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Autore: Trick    20/09/2010    13 recensioni
È il 1986 e Remus ha bisogno di rifornirsi dell'Essenza di Dittamo con cui si riprende dai pleniluni all'Apoteca di Diagon Alley. È il 1986 e la giovane Tonks, ottima studentessa di Pozioni, ha bisogno di Sciroppo di Elleboro.
Scritta per la Big Damn Table indetta da Fanfic100_ita.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Titolo: Io sono Tonks
Rating: Verde
Conteggio parole: 1744
Disclaimer: I personaggi e i luoghi di questa storia appartengono a J.K.Rowling.
Note: 1) Nessuno ha mai detto che Tonks sia stata un fenomeno a Pozioni, ok. Ma, be', ragioniamo. Il suo professore era Piton e lei è diventata un Auror, quindi non può che aver passato i G.U.F.O. con meno di Eccezionale. Era una Tassorosso sbadata e rumorosa e cugina di Sirius, di conseguenza dubito che Piton l'abbia mai avuto in simpatia. Eppure, ta-dan! Ha preso Eccezionale. A quanto pare, la sua abilità era indiscutibile anche per il parziale Severus. 2) L'Essenza di Dittamo serve davvero a curare le ferite, mentre lo Sciroppo di Elleboro è un componente essenziale per il Distillato della Pace che calma l'agitazione. 3) Se è l'agosto 1986, Remus ha ventisette anni e Tonks tredici. 4) L'autrice chiede perdono per il ritardo dell'aggiornamento di "Diario di un lupo in un branco di lupi", ma ci tiene a sottolineare che la colpa non è sua, ma di una serie di fortuite e sventurate sfighe, quali gli esami, gli esami e gli esami. 5) La storia è stata scritta per il prompt 025. Estranei della Big Damn Table indetta da Fanfic100_ita.




Agosto 1986, Diagon Alley

Era piuttosto raro che Remus entrasse nell'Apoteca di Diagon Alley. Aveva sempre detestato l'aroma acre che ne impregnava il pavimento e le pareti. Ricordava ancora chiaramente la prima volta che ne aveva varcato la soglia: aveva undici anni, la lista degli ingredienti richiesti dal professor Lumacorno fra le mani ed un senso dell'olfatto ben più sviluppato dei suoi coetanei. L'odore pungente lo aveva stordito fin dal primo istante e il padre, John Lupin, si era premurato di farlo aspettare fuori dalla porta, mentre acquistava il necessario.
Da quella volta, Remus aveva sempre delegato i suoi amici di acquistarli per lui – e nessuno di loro si era mai rifiutato, né si erano mai trattenuti dal fare ridicole battute sulla Pietra di Luna in polvere. Non aveva mai apprezzato nemmeno Pozioni ed era una conseguenza che Remus aveva sempre trovato piuttosto ovvia: vapori aspri e pungenti, mortali attrezzi di argento (quante volte si era dato per malato e si era rinchiuso in biblioteca!) e un gruppo di amici scalmanati e pericolosi accanto al proprio calderone di rame.
Avvertì una morsa allo stomaco nel pensare che quella, in effetti, era la prima volta che entrava nell'Apoteca dopo quindici anni perché loro non c'erano.
Non più.
«Hai bisogno di qualcosa?».
Remus sobbalzò e sbatté un paio di volte il capo. Non si era nemmeno accorto di essere rimasto completamente immobile nel bel mezzo del apoteca per diversi minuti. All'altro lato del corto bancone impolverato, si ergeva un ometto dalle folte e cespugliose sopracciglia bianche e dal labbro inferiore sporgente. I suoi occhi stavano sondando con diffidenza ogni particolare di Remus, dai vecchi abiti lisi alla sciarpa grigia con cui cercava di celare il più delle proprie cicatrici.
Remus annuì con nervosa rapidità, pregando in cuor suo di non essere scoperto prima di aver ultimato il suo acquisto.
«Sì» mormorò con voce roca. «Essenza di Dittamo».
L'apotecario parve diventare ancora più sospettoso, mentre le sue narici vibravano come se stesse fiutando l'aria tutt'attorno.
«Dittamo?» ripeté circospetto. «E perché ti serve del Dittamo?».
Perché sono un licantropo e ho una ferita di almeno venti centimetri sul fianco ancora aperta”, pensò impaziente Remus.
«Perché vuole saperlo?» tentò di sviarlo nel suo miglior tono accomodante. «Non credevo che per l'Essenza di Dittamo servisse il permesso di un Medimago, né che il Ministero l'avesse di recente decretata illegale».
«Mi ci vorrà un po' di tempo» sbottò l'uomo, ma – con somma felicità di Remus – gli voltò rapidamente le spalle e sparì dietro una vecchia tenda alla sua sinistra. Mentre attendeva il suo ritorno, Remus fece un sospiro spossato e socchiuse gli occhi.
Merlino, aiutami.
Il trillo della campanella dietro di lui annunciò l'improvviso arrivo di un secondo cliente. Remus si strinse istintivamente nel cappotto e affondò il volto nella sciarpa, cercando di nascondersi alla vista di quel fastidioso estraneo.
«Wotcher!» salutò una vocina trillante con un pesante accento londinese.
Remus sollevò appena lo sguardo sulla ragazzina che era appena entrata. Non poteva avere più quattordici o quindici anni e suppose che stesse acquistando gli ingredienti richiesti per il nuovo anno scolastico. Era probabilmente una delle adolescenti più buffe che avesse mai visto. Indossava una T-shirt verde di un gruppo musicale che Remus non aveva mai sentito nominare e un salopette di jeans di un paio di taglie più grande. Portava i calzini dei colori più accesi che si fossero mai visti e un paio di vecchi e rovinati Dr. Martens ai piedi. Ciò che più di tutto colpì l'attenzione di Remus, tuttavia, furono le sue treccine rosa. Trattenne a stento le risate e le rivolse un rapido cenno di saluto con il capo.
«Klaus è là dietro?» s'informò con serenità la ragazzina, indicando con l'indice il retro del negozio. Remus si accorse che le sue unghie erano arancioni.
Inclinò appena la testa.
«Klaus?».
«Klaus. L'apotecario».
«Oh. Sì. Sì, è là dietro».
«Grazie, amico» gli disse con un sorriso, prima di infilarsi le mani nelle tasche e iniziare a sbirciare fra gli scaffali fischiettando fra sé.
D'un tratto, la sentì imprecare.
«Merlino, fa' che non abbia finito lo Sciroppo di Elleboro» sbottò, appoggiandosi con i gomiti al bancone e facendo un lungo sbuffo. «Sai, quella cretina di Mary Dixon, con cui sfigatamente la sottoscritta divide il Dormitorio, è appena stata scaricata da quell'altro cretino di Johnny Foster. Di nuovo» specificò con un'occhiata eloquente.
Remus cercò di apparirle educatamente interessato, sebbene stesse serrando le labbra nel tentativo di non ridere.
«Capisco» si limitò ad annuire.
«Già. E quella cretina di Mary Dixon è una pazza isterica. Mi ha perfino mandato una Strillettera. Una Strillettera, ti rendi conto? Per poco mia madre ci restava secca».
Remus ridacchiò appena.
«Domani iniziano le lezioni e chi se la regge, adesso?» continuò lei, sempre più disinvolta. «Mi serve l'Elleboro per farle il Distillato della Pace o non chiuderò occhio fino ad Halloween».
«Ti piace Pozioni?».
«Abbastanza. E no, non sono una Serpeverde. Non provare nemmeno a pensarlo o ti affatturo, e al diavolo il Ministero».
«Non l'ho pensato».
«Grazie» disse la ragazzina, spostandosi un ciuffo rosa dagli occhi. «Io sono a Tassorosso. E tu?».
Remus sgranò gli occhi e le rivolse un'occhiata stupita.
«Io?».
«No, lo chiedevo a Lancillotto» scherzò lei, ruotando gli occhi al cielo. «Dov'eri, tu? Hai la faccia da Corvonero».
Non riuscendo a trattenersi oltre, Remus scoppiò a ridere. Fu costretto a interrompersi di colpo a causa di una fitta particolarmente violente al fianco.
«Che c'è?».
«Nulla» rispose lui, tossicchiando appena e premendo appena la ferita con la mano. «È solo... be', non hai idea di quante volte me lo sia sentito dire».
Anche se hai la faccia da Corvonero, Moony, non lo sei, quindi non hai alcun motivo per preferire questa biblioteca a noi tre” risuonò nella sua testa.
Remus fece una smorfia amara.
«Grifondoro».
«Uh?».
«Grifondoro. Ero a Grifondoro».
La ragazzina parve incupirsi un poco.
«Anch'io avrei voluto andare a Grifondoro, una volta» disse.
«Tassorosso è un'ottima Casa, nonostante le comuni maldicenze».
«Lo so. Infatti una volta volevo andare a Grifondoro. Poi ho cambiato idea».
Remus inarcò appena un sopracciglio.
«Posso chiederti il motivo?».
Lei alzò le spalle.
«Avevo un cugino a Grifondoro. Ogni domenica veniva a pranzo da noi. Era una specie di rito, credo, fra lui e mia madre. Sai, la loro famiglia non era il massimo, se capisci quello che intendo» raccontò con sguardo distante e voce incredibilmente seria. Sembrava molto più grande, ma Remus finse di non esserne completamente sorpreso.
«Capisco».
«Lo adoravo. Quando ero bambina, credo di essermi perfino presa una cotta per lui» confessò con una risatina stentata, prima di fare un soffio rabbioso. «E poi quel fottuto bastardo ha deciso bene di diventare Mangiamorte e vaffanculo a tutti».
Remus trasalì, preso in contropiede, mentre i frammenti del racconto della ragazzina iniziavano a incastrarsi con suoi ricordi con inaudita naturalezza.
Non è possibile.
«Sta marcendo ad Azkaban, adesso, e spero che ci resti anche dopo la morte, quel traditore» sibilò lei con incredibile rabbia, assottigliando gli occhi lucidi. «Bastardo».
Sembra che ovunque vada ci debba sempre essere qualcuno a ricordarmelo.
Più la guardava e più si rendeva conto di quanto quella ragazzina avessi in comune con i Black. Non sapeva se esserne disgustato o meno. Fra quelle ridicole trecce rosa e quella maglietta sgargiante era annidata parte di quella dannata famiglia. Remus si diede dello stupido per non essersene accorto prima; eppure, gli sarebbe bastato guardare le sue labbra finemente disegnate e i suoi occhi brillanti per ricordarsi di averle già viste.
Bellatrix Lestrange aveva i suoi stessi occhi.
«Ehi, ti senti bene?» le chiese con voce preoccupata la giovane. «Mi sembri un po' flippato, lasciatelo dire».
Lui mosse appena la testa in segno di diniego.
«Perdonami» la liquidò in fretta. «Ma mi ricordi qualcuno che ho conosciuto un tempo».
Con un sospiro rassegnato, lei parve incupirsi nuovamente.
«Strano» soffiò con freddo sarcasmo.
Remus la fissò con evidente curiosità, spronandola silenziosamente a continuare.
«Hai idea di cosa significhi... be', essere me?» domandò con piglio selvaggio. «Essere sempre sotto l'insindacabile giudizio dell'intera comunità magica? E tutte le volte che faccio uno sgarro, boom! Ecco che tutti sono pronti a ricordarsi l'uno con l'altro che sono una mezza Black e che la mela non cade mai troppo lontana dall'albero. Hai un'idea di quanto io sia rotta della gente?».
Non sai nemmeno quanto.
Remus stava per risponderle, quando l'apotecario sbucò dal magazzino con aria affannata e gli gettò davanti un sacchetto marrone. Si accorse in quel momento della presenza della ragazza e parve agitarsi.
«Ninfadora! Che cavolo fai, qui?» sbottò, prima di rivolgere un'occhiata maligna a Remus. «Ti ha fatto qualcosa? Stai bene?».
Lei inarcò pesantemente un sopracciglio e fece una smorfia confusa. Remus si sbrigò a frugare nella tasca e ad estrarre quattro falci e due zellini.
«Tre zellini».
«Rincaro dei prezzi su misura del cliente» disse con voce divertita, mentre aggiungeva una moneta sul bancone. «Le consiglio di aumentare le sue donazioni all'abbazia di Westminster: pare che all'inferno dei truffatori ci sia ancora molto spazio».
«Sparisci, cane».
Remus infilò l'Essenza di Dittamo nel mantello, si voltò senza un'altra parola e si diresse verso la porta. Stava per uscire quando la voce cristallina della ragazzina lo richiamò indietro.
«Ehi!».
Lui ruotò appena il capo e la vide rivolgergli un occhiolino divertito.
«Io sono Tonks».
Remus le sorrise appena.
«Lo terrò a mente».

«Non chiamarmi Ninfadora, Remus! Io sono Tonks».





   
 
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