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Autore: DazedAndConfused    16/09/2010    14 recensioni
Un acquazzone primaverile porta con sé delle novità ad un Lucifero costretto a letto dalla febbre...
Genere: Fluff, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Così Celeste (She’s my baby.)

Fandom: La Compagnia dei Celestini

PG: Lucifero, Celeste

Avvertimenti: Fluff (se non erro xDD), introspettiva, song-fic

Conteggio parole: 3929, a quanto pare (:

Note (parte I): Aridaje col fluff: ora non mi ferma più nessuno, muahahaha :DDD Beh, ho avuto un vero flash ascoltando questa canzone, e mi sono subito precipitata a buttar giù quelle che credevo fossero”due righe”, che poi si sono rivelate essere un filino di più x°°°DDD

Disclaimer: Lucifero e Celeste appartengono a quel drittone di Stefano Benni e a coloro che ne hanno acquistato i diritti per farne un cartone u___ù

 

 

 

Dedicata ad Hikari, la mia musa ispiratrice.

 

 

Così Celeste 
She’s my baby.

 

Le gocce di pioggia battevano insistenti sul vetro della finestra, impedendogli di riposare: aveva le ossa indolenzite e qualche linea di febbre, così la Bifferi gli aveva consigliato di rimanere a letto tutto il giorno.

Memorino e i gemelli sarebbero rimasti fuori per tutta la notte, dato che Squalo aveva in serbo per loro un super-allenamento coi fiocchi, in vista dell’imminente partita contro i Meniños.

-Peccato, un po’ di compagnia non mi avrebbe poi fatto così male…- mormorò a voce bassa, salvo poi scuotere la testa e girarsi sul fianco destro: questi non erano pensieri tipici di Lucifero, bensì di una donnicciuola piagnucolona.

Il ticchettio sul vetro stava diventando sempre più insopportabile, così si cacciò il cuscino sulla testa, intenzionato a soffocare tutto quel baccano.

Una goccia, però, sembrava essere più pesante rispetto alle altre, avendo fatto un rumore più secco del solito; così, temendo una bufera di grandine, si alzò a fatica e si avvicinò alla porta-finestra, spalancandola di colpo e scrutando il cielo che, nonostante l’ora tarda, poteva benissimo essere definito plumbeo.

Temporali del genere erano il biglietto di visita di marzo, non di maggio.

Una sferzata di vento gelido lo accolse ruvida e tagliente, come la lama del rasoio che ogni tanto si divertiva a ferirgli una guancia, ora la destra, ora la sinistra, ora entrambe.

Fu però qualcos’altro a ferirlo non solo metaforicamente parlando:

-Porca puttana...!- imprecò, portandosi una mano sul lato destro della fronte, sentendo il calore del sangue colargli leggermente tra le dita.

Diede un’occhiata per terra e notò un sasso di media misura dalla punta appuntita.

Ricordandosi che la Natura ultimamente stava partorendo vari disastri ambientali ma che i sassi non avevano ancora cominciato a cadere dal cielo, guardò nel buio fitto del giardino.

E lì, tra l’acqua e l’erba, intravide una figura incappucciata avanzare incerta.

Strinse gli occhi, quasi a voler rendere più acuta la vista, ma non vide niente di più di un’ombra che si stava avvicinando al grande acero che ogni giorno gli copriva la visuale della strada.

Improvvisamente lo sconosciuto si attaccò ad uno dei rami con l’agilità di uno scoiattolo e, dopo essersi dondolato abbastanza, planò esattamente sul terrazzino, costringendo Lucifero a spostarsi se non voleva assumere la funzione di materasso.

-Chi diavolo sei?- chiese con un tono tra lo spaventato e l’incazzato.

La figura incappucciata si tastò il sedere e si alzò a fatica:

-Lucifero, non mi riconosci?-

Quella voce.

L’ombra si tolse il cappuccio, mostrando due codini fradici e un paio di occhi cioccolato che il ragazzo conosceva bene.

-Celeste…?-

-In carne ed ossa!- rise lei.

-Che… Che ci fai qua?- mormorò lui, piuttosto stupefatto. Poi, accorgendosi di essere nel bel mezzo di una tempesta con la T maiuscola, decise di riprendere la discussione all’asciutto, facendo entrare l’amica nella stanza e richiudendosi la porta-finestra alle spalle.

 

-Ma sei bagnata fradicia! Sembri un pulcino…- continuò lui, sottolineando l’ultima parola quasi con dolcezza.

-Beh, questo K-Way l’hanno pagato una fortuna e guarda… S’è pure rotta la cerniera…- sorrise tristemente lei, un sorriso che assomigliava più ad una smorfia.

Allora il ragazzo si diresse verso il proprio armadietto e le porse un asciugamano, aggiungendo: -Vorrei poterti dire che puoi tranquillamente farti una doccia con comodo ma, come ben sai, non abbiamo quest’optional.-

-Fa niente, grazie lo stesso.- gli sorrise grata, dopo essersi seduta sulla vecchia nonché unica poltrona di cui potevano disporre, e iniziò ad asciugarsi le goccioline che continuavano a scorrerle sulle guance.

Lucifero sapeva bene il motivo dell’inaspettata visita di Celeste, per quanto potesse essere definita tale. Difatti la ragazza non era nuova a fughe di casa, causate da frequenti litigi con i genitori, e lui e gli altri l’avevano ospitata ogni volta: uno dei gemelli le cedeva il letto, solitamente quello di Gianni perché aveva il materasso più morbido, e andava a dormire con il fratello, mentre Memorino aveva escogitato un sistema di lenzuola appese per crearle uno spazio tutto suo.

Ma stavolta era diverso: sapeva con certezza che ora non si trattava di una semplice baruffa con i suoi; stavolta dovevano averla combinata grossa, perché Celeste era apparsa più sconvolta del solito.

-Che hanno fatto stavolta?-

La domanda di Lucifero risuonò in tutta la camera, interrompendo il silenzio e facendo sussultare leggermente la ragazza.

-Mmm, niente di che.- fece lei asciutta, storcendo un po’ il naso e frizionandosi i capelli.

Lucifero alzò gli occhi al cielo, interrompendo l’allestimento della camera per la ragazza: Dio, quanto la odiava quando faceva la vaga… Se c’era una cosa che lo mandava veramente in bestia era proprio l’essere vaghi, il non vuotare subito il sacco: non riusciva proprio a digerirlo, tutto quel mistero.

-Avanti, Celeste!- incalzò scocciato -Stasera i tuoi giochetti proprio non mi vanno… Lo sai benissimo che qualcosa è successo, no? Altrimenti, perché mai saresti venuta alle nove e mezza di sera, qui, tutta sola, sotto il Diluvio Universale? Cos’è, volevi semplicemente vedermi?-

La ragazza arrossì un po’ e, fissandolo negli occhi, ribatté: -E se anche fosse?-

Quella risposta spiazzò Lucifero.

Quella ragazza… era pazza, pazza!

E ora ne aveva le prove.

Ma erano risposte da dare?

Le guance gli si imporporarono leggermente ma, deglutendo una quantità industriale di saliva, riuscì a scoppiare in un riso ostentato: -Ah, questa era veramente bella!-

Poi, tornando serio: -Avanti, non prendermi per il culo. Sputa il rospo. Non sei mai, e sottolineo mai, venuta di soppiatto dal giardino! Vuol dire che stavolta è un casino assurdo, o sbaglio?-

La ragazza si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo e guardandosi le scarpe zuppe: come al solito Lucifero era riuscito a cogliere nel segno.

L’intuito del ragazzo era qualcosa che andava aldilà del famoso “sesto senso”, perché era in grado di studiare le proprie “vittime” in ogni loro minimo particolare, con una semplice occhiata.

Alla vista di quella reazione, il cuore di Lucifero perse un colpo, intenerito da quel pulcino bagnato, che ora si stringeva nelle braccia, sempre a capo chino.

Avvicinarsi e poggiarle una mano sulla spalla fu quasi un gesto automatico, come il dirle:

-Celeste, sai che ti puoi fidare di me. Se è successo qualcosa, devi dirmelo.-

A quel contatto improvviso, Celeste alzò la testa di scatto e gli mostrò i grandi occhi colmi di lacrime, come dighe sul punto di straripare, accompagnati da un leggero rossore sulle guance.

-Vogliono… Vogliono trasferirsi.- sussurrò tutto d’un fiato, appoggiando una mano su quella che lui teneva sulla sua spalla.

-Cosa? Ma che ragione hanno per…?-

-Volevo andare all’allenamento con Squalo, ma mi hanno chiuso in casa… Continuano a ripetermi che “quest’ambiente sta distruggendo tutto il mio buonsenso e l’educazione che mi è stata impartita”… Tu, piuttosto, come mai non…?-

-Perché non mi sentivo tanto bene.- tagliò corto -Ma questo non ha importanza, continua.-

-… e quindi ritengono che cambiare città sia la soluzione più… giusta, ecco.-

 

Despoti. Non pensano mai al suo bene, mai. Sempre a vivere in funzione di party e miliardi, ‘sti egoisti. Ed ora, tutto d’un tratto, si ricordano di avere una figlia, pazzesco! Mi chiedo come Celeste possa essere così diversa da loro… Per fortuna l’ha cresciuta la nonna, altrimenti chissà che fine avrebbe fatto…

 

Al solo pensiero, il ragazzo rabbrividì.

-“Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto”.- Celeste imitò il tono grave ed arcigno del padre, ma la vocina stridula e innaturalmente alta che le uscì dalla bocca riuscì soltanto a produrne una goffa copia.

Lucifero la vide con lo sguardo perso nel vuoto, fissare le tende polverose, per poi voltarsi e aggiungere:

-Beh, una volta tanto ha azzeccato un proverbio, no?- e si abbandonò ad una risata, falsissima come i soldi del Monopoli.

Poi prese a stringergli la mano con forza, quasi facendogli male.

-La verità è che…- cominciò, poi si bloccò e scosse la testa.

Lui ricambiò la stretta e le fece cenno di proseguire.

-…che mi manca da matti la nonna.- concluse rapidamente, tirando su con il naso.

 

La nonna di Celeste se n’era andata da un mesetto abbondante, in una calda serata di aprile, dopo aver chiacchierato amabilmente con lei fino all’ultimo istante.

La nipote ne aveva sofferto tantissimo, ma non lo aveva mai dato a vedere a nessuno, perché odiava la compassione che un lutto poteva far insorgere nella gente.

-Puzza di finto- aveva detto una volta, ed era tutto vero: le persone erano dispiaciute solo nelle rare volte in cui i suoi erano a casa, per il tempo restante la lasciavano sola.

 

Lucifero non riuscì a far altro che alzare l’altra mano e accarezzarle una guancia, mentre una lacrima silenziosa gli si insinuava tra le dita.

-Lo sai che con me non devi fare la dura, vero?-

A quelle parole la ragazza gli si buttò tra le braccia, singhiozzando come una bimba indifesa e lasciando finalmente le lacrime libere di rigarle il volto.

In un’altra situazione sarebbe diventato di tutti i colori, ma quella volta parve non farci troppo caso e le cinse la vita, cullandola lentamente.

-Lei… lei mi avrebbe dato una mano, ne sono certa.- riuscì a dire dopo un paio di minuti, tra un singulto e l’altro.

-Anch’io la penso come te… Ma davvero non c’è più nulla da fare?-

Celeste scosse la testa debolmente, ormai rassegnata, staccandosi da lui e dirigendosi alla porta-finestra per guardare fuori.

 

Lucifero la seguì con lo sguardo e non poté ignorare la fitta al cuore.

Non l’avrebbe più rivista?

Solo a pensare a quelle stupide cinque parole gli veniva una voglia matta di sgattaiolare fuori dall’orfanotrofio e andare a dirgliene quattro a quei ricconi da strapazzo dei Riffler.

Celeste era sua amica: lo aveva aiutato in parecchie situazioni scomode, lo aveva ascoltato un’infinità di volte, gli aveva fatto capire che essere orfani non era di certo una sua colpa.

In un certo senso, si assomigliavano: lui senza genitori, lei con padre e madre costantemente assenti (e non solamente quand’erano fuori per lavoro, capiamoci: pure a casa sembravano degli ectoplasmi).

Era destino che diventassero così uniti, no?

Ma da un po’ di tempo Lucifero aveva capito che per lui Celeste non si trattava più solo di una semplice amica, bensì di qualcosa di più importante, che però non riusciva e soprattutto non voleva chiamare con il suo vero nome.

Non aveva mai avuto una chiara idea di cosa volesse dire amare, e non la voleva nemmeno avere, avendola sempre ritenuta un’insulsa perdita di tempo.

Ma la prima volta in cui riuscì a scorgere la malinconia che velava gli scuri occhi dell’amica, il cuore aveva fatto una capriola e un tuffo, per poi ritornare ai suoi soliti ritmi, lasciandolo di sasso.

Era quello il famigerato amore di cui tutti andavano parlando?

Giorno dopo giorno aveva maturato un interesse sempre più profondo nei confronti della ragazza, non dando però mai occasione ai suoi sentimenti di uscire allo scoperto.

Era sì sua amica, ma era pur sempre ricca: e se un giorno, come erano soliti dire i Riffler, si fosse stufata di loro, di lui?

Magari erano solamente un passatempo passeggero, un momento di sbandamento: con quale coraggio sarebbe riuscito a dirle tutto quello che provava, una volta emersa una possibile verità alquanto sgradevole?

 

Perso com’era nei suoi pensieri, non si accorse della vicinanza della ragazza e della mano che gli stava carezzando leggera la guancia destra.

Riscosso da quel tocco, divenne improvvisamente rosso, tanto che Celeste dovette scostare la mano, per paura di scottarsi.

Ma quella carezza così delicata aveva quasi sciolto del tutto il ghiaccio del cuore di Lucifero, tanto che si trovò, senza rendersene conto, ad afferrare la mano della ragazza a mezz’aria, balbettando: -Celeste, io…-

L’amica lo fissò nelle iridi smeraldine, facendogli quasi cedere le gambe.

Una volta accortosi di quello che stava combinando, si affrettò a mollare la presa e ad allontanarsi da lei in tutta fretta, mormorando un: -Niente, niente.-

Seppure girato, riuscì lo stesso a sentire il suo sguardo fisso sulla schiena, che lo stava rendendo a dir poco nervoso, così riprese a finire di sistemarle il letto.

-Ecco, il letto di Gianni è pronto… Credo che il materasso sia morbido come al solito…- le disse dopo cinque minuti di assoluto silenzio, sforzandosi di essere il più naturale possibile.

-Ah, grazie, ma io pensavo…- cominciò lei incerta.

-Pensavi…?-

-…pensavo che per stanotte avrei potuto dormire nel letto di Memorino…- continuò velocissima, senza guardarlo in faccia.

Lucifero ci rimase di sasso: il letto di Memorino era proprio di fianco al suo, e chissà che casini sarebbero potuti succedere, se la Bifferi avesse scoperto il tutto!

In realtà i problemi nascevano già dal fatto che Celeste fosse in camera sua, a prescindere dal letto in cui dovesse coricarsi, ma questi per Lucifero erano soltanto puri e semplici dettagli superflui, da tralasciare.

Non voleva ammettere a se stesso che la vicinanza di Celeste gli causava parecchi scompensi ormonali da diciassettenne e che probabilmente, se solo ne avesse avuto l’occasione, non sarebbe riuscito a rispondere delle proprie azioni.

Celeste gli sventolò una mano davanti agli occhi, avendo notato il suo sguardo perso nel vuoto, e aggiunse quasi speranzosa: -Allora, che ne dici?-

Il ragazzo sbatté le palpebre più volte e si affrettò a ribattere: -Dico assolutamente no, non se ne parla proprio.- e si diresse a grandi falcate verso il proprio letto.

Con la coda dell’occhio vide la ragazza fissarlo mesta e poi, d’un tratto, sparire dietro le lenzuola appese. Un istante dopo la maglia viola e i jeans scuri poggiavano sopra il paravento improvvisato, mentre le scarpe da ginnastica vennero scalciate verso il letto di Johnny.

“Avrà già indossato la mia maglietta?” pensò Lucifero, il naso appena fuori dalle coperte.

Infatti aveva cercato un pigiama dei gemelli, che avevano pressappoco la taglia della ragazza, ma sembravano volatilizzati nel nulla, così decise di darle la sua maglietta a righe bianche e nere, la sua preferita.

“Almeno mi rimarrà il suo profumo.” rifletté tristemente, prima di spegnere la luce e chiudere gli occhi.

 

***

 

Un tuono più forte degli altri fece tremare la vetrata e non solo: tra le lenzuola, Celeste rabbrividì terrorizzata, vittima della paura dei temporali che si trascinava dietro da ormai diciassette anni.

-Se solo la nonna fosse qui…- mormorò a voce bassa, gli occhi lucidi.

In realtà la ragazza non era l’unica che non riusciva a dormire: anche Lucifero aveva il suo stesso problema, o meglio, era tormentato da incubi mostruosi e continuava a rigirarsi da una parte all’altra, senza posa.

Sentendolo mormorare delle frasi senza senso, Celeste balzò dal letto con una mossa felina, gli si avvicinò e, stando ben attenta a non svegliarlo, gli posò una mano sulla fronte.

La ritrasse in fretta, spaventata: era caldissimo, di sicuro la febbre era molto alta.

Un mugolio la terrorizzò ancor di più, ma era solo l’amico che si rigirava sul fianco opposto a quello su cui era appoggiato fino ad una manciata di secondi prima, cercando inutilmente una posizione comoda.

-Celeste…- lo sentì biascicare, dopo essere tornato a pancia insù.

La ragazza gli ritornò vicina e lo guardò meglio: le guance in fiamme, Lucifero era madido di sudore, ma conservava sempre quel suo certo fascino da bel tenebroso.

-Celeste… ti… ti prego…- mormorò nuovamente.

La ragazza sorrise, intenerita da quel Lucifero così indifeso, una veste che di certo non era abituato a portare, e gli passò una mano tra i capelli ancor più scompigliati del solito.

Una carezza però venne bloccata a metà: il ragazzo le stava stringendo il polso con dolce fermezza, impedendole di muoversi.

Rimase immobile, quasi in apnea, le guance in fiamme: situazioni del genere non erano all’ordine del giorno.

Finalmente il ragazzo si decise a mollare la presa, e lei riprese a respirare regolarmente: non sapeva dire con certezza per quanto aveva trattenuto il respiro, ma le parevano anni.

 

***

 

La prima cosa che vide, appena aperti gli occhi, fu qualcosa di molto sgranato, che però gli pareva al contempo bellissimo.

E bellissima era, non appena riuscì a mettere a fuoco quel qualcuno che lo fissava.

Davanti ai suoi occhi comparve Celeste, vestita solo della sua maglietta (e sottolineo sua, di nessun altro! *incursione di Lucifero nel corpo dell’autrice* ndA), i piedi nudi e le guance deliziosamente rosse. I capelli mossi le arrivavano all’incirca a metà schiena, ricadendole sulle spalle in dolci onde che la facevano rassomigliare ad una principessa.

E poco importava se era contessina: per lui era una principessa, la sua principessa.

Scosse la testa, impaurito: che cazzo stava pensando?

-Lucifero, tutto ok? Ti ho sentito urlare nel sonno e ho pensato che stessi male… Hai la fronte che scotta tantissimo…- lo risvegliò lei, sedendosi sul letto.

-Eh? Ehm, no no, tranquilla… Ho un po’ di caldo, ma niente di che, sul serio!- rise allegro, tentando di mascherarle l’imbarazzo iniziale e tirandosi su, la schiena sulla testiera.

Il minuto di silenzio che seguì venne improvvisamente interrotto da un tuono potentissimo, che pareva aver quasi squarciato il tetto.

Fedele alla sua indole, Celeste fece un balzo, travolgendo Lucifero e mettendogli le braccia al collo, in cerca della sua protezione.

-Solo… solo cinque minuti, ti prego… poi, poi me ne andrò, te lo giuro…- balbettò lei, tremante come una foglia e anticipando qualsiasi tentativo di lui di articolare una frase di senso compiuto.

L’unica risposta che ricevette furono le braccia di lui attorcigliate in vita e qualche bacio tra i lunghi capelli setosi.

E pazienza se il romanticismo non faceva per lui, ormai aveva deciso: avrebbe trovato il coraggio e le avrebbe confessato i suoi sentimenti.

-Celeste, io… io ho talmente tante cose che vorrei dirti, ma… ma non so da quale cominciare…- esordì lui, schiarendosi la voce e sostituendo i baci con delle carezze.

Alzare gli occhi in direzione del ragazzo fu un grosso errore per Celeste o almeno, così credeva Lucifero.

 

-Mi odierai, per questo.- fece lui, avvicinandosi alle labbra e baciandola piano, con una lentezza quasi ritmata.

Chiuse gli occhi per sentire di meno il bruciore sulla guancia che gli avrebbe causato lo schiaffo che si aspettava ma invece, con sua grande sorpresa, Celeste intrecciò le proprie dita alle sue, poggiate appena sul letto, e ricambiò il bacio, dischiudendo le labbra altrettanto lentamente.

E in quel bacio c’era tutta la dolcezza disarmante di lei, quella seminascosta di lui e, ancora, quella inattesa che la tempesta aveva portato con sé.

Dopo una manciata di minuti si staccarono, rossi in viso, senza avere il coraggio di guardarsi negli occhi.

 

-Voglio passare la notte insieme a te.-

Per un momento a Lucifero parve di essere andato al Creatore ma, ripresosi in fretta, le si avvicinò e le scostò una ciocca dietro l’orecchio.

E lei, quasi avesse capito quello che voleva dirle, lo anticipò, con voce ferma:

-, sono sicura di quello che sto per fare.-

I grandi occhi verdi sembrarono scintillare di gioia, quando lui le sorrise e la baciò leggero.

-Hai paura?-

-Un po’.- si lasciò sfuggire, carezzandogli malinconica una guancia.

La calma che avvolgeva placida la stanza venne interrotta a sorpresa dal ragazzo.

-Anchio.- confessò in un soffio.

Celeste lo fissò attonita, per poi precipitarsi a baciarlo teneramente e sussurrargli a fior di labbra: -Sei così dolce…-

Lucifero arrossì fino alle punte dei capelli, ma decise di fregarsene e assaggiare nuovamente le sue labbra.

In seguito prese a strofinarle il naso sul collo e a posarvi dei baci delicatamente, facendo scorrere la bocca dal mento allo sterno, mentre Celeste socchiuse gli occhi dal piacere e inclinò leggermente il capo, facendo quasi le fusa.

A quel mugolio di apprezzamento prese a sfilarle la maglia di dosso, senza smettere di baciarla, mentre lei fece lo stesso con i suoi pantaloni.

Lucifero classificò come delizioso il completino turchese in pizzo in cui era rimasta Celeste, iniziando poi a baciarle le spalle e le braccia, intanto che lei gli accarezzava il petto.

 

Le mani del ragazzo indugiarono parecchio sul bordo del reggiseno: non se la sentiva di compiere un passo così importante, specie con lei.

Non le poteva offrire nulla, non le poteva promettere mari e monti, non c’erano aspettative rosee in un futuro con lui.

 

Si staccò da lei e chinò la testa, guardando il pavimento.

Celeste lo fissò stupita, non capendo subito perché si fosse bloccato proprio in quel momento.

-Lucifero…- gli carezzò poi una guancia, costringendolo a guardarla negli occhi -Non m’interessa se sei cresciuto in un orfanotrofio o tra quattro mura domestiche; se ho preso una decisione del genere, è perché non me ne pentirò. Non è il tuo conto in banca che m’interessa: tutto quello di cui ho bisogno sei tu, e nessun altro. E pazienza se domani dovrò partire: sono certa che questa notte non la dimenticherò, non la dimenticheremo mai.-

Gli occhi di giada sembrarono aver trovato una nuova luce, incastonata un po’ anche nell’unica lacrima che, furtiva, solcò il profilo di Lucifero, prima che Celeste l’asciugasse con un polpastrello.

Il ragazzo si chinò per baciarla e, senza rendersene conto, le sussurrò a fior di labbra: -Ti amo, Celeste.-

-Anch’io, Lucifero. Anch’io.-

Carezzandole le curve sinuose, riuscì a slacciarle il reggiseno e glielo sfilò gentilmente, per poi finire di spogliarla.

 

E mi fa piangere, sospirare

così Celeste, she’s my baby...

 

Così Celeste, Zucchero. Ce la regala lo stereo di una macchina appartata, il giradischi di qualche terrazza, il mio cuore in festa, forse.

 

E mi fa ridere, bestemmiare

e brucia il fuoco, she’s my baby…

 

-Ti farò un po’ male…-

L’unica risposta che ricevette fu uno splendido sorriso rassicurante, così, non appena Celeste scivolò tra le lenzuola, fece aderire il suo corpo a quello della ragazza, entrando in lei con una delicatezza sconosciuta perfino a lui stesso.

 

Gli occhi si allagano

e la ninfea galleggia in fiore, che maggio sia;

e per amarti meglio, amore mio,

figliamo rose, lo voglio anch’io…

 

-Ti prego, l’hai detto tu stessa di non piangere… È vero, domani forse non ci saremo più, ma questa notte è nostra, Celeste, e io non la dimenticherò mai, è una promessa.-

Le lacrime smisero di colpo di rigarle il volto, mentre le labbra si misero a cercare con foga quelle del ragazzo che, a loro volta, si fecero stanare in fretta.

 

Lei mi fa vivere e accende il giorno,

così Celeste, she’s my baby;

come un pianeta che mi gira intorno

e brucia il fuoco, she’s my baby…

 

 

E poi, e poi solo mani che si rincorrevano e che si attorcigliavano in un unico groviglio di carne ed ossa, occhi che inseguivano promesse lontane nel buio più nero, baci più profondi di un abisso.

 

Lei lo fa come avesse sete…

 

Ma sul serio Celeste non riusciva a sentire quella canzone che gli scorreva sul corpo come sangue nelle vene?

 

Sulla mia pelle lieve, come neve…

 

Beh, poco importava: l’unica cosa che contava era che in quel momento fossero una cosa sola, inseparabile.

 

***

 

Le pareti della stanza si tinsero di un rosa antico, mentre il viso di Lucifero si risvegliò dipinto di un bel corallo acceso.

Celeste dormiva beata, accoccolata sul suo petto, i capelli che gli solleticavano i pettorali.

Ma il brivido che sentì dentro il cuore non era un banale solletico, questo lo sapeva bene.

L’alba stava per spuntare all’orizzonte, e presto avrebbe lasciato spazio ad un cielo terso, le nuvole spazzate via dal telo così innaturalmente puro, celeste.

Le baciò la fronte, conscio che l’avrebbe dovuta lasciar volare via tra meno di quattro ore, ma non c’era nessun pentimento, nessun rimpianto, nessuna delusione in quel pensiero triste.

Solamente la melanconica speranza di poter trascorrere altre notti con lei, e ancora, e ancora, persi in quel buio così celeste.

 

Potrebbe essere di chi spera,

ma nel mio cuore è mia.

 

 

 

 

Note (parte II): Ooook, sarà un po’ troppo dolciastra o quant’altro, ma è una delle poche ff a cui sono particolarmente affezionata ^^

E, ci tengo a precisarlo, è la prima scena diciamo hot che scrivo ( e si vede °A°) Abbiate pietà >/////<

Vi consiglio di ascoltare la canzone qui, qui c’è il duetto con Cheb Mami e, soprattutto, la splendida versione live per Nelson Mandela con quei miti di Brian May e Roger Taylor dei Queen <3333

Ora scappo e vi lascio recensire, se avete intenzione di farlo :D

 

Bacioni,

 

Dazed;

   
 
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