Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: _hurricane    24/09/2010    3 recensioni
[contiene spoiler sull'episodio 12 di Kuroshitsuji II]
la vita di Ciel ormai è cambiata per sempre, e insieme ad essa anche quella di Sebastian. Ma che succederebbe, se Ciel decidesse di lasciarlo andare?
- un Ciel Phantomhive demone, ma più umano che mai.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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1. Nausea.

 

Una notte feci un sogno strano. Non che la cosa fosse rara per me: non sono mai stato un tipo che sogna arcobaleni e prati fioriti. Nel sogno ero sott’acqua, sorretto da braccia invisibili. Non riuscivo a vedere niente, riuscivo soltanto a sentire… un bruciore indescrivibile proveniente dal mio stesso corpo… e la sensazione di essere svuotato, contro la mia volontà. Svuotato delle mie emozioni, dei miei ricordi, della mia anima. Poi, sempre nel sogno, aprivo gli occhi e vedevo Sebastian che mi fissava, sconvolto. Mi svegliai nel mio letto, alla villa, e mi resi conto che quello che avevo sognato, in realtà lo avevo vissuto. Per molte notti feci sempre lo stesso incubo… e il bruciore aumentava, e aumentava, e aumentava. Mi svegliavo nel cuore della notte con un urlo incastrato in gola. Poi, per tutto il giorno quell’urlo tentava di uscire dalle mie labbra… nel mezzo di una normale conversazione, nasceva in me un’insana voglia di gridare ‘Perché? Perché non posso morire come tutti gli altri a questo mondo? Che cosa c’è di sbagliato in me?’. Riuscivo a soffocare quell’urlo un secondo dopo, rendendomi conto che, se avessi detto quelle parole, avrei dovuto dare spiegazioni sulla mia intera esistenza, e al pensiero mi veniva la nausea. Così, il resto della giornata passava con questo senso di nausea senza rimedio. Non saprei dire se fosse peggiore quello o la sensazione di soffocamento.

A poco a poco, mi resi conto che soltanto con Sebastian potevo essere me stesso, e che probabilmente era sempre stato così. Davanti a lui non dovevo fingere di mangiare o bere, e potevo lamentarmi per la fame, quella vera, che da quella notte ci accomunerà per sempre. La fame… questo è stato uno dei cambiamenti più strani. Non sentire più la pancia brontolare, non desiderare più i curry-pan di Soma, i dolci prelibati preparati da Sebastian o il thè delle cinque in punto. Quella di adesso… è un po’ difficile da descrivere. E’ una fame lenta, che ti fa quasi agonizzare, ma mai morire. In effetti, credo che sia impossibile per i dem... cioè, per noi, morire di fame. Ah, questo ‘noi’. Sebastian mi avrebbe rimproverato in questo momento; dice che non devo parlare dei demoni come se non fossi uno di loro. E’ soltanto che, non appena dico il ‘noi’, ripenso al bruciore del sogno, e all’urlo incastrato in gola, e alla nausea… tutto insieme. 

Comunque sia, era passato quasi un mese da quando ero tornato alla villa dopo la mia trasformazione. Un giorno, per l’ennesima volta, Finnian mi chiese perché mi ostinassi a mangiare in camera invece che in sala da pranzo… avrei voluto dirgli molto semplicemente ‘Perché non è il caso che tu mi veda bere da tazze vuote e mangiare da piatti vacanti, idiota’, ma invece gli risposi che non avevo fame per via di un senso di nausea. Non del tutto una bugia, dopotutto. Chiusi con forza la porta della mia camera e trovai Sebastian accanto al letto, in piedi, impeccabile come sempre. Sapeva che stavo per dirgli qualcosa di importante, di risoluto; aveva quel suo classico sguardo di chi aspetta in silenzio che si scateni una bufera di parole. In realtà non fu una bufera, perché volevo che la mia decisione sembrasse da adulto, non quella di un adolescente in preda ad una crisi. Perciò dissi tre semplici parole: ‘Ce ne andiamo.’ Avrei dovuto aggiungere ‘Prepara i bagagli, è un ordine’, ma credo che utilizzare il mio marchio per una stupidaggine del genere avrebbe rovinato la serietà del momento. Comunque non ce ne fu bisogno, perché Sebastian uscì dalla stanza senza dire una parola, e tornò dopo pochi minuti con due grossi bauli. Soddisfatto, uscii in giardino, con l’assoluta certezza che la mattina dopo saremmo partiti, via, lontano da tutte le domande, gli sguardi dubbiosi, i pettegolezzi sussurrati sul colore dei miei vestiti e delle mie unghie. Verso dove… quello non lo sapevo nemmeno io.

   
 
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