosi una mano sul lato destro della fronte,
sentendo il calore del sangue colargli leggermente tra le dita.
Diede
un’occhiata per terra e notò un sasso di media misura dalla punta appuntita.
Ricordandosi
che la Natura ultimamente stava partorendo vari disastri ambientali ma che i
sassi non avevano ancora cominciato a cadere dal cielo, guardò nel buio fitto
del giardino.
E
lì, tra l’acqua e l’erba, intravide una figura incappucciata avanzare incerta.
Strinse
gli occhi, quasi a voler rendere più acuta la vista, ma non vide niente di più
di un’ombra che si stava avvicinando al grande acero che ogni giorno gli
copriva la visuale della strada.
Improvvisamente
lo sconosciuto si attaccò ad uno dei rami con l’agilità di uno scoiattolo e,
dopo essersi dondolato abbastanza, planò esattamente sul terrazzino,
costringendo Lucifero a spostarsi se non voleva assumere la funzione di
materasso.
-Chi
diavolo sei?- chiese con un tono tra lo spaventato e l’incazzato.
La
figura incappucciata si tastò il sedere e si alzò a fatica:
-Lucifero,
non mi riconosci?-
Quella voce.
L’ombra
si tolse il cappuccio, mostrando due codini fradici e un paio di occhi
cioccolato che il ragazzo conosceva bene.
-Celeste…?-
-In
carne ed ossa!- rise lei.
-Che…
Che ci fai qua?- mormorò lui, piuttosto stupefatto. Poi, accorgendosi di essere
nel bel mezzo di una tempesta con la T maiuscola, decise di riprendere la
discussione all’asciutto, facendo entrare l’amica nella stanza e richiudendosi
la porta-finestra alle spalle.
-Ma
sei bagnata fradicia! Sembri un pulcino…-
continuò lui, sottolineando l’ultima parola quasi con dolcezza.
-Beh,
questo K-Way l’hanno pagato una fortuna e guarda… S’è pure rotta la cerniera…-
sorrise tristemente lei, un sorriso che assomigliava più ad una smorfia.
Allora
il ragazzo si diresse verso il proprio armadietto e le porse un asciugamano,
aggiungendo: -Vorrei poterti dire che puoi tranquillamente farti una doccia con
comodo ma, come ben sai, non abbiamo quest’optional.-
-Fa
niente, grazie lo stesso.- gli sorrise grata, dopo essersi seduta sulla vecchia
nonché unica poltrona di cui potevano disporre, e iniziò ad asciugarsi le
goccioline che continuavano a scorrerle sulle guance.
Lucifero
sapeva bene il motivo dell’inaspettata
visita di Celeste, per quanto potesse essere definita tale. Difatti la ragazza
non era nuova a fughe di casa, causate da frequenti litigi con i genitori, e
lui e gli altri l’avevano ospitata ogni volta: uno dei gemelli le cedeva il
letto, solitamente quello di Gianni perché aveva il materasso più morbido, e
andava a dormire con il fratello, mentre Memorino aveva escogitato un sistema
di lenzuola appese per crearle uno spazio tutto suo.
Ma
stavolta era diverso: sapeva con certezza che ora non si trattava di una
semplice baruffa con i suoi; stavolta dovevano averla combinata grossa, perché
Celeste era apparsa più sconvolta del solito.
-Che
hanno fatto stavolta?-
La
domanda di Lucifero risuonò in tutta la camera, interrompendo il silenzio e
facendo sussultare leggermente la ragazza.
-Mmm,
niente di che.- fece lei asciutta, storcendo un po’ il naso e frizionandosi i
capelli.
Lucifero
alzò gli occhi al cielo, interrompendo l’allestimento della camera per la
ragazza: Dio, quanto la odiava quando faceva la vaga… Se c’era una cosa che lo
mandava veramente in bestia era proprio l’essere vaghi, il non vuotare subito
il sacco: non riusciva proprio a digerirlo, tutto quel mistero.
-Avanti,
Celeste!- incalzò scocciato -Stasera i tuoi giochetti proprio non mi vanno… Lo
sai benissimo che qualcosa è successo, no? Altrimenti, perché mai saresti
venuta alle nove e mezza di sera, qui, tutta sola, sotto il Diluvio Universale?
Cos’è, volevi semplicemente vedermi?-
La
ragazza arrossì un po’ e, fissandolo negli occhi, ribatté: -E se anche fosse?-
Quella
risposta spiazzò Lucifero.
Quella
ragazza… era pazza, pazza!
E
ora ne aveva le prove.
Ma
erano risposte da dare?
Le
guance gli si imporporarono leggermente ma, deglutendo una quantità industriale
di saliva, riuscì a scoppiare in un riso ostentato: -Ah, questa era veramente
bella!-
Poi,
tornando serio: -Avanti, non prendermi per il culo. Sputa il rospo. Non sei mai, e sottolineo mai, venuta di soppiatto dal giardino! Vuol dire che stavolta è un
casino assurdo, o sbaglio?-
La
ragazza si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo e guardandosi le
scarpe zuppe: come al solito Lucifero era riuscito a cogliere nel segno.
L’intuito
del ragazzo era qualcosa che andava aldilà del famoso “sesto senso”, perché era
in grado di studiare le proprie “vittime” in ogni loro minimo particolare, con
una semplice occhiata.
Alla
vista di quella reazione, il cuore di Lucifero perse un colpo, intenerito da quel pulcino bagnato, che
ora si stringeva nelle braccia, sempre a capo chino.
Avvicinarsi
e poggiarle una mano sulla spalla fu quasi un gesto automatico, come il dirle:
-Celeste,
sai che ti puoi fidare di me. Se è successo qualcosa, devi dirmelo.-
A
quel contatto improvviso, Celeste alzò la testa di scatto e gli mostrò i grandi
occhi colmi di lacrime, come dighe sul punto di straripare, accompagnati da un
leggero rossore sulle guance.
-Vogliono…
Vogliono trasferirsi.- sussurrò tutto d’un fiato, appoggiando una mano su
quella che lui teneva sulla sua spalla.
-Cosa?
Ma che ragione hanno per…?-
-Volevo
andare all’allenamento con Squalo, ma mi hanno chiuso in casa… Continuano a
ripetermi che “quest’ambiente sta distruggendo tutto il mio buonsenso e
l’educazione che mi è stata impartita”… Tu, piuttosto, come mai non…?-
-Perché
non mi sentivo tanto bene.- tagliò corto -Ma questo non ha importanza,
continua.-
-… e
quindi ritengono che cambiare città sia la soluzione più… giusta, ecco.-
Despoti. Non pensano mai al
suo bene, mai. Sempre a vivere in funzione di party e miliardi, ‘sti egoisti.
Ed ora, tutto d’un tratto, si ricordano di avere una figlia, pazzesco! Mi
chiedo come Celeste possa essere così diversa da loro… Per fortuna
l’ha cresciuta la nonna, altrimenti chissà che fine avrebbe fatto…
Al
solo pensiero, il ragazzo rabbrividì.
-“Se
Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto”.- Celeste imitò il
tono grave ed arcigno del padre, ma la vocina stridula e innaturalmente alta
che le uscì dalla bocca riuscì soltanto a produrne una goffa copia.
Lucifero
la vide con lo sguardo perso nel vuoto, fissare le tende polverose, per poi
voltarsi e aggiungere:
-Beh,
una volta tanto ha azzeccato un proverbio, no?- e si abbandonò ad una risata,
falsissima come i soldi del Monopoli.
Poi
prese a stringergli la mano con forza, quasi facendogli male.
-La
verità è che…- cominciò, poi si bloccò e scosse la testa.
Lui
ricambiò la stretta e le fece cenno di proseguire.
-…che
mi manca da matti la nonna.- concluse rapidamente, tirando su con il naso.
La
nonna di Celeste se n’era andata da un mesetto abbondante, in una calda serata
di aprile, dopo aver chiacchierato amabilmente con lei fino all’ultimo istante.
La
nipote ne aveva sofferto tantissimo, ma non lo aveva mai dato a vedere a
nessuno, perché odiava la compassione che un lutto poteva far insorgere nella
gente.
-Puzza di finto- aveva detto una volta, ed
era tutto vero: le persone erano dispiaciute solo nelle rare volte in cui i
suoi erano a casa, per il tempo restante la lasciavano sola.
Lucifero
non riuscì a far altro che alzare l’altra mano e accarezzarle una guancia,
mentre una lacrima silenziosa gli si insinuava tra le dita.
-Lo
sai che con me non devi fare la dura, vero?-
A
quelle parole la ragazza gli si buttò tra le braccia, singhiozzando come una
bimba indifesa e lasciando finalmente le lacrime libere di rigarle il volto.
In
un’altra situazione sarebbe diventato di tutti i colori, ma quella volta parve
non farci troppo caso e le cinse la vita, cullandola lentamente.
-Lei…
lei mi avrebbe dato una mano, ne sono certa.- riuscì a dire dopo un paio di
minuti, tra un singulto e l’altro.
-Anch’io
la penso come te… Ma davvero non c’è più nulla da fare?-
Celeste
scosse la testa debolmente, ormai rassegnata, staccandosi da lui e dirigendosi
alla porta-finestra per guardare fuori.
Lucifero
la seguì con lo sguardo e non poté ignorare la fitta al cuore.
Non l’avrebbe più rivista?
Solo
a pensare a quelle stupide cinque parole gli veniva una voglia matta di
sgattaiolare fuori dall’orfanotrofio e andare a dirgliene quattro a quei
ricconi da strapazzo dei Riffler.
Celeste
era sua amica: lo aveva aiutato in
parecchie situazioni scomode, lo aveva ascoltato un’infinità di volte, gli
aveva fatto capire che essere orfani non era di certo una sua colpa.
In
un certo senso, si assomigliavano:
lui senza genitori, lei con padre e madre costantemente assenti (e non
solamente quand’erano fuori per lavoro, capiamoci: pure a casa sembravano degli
ectoplasmi).
Era
destino che diventassero così uniti,
no?
Ma
da un po’ di tempo Lucifero aveva capito che per lui Celeste non si trattava
più solo di una semplice amica, bensì
di qualcosa di più importante, che però non riusciva e soprattutto non voleva chiamare con il suo vero
nome.
Non
aveva mai avuto una chiara idea di cosa volesse dire amare, e non la voleva nemmeno avere, avendola sempre ritenuta
un’insulsa perdita di tempo.
Ma
la prima volta in cui riuscì a scorgere la malinconia che velava gli scuri
occhi dell’amica, il cuore aveva fatto una capriola e un tuffo, per poi
ritornare ai suoi soliti ritmi, lasciandolo di sasso.
Era
quello il famigerato amore di cui
tutti andavano parlando?
Giorno
dopo giorno aveva maturato un interesse sempre più profondo nei confronti della
ragazza, non dando però mai occasione ai suoi sentimenti di uscire allo
scoperto.
Era
sì sua amica, ma era pur sempre ricca: e se un giorno, come erano soliti dire i
Riffler, si fosse stufata di loro, di lui?
Magari
erano solamente un passatempo passeggero, un momento di sbandamento: con quale
coraggio sarebbe riuscito a dirle tutto quello che provava, una volta emersa
una possibile verità alquanto sgradevole?
Perso
com’era nei suoi pensieri, non si accorse della vicinanza della ragazza e della
mano che gli stava carezzando leggera la guancia destra.
Riscosso
da quel tocco, divenne improvvisamente rosso, tanto che Celeste dovette
scostare la mano, per paura di scottarsi.
Ma
quella carezza così delicata aveva quasi sciolto del tutto il ghiaccio del
cuore di Lucifero, tanto che si trovò, senza rendersene conto, ad afferrare la
mano della ragazza a mezz’aria, balbettando: -Celeste, io…-
L’amica
lo fissò nelle iridi smeraldine, facendogli quasi cedere le gambe.
Una
volta accortosi di quello che stava combinando, si affrettò a mollare la presa
e ad allontanarsi da lei in tutta fretta, mormorando un: -Niente, niente.-
Seppure
girato, riuscì lo stesso a sentire il suo
sguardo fisso sulla schiena, che lo stava rendendo a dir poco nervoso, così
riprese a finire di sistemarle il letto.
-Ecco,
il letto di Gianni è pronto… Credo che il materasso sia morbido come al
solito…- le disse dopo cinque minuti di assoluto silenzio, sforzandosi di
essere il più naturale possibile.
-Ah,
grazie, ma io pensavo…- cominciò lei incerta.
-Pensavi…?-
-…pensavo
che per stanotte avrei potuto dormire nel letto di Memorino…- continuò
velocissima, senza guardarlo in faccia.
Lucifero
ci rimase di sasso: il letto di Memorino era proprio di fianco al suo, e chissà
che casini sarebbero potuti succedere, se la Bifferi avesse scoperto il tutto!
In
realtà i problemi nascevano già dal fatto che Celeste fosse in camera sua, a
prescindere dal letto in cui dovesse coricarsi, ma questi per Lucifero erano
soltanto puri e semplici dettagli superflui, da tralasciare.
Non
voleva ammettere a se stesso che la vicinanza di Celeste gli causava parecchi
scompensi ormonali da diciassettenne e che probabilmente, se solo ne avesse
avuto l’occasione, non sarebbe riuscito a rispondere delle proprie azioni.
Celeste
gli sventolò una mano davanti agli occhi, avendo notato il suo sguardo perso
nel vuoto, e aggiunse quasi speranzosa: -Allora, che ne dici?-
Il
ragazzo sbatté le palpebre più volte e si affrettò a ribattere: -Dico
assolutamente no, non se ne parla
proprio.- e si diresse a grandi falcate verso il proprio letto.
Con
la coda dell’occhio vide la ragazza fissarlo mesta e poi, d’un tratto, sparire
dietro le lenzuola appese. Un istante dopo la maglia viola e i jeans scuri
poggiavano sopra il paravento improvvisato, mentre le scarpe da ginnastica
vennero scalciate verso il letto di Johnny.
“Avrà già indossato la mia
maglietta?” pensò
Lucifero, il naso appena fuori dalle coperte.
Infatti
aveva cercato un pigiama dei gemelli, che avevano pressappoco la taglia della
ragazza, ma sembravano volatilizzati nel nulla, così decise di darle la sua
maglietta a righe bianche e nere, la sua
preferita.
“Almeno mi rimarrà il suo
profumo.” rifletté
tristemente, prima di spegnere la luce e chiudere gli occhi.
***
Un
tuono più forte degli altri fece tremare la vetrata e non solo: tra le
lenzuola, Celeste rabbrividì terrorizzata, vittima della paura dei temporali
che si trascinava dietro da ormai diciassette anni.
-Se
solo la nonna fosse qui…- mormorò a voce bassa, gli occhi lucidi.
In
realtà la ragazza non era l’unica che non riusciva a dormire: anche Lucifero
aveva il suo stesso problema, o meglio, era tormentato da incubi mostruosi e
continuava a rigirarsi da una parte all’altra, senza posa.
Sentendolo
mormorare delle frasi senza senso, Celeste balzò dal letto con una mossa
felina, gli si avvicinò e, stando ben attenta a non svegliarlo, gli posò una
mano sulla fronte.
La
ritrasse in fretta, spaventata: era caldissimo, di sicuro la febbre era molto
alta.
Un
mugolio la terrorizzò ancor di più, ma era solo l’amico che si rigirava sul
fianco opposto a quello su cui era appoggiato fino ad una manciata di secondi
prima, cercando inutilmente una posizione comoda.
-Celeste…-
lo sentì biascicare, dopo essere tornato a pancia insù.
La
ragazza gli ritornò vicina e lo guardò meglio: le guance in fiamme, Lucifero
era madido di sudore, ma conservava sempre quel suo certo fascino da bel
tenebroso.
-Celeste…
ti… ti prego…- mormorò nuovamente.
La
ragazza sorrise, intenerita da quel Lucifero così indifeso, una veste che di
certo non era abituato a portare, e gli passò una mano tra i capelli ancor più
scompigliati del solito.
Una
carezza però venne bloccata a metà: il ragazzo le stava stringendo il polso con
dolce fermezza, impedendole di muoversi.
Rimase
immobile, quasi in apnea, le guance in fiamme: situazioni del genere non erano
all’ordine del giorno.
Finalmente
il ragazzo si decise a mollare la presa, e lei riprese a respirare
regolarmente: non sapeva dire con certezza per quanto aveva trattenuto il
respiro, ma le parevano anni.
***
La
prima cosa che vide, appena aperti gli occhi, fu qualcosa di molto sgranato,
che però gli pareva al contempo bellissimo.
E bellissima era, non appena riuscì a
mettere a fuoco quel qualcuno che lo fissava.
Davanti
ai suoi occhi comparve Celeste, vestita solo della sua maglietta (e sottolineo sua,
di nessun altro! *incursione di Lucifero nel corpo dell’autrice* ndA), i piedi
nudi e le guance deliziosamente
rosse. I capelli mossi le arrivavano all’incirca a metà schiena, ricadendole
sulle spalle in dolci onde che la facevano rassomigliare ad una principessa.
E
poco importava se era contessina: per lui era una principessa, la sua principessa.
Scosse
la testa, impaurito: che cazzo stava pensando?
-Lucifero,
tutto ok? Ti ho sentito urlare nel sonno e ho pensato che stessi male… Hai la
fronte che scotta tantissimo…- lo risvegliò lei, sedendosi sul letto.
-Eh?
Ehm, no no, tranquilla… Ho un
po’ di caldo, ma niente di che, sul serio!- rise allegro, tentando di
mascherarle l’imbarazzo iniziale e tirandosi su, la schiena sulla
testiera.
Il
minuto di silenzio che seguì venne improvvisamente interrotto da un tuono
potentissimo, che pareva aver quasi squarciato il tetto.
Fedele
alla sua indole, Celeste fece un balzo, travolgendo Lucifero e mettendogli le
braccia al collo, in cerca della sua protezione.
-Solo…
solo cinque minuti, ti prego… poi, poi me ne andrò, te lo giuro…- balbettò lei,
tremante come una foglia e anticipando qualsiasi tentativo di lui di articolare
una frase di senso compiuto.
L’unica
risposta che ricevette furono le braccia di lui attorcigliate in vita e qualche
bacio tra i lunghi capelli setosi.
E
pazienza se il romanticismo non faceva per lui, ormai aveva deciso: avrebbe
trovato il coraggio e le avrebbe confessato i suoi sentimenti.
-Celeste,
io… io ho talmente tante cose che vorrei dirti, ma… ma non so da quale
cominciare…- esordì lui, schiarendosi la voce e sostituendo i baci con delle
carezze.
Alzare
gli occhi in direzione del ragazzo fu un grosso errore per Celeste o almeno,
così credeva Lucifero.
-Mi
odierai, per questo.- fece lui, avvicinandosi alle labbra e baciandola piano,
con una lentezza quasi ritmata.
Chiuse
gli occhi per sentire di meno il bruciore sulla guancia che gli avrebbe causato
lo schiaffo che si aspettava ma invece, con sua grande sorpresa, Celeste
intrecciò le proprie dita alle sue, poggiate appena sul letto, e ricambiò il
bacio, dischiudendo le labbra altrettanto lentamente.
E in
quel bacio c’era tutta la dolcezza disarmante di lei, quella seminascosta di
lui e, ancora, quella inattesa che la tempesta aveva portato con sé.
Dopo
una manciata di minuti si staccarono, rossi in viso, senza avere il coraggio di
guardarsi negli occhi.
-Voglio
passare la notte insieme a te.-
Per
un momento a Lucifero parve di essere andato al Creatore ma, ripresosi in
fretta, le si avvicinò e le scostò una ciocca dietro l’orecchio.
E
lei, quasi avesse capito quello che voleva dirle, lo anticipò, con voce ferma:
-Sì, sono sicura di quello che sto per fare.-
I
grandi occhi verdi sembrarono scintillare di gioia, quando lui le sorrise e la
baciò leggero.
-Hai
paura?-
-Un
po’.- si lasciò sfuggire, carezzandogli malinconica una guancia.
La
calma che avvolgeva placida la stanza venne interrotta a sorpresa dal ragazzo.
-Anch’io.- confessò in un soffio.
Celeste
lo fissò attonita, per poi precipitarsi a baciarlo teneramente e sussurrargli a
fior di labbra: -Sei così dolce…-
Lucifero
arrossì fino alle punte dei capelli, ma decise di fregarsene e assaggiare
nuovamente le sue labbra.
In
seguito prese a strofinarle il naso sul collo e a posarvi dei baci
delicatamente, facendo scorrere la bocca dal mento allo sterno, mentre Celeste
socchiuse gli occhi dal piacere e inclinò leggermente il capo, facendo quasi le
fusa.
A
quel mugolio di apprezzamento prese a sfilarle la maglia di dosso, senza
smettere di baciarla, mentre lei fece lo stesso con i suoi pantaloni.
Lucifero
classificò come delizioso il completino
turchese in pizzo in cui era rimasta Celeste, iniziando poi a baciarle le
spalle e le braccia, intanto che lei gli accarezzava il petto.
Le
mani del ragazzo indugiarono parecchio sul bordo del reggiseno: non se la sentiva
di compiere un passo così importante,
specie con lei.
Non
le poteva offrire nulla, non le poteva promettere mari e monti, non c’erano
aspettative rosee in un futuro con lui.
Si
staccò da lei e chinò la testa, guardando il pavimento.
Celeste
lo fissò stupita, non capendo subito perché si fosse bloccato proprio in quel
momento.
-Lucifero…-
gli carezzò poi una guancia, costringendolo a guardarla negli occhi -Non
m’interessa se sei cresciuto in un orfanotrofio o tra quattro mura domestiche;
se ho preso una decisione del genere, è perché non me ne pentirò. Non è il tuo
conto in banca che m’interessa: tutto quello di cui ho bisogno sei tu, e nessun altro. E pazienza se domani
dovrò partire: sono certa che questa
notte non la dimenticherò, non la dimenticheremo mai.-
Gli
occhi di giada sembrarono aver trovato una nuova luce, incastonata un po’ anche
nell’unica lacrima che, furtiva, solcò il profilo di Lucifero, prima che
Celeste l’asciugasse con un polpastrello.
Il
ragazzo si chinò per baciarla e, senza rendersene conto, le sussurrò a fior di
labbra: -Ti amo, Celeste.-
-Anch’io,
Lucifero. Anch’io.-
Carezzandole
le curve sinuose, riuscì a slacciarle il reggiseno e glielo sfilò gentilmente,
per poi finire di spogliarla.
E
mi fa piangere, sospirare
così
Celeste, she’s my baby...
Così Celeste,
Zucchero. Ce la regala lo stereo di una macchina appartata, il giradischi di
qualche terrazza, il mio cuore in festa, forse.
E
mi fa ridere, bestemmiare
e
brucia il fuoco, she’s my baby…
-Ti
farò un po’ male…-
L’unica
risposta che ricevette fu uno splendido sorriso rassicurante, così, non appena
Celeste scivolò tra le lenzuola, fece aderire il suo corpo a quello della
ragazza, entrando in lei con una delicatezza sconosciuta perfino a lui stesso.
Gli
occhi si allagano
e
la ninfea galleggia in fiore, che maggio sia;
e
per amarti meglio, amore mio,
figliamo
rose, lo voglio anch’io…
-Ti prego, l’hai
detto tu stessa di non piangere… È vero, domani forse non ci saremo più, ma questa
notte è nostra, Celeste, e io non la
dimenticherò mai, è una promessa.-
Le lacrime
smisero di colpo di rigarle il volto, mentre le labbra si misero a cercare con
foga quelle del ragazzo che, a loro volta, si fecero stanare in fretta.
Lei
mi fa vivere e accende il giorno,
così Celeste, she’s my baby;
come
un pianeta che mi gira intorno
e
brucia il fuoco, she’s my baby…
E
poi, e poi solo mani che si rincorrevano e che si attorcigliavano in un unico
groviglio di carne ed ossa, occhi che inseguivano promesse lontane nel buio più
nero, baci più profondi di un abisso.
Lei
lo fa come avesse sete…
Ma sul serio
Celeste non riusciva a sentire quella canzone che gli scorreva sul corpo come
sangue nelle vene?
Sulla
mia pelle lieve, come neve…
Beh, poco importava:
l’unica cosa che contava era che in quel momento fossero una cosa sola, inseparabile.
***
Le
pareti della stanza si tinsero di un rosa antico, mentre il viso di Lucifero si
risvegliò dipinto di un bel corallo acceso.
Celeste
dormiva beata, accoccolata sul suo petto, i capelli che gli solleticavano i
pettorali.
Ma
il brivido che sentì dentro il cuore non era un banale solletico, questo lo sapeva bene.
L’alba
stava per spuntare all’orizzonte, e presto avrebbe lasciato spazio ad un cielo
terso, le nuvole spazzate via dal telo così innaturalmente puro, celeste.
Le
baciò la fronte, conscio che l’avrebbe dovuta lasciar volare via tra meno di
quattro ore, ma non c’era nessun pentimento, nessun rimpianto, nessuna
delusione in quel pensiero triste.
Solamente
la melanconica speranza di poter trascorrere altre notti con lei, e ancora, e
ancora, persi in quel buio così celeste.
Potrebbe
essere di chi spera,
ma
nel mio cuore è mia.
Note (parte II): Ooook, sarà un po’ troppo dolciastra
o quant’altro, ma è una delle poche ff a cui sono
particolarmente affezionata ^^
E, ci tengo a precisarlo, è la prima scena
diciamo hot che scrivo ( e si vede
°A°) Abbiate pietà >/////<
Vi consiglio di ascoltare la canzone qui,
qui c’è il duetto con Cheb Mami e, soprattutto, la splendida versione live
per Nelson Mandela con quei miti di Brian May e Roger Taylor dei Queen <3333
Ora scappo e vi lascio recensire, se avete
intenzione di farlo :D
Bacioni,
Dazed;