CAPITOLO 9
Others pretend they don't care at all
Scese
dall’autobus insieme ad Alicia, la pioggia batteva ancora sul
loro
mondo, ed entrarono nella scuola nascosti sotto lo stesso ombrello.
Si salutarono e si divisero, ognuno diretto verso la propria
destinazione. Prima di quel momento uno soltanto
era stato l’argomento delle loro conversazioni.
Il
concerto.
Occupava
ogni pensiero, briciola libera di loro stessi, ogni attimo. Così
come il giorno precedente, avrebbero entrambi saltato le lezioni
pomeridiane e sarebbero saliti in auto diretti verso la grande
Wembley Arena. Vicky, nonostante la sua ritrosia iniziale, non ebbe
niente da ridire sul cedere il suo biglietto ad Alicia. Danny aveva
giocato d’astuzia, mettendola con le spalle al muro durante la
cena
della sera precedente: riuniti intorno al tavolo, aveva chiesto alla
sorella di lasciare cortesemente il suo posto numerato lato palco, e
Vicky non aveva potuto dire di no, trovandosi in presenza di Alicia.
Le stava bene, si era detto Danny, così imparava a moderare i
suoi
modi dittatoriali.
Le
lezioni erano quasi terminate, mancavano solo un altro paio di ore,
poi avrebbero mangiato ed infine sarebbero tornati a casa. Matematica
stava per iniziare, la classe era ormai del tutto piena.
“Gran giorno oggi, vero?”, gli
domandò
Tom, seduto come sempre davanti a lui.
“Già!”,
esclamò Danny entusiasta, “Non sai quanto abbia aspettato
questo
concerto!”
“E Vicky?
Cosa ha detto?”, gli domandò Dougie, che dal banco alle
sue spalle
si era spostato su quello di Tom, accomodando il suo fondoschiena su
di esso.
“Assolutamente
niente.”, rispose lui, “Non poteva dire di no di fronte ad
Alicia.”
“Che gran
bastardo che sei!”, esclamò Fletcher, dandogli una sonora
pacca
sulle spalle.
“Si
chiama istinto di sopravvivenza.”, gli rivelò, “Tu
non puoi
capire di cosa sto parlando.”
Fletcher,
così come Dougie, aveva una sorella più piccola e non
poteva
afferrare lo strazio del subire in silenzio tutte le angherie che
erano toccate a lui, come a tutti i fratelli minori del mondo. Danny
vide Alicia spuntare nell’aula e fargli cenno di uscire: non
seppe
cosa poteva volere da lui ma la raggiunse subito.
“La prof di letteratura mi trattiene per
un’interrogazione fuori programma.”, gli spiegò,
“Quindi
niente matematica per oggi.”
“Va
bene.”, le disse, “Ci vediamo a mensa allora.”
“Perfetto!”, esclamò lei, che
doveva
essere piuttosto contenta di quel cambio di programma.
Si salutarono con un veloce bacio sulla
guancia, a nessuno dei due piaceva dimostrare al pubblico quello che
c’era tra loro, e Danny tornò dai suoi amici.
Ignorò volutamente
l’arrivo di Judd, imponendosi calma sotto lo sguardo deciso dei
suoi due amici, e la lezione iniziò.
Ebbe
poco da fare, la Gambler interrogò due cognomi a caso, Poynter e
Fletcher, che ne uscirono con una sufficienza non del tutto piena.
Tornarono a posto con l’aria da cani bastonati, ma Danny sapeva
che
dentro esultavano: finché si trattava di un voto del genere, i
suoi
due amici erano più
che
contenti. Nel caso in cui fossero scessi
sotto la media, ricorrevano a lui che era subito pronto ad aiutarli.
Si chiese cosa avrebbero fatto
senza il loro sostegno reciproco.
La
campanella suonò e la classe prese lentamente a svuotarsi.
“Facci sapere come va il concerto!”,
gli
disse Dougie, “E, nel caso in cui ci fosse un dopo
concerto…”
“Certo,
nella tua testa!”, rispose Danny ridendo.
“Hey, sono un pervertito ma non mi metto a
fantasticare su vuoi due!”, si difese l’altro, che se ne
andò
tenendogli un finto broncio.
“Jones.”,
lo chiamò Tom, “Spero che Alicia abbia una sorella o una
cugina
disposta a dargliela, altrimenti il nostro Dougs se lo consumerà
fino all’ultimo centimetro…”
“Digli
di lasciar perdere quel cavolo di videogioco e di uscire di
più!”,
lo consigliò.
Danny
stava lasciando l'aula in compagnia di Tom, quando venne trattenuto.
La mano sul suo braccio era quella di Fiona Young: non la conosceva
ma sapeva a quale cerchia di persone appartenesse, e l'idea di
perdere del tempo con lei non gli piaceva affatto.
“Scusami, Danny, posso chiederti una
cortesia?”, gli domandò
in tono cordiale.
Salutò
Fletcher e ascoltò la richiesta di quella ragazza, come
l'educazione
lo obbligava.
“E’
evidente che sei bravo in matematica e che fai dei miracoli anche con
chi non capisce niente di numeri…”, esordì Fiona
con un chiaro
ed immediato riferimento, “Non è che saresti così
gentile da dare
una mano anche a me?”
“Beh…
Io non…”, si preparò a rifiutarla con garbo.
“Andiamo, ti pagherei davvero bene!”,
insistette lei, “So che Lewis ti ringrazia con qualcosa come
dieci
sterline ogni sera, te ne posso dare quindici!”
“Fiona, non credo che…”
“Dimmi quando sei disponibile!”, lo
interruppe ancora.
“No!”,
esclamò Danny, subito pentito di aver alzato la voce,
“E’ molto
gentile da parte tua, ma no, non posso.”
“Ah…
Ok.”, disse l’altra, fintamente dispiaciuta, “Va
bene, chiederò
a qualcun altro.”
Senza
un saluto né un prego,
Fiona se ne andò. Danny si massaggiò gli occhi stanchi
sotto alle
lenti: non volle sapere con quale coraggio si fosse rivolta a lui
quando il resto del suo tempo lo passava a dire male della
sua ragazza. Evidentemente
le persone potevano arrivare più in
basso
di quanto lui si aspettava. Tornò sulla sua via, ma lo
bloccarono
ancora.
“Jones.”
Una puntura di ape
era più benvoluta di quella voce.
“Harry, lasciami in
pace.”, gli disse.
Un’altra
presa sul suo braccio lo costrinse a voltarsi contro la sua
volontà.
“Volevo
solamente dirti
che è stata la tua ragazza a trascinarmi lì
dentro.”, ebbe il
coraggio di affermare.
Danny
si liberò dalla sua mano.
“E’
una bu-bugia bella e bu-buona.”, rispose balbettando.
Danny voleva andarsene, voleva ignorarlo.
Voleva essere lasciato in pace.
“E’
la ve-verità.”, lo prese in giro Harry.
I
piedi esitarono sulla soglia della porta. Judd sembrò esserne
contento, così tanto parlare ancora.
“Ci
hai visti entrare, eravamo mano nella mano… Ma io non ho fatto
niente, sono innocente, è stata una sua iniziativa.”, ed
alzò le
mani in aria, sottolineando la sua dichiarazione, “Pensa bene a
quello che fai, Jones, lei non è esattamente quella che tu
pen-…”
Le mani si impossessarono del colletto
sbottonato della camicia di Judd, Danny spinse indietro l’intero
peso del suo corpo. Li fermò soltanto il frammento di muro
compreso
tra la lavagna e l’armadietto, pieno di libri e scartoffie varie.
La nuca di Harry colpì il cemento, un’esclamazione di
dolore uscì
dalla sua bocca.
Ecco
cosa Danny intendeva con rabbia incontrollata ed improvvisa. Ecco
cosa lo spaventava di se stesso, l’incapacità di
trattenersi e la
vera possibilità di fare del male al prossimo suo. Fissò
le pupille
dentro quelle di Harry, che venivano velocemente nascoste dalle
palpebre.
“Ascoltami
bene, Judd.”, gli disse, resistendo ai suoi tentativi di
liberarsi,
“Lasciala in pace.”
“Fottiti!”,
gridò l’altro.
Danny
non aveva muscoli, quelli che si era fatto giocando a calcio erano
scomparsi, ma l’adrenalina che circolava in lui lo riempiva di
forza. Judd era incapace di togliersi le sue mani di dosso, Danny si
sentiva mosso da qualcosa che aveva dimenticato.
“Lasciala in pace, ti è
chiaro?”, gli
ripeté.
“Sei solo uno
sfigato.”, rispose Harry, rinunciando alla lotta.
“E tu un figlio di puttana. Chi sta meglio
tra noi due?”, lo sfidò ancora.
“Io,
perché la mia ragazza non è una puttana come la
t-…”
Lo sbatté ancora contro il muro: Judd
sentì
il doppio del dolore, il suo urlo strozzato lo confermava, e Danny ne
fu così contento che volle farlo ancora.
“Lascia
in pace Alicia.”, gli disse per la terza volta, “Riversa le
tue
frustrazioni del cazzo su di me, ma lasciala in pace.”
L’altro non ribatté, Danny sentiva
solo il
suo respiro veloce e affannato.
“Bene.”,
e lo lasciò, puntandogli contro l’indice, “Ti
avverto, non sto
scherzando.”
Gli voltò
le spalle e lasciò la stanza. Aveva provato piacere
nell’usare
violenza contro Harry.
Male,
molto male.
Attendeva
Jones sulla soglia della mensa ma sembrava non arrivare, con lei
c’erano Poynter e Fletcher. Li aveva già ringraziati per
averla
tolta dai guai, e comunque doveva loro molto più che una
semplice
parola di sei lettere.
“Eccolo!”,
disse Fletcher, sbuffando, “Jones! Stiamo morendo di fame!”
Li raggiunse, ma ben prima che fosse vicino
da notarlo con evidenza, Alicia vide che c’era qualcosa che non
andava. Lei come i suoi due amici si preoccuparono subito per lui.
“Niente. Sto bene.”, disse Jones,
“Ci
mettiamo in fila? Altrimenti ci rimarranno solo le briciole.”
Passò oltre e li lasciò chiedersi
quale
fosse stato il suo problema. Presero i loro vassoi, camminarono lenti
verso la fine del lungo bancone e, con il cibo tra le mani, trovarono
un tavolo per loro. Danny non proferì parola, si buttò
sul suo
pranzo e si chiuse in se stesso. Alicia cercava risposte negli occhi
dei suoi due amici, ma anche loro sembravano essere all’oscuro di
tutto.
Non si aspettava
quel cambio di umore. Avevano una delle migliori giornate di
tutta la vita davanti a loro ed Alicia si
stava sforzando di cacciare indietro ogni pensiero negativo; aveva
ringraziato il cielo quando era rimasta bloccata a letteratura, non
si sentiva ancora in grado di affrontare Judd, sebbene non avesse
avuto più nulla da temere.
Danny
non poteva farle quello… Almeno lui doveva riuscire a sorridere.
Alicia non aveva il coraggio di chiedergli ancora cosa avesse avuto,
aveva paura di porgergli una
semplice domanda. Danny guardava il suo vassoio e mangiava,
nient’altro, tanto che Tom cercò di attirare
l’attenzione di
Alicia.
“Mi è piaciuto
il tuo ultimo lavoro.”, le disse Fletcher, “Quello che hai
consegnato per la verifica di disegno.”
“Ah…
Grazie.”, gli rispose, “Mi ci è voluto un po’
per finirlo…”
“E’ venuto ottimo, credimi.”,
disse
l’altro.
“Che cosa
hai disegnato?”, le domandò allora Poynter.
“Un ritratto… Una mamma con un
bambino in
braccio.”, gli spiegò molto sinteticamente.
“L’effetto dei colori morbidi sul
carboncino davano un senso di… Non so…”, disse Tom,
puntando il
mento con la forchetta e lasciando così quattro piccoli buchetti
sulla pelle, “Non è una critica, ma mi metteva
tristezza.”
Non seppe cosa rispondere, e non fu perché
l’aveva lasciata senza parole. Non aveva voglia di parlarne.
“Jones.”, lo chiamò Tom,
“Ho perso la
mia password per accedere all’aula informatica. Mi presti la
tua?”
“Te la segno su un foglietto.”,
rispose
lui brevemente.
“Era un
modo cretino come un altro per farti alzare il culo da quella
sedia.”, si chiarificò senza troppi giri di parole,
“Quindi
vieni con me e dimmi cos’hai.”
“Fletch,
non insistere, ti prego.”, disse Jones, “Lasciami in
pace.”
“Jones, alzati.”, gli impose
l’altro.
Alicia non ci pensò due volte. Era lei il
problema, poteva inventarla personalmente un’idea idiota per
togliersi dai piedi.
“Vado
in bagno.”, disse.
Scansò
la sedia e si allontanò.
Due
paia di occhi si puntarono su Danny, erano
pieni di rimprovero, domande e fastidio. Tom avrebbe voluto prenderlo
a schiaffi, anche Dougie sentiva
un fastidio alle mani. Insieme, avrebbero
voluto gonfiargli
il viso.
“Jones, per piacere, smettila di fare il
coglione.”, lo consigliò Dougie, “Dicci cosa
c’è che non va.”
“Ha a che vedere con Judd?”, gli
domandò
allora Tom, “Se non erro siete usciti per ultimi dalla classe di
matematica.”
I due
avevano chiaramente visto un Danny alterato lasciare l’aula e
infilarsi in quella immediatamente successiva, e di lì a poco
Harry
aveva fatto altrettanto, dirigendosi però nella direzione
opposta.
Non sapevano cosa fosse successo tra i due, ma qualcosa
era capitato. Si erano fatti
un’idea… E si
erano preoccupati.
“Non
ne voglio parlare.”, si oppose Danny, “Basta.”
“Sono sincero, non ce ne importa un
cazzo.”, disse Dougie, “Ma credo che Alicia meriti una
spiegazione.”
“Non mi
è sembrato che sorridesse quando se n’è andata in
bagno.”,
aggiunse Tom.
“E va
bene!”, esclamò allora Danny, le provocazioni erano
servite al
loro scopo, “Volete sapere cosa è successo? Ho appeso Judd
al muro
perché sparlava su Alicia, siete
contenti
adesso?”
Alcuni dei
loro vicini si voltarono incuriositi, attirati dalle parole forti di
Danny. Il trio attese che la curiosità scemasse, rimpiazzata
dalla
solita confusione che popolava la mensa. Jones tornò alla
tortura
della sua carne grigliata, i due si guardarono con comprensione.
“L’ho preso per il collo e l’ho
sbattuto contro la parete.”, aggiunse Danny, con tono più
moderato.
“Hai fatto
bene.”, disse Tom.
“Dici?”,
chiese retoricamente l’altro, “E’ un bene prendere
una persona
e malmenarla?”
“Non
lo hai fatto, Danny.”, si mosse allora Dougie, “Hai reagito
ad
un’offesa, si chiama
legittima difesa.”
“Mi è stato insegnato che non si usa
violenza contro altra violenza.”, ripeté Danny.
“Lei
lo sa del problema che hai
avuto?”
La
domanda doveva arrivare, prima o poi, e Tom non si sentì in
colpa
per avergliela posta.
“No.”
“Dovrebbe.”, ancora Tom.
“Si spaventerebbe.”
“Capirebbe.”, lo corresse Dougie.
Jones esitò
“No.”,
disse poi, “Avrebbe paura che le possa fare del male.”
“Sai che non accadrà mai.”,
volle convincerlo Dougie, pienamente sicuro delle sue parole,
“Danny,
lo sappiamo tutti e tre che non lo farai.”
“Sei altrettanto sicuro che Alicia la
penserà allo stesso modo?”, lo sfidò Jones.
“Sì.”, risposero Tom e Dougie,
in coro.
Danny scosse la testa, era fermo della sua
posizione e non sarebbero mai riusciti a fargli cambiare idea, a meno
che non fosse stato lui stesso a tornare sui suoi passi.
“Cerca
almeno di non pensarci.”, disse Tom, “Avete il concerto
stasera…”
“Non ho più molta voglia di
andarci.”
I due rimasero con un palmo di naso. Stupidi,
esterrefatti, idioti.
“Io…”,
disse ancora Danny, “Non voglio andarci
perché…”
Si bloccò. Videro la sua mano sinistra
chiudersi in un pugno stretto.
“Perché
stavo bene.”
Non lo
capivano.
“In quale
senso?”, domandò Tom.
“In
un unico senso, Fletcher.”, lo seccò Danny, “Stavo
bene nel
fargli del male.”
“Era
perché gli stavi dando una lezione.”, disse l’altro,
“Credimi,
è così.”
“Danny,
adesso è tutto ok.”, Dougie rincarò la dose,
“Non è più come
prima…”
“E se ti
stessi sbagliando?”, ringhiò Danny.
Poynter
lasciò il tavolo, dimenticando di proposito il suo vassoio.
Stava camminando per il corridoio
a tutta velocità, dritto verso l’aula di informatica.
Doveva
ancora finire di aggiustare un vecchio pc: lo aveva smontato e
rimontato almeno sette volte, ma non c’era niente di meglio che
sfogarsi su di una carcassa di metallo e circuiti per rilassare la
mente. C’era chi ascoltava musica, chi leggeva, chi scriveva o
disegnava: a lui bastava un computer, oppure il suo videogioco.
“Poynter…”
Si
voltò per scrupolo, non perché avesse avuto la vera
intenzione di
farlo.
“Oh… Alicia…”,
disse fermandosi, non l'aveva riconosciuta.
Le
andò incontro. Lei gli sorrideva debolmente, ferma sulle scale
che
portavano alla sala opposta a quella verso cui era diretto. Si
sedette accanto a lei.
“Pronta
per il concerto?”, le chiese, come se nulla fosse successo.
Come se fossero sempre stati amici, come se
non l’avesse mai odiata per avergli rubato
Jones.
Alicia
alzò le spalle, la risposta era alquanto scontata.
“Tranquilla, Danny non ce l’ha con
te.”,
le fece, “E’ che… Ogni tanto ha questi momenti, ma
passano
presto.”
“Lo spero.”,
disse la ragazza, guardando le proprie mani che si intrecciavano tra
di loro.
“Il fatto di
Judd lo ha scosso un po’. Dagli il tempo di riprendersi. In pochi
minuti starà meglio.”
Lei
annuì con un cenno della testa ed un piccolo sorriso. Sì,
era molto
carina, Dougie doveva ammetterlo, e capiva perfettamente perché
Danny ne era stracotto. Non la conosceva bene, ma alcune
dimostrazioni della sua personalità gli avevano fatto capire che
doveva essere una ragazza forte, una che sapeva quello che voleva, ma
non in quel momento.
Ogni
medaglia aveva due facce.
“E’
che…”, stette per dire Alicia,
ma non continuò.
“Puoi
parlarmi tranquillamente.”, la rassicurò, “So quando
un segreto
deve rimanere tale.”
“Vedi… Vorrei andare al concerto
senza
pensare a… A niente.”,
la vide chiudere gli occhi e la sentì sospirare, “Solo che
non ci
riesco.”
“Beh, se
quel coglione continua a comportarsi come un bambino, lo credo bene
che tu non possa riuscirci.”, le fece, “Vorrei tanto
prenderlo a
calci in culo… Col tuo permesso, ovviamente.”
Alicia rise, lo fece involontariamente stare
meglio.
“Fai pure.”,
disse poi.
“Non
ti capisco, Danny.”
“Non
importa che tu lo faccia.”
“E
invece vorrei.”
Anche
Danny si alzò dal tavolo e lasciò lì il suo
vassoio, sebbene
il regolamento
lo vietasse con severità.
“Jones,
dove stai andando?”, gli chiese Tom, ma non gli rispose.
Uscì dalla mensa, sentiva il suo amico
camminare dietro di lui e non gli importava.
“Jones, fermati!”
Era la terza volta in quella giornata che
qualcuno lo prendeva per un braccio e lo costringeva a fermarsi.
Nella
maggioranza
dei casi non sopportava il
gesto, tanto meno in
momento in
cui l’unica cosa che avrebbe voluto fare era cancellare se stesso.
“Ragiona!”, gli disse Tom,
guardandolo
dritto negli occhi, “Stai facendo del male ad Alicia.”
“Non l’avete mai potuta
soffrire.”,
disse al suo amico, “Perché ora tenete tanto a lei?”
“Ti fa stare bene. Qualunque persona che ci
riesca è la benvenuta.”
“Non
essere ipocrita.”
Quello
che vide quasi lo spaventò. Tom prese il respiro più
profondo che i
suoi polmoni gli permisero, chiuse gli occhi ed attese che la rabbia
passasse. In quell’aspetto erano profondamente simili e diversi:
entrambi cercavano di non dare mai in escandescenza per due motivi di
basilare importanza. Danny lo faceva per necessità, Tom era
naturalmente diplomatico. Era la classica persona che attendeva mille
anni per un grido.
“Danny,
piantala con queste cazzate.”, gli disse.
Entrambe le mani si posarono sulle sue
spalle. Le pupille premevano contro le sue.
“Devi convincerti che non c’è
niente di
male in quello che hai fatto a Judd. Quel figlio di puttana ha messo
le mani su Alicia, è stato tuo dovere fargli capire che non deve
più
azzardarsi. Se lo è meritato
e sei stato bene perché hai
finalmente
dato sfogo alla pressione che ti aveva messo sulle spalle…”
Jones non era capace di controbattere.
“Adesso dimmi.”, si riprese Tom,
“Ti
sembra giusto che Alicia stia seduta sulle scale dell’ala ovest a
parlare con quell’imbecille di Poynter, mentre tu stai qui a
discutere sul fatto che sia
giusto o non giusto mettere le mani addosso a Judd, che non
esiterebbe un secondo a fare altrettanto con te, senza motivo?”
Danny si voltò verso i gradini: a molti
metri da loro Alicia e Dougie parlavano
e ridevano. Non fu
gelosia quella
che provò, ma profonda vergogna.
“Ecco!”, esclamò Tom,
“Adesso va’ da
Alicia, salvala da quel cazzone e portala a questo cazzo di concerto,
prima che dica talmente tante volte la parola cazzo da costringermi a
lavare la bocca con il sapone.”
Danny
aggrottò le sopracciglia. Tom ansimava per le troppe parole
dette
senza riprendere un briciolo di fiato.
“Cazzo?”,
gli fece.
“Cazzo!”,
rispose Fletcher, “E togliti dal cazzo, Jones!”
“E mi raccomando, fai delle
fotografie decenti o ti distruggo il poster.”
“Provaci e mescolo
i tuoi smalti.”
Era
buffo vederli becchettarsi tra loro,
Alicia era figlia unica e non aveva mai
potuto godere della presenza
di qualcuno così vicino a lei .
“Lasciami andare o rimarremo imbottigliati
nel traffico.”, disse Danny, liberandosi dalle raccomandazioni
della sorella.
In fin dei
conti Alicia si sentiva un po’ in colpa per averle preso il
biglietto, ma
non più di un
tanto, doveva essere sincera. Salutarono anche sua madre, che
augurò
loro buon divertimento, e salirono in auto
pieni di trepidazione. Avevano i
biglietti, il motore sotto al culo, mancava solo di arrivare alla
Wembley.
Si ritrovarono
davvero in mezzo al peggior traffico della storia londinese, ma erano
comunque sorprendentemente tranquilli: nonostante la partenza in
largo anticipo, quei due posti lato palco erano per loro e nessun
altro avrebbe potuto occuparli. Bloccati sotto la pioggia, mentre lo
stereo riproduceva una stazione radio qualunque, ebbero il momento di
fare il punto della situazione. Da quando si erano ricongiunti,
davanti alle scale dell’ala ovest, nessuna parola era stata spesa
su quella mattinata.
“Uhm…
Alicia.”, le fece Jones, cogliendola soprapensiero, “Mi
dispiace
per oggi.”
“Non ti
preoccupare.”, rispose lei con un sorriso sincero,
“Può
capitare.”
“Non
succederà più, te lo prometto.”
Le
prese la mano ed incrociò le dita con le sue.
“E’ che Judd… Mi ha
infastidito.”, si
spiegò Jones, “Mi ha…”
Il
trillo del suo
cellulare lo
interruppe. Si
scusò e recuperò quel coso infernale nella tasca della
giacchetta.
Sullo schermetto esterno era illuminato il nome di suo padre.
“Pronto?”
“Ciao,
Allie…”
“Ciao
papà.”, rispose, e lanciò uno sguardo a Jones.
“Come stai?”,
le chiese lui.
“Bene,
me la cavo… La vacanza?”
La stretta delle dita di Jones si fece più
forte.
“Alla grande.
E il concerto?”
“Stiamo…
Per entrare. C’è… Un sacco di gente.”
“Lo
credo bene.”, rispose Adrian, “Beh…
Comportati educatamente. Ciao!”
“Ciao…”
Chiuse il cellulare e lo ripose. Era stata la
telefonata più breve di tutta la sua vita.
Non lo sentiva da quando
era partito, tra di loro non c’era stata alcuna telefonata,
né un
messaggino. Niente, come se lei fosse stata orfana ed Adrian non
avesse mai avuto una figlia.
“Cosa
ti ha detto?”, le domandò Danny.
"Niente,
che in Svezia va tutto bene.”, disse con brevità.
A Danny non bastò quella patetica bugia e
le
chiese di essere sincera.
“Parliamone
dopo… Ci stai?”, gli disse.
In
quella serata esisteva una sola cosa: il concerto. Tutto il resto era
bandito e l’emozione concessa era soltanto
la gioia di assistervi. Nient’altro.
“Ok.”,
Jones accettò quell’accordo, “Ne parliamo
dopo.”
Alicia scoppiò in lacrime appena
Springsteen salì sul palco. Divenne una fontana, singhiozzava e
rideva, era uno spettacolo comico a cui Danny si era imposto di
resistere, una volta raccolto tutto il suo self-control. Forse
reagiva in quel modo per la scarica di adrenalina positiva, forse
perché durante tutta l’attesa la sua agitazione non aveva
fatto
altro che aumentare esponenzialmente. Danny non poteva dirlo,
riusciva solo ad osservarla e a chiedersi se
prima o poi smesso di piangere, una
volta
iniziata la prima canzone. Ce ne vollero cinque, tanto che gli
spettatori vicini si preoccuparono per il suo stato emotivo.
“Tranquilli!”, gridava Danny,
oltrepassando i decibel della musica, “E’ felice di essere
qua!”
“Sembra una pazza del manicomio!”,
esclamò uno di loro.
Quel
tizio non aveva pienamente torto, ma si beccò comunque
un’occhiata
torva. Springsteen era davvero vicino. Vicinissimo.
Così vicino che Danny, quando lo aveva visto camminare dal retro
del
palco fino al suo microfono, era rimasto senza fiato. Mettersi a
gridare e sbraitare non era cosa da lui, né da persona sana di
mente, così si era limitato a fissarlo con occhi spalancati fin
quando il pensiero di Alicia piangente al suo collo non era tornato a
fare capolino nella sua mente.
In
tutti i concerti precedenti, Danny e sua sorella si erano sempre
dovuti accontentare di posti in piccionaia: ultima gradinata, ultimo
anello, ultimi degli ultimi, e non importava quanta velocità avevano
impiegato
per comprare
i biglietti. Si chiese come Vicky avesse potuto avere quei due posti,
l’Arena era andata completamente sold out a mezzora
dall’apertura
delle vendite.
Davanti a loro nessuno, soltanto
la balaustra, e sotto di essa il palco.
“Oddio!!!”, Alicia gridò nel
suo
orecchio.
“Calmati!”,
sbraitò Danny ridendo, “Non sta succedendo niente di
male!”
“Sta venendo qua!!! Sta venendo
qua!!!”
Il boato della folla annientò ogni altro
suono. Springsteen, accompagnato dalla sua chitarra e
dall’armonica
al collo, stava camminando verso la curva sinistra dell’arena,
loro
si trovavano proprio al suo inizio. Alicia prese a sbracciarsi e a
gridare il suo nome, tanto che Danny dovette stare attento ad evitare
il suo gomito destro, sempre in potenziale collisione con i suoi
occhiali.
Dalla sesta
canzone in poi il temperamento schizofrenico ed agitato di Alicia
prese a scemare, lasciando lo spazio ad una visione più calma e
regolare dello spettacolo, che fino a quel momento era stato comunque
magnificamente fuori da ogni sua aspettativa. Springsteen non era da
solo, c’era tutta la E-Street Band al completo, e l’arena
cantava
con loro.
“Ti sei
calmata?”, chiese ad Alicia, che tra una canzone e l’altra
si
stava asciugando le lacrime.
“Sì…”,
rispose lei, “Scusami… Ma non riesco a trattenermi!”
“Non ti preoccupare… Lo terrò
a mente!”
Tranquillizzati entrambi, le loro voci
tornarono ad unirsi ai cori. Abbracciò Alicia e si
dondolò insieme
a lei al tempo della successiva ballata. L’emozione che Danny
provava era indescrivibile, mai come quella volta aveva assistito ad
un concerto con il cuore martellante in gola, da far fatica a
respirare. Era felice di essere lì con lei
e di averla resa
a sua volta felice. Sentiva di poter fare qualsiasi cosa, di poter
sconfiggere tutte le paure, la carica che aveva dentro era così
forte da sentirsi come drogato.
“Oh
mio Dio!”, tornò Alicia alla carica.
“Che
succede?”, le fece.
“Jones,
ascolta!!!”, disse lei, “E’ la mia canzone
preferita!”
Comprese. Se escludeva i dvd degli shows, non
aveva mai sentito Because The Night
suonata dal vivo con le proprie orecchie.
“Ho un’amica a cui piace
molto!”, le
gridò a pieni polmoni, ma era sicuro che Alicia non lo stesse
assolutamente ascoltando, “Chissà se è qua con
noi!”
L’evidenza era tale che Danny lasciò
perdere Allie, tenendola per sé. Non si ricordava se sarebbe
venuta
al concerto, quasi se ne rammaricò, avrebbe potuto essere una
buona
occasione per incontrarsi per la prima volta. Molto probabilmente non
avrebbe gioito della presenza della
sua ragazza, ma cosa poteva farci?
Nel frattempo, Alicia era incontenibile e
cantava così forte che Danny fu costretto a riderle in faccia.
Era
troppo divertente!
Il
concerto stava volgendo al termine. Due ore e un quarto di musica,
cori e mani alzate, accendini,
flash e telefoni sventolati in aria.
L’arena al completo stava chiedendo un bis e loro due non erano
da
meno. C’era una voce unica che chiedeva un’altra canzone,
ma
Springsteen ne aveva già cantate quattro in più rispetto
alla
scaletta ufficiale, non li avrebbe mai accontentati. Si trovava sul
palco, stava discutendo con alcuni dei suoi musicisti: il pubblico si
trovava in un rumoroso silenzio di trepidazione, c’era davvero la
possibilità che lasciasse tutti a bocca asciutta.
Tornò a grandi passi verso il microfono,
un’alta marea di flash impazziti illuminò la Wembley.
“Ok, Londra, un’altra
canzone.”, disse.
Non potevano chiedere di meglio e tutti lo
ringraziarono con urla ed applausi.
“Ma
una soltanto.”, aggiunse.
Una
o cento, era lo stesso. Il concerto sarebbe durato il tempo di
un’altra canzone. Alicia strepitò, saltava
ed applaudiva,
Danny non era da meno. Durante tutto lo show avevano cantato, si
erano tenuti per mano, si erano baciati… Lui ed Alicia, come non
avrebbe mai pensato che sarebbe successo nella sua vita. Né con
lei,
né con un’altra ragazza, ma a Danny cosa importava? Era
lei che
aveva sempre voluto. Prima di Alicia non aveva mai aperto abbastanza
gli occhi ed il cuore per qualcuna: non ne aveva avuto il coraggio,
né aveva incontrato una persona che fosse riuscita in un attimo
a
trapassarlo da parte a parte, come la freccia scoccata
dall’arciere
esperto verso il centro bersaglio più lontano.
“Cosa c’è?”, gli chiese
Alicia.
Danny si riprese, accortosi che per tutto
quel lasso di tempo l’aveva fissata con aria stupidamente
innamorata.
“Oh…
Niente.”
“Qualcosa
che non va?”, si preoccupò lei.
Ascoltò
le note riprodotte dalle grandi casse che circondavano tutto il palco
e le riconobbe subito.
that come the twilight should we lose our way
Alicia lo
guardò con occhi felici.
“E’
la tua canzone!”, esclamò.
Evidentemente
sì. Alicia si avvicinò e lo baciò.
“Non
sei contento?”
Sì, lo
era, ed anche molto.
“Ha
suonato entrambe le nostre canzoni preferite!”, strillò
ancora
Alicia, incontenibilmente euforica.
we'd help each other stay in stride
but each lover's steps fall so differently
Si
sedette, poteva tranquillamente vedere ogni particolare dello show
anche da lì, sebbene avesse passato tutto il tempo in piedi.
Nonostante quello, non
era la vista quello a cui lui teneva. Danny notava lo sguardo
impensierito di Alicia, ma non c’era assolutamente niente di cui
preoccuparsi. Non stava male, non era triste.
Era la sua reazione naturale a quella
canzone, niente di più.
but you and I know what this world can do
So let's make our steps clear that the other may see
Voleva
solo ascoltare.
Fece
cenno ad Alicia di sedersi, ma non accanto a lui, bensì sulle
sue
gambe. Lo accontentò, passando un braccio sulle sue spalle, e la
guancia di Danny si fermò accanto alla sua. Non lo affermava con
estrema precisione, ma doveva essere una delle prime canzoni di cui
aveva ricordo. Tantissimi fatti erano legati a quelle note, non uno
meno importante dell’altro, compreso l’attimo che stava
vivendo.
Così come era abitudine di Danny, Alicia gli dette un bacio
sulla
testa, su quell’ammasso scomposto di ricci, che poi
scompigliò con
le dita. Gli sorrise.
“Grazie.”, lesse poi sulle sue labbra.
Ricambiò con un sorriso, poi tornò
alla
visione del concerto. Non si accorgeva del piccolo muoversi costante
del propri corpo, che stava cullando entrambi.
Se questa è la
felicità, la voglio vivere per sempre,
si
disse Danny. Non aveva mai chiesto troppo alla Vita, forse niente, e
allora quella sarebbe stata la sua unica richiesta.
Da due mesi a quella parte, un giorno dopo
l’altro gli era stato regalato qualcosa
di inaspettato, sorprendente, che spesso lo aveva
spaventato a morte. In quegli stessi due mesi, tra alti e bassi era
successo qualcosa che
aveva stravolto il suo modo quotidiano di vivere. Avvolse con maggior
calore quel qualcosa,
che sedeva sulle sue gambe e lo ricambiava con un abbraccio
altrettanto caldo.
I suoi
amici potevano prenderlo in giro, dirgli che si stava comportando
come una ragazzina e che i veri uomini non lasciano se stessi
perdersi in quei momenti di esasperato quanto diabetico romanticismo.
Lo avrebbero accusato di essere composto al novantanove percento di
disgustosa melassa primordiale
e consigliato
invece di cercare nell’altro sesso qualcosa di più
soddisfacente e
meno appiccicoso. Danny accettava tutti i loro suggerimenti, da
quelli più stupidi a quello più intelligenti, se mai quei
due
fossero stati in grado di produrne
almeno uno; voleva loro bene e li
rispettava, si fidava di loro come nemmeno di se stesso. Ma i suoi
amici, fino a prova contraria, non erano lui.
Non erano Danny Jones, un diciottenne
all’ultimo anno di liceo pateticamente innamorato di una sua
compagna di classe, spuntata da Londra uno giorno come un altro.
Attorno alla sua testa potevano volare tutti i cuoricini del mondo,
lui non li avrebbe di certo scacciati, non gli davano quel fastidio
che sembravano creare nel suo prossimo più vicino. Oltre a
quello,
oltre ad Alicia tra le sue braccia ed al suo cuore impazzito,
c’era
Springsteen che suonava dal vivo la sua canzone preferita. C’era
che se ne fregava di chi lo prendeva in giro. C’era che avrebbe
voluto fare qualsiasi cosa per premere il pulsante pausa
e rimanere sospeso in quell’istante.
C’era
che Alicia gli sorrideva e gli dava un bacio sulle labbra.
C’era che il futuro non lo spaventava, se
aveva lei accanto.
C’era
che i suoi sentimenti stavano per esplodere.
Ancora inebetito, Alicia tornò a
sorridergli. Danny posò un dito sulle labbra fini di lei.
If I should fall behind wait for me
Era
il verso più importante di tutta la canzone. Il concerto si
concluse
con l’ultimo accordo, la Wembley esitò nel silenzio e lo
premiò
con un lungo applauso a cui non si unirono.
Non
era facile farlo baciandosi.
Ci
vollero diversi chilometri prima che il silenzio tra loro
scongelasse, erano ancora troppo immersi nelle emozioni per parlarsi.
Fu Danny a farlo.
“Alicia?”,
la chiamò.
Lei si voltò.
Si guardarono con complicità e si sorrisero.
“Senza parole.”, disse lei, e
scoppiò in
una risata genuina che lo travolse all’istante.
Le parole arrivarono quando la macchina si
fermò davanti a casa di Alicia: Danny l’aveva convinta a
rimanere
ancora una notte da lui, si erano fermati per farle prendere qualche
altro vestito di ricambio. Dopo due ore, milioni di ‘ti
ricordi quando…’,
‘hai visto'…, ‘e
quando lui…’,
Alicia
si assentò ed entrò nella villetta di famiglia. In quei
centoventi
minuti avevano passato in rassegna ogni attimo dello spettacolo,
sottolineando i momenti epici, quelli divertenti, quelli che
sarebbero rimasti per sempre nel loro cuore. Insomma, il concerto
venne rivissuto da entrambi sotto forma di parole, emozioni sulla
pelle e canzoni rivisitate in coppia. A Danny non piaceva cantare in
presenza di altri, ma data la poca ritrosia di Alicia
nell’intonare
la musica, anche lui non si fece troppi problemi.
Non avrebbe mai potuto chiedere di meglio.
Mai.
Nonostante alcune fini gocce di pioggia
avessero iniziato a bagnare il parabrezza, Danny uscì
dall’auto e
osservò il posto in cui lei viveva, era la prima volta che lo
vedeva; anche se, quando uscivano
assieme, era lui a passarla a prendere,
era sempre rimasto sulla strada. Certo, la sua famiglia doveva
passarsela proprio bene: in confronto, casa sua sembrava una topaia.
Non era esageratamente grande e maestosa, affatto, ma non aveva
niente a che vedere con le comuni case inglesi. Due piani, grande
tetto spiovente che la rendeva visivamente più bassa di quanto
fosse
stata in realtà, finestre ampie con infissi chiari. Non riusciva
a
capire a quale gusto architettonico si fosse ispirato il costruttore,
era una casa piuttosto strana e fuori dal comune. In compenso, era
circondata da una siepe alta e spessa, così come tutte quelle
intorno a loro, ed un alto cancello sbarrava la strada a chiunque.
Non comprendeva se il giardino sconfinasse al di là della
costruzione, ma era molto probabile che fosse in quel modo: case del
genere avevano sempre dei grandi spazi verdi sul retro, mentre la sua
aveva una specie di tappeto verdastro secco. Non c’era cancello
dai
Jones, la sua abitazione dava direttamente sul marciapiede.
Provenivano da due
estrazioni sociali completamente diverse, ma Danny non percepiva
assolutamente quella differenza.
“Hey!”,
lo chiamò Alicia, “Ci sono.”
Chiuse
il portone di legno massiccio e si avvicinò all’auto.
Danny si
apprestò ad entrare di nuovo nell’abitacolo, ma una strana
espressione nel volto di Alicia lo distrasse dalla sua intenzione.
“Ma… Cos’ha
quest’auto?”, la sentì
dire.
“In che senso?”,
le domandò.
“Non so…
La ruota…”
Lasciò lo
sportello aperto e fece il giro dell’auto. Vide subito quale
fosse
stato il problema: la ruota anteriore destra era completamente
sgonfia, il cerchione toccava terra.
“Cavolo…”,
disse Danny, osservandola.
“La
sai cambiare?”
Come in
tutte le situazioni parallele vissute in tv, le gocce di pioggia,
prima fini e impercettibili,
iniziarono ad appesantirsi, Danny le poté sentire bagnare la sua
fronte ed appannargli la vista.
“Sì,
l’ho già fatto una volta.”, rispose, ignorando la
pioggia, “Non
ci vorrà molto.”
“Sicuro?”,
chiese Alicia, “Perché sta mettendosi a piovere.”
“Tranquilla, ci metterò solo
diec-…”
Non fece in tempo a terminare la frase,
grosse secchiate li colpirono entrambi.
“Entriamo in auto!”, disse Danny ad
Alicia.
“Macchè!”,
esclamò lei, “Andiamo in casa!”
“Chiamo
e ci facciamo venire prendere!”, la trattenne fuori.
“Sono le due passate! C’è
l’auto di
mio padre!”
“Ma non
hai le chiavi, te le ha nascoste, non ti ricordi?”, le fece.
“Le cercheremo!”
“E
se non le troviamo?”
Alicia
si spazientì.
“Sta
piovendo, piantala di opporti e vieni in casa!”
Entrarono che sembravano essere caduti in una
piscina, erano entrambi fradici.
“Seguimi.”,
gli disse Alicia.
Lasciò
una scia d’acqua e di impronte che, se fosse accaduto
casa sua, Kathy avrebbe iniziato a sbraitare come un’indemoniata.
Il pavimento di piastrelle
rigettava ogni goccia d’acqua
piuttosto
che assorbirla.
“Rimango
qua.”, si oppose ancora, “Sporco tutto.”
“Fregatene, Jones!”
“Ma dovrai pulire…”
Alicia roteò gli occhi e ripercorse il
breve
tratto, lo prese per un braccio e lo costrinse a seguirla. Si
guardò
indietro, due coppie di impronte
visibilissime andarono a macchiare le piastrelle bianche. Si chiese
dove stessero andando.
“Le
chiavi dovrebbero essere qua, in cucina.”, gli spiegò
Alicia.
Non ebbe nemmeno il tempo di guardarsi
intorno, lo catapultò in una stanza di mobili in acciaio e legno
bianco.
“Tu guarda
dentro ai cassetti.”, gli ordinò Alicia, con decisione,
“Io
dentro agli scompartimenti.”
“O-ok…”,
rispose Danny, che trovava piuttosto sconveniente andare a frugare in
casa d’altri, conoscendone a malapena gli occupanti.
Esitò, poi aprì il primo cassetto e
lo
trovò pieno di posate argentate.
“Muoviti!”,
esclamò Alicia, che era salita sul ripiano della cucina per
arrivare
più in alto, e le ginocchia bagnate toccavano il lato del
lavello di
marmo.
Iniziò a
rovistare qua e là, alla ricerca di un possibile mazzo di
chiavi. Si
ricordava del SUV che aveva accompagnato Alicia al cinema, la prima
volta che erano usciti insieme, molto probabilmente avrebbe trovato
una di quelle grosse chiavi nere, magari completamente in
plastica…
“Qua non ci sono.”,
disse Alicia, saltando giù dal ripiano, “Vado a cercarle
altrove.”
E sparì in un lampo, diretta chissà
dove.
Danny continuò nella sua piccola ricerca, ma una volta conclusi
i
cassetti non se la sentì di infilare
le mani altrove. Stava iniziando ad
infreddolirsi, i vestiti bagnati si erano
appiccicati alla pelle e non voleva ammalarsi, era meglio trovare un
modo per tornare a casa. Preferì così muoversi tra le
stanze alla
ricerca di Alicia: andò a colpo sicuro, la sentì
imprecare
sonoramente dietro ad una porta di legno e vetro colorato.
“Alicia.”, le fece, “Non
l’ho
trovata…”
“Nemmeno
io!”, esclamò lei, “Deve essersela portata dietro,
ma io contavo
di recuperare almeno quella di scorta!”
“Non
preoccuparti.”, volle calmarla, “Chiamo mia sorella e mi
faccio
venire a prendere con la sua auto.”
“Jones,
sono le due passate, le troncherai il sonno in due.”, disse lei.
“E cosa vuoi che sia, è praticamente
insonne.”
“Appunto,
metti che è riuscita ad addormentarsi, la disturberai.”
“Alicia, non pensarci.”, insistette,
“Chiamo Vicky.”
“No.”,
si oppose lei per l’ennesima volta, “C’è anche
un’altra
soluzione.”
Danny non
comprese, aggrottò la fronte ed attese con le mani sui fianchi.
“Potresti… Rimanere qui,
perché no? E’
quasi una settimana che dormo da te, potrei ricambiare il favore.”
Poteva… Ma no, era meglio di no. Non aveva
nemmeno un pigiama con sé.
“Non
ho niente per dormire, e poi non devi per forza sdebitarti con
me!”
“Beh…
Dove sta il problema?”
Doveva trovare un’argomentazione valida ed
inconfutabile al più presto, altrimenti Alicia avrebbe avuto la
meglio.
“Jones, prendi
il telefono ed avverti. Te ne stai qua.”, lei interruppe ogni
dibattito, “Ti darò un pigiama di mio padre.”
“Non se ne parla!”
“Ok, va bene.”, rispose lei,
incrociando
le braccia ed annuendo.
Danny
si fece perplesso per la seconda volta.
“Ok…
Va bene?”, le fece.
“Sì,
va bene.,”, rispose Alicia, con tranquillità,
“Vattene fuori e
cambia la ruota sotto il temporale. Fammi sapere quando torni a
casa.”
Alicia
spuntò dalla camera di suo padre con uno dei tanti pigiama di
Adrian
tra le mani. Stava rabbrividendo dal freddo.
“Quella
là è la stanza degli ospiti.”, indicò a
Jones la porta
verdognola, “Puoi farti una doccia, quello che vuoi, hai un bagno
tutto per te.”
“Non è
che tuo padre si arrabbierà?”, le fece, ancora insicuro.
“No, fidati.”
Lo
obbligò a voltarsi e lo spinse, per incoraggiarlo a seguire i
suoi
dettami.
“Adesso devo
cambiarmi. Ci troviamo in soggiorno tra quale minuto.”
Sparì nella propria stanza e, dopo essersi
tolta velocemente ogni vestito da dosso, si chiuse nel proprio bagno
e si fece una doccia caldissima, tanto che quando ne uscì
dovette
lottare contro la condensa formatasi ovunque. Conoscendo Adrian, se
fosse venuto a conoscenza delle decisioni prese da lei in
quell’ultima settimana, avrebbe sollevato un putiferio
così alto
da impedire la vista del sole per settimane. In quel mese con Jones
le sue paranoie da genitore apprensivo non l’avevano mai
lasciata,
tanto che si erano entrambi abituati a telefonate improvvise,
richieste di messaggi ad una determinata ora della serata… Dopo
poco avevano
smesso di farci caso.
Se
avesse saputo che se n’era andata a dormire da Jones,
l’avrebbe
chiusa in casa per almeno un anno. E se avesse saputo che Jones era
rimasto nella villetta, o che vi aveva anche solo messo piede senza
il suo consenso, sarebbe stata spedita realmente in un collegio del
nord dell’Inghilterra.
Nel
mentre l’asciugacapelli compiva il suo dovere, Alicia venne presa
da un dubbio atroce.
Dove
sei di bello, sorellina? Non sei a casa mia, vero?
Mark
doveva aver capito qualcosa, o anche tutto. Se avesse fatto la spia?
Finì di asciugarsi i capelli con quel pensiero in testa. Mark
sarebbe stato capace di smascherarla senza alcun rimorso, non ci
pensava due volte a darle la colpa di ogni cosa se ne aveva
l’occasione. L’importante era umiliarla e liberarsi di
lei…
L’importante era farla impazzire.
Uscì
dal bagno e si rivestì con un pigiama pulito. Il pensiero di
quello
stronzo non aveva il diritto di rovinarle la serata, c’erano
ancora
tanti episodi del concerto che non erano stati tirati fuori e la
notte era aperta ancora davanti a lei. Prima di quella volta, non
aveva mai avuto nessuno con cui condividere tutti i ricordi;
esplorarli ancora le permetteva di inchiodarli nella mente, e non
dimenticarli più. Era stato lo show più bello a cui aveva
assistito
e lo aveva apprezzato fino in fondo. Si vergognava un po’ al
pensiero della sua reazione alla vista di Springsteen, ma non aveva
potuto farne a meno… Fortunatamente Danny l’aveva capita,
non
l’aveva derisa e l’aveva sostenuta, sebbene quello che
aveva
provato non era stata
nient’altro che un’esplosione incontrollata di gioia.
E poi.
If
I Should Fall Behind.
Non
riusciva a descriverlo. Non ne era capace.
Una
cosa doveva però confessarla. Aveva pensato a Ratleg. Anche lui
adorava quella canzone, anche lui era stato presente al concerto,
Alicia non sapeva dove, ma in quella folla c’era stato anche lui.
Gli aveva dedicato un attimo, uno soltanto, poi l'aveva riposto in un
cassetto e,
una volta chiuso, aveva messo
la chiave in un luogo sicuro ed era tornata da Jones. Era lì che
doveva stare ed Alicia era contenta di avergli trovato una
casa.
Danny
aveva ascoltato la canzone ad occhi chiusi, la guancia appoggiata
contro la sua.
So let's make our steps clear that the other may see and I'll wait for you
If I should fall behind, wait for me
Alicia
doveva capire che cosa il suo cuore aveva contenuto in quel momento.
Lasciò la sua stanza e
scese al piano inferiore. Sentiva il rumore della tv accesa, Jones
doveva essersi accomodato e, infatti, lo trovò davanti allo
schermo.
Proiettava una partita di calcio e riconobbe subito quale squadra
stesse giocando.
“In
casa Lewis è vietato tifare per il Bolton!”, lo colse alle
spalle.
Danny sussultò e si voltò.
“Non è colpa mia se ti hanno educata
nel
modo sbagliato!”, le rispose ridendo, “Avanti, siediti
accanto a
me e guarda come giocano i grandi!”
I
grandi… Una squadra di bifolchi del nord. Alzò le
sopracciglia e
lo raggiunse, senza esprimere alcun pensiero al riguardo della sua
ultima affermazione.
“Ecco,
vedi.”, le disse, indicando la televisione, “Avessi uno
schermo
del genere a casa mia e la pay-tv come hai tu, potrei stare ore ed
ore a guardarmi queste partite.”
“Sei
solo un maschio.”, lo rimbeccò, come se quella parola
fosse stata
un’offesa, “Staresti sul divano con una
maglietta piena di macchie, la birra in mano e il rutto pronto.”
“Quello è Dougie con la sua Play
Station.”, la corresse lui ridendo, “Io me ne starei
composto.”
Jones era un tipo di ragazzo precisino e
perfettino, ma nessuno resisteva alla potenza de decivilizzatrice del
calcio. Né lui, né Alicia: prima che Adrian si
risposasse, aveva
avuto da suo padre il nullaosta per le parolacce, ma solo se gridate
durante le partite di calcio.
“Andiamo,
non ti capita mai di insultare l’arbitro?”, gli fece,
provocandolo, “O di urlare 'porca puttana' ad un corner tirato da
cani?”
“Sì, beh…
Che c’entra!”, esclamò l’altro,
“Però non me ne sto a
ruttare come un maiale!”
Alicia
volle stupirlo.
Da
piccola ci riusciva, poi Adrian si era lievemente arrabbiato con lei.
Inghiottì un po’ d’aria, attese, e poi il resto
venne da solo.
Jones sgranò gli occhi, lei incrociò le braccia ed attese
la
prossima reazione.
Fu una
risata isterica travolgente
___________
Note dell'autrice:
If I should fall behind di Bruce Springsteen è citata senza alcun scopo di lucro. Polpettone diabetico.
Ringrazio Ciry e Queen F per la recensione, nonchè tutti quelli che leggeranno e/o recensiranno questo capitolo!
Ruby