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Autore: Lady Furianera    19/09/2010    3 recensioni
“Ci dirai mai cosa provi davvero, Ciel? Potremo mai capirti?”[...] Ciel è un ragazzino rinchiuso in un ospedale psichiatrico. La sua vita monotona e il suo passato macchiato di sangue lo porteranno ad avere delle allucinazioni che lo condurranno direttamente tra le braccia della morte.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Voi siete il mio bocchan. Non permetterò a nessuno nemmeno di sfiorarvi, così che la vostra anima rimarrà sempre vergine, come una sposa. Fino alla fine.” Ciel siede sul letto, con postura fiera. “Seguimi fino alla fine, Sebastian. Seguimi nonostante ciò che mi è accaduto in passato e seguimi nonostante ciò che mi accadrà in futuro. Seguimi e sostienimi.” L'uomo vestito di nero che nessuno può vedere s'inchina profondamente e prima di confondersi nella notte sussurra: “Yes, my lord.” E sul dito di Ciel brilla un anello blu, simbolo del loro legame.

 

Therapy. (You were never a friend to me.)

 

 

Ciel, che cosa vedi?” Il dottore glielo aveva chiesto con voce solenne, da chi sa quello che fa ed è sicuro del suo successo. Ciel lo guardava con un'espressione pacata ed insignificante, ma il dottore aveva esperienza con lui – forse anche troppa – e sapeva che in quel momento gli stava comunicando tutto il suo disprezzo per quella domanda così sciocca. Ciò che il dottore aveva in mano e che gli chiedeva di esaminare era un foglio completamente bianco: cosa avrebbe dovuto vederci? “Non deve per forza essere qualcosa di dettagliato, vanno bene anche aneddoti confusi. Dì la prima cosa che ti viene in mente.” Ma il giovane Ciel rimaneva immobile e in silenzio. Un foglio. Bianco come una vergine. Forse qualcosa da dire c'era.

 

Ciel Phantomhive. Anni dodici. Orfano. La scheda di Ciel non diceva altro. Nessuno aveva idea di quale fosse il suo problema: era sotto psicofarmaci da anni, ma la cura non era mai servita. C'erano giorni in cui osservava, in silenzio, le montagne fuori dalla finestra – che desiderava sempre aperta – e altri in cui non si poteva che usare camicia di forza e sedativi. Avevano tentato di farlo parlare con un psicologo, ma non ne voleva sapere. Nessuno di loro avrebbe mai potuto entrare nella sua mente. Ma chi era che avrebbe mai potuto farlo? Se lo domandavano in tanti. E la risposta non era scontata, anche se poteva parere il contrario al personale di quell'ospedale un po' squallido che almeno una volta avevano sentito parlare di Ciel Phantomhive; il bambino senza l'occhio destro che non sarebbe mai uscito da lì.

 

In a city of fools.

 

Probabilmente Ciel non era sempre stato così. Dietro ogni comportamento umano c'è qualcosa che lo possa spiegare. Al contrario di questo, non sempre è possibile trovare una soluzione. Ciel aveva perso i genitori. Le autorità non indagarono a fondo: un incendio aveva bruciato la lussuosa villa dei Phantomhive, portando via con sé la sua mamma, il suo papà e uno dei suoi bellissimi occhi blu. Non c'era altro da sapere. Quando i medici si ritrovarono un bambino di appena dieci anni con l'occhio cieco che piangeva sangue e lacrime - un po' di dolore e un po' di disperazione - capirono di non potere fare molto per lui. Lo curarono. Lo sedarono. Lo imbottirono di farmaci. Ma era solo una copertura: una volta svegliatosi avrebbe provato un male insopportabile che avrebbe condotto la sua vita in un tunnel buio da cui non sarebbe mai uscito.

 

Tu... cosa ci fai qui? Vattene!” Le braccia sono strette dalla camicia di forza che odia tanto, la sua mente annebbiata. Non capisce chi possa essere entrato nella grande stanza grigia in cui lo portavano quando non riuscivano a tenerlo buono. Quella volta gli avevano dato tante pasticche bianche e non riusciva muoversi. “Non avere paura, piccolo Phantomhive.” Ciel pensa che quell'estraneo dai vestiti scuri abbia proprio una bella voce; bassa e un po' cantilenante come quella del suo papà. “Sono qui per te, piccolo Phantomhive. Io posso scoprire dove sono i tuoi genitori e ti dirò chi te li ha portati via. Se vorrai, sarò al tuo fianco fino alla fine.” Ciel sente le lacrime che premono, ma non vuole piangere. “Aiutami. Voglio il tuo aiuto.” L'uomo sorride e gli occhi si fanno più languidi e brillano. “Yes, my lord.” Ma prima che gli si avvicini ha qualcos'altro da chiedergli. “Chi sei?” “Chi vuole che io sia?” “Sebastian... sì, andrà bene.” “E sia, mio bocchan.” E l'anima e il corpo del piccolo Phantomhive diventano suoi, fino alla fine.

 

Ma, quell'ometto li sorprese. Almeno i primi tempi, rispose positivamente alle cure. Si riprese perfettamente, dal punto di vista fisico. I problemi arrivarono poco tempo dopo.

 

Vedo... il buio e la luce.” Rimase in silenzio per un po' e il dottore capì che avrebbe dovuto domandargli per sapere di più. “Cosa sono, Ciel? Cosa sono il buio e la luce?” Esitò, ma dopotutto avevano già fatto un grande passo avanti. O almeno era quello che pensava il dottore. “Sono il fuoco e il sangue. E poi vedo... lui.” Si fece serio e torno a guardare l'uomo davanti a lui con aria di sufficienza, palese segno che – almeno per quel giorno – non avrebbe potuto scoprire altro. Ma come poteva arrendersi? “Chi è lui? Dimmi chi è.” Ciel sussultò, ma fece finta di nulla. Si passò la mano destra sulla sinistra, accarezzando lentamente. Sembrava ci fosse qualcosa, ma la mano era bianca e perfetta come sempre: nessun particolare, nessuna differenza dal giorno prima o da quello prima ancora. “Lui è l'uomo vestito di nero. Non aveva nome. Gliel'ho dato io.” Finì la frase, si alzò, aiutandosi con le mani, e si appropinquò verso la grande porta marrone. Il dottore aveva tante di quelle domande da fargli. Ma lui non avrebbe risposto. E va bene così, per oggi.

 

L'hanno appena riportato nella sua stanza. Sì, perché è da tanto che è lì e i medici dicono che ci starà ancora per un po', quindi ormai è sua. A lui non dispiace: può vedere le montagne – come dalla finestra della sua cameretta, a casa – e il letto è morbido. Però non lo lasciano mai uscire. Ciel vorrebbe correre e andare dal suo papà per farsi coccolare, mentre la mamma gli canta qualcosa. Ma le porte si chiudono sempre prima che lui possa anche solo immaginare come sia essere fuori di lì. “Lasciatemi andare da loro.” E' sempre la stessa storia. “No, Ciel. Non possiamo.” Non chiede mai il perché; prende le sue medicine troppo amare in silenzio, la finestra viene chiusa e si addormenta. E nello stesso istante in cui le palpebre si abbassano come sipari, Sebastian compare e lo sorveglia per tutta la notte.

 

And the experts say I'm delirious.

 

C'era stato un periodo in cui tutti credevano che Ciel potesse riprendersi, che potesse riavere il controllo della mente e della vita. Non aveva nessuna crisi da un po' di tempo, pareva calmo anche se forse passava troppo a guardare fuori dalla finestra. La speranza non li aveva abbandonati, in fondo. E forse era anche l'unica. Ma ben presto furono costretti ad abbandonare anche quella, proprio come aveva fatto il ragazzino, che l'aveva gettata insieme al suo senno.

 

Perchè lo fai, Sebastian?” E' da tanto che vorrebbe chiederglielo e spera solo che non se ne esca con una delle sue risposte enigmatiche. Non è mai piacevole, quando fa il misterioso. Ma si rende conto che se non mantenesse quella strana foschia attorno a sé non sarebbe più lui. “Faccio cosa, Bocchan?” Appunto. “Mi aiuti, vegli il mio sonno e mi proteggi. Fai tutto per me. Lo so che lo fai.” Sorride. Quando Sebastian sorride gli da sempre un po' fastidio: si prende gioco di lui e non gli piace affatto. “Sono vostro come voi siete mio, Bocchan. Non c'è altro da dire.” Forse quel sorriso lo mette in imbarazzo. Forse ha notato che compare solo quando Sebastian pronuncia il nome bocchan. Forse alla fine non è così male.

 

Arrogant boy.

 

Voi non siete degni nemmeno di rivolgermi la parola! Siete dei cani... soltanto dei cani che dovrebbero smetterla di farsi da padroni! Lasciatemi!” - gridava e si dimenava nella fresca serata di Settembre. Cercarono di tenerlo fermo e gli misero a forza le pillole sedative in bocca, senza che lui le sputasse. Continuava a dire cose senza senso. Nessuno capiva; una ragione sufficiente per impazzire - “Lasciatemi andare, ho detto! Vi farò pentire di tutto questo! Sebastian, uccidili! Uccidili tutti!” Le sue urla erano spaventose. Qualcuno piangeva per lui, altri giurarono che non avrebbero mai dimenticato il suo sguardo: un odio e una disperazione così grande negli occhi di un bambino erano orribili e s'imprimevano nelle memorie di quegli uomini. Come essere marchiati a fuoco. La porta si chiuse prima che altri potessero entrare o che l'inferno di Ciel potesse uscire. Era stata una delle sue crisi peggiori e tutti sapevano che non avrebbe avuto tregua nemmeno un attimo. Sentivano le urla trapassare le pareti imbottite e per quanto era ovvio che non potesse accadere erano certi che avrebbero perforati i loro timpani per tutta la notte. Nessuno chiuse occhio fino alle prime luci dell'alba. La mattina lo trovarono a terra, gli occhi rovesciati e la camicia di forza a brandelli. Macchie di sangue sulle pareti. Era ancora vivo.

 

Ci dirai mai cosa provi davvero, Ciel? Potremo mai capirti?” L'avevano riportato nella sua camera in braccio: se non ci fosse stato il debole battito del suo cuore impaurito l'avrebbero dato per morto, e non sarebbe stato nemmeno un male era il pensiero di molti. Il suo sguardo vuoto inquietava il dottore, tanto da spingerlo a credere che avrebbe imprigionato anche lui. Gli scompigliò i capelli con una carezza piena di compassione e rimorso e uscì in fretta. L'espressione di Ciel lo accompagnò per tutta la giornata – lo trovò in chiunque vedesse – e la risposta alle domande era chiara in quegli occhi che più evitava più gli si paravano davanti: no, nessuno può aiutarmi.

 

Perché non sorridi?” E' una delle prime sedute, ma non bisogna avere una laurea in psicologia e scienze sociali per capire che Ciel è troppo triste per essere definito ancora bambino. “Potrei farti la stessa domanda.” Cosa potrebbe dirgli? Che il solo guardarlo gli fa perdere ogni credibilità nel suo lavoro? “E' una lunga storia.” Segue un brutto silenzio. Di quelli in cui non sai mai che dire, perché ogni cosa potrebbe essere quella più sbagliata. Ma Ciel è più intelligente di quanto si creda e il dottore lo sa. “Ti darei la stessa risposta.” E sa anche che gli ha offerto quest'occasione su un piatto d'argento. “Allora, parliamo un po'. Ti va, Ciel?”

 

Nelle sedute dallo psicologo Ciel non parlava mai molto, ma il dottore riusciva a percepire un pezzettino di lui ogni volta. Cominciava con un argomento qualsiasi e poi faceva domande che alle volte si collegavano, altre no. Sperava di fargli piacere, di presentarsi come qualcuno di amico e di distrarlo un po' dall'angosciosa atmosfera in cui si ritrovava ogni giorno. Sperava anche di riuscirci e si chiede ancora si ci sia mai riuscito.

 

I was carried away.

 

Parlami dei tuoi genitori, Ciel. Ti va?” Non glielo aveva mai chiesto così apertamente, ma ormai Ciel è pronto. Ne è sicuro. “Voglio tanto bene al mio papà e alla mia mamma. Mi mancano tanto. Vorrei che fossero qui... ma sarò io ad andare da loro. Con Sebastian.” Lo dice talmente convinto che anche il dottore crede che un giorno se ne andrà via, prendendo per mano i signori Phantomhive.

 

Sebastian era un nome che avevano sentito molte volte. Ogni tanto Ciel lo nominava sottovoce, in frasi per loro senza senso come “Sebastian non avrebbe mai fatto un errore del genere” seguite da sorrisi di scherno, mentre rifiutava di ingoiare i farmaci. Quando dovevano osservarlo anche di notte, lo sentivano parlare con questo personaggio sconosciuto e molte delle cose che sapevano del piccolo Phantomhive le scoprirono ascoltandolo quando meno lui se lo sarebbe aspettato. Alcuni credevano fosse solo la sua immaginazione, altri che fosse qualcuno che aveva perso nell'incendio e altri ancora non credevano che nemmeno un malato mentale potesse arrivare a tanto da avere certe allucinazioni. Ciò che però li accomunava tutti era il terrore quando Ciel invocava questo Sebastian, durante le sue crisi. Potevano pensare quello che volevano, ma in quegli istanti credevano che sarebbe arrivato davvero qualcuno ad ammazzarli.

 

Buongiorno, Ciel. Come stai? Mi hanno detto che non mangi molto, ultimamente.” Non disse nulla. Sul suo viso – talmente pallido e scavato da mettere ancora più in evidenza lo sfregio sul suo occhio destro – nemmeno un riflesso dell'espressione saccente con cui l'aveva conosciuto. L'angoscia del dottore non poteva fare che aumentare. “Sai, c'è una cosa che voglio chiederti.” Riuscì a fargli alzare la testa – gli parve anche che cercò di mimare con le labbra un cosa? - e sentendosi leggermente rincuorato, gli domandò. “Chi è l'uomo vestito di nero? Mi piacerebbe che me ne parlassi.” Notò di nuovo che stringeva la mano sinistra. Gliene avrebbe parlato, se lo sentiva.

 

Sebastian. Lui è venuto da me quella sera... e ha detto che voleva me. Ha detto anche che in cambio mi avrebbe aiutato ad andare dai miei genitori... è lui, l'uomo vestito di nero.” Il dottore non sapeva a quale notte si riferisse, ma immaginava che fosse una qualunque allucinazione dovuta alla sua salute precaria e ai numerosi farmaci di cui era continuamente imbottito. “Dove l'hai incontrato, di preciso?” Eppure i farmaci peggioravano solo la situazione, lo sapeva e per l'ennesima volta gli venne dimostrato. Gli occhi di Ciel erano fissi sul volto del dottore; ci aveva sempre visto tanta gentilezza e un pizzico di comprensione, ma ora? Pietà. “T-tu pensi che io sia pazzo, vero?” La rabbia che non avrebbe mai dovuto uscire. La rabbia per cui quel giorno aveva deciso di parlare. Ma ormai era troppo tardi. “Non mi credi?! Guarda! Questo anello... me l'ha dato lui! Me l'ha dato Sebastian perché lui mi appartiene!” S'indicava il pollice sinistro con gli occhi spalancati. Ma non era ciò che il dottore vedeva e nemmeno ciò che alcuno avrebbe visto. “Lì... non c'è nessun anello, Ciel.” Lo sussurrò appena, ma ormai l'aveva detto. E tutto crollò: l'alito di vento della verità aveva sciolto quel debole castello di carte che era Ciel. L'equilibrio della sua fragile mente si era spezzato irreparabilmente. “Ma è proprio qui! Perchè menti?! L'anello è qu-” Non finì la frase. L'anello così blu che aveva ammirato per tanto tempo, era svanito. “S-sebastian... Sebastian! Vieni qui! Obbedisci!” Non venne nessuno. Il suo voltò mutò troppe volte perché il dottore cogliesse tutti i sentimenti tenuti sotto chiave da tanto, ma ormai cosa avrebbe potuto fare? E Ciel scoppiò a piangere. Piangeva, rideva, gridava: era fuori di sé. Nel corridoio si sentivano i medici chiedere di entrare, ma il dottore urlò di andarsene. “Perché non vieni da me...? Me l'avevi promesso! L'avevi promesso!” Ora cercava di strapparsi i capelli, ora era a terra che si teneva lo stomaco, come sul punto di vomitare. Quando l'uomo cercò di aiutarlo ad alzarsi lo respinse e fece da solo; si avvicinò alla finestra e salì in piedi sul vano.

 

They'll fall asleep without you.

 

Ora ho capito! Sebastian... è stata la morte a portarseli via! E allora che prenda anche me!” Il dottore lo guardava sconvolto: tutto ciò che aveva sentito e veduto non poteva avere senso; la paura gli dilaniava lo stomaco. Ciel indossava ancora la camicia da notte; i sedativi ai piedi del letto – prima calpestati come segno del suo sprezzo. Nei suoi occhi c'era una strana frenesia, che si trasmise a tutto il volto. L'avevano visto sorridere solo in qualche fotografia ritrovata tra le macerie della vecchia villa di cui, ormai, non rimaneva nulla. Il dottore non riusciva a credere di vederlo cambiare espressione in quel modo, ma ciò che in effetti vedeva ora sul viso del giovane Ciel era solo un orribile ghigno febbrile. Lo vedeva ridere in preda alla follia più grande, precariamente aggrappato alle tende della finestra. Non poteva avvicinarsi; le sue reazioni erano imprevedibili.

 

Questo posto non mi è mai piaciuto. Vado dai miei genitori. Loro mi vorranno bene.” Poi cadde e – sebbene fosse completamente fuori luogo – nella disperazione, il dottore non poté fare a meno di pensare che in quell'istante fosse tale e quale ad un angelo.

 

Era l'11 Dicembre del 1913; il giorno dopo sarebbe stato il suo tredicesimo compleanno.

 

Ciel Phantomhive. Anni dodici. Orfano. Deceduto.

   
 
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