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Autore: Ezrebet    18/09/2010    2 recensioni
A L.A. Spike affronta i suoi fantasmi, e non solo. La vita lo costringe a capire che niente finisce per davvero.Vi racconto questa storia, prendendo spunto da una bellissima poesia di Pablo Neruda.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: William Spike
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"T’amo come si amano certe cose oscure,

segretamente, entro l’ombra e l’anima."

 

Gli occhi di Angel non l’avevano lasciato un istante. Come se gli fosse importato sul serio e, maledetto inferno, non poteva fare a meno di pensare che forse era proprio così. Quel vampiro triste e sdentato era stato accanto al suo letto per ore, mentre lui si fissava le mani, bendate e doloranti.

“E’ che non mi ero mai soffermato a pensare a loro. Alle vittime” aveva sussurrato evitando di proposito lo sguardo di Angel.

Ma aveva detto una bugia. Ci aveva pensato eccome, nel sotterraneo del liceo di Sunnydale, ma i pensieri, allora, erano confusi e spesso indotti da un’entità nascosta e malvagia che l’aveva quasi ammazzato. Nella follia di quel periodo, Spike aveva comunque trovato una sua soluzione, sebbene si fosse poi rivelata inutile: aveva tentato di non pensare.. Se ne era rimasto giorni interi a fissare la parete, riempiendosi occhi e cervello del suo bianco accecante, tentando di bloccare le voci e le immagini del passato, insieme al sussurro continuo dell’entità che agiva là sotto con l’unico scopo di farlo uscire totalmente di senno.

Non aveva alcun dubbio che Angel avesse intuito la bugia, sepolta tra gli strati di sofferenza ed autocommiserazione. Spike era certo che in quel preciso momento, nella penombra della stanza della clinica, Angel l’avesse compreso completamente. Ma aveva taciuto.

La spiegazione che si era dato era che fosse ancora troppo scioccato dall’incontro con Andrew, che gli aveva detto, senza mezzi termini, che Lei non si fidava più di lui, non da quando era diventato proprietà della Wolfram&Hart. Così scioccato da riservare a lui, l’insopportabile spina nel fianco che il fato continuava a mettergli sulla strada, un’attenzione particolare, un atteggiamento comprensivo che in cento anni non aveva mai fatto parte del loro rapporto.

Era stata Fred a spiegargli quanto era accaduto fuori da quel maleodorante magazzino dove aveva affrontato una potenziale cacciatrice impazzita. Lo aveva fatto guardandolo dritto negli occhi, come di solito faceva nel suo candore disarmante, mentre gli spiegava che le sue mani erano al loro posto, che avrebbe dovuto soltanto fare un po’ di fisioterapia, che se ne sarebbe occupata personalmente..

Chissà se Fred intuiva ciò che lui stava veramente passando. Che per un non morto, come era lui, dotato di un’anima intrisa di sangue, la sofferenza del corpo era una cosa minima, al cospetto delle cicatrici rosse che lo sfregiavano dentro e che, con un po’ di fortuna, avrebbero potuto al massimo sbiancare.. ma mai sparire del tutto. E per un essere destinato a non morire naturalmente, beh, questo era il peggior inferno immaginabile.

 

“Come vanno le cose?”.

La voce di Angel interruppe il flusso dei suoi pensieri. Senza guardarlo, Spike disse “Potrei spezzarti il collo con una mano sola”, il suo sarcasmo non scalfì il vampiro moro, che girò intorno al tavolo e si sedette comodo, fissandolo.

“Guardami”.

Spike rise forte scuotendo la testa, e lo fece.

“So benissimo che non è così. Fred mi aggiorna spesso. Non puoi ancora toglierti le bende, non puoi afferrare niente, tanto meno combattere”.

Per quanto si sforzasse, Spike non sentì un’ombra di ironia in quelle parole. Sbuffò, infastidito.

“E allora cosa? Vuoi farmi da valletto? Beh, forse ti potresti guadagnare una fetta di paradiso, aiutando un invalido..” fece tagliente. Tentò di prendere la bottiglia di birra dal tavolo, ma gli scivolò a terra, andando in mille pezzi. Frustrato, cacciò un grido, prendendosi la testa fra le mani “Vattene! Lasciami in pace! O ti diverte, questa situazione?”.

“Sai che non è così” disse subito Angel in tono serio. Non sembrava per niente scalfito dalla reazione del biondo. Spike si trovò a pensare che forse se l’era aspettata.

Sto diventando troppo prevedibile, pensò subito dopo, ancora più frustrato.

“Spike, rilassati. Per uno che è risorto dalle sue ceneri, questa è una passeggiata” continuò serio, facendogli alzare la testa di scatto. Se il suo sguardo avesse potuto, l’avrebbe incenerito all’istante.

Angel l’ignorò di nuovo e disse “Non è per questo che sono venuto in questo buco che tu chiami casa”.

A quelle parole, l’ossigenato si lasciò sfuggire una risata secca “Diavolo, non siamo mica tutti presidenti di un’infernale banda di avvocati!” gli lanciò un’occhiata sprezzante, mentre si alzava a raggiungere il frigorifero per prendere un’altra birra. Aprì lo sportello,  guardò un attimo le bottiglie, poi ci rinunciò. Lo richiuse con un colpo secco, vi si appoggiò ed incrociò le braccia sul petto “Allora, che vuoi? Se non sei venuto per esercitare il tuo spirito caritatevole e non vuoi umiliarmi, divertendoti alle mie spalle, che vuoi? Faccio volentieri a meno delle tue visite!”.

“Dacci un taglio” disse con calma l’altro “So benissimo a che cosa pensi, rintanato qui tutto il tempo. Pensi alle vittime” lo sfidò con gli occhi a contraddirlo “Alle tue vittime. Sei pieno di rimorso, non sai dove metterlo, non sai come gestirlo, credi di impazzire, ed ora non hai nemmeno le mani buone per ficcarti un paletto nel cuore” lo disse con calma, accavallando le gambe.

Spike strinse la mascella e dopo un silenzio che parve interminabile, la sua voce suonò metallica “Che cosa vuoi, Angel?”.

E poi lo sentì pronunciare le uniche parole che non avrebbe mai voluto, le uniche che potevano davvero incenerirlo senza bisogno di luce né calore.

“Lei arriva domani, con l’aereo di mezzogiorno. Con la strega”.

Gli occhi di Spike si allargarono, il suo corpo s’irrigidì immediatamente, mentre si staccava dal frigorifero e faceva un passo avanti “..perchè?”.

“Per avere dei chiarimenti. Da me” rispose Angel senza distogliergli lo sguardo di dosso. Seguì i suoi movimenti, mentre Spike tornava al divano e si lasciava cadere tra i cuscini. Lo guardò chiudere gli occhi, poi, subito dopo lo sentì dire “Devo partire”.

“Non puoi, non sei nelle condizioni”.

“Devo andare via da Los Angeles” ripeté quello, ma Angel scosse la testa “Non ne hai bisogno. Puoi semplicemente startene chiuso qui, cosa che ti riesce benissimo in questo periodo, senza farti vedere in giro.. Buffy non starà qui tanto”.

Il nome di Lei gli arrivò dritto al cuore, fermo da cent’anni e più. Non lo pronunciava da così tanto tempo.

“Spero ti renderai conto che avrei potuto non dirti niente. Non l’avresti certo incontrata, dal momento che ti stai infliggendo un esilio volontario” lo studiò attentamente.

Infastidito da quell’esame, Spike sbottò “Perché diamine me l’hai dovuto dire, allora?”.

“Perché ho pensato che fosse giusto farlo” disse semplicemente Angel.

Si guardarono un lungo momento, poi Angel riprese “Puoi rimanere nascosto qui e non incontrarla, te l’ho già detto. Lei crede che tu sia morto, io di certo non le rivelerò nulla e nemmeno gli altri lo faranno. Se deciderai di evitarla, puoi fidarti”.

Spike distolse lo sguardo. Fissò per un po’ la parete di fronte, immerso nei ricordi, poi mormorò “E’ di me che non mi fido” poi incontrò ancora lo sguardo cupo di Angel “Sono sempre stato un tipo inaffidabile”.

 

Eccomi di nuovo, ed in fretta, con una storia che spero vi piaccia. La poesia cui è ispirata è meravigliosa. Leggetela. Io ve ne offro un pezzetto alla volta... Buona lettura.
Ezrebet
   
 
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