IL FILO ROSSO DEL DESTINO
A Yokohama era una splendida mattinata di
sole quando la porta di quella casa si aprì, una mattinata di quelle in grado
di scaldare gli animi e i cuori di chiunque tranne forse quello della donna che
stava suonando alla porta.
Quando la porta di quella casa – una fra tante villette a schiera da cui si sentiva
l’odore del mare – si aprì, lei si trovò di fronte quel ragazzo in un’imbarazzante tenuta domestica. Un’informe
maglietta bianca e improbabili pantaloni rossi larghi tre volte lui, che
coprivano tutto quel che era possibile coprire del corpo del loro proprietario.
Il ragazzo la fissava con occhi marroni spalancati, quasi non si fosse
aspettato di trovarsi davanti quell’elegante signora in kimono tradizionale,
tanto bella quanto altera.
« Si… si… signora! Buongiorno! Non pensavo
di vederla qui a quest’ora! »
Oh, be’. Almeno su questo non gli poteva
dar torto, era ancora molto presto. Fu sorpresa anzi di vederlo già in piedi,
per cui si limitò ad inarcare le sopracciglia mentre lui si scostava per
lasciarla passare.
«
Mio figlio è in casa? »
« Sì, signora. Sta… sta dormendo. »
« Quel poltrone. »
Rilevò con la coda dell’occhio lo sguardo
perplesso del ragazzo, ben conscio di che ore fossero, ma fece finta di nulla. Il
suo nome era Yuki, Yuki Sakurai.
«
Se vuole vado a chiamarlo. »
«
No, non fa nulla. Conta di metterci molto ad alzarsi? »
Erano appena le sette del mattino di un
giorno di sole qualsiasi a Yokohama.
«
Non credo. Di solito alle sette e mezza è sempre in piedi. »
Lei rimase in silenzio. Il suo sguardo non
si staccò un istante dal ragazzo che le stava vicino. Aveva i capelli
schiariti, di un castano tendente al biondo, e portava un paio di occhiali
dalla montatura rossa. Nascondevano due occhi grandi, dal taglio allungato e
sottile, che la osservavano di tanto in tanto con un certo palese disagio.
« Gradisce un tè mentre aspetta? O… può
restare a fare colazione con noi, se preferisce. »
Lui non era mai stato un genio nel
camuffare le proprie emozioni, ma era lodevole il modo impacciato in cui ci
provava. Poverino, la sua presenza doveva avergli rovinato la giornata. Sì,
forse era il caso di non complicargli ancor di più le cose.
« Un tè andrà benissimo, grazie. »
Lo vide annuire, poi mettersi ad armeggiare
col bollitore dell’acqua. Lei non fece complimenti, s’accomodò sul piccolo
divano bianco del salotto. Cielo… che caos era quella stanza. C’erano spartiti
ovunque, un grosso stereo, un pc in un angolo… e cd, grossi dischi in vinile,
vecchie videocassette. In un angolo troneggiava la piccola batteria che suo
figlio, il suo Kazuhiro, usava per esercitarsi in casa.
Di nuovo si girò a guardare Yuki. Da lì
poteva vederlo trafficare in cucina, e dalle stoviglie era evidente che l’aveva
disturbato proprio mentre stava preparando la colazione per due. Ne osservò il
profilo insolito, elegante, e le mani piccole ma abili.
Quello era il ragazzo che le aveva portato
via suo figlio, tanti anni prima.
S’accigliò un poco.
« Come stai, Yuki? »
Lui si voltò, chiaramente sorpreso da
quella domanda.
Tanti anni prima, quel ragazzo aveva
espresso il desiderio di tornare a Yokohama; suo figlio l’aveva seguito. Non
erano tornati a vivere dalle loro famiglie, però: erano andati a vivere
assieme, in una villetta da cui si vedeva il grigio mare del Giappone.
Sempre perché l’aveva voluto Yuki.
Lo chiamava per nome, perché per lei
sarebbe sempre stato il ragazzo di quattordici anni dai capelli tinti di biondo
che aveva preso suo figlio per mano e l’aveva portato via con sé, lontano da
lei.
« Io… sto bene, signora. A parte qualche
disturbo che va e viene. »
Lei non commentò, lui si morse le labbra.
Non lo aveva mai approvato, e forse non
l’avrebbe fatto mai.
Quando le porse il tè, con quelle dita
affusolate dalle unghie curatissime, la donna lo guardò lungamente negli occhi
e prese un sorso.
Era un tè bianco, probabilmente
aromatizzato alla vaniglia, dall’aroma delicato quanto il sapore che aveva al
gusto.
Sì, Kazuhiro non mancava mai di ripeterle
che Yuki – o Yuu, come lo chiamava lui – aveva ai fornelli il talento di un
cuoco di professione. Che si trattasse di tè o di cucina italiana, non
sbagliava mai un colpo.
Gli occhi le corsero istintivamente alla
fedina d’oro bianco che quel ragazzo portava all’anulare destro, e ricordò le
innumerevoli volte in cui aveva detto a suo figlio di smettere di frequentare
quel ragazzo ambiguo, che fumava e beveva di nascosto e aveva mollato il liceo
al primo anno. Era accaduto una di quelle infinite volte… suo figlio Kazuhiro,
il suo studioso, tranquillo figlio primogenito, le aveva risposto.
Arrabbiandosi s’era alzato in tutta la sua statura. Non azzardarti a denigrare
Yuki!, quello le aveva urlato, furioso come mai lei l’aveva visto. Tu non sai
niente di lui!
Già, forse era vero che non sapeva niente,
ma… quel ragazzo non aveva una buona reputazione, lo distoglieva dai suoi
doveri, e poi c’era quella questione della musica… andava bene finché era
soltanto un passatempo, ma ora stava diventando un hobby decisamente troppo
serio. Lei avrebbe dato così tanto perché suo figlio si trovasse degli svaghi
più normali, degli amici più normali!
E poi… a diciott’anni Kazuhiro non era mai uscito con nessuna ragazza. Eppure
era un così bel ragazzo…! Non poteva pensare a farsi una vita, per una volta,
invece di sognare?
A quel punto, lo ricordava bene come se
l’avesse appena vissuto, Hiro aveva chiuso gli occhi con una punta di dolore e
tanta amarezza.
“Io e Yuu stiamo insieme.”
Non le aveva dato neppure il tempo di
replicare, s’era voltato e aveva infilato la porta. E non perché non avesse
avuto il coraggio di affrontarla, no, era suo figlio e il coraggio non gli era
mai mancato. Aveva voluto di nuovo correre da quel ragazzo.
Il giorno dopo sarebbero partiti per Tokyo,
per sfondare. E ci sarebbero riusciti.
Prese altri due sorsi di tè, poi sospirò.
Non era tempo di perdersi in ricordi lontani dieci anni.
« È buono. »
Quando alzò gli occhi vide che Yuki la
guardava, e sorrideva.
Aveva un sorriso incredibilmente dolce, che
gli curvava labbra meravigliose come un’unica onda in un mare sereno. Erano limpidissimi,
gli occhi di quel ragazzo.
« Grazie. »
Poco più di un sussurro… e non era per il
complimento soltanto.
Fu proprio quello il momento che quello
scapestrato di Kazuhiro, alias “suo figlio”, scelse per mettere piede in
salotto.
« …mamma! Che fai qui? »
Aveva la solita capigliatura assurda con
cui ogni mattina si alzava dal letto.
« Sono venuta a trovarti prima di andare al
lavoro, Hiro. Non si può? »
In realtà aveva sempre evitato di farlo
senza preavviso, in precedenza. Le sembrava una maleducazione imperdonabile. Ma
quel mattino… quel mattino aveva voluto rivedere il suo bambino. E ora invece guardava
il bel ragazzo che era diventato.
« Be’, già che sei venuta fin qui, ti
accompagno. »
La donna annuì, poi notò che Yuki era
andato in cucina e aveva aperto il frigo, togliendone un caffellatte in lattina
e lanciandolo a Hiro. Non c’era stato bisogno che gli dicesse nulla, e il
sorriso che Kazuhiro gli donò fu il più bello dei ringraziamenti.
« Be’, vado a vestirmi e torno. Faccio in un
attimo. »
Restarono di nuovo soli, lei e Yuki, e in
un attimo calò il silenzio. Lei guardava Yuki, che a sua volta osservava la
porta attraverso cui era svanito il suo compagno. Perché sì, quello erano.
Da una vita, ormai.
« Gli piace molto il caffellatte. »
Forse avrebbe dovuto accettare che quello
che c’era fra quei due ragazzi aveva il nome di “destino”.
« Lo so. »
Quando lei si voltò, pochi minuti dopo,
vide Yuki inchinarsi.
Hiro l’aveva preceduta all’esterno e non
poté vedere tutto quello.
Non poté vedere l’inchino profondo di Yuki,
né poté udire la sua bella voce sottile mormorarle quell’unica frase commossa.
« Grazie per averlo messo al mondo. »
A quel punto sorrise. Sì, davvero riusciva
a capire come mai suo figlio amasse tanto quel ragazzo, come mai per lui avesse
tanto lottato. Tuttavia… era una donna, ma anche una madre orgogliosa. Non
poteva cedere del tutto, non così presto.
Uscì, raggiunse Hiro e si incamminarono.
Non era poi così male camminare col proprio figlio di mattina, come da molto
tempo non facevano.
« Perché sei venuta fin qui, mamma? »
« Per vedere come se la cava il mio adorato
primogenito. »
Kazuhiro non le pareva scocciato, sorpreso
tutt’al più. Era un ragazzo riservato, alto, dall’aria gentile e il sorriso
pronto. Lo guardò con dolcezza mentre si scostava un ciuffo di capelli castani
dalla fronte.
« Io sto bene, come puoi vedere. E grazie a
Yuki non salto un pasto. »
« …parli sempre di lui, come dieci anni fa.
»
Per un attimo gli occhi neri di Hiro si
persero a guardare il cielo azzurro. Aveva un’espressione tanto tenera che
quasi ne fu commossa, persino lei che era sua madre.
« Vedi, mamma… c’è chi ha la propria
ragione di vita in un sogno o in una cosa. Invece… la mia ragione di vita è
stare al suo fianco. È stato sempre così, fin da quando l’ho visto la prima
volta. Come dire… è stato il filo rosso del destino. »
Sì, Yuki è un angelo! Quante volte
gliel’aveva ripetuto!
Lei non gli aveva mai creduto, finché…
finché non aveva visto il sorriso di quel ragazzo. Un sorriso che aveva il
candore della neve e il profumo dei fiori di ciliegio.
Quei sakura
che aveva anche nel nome.
« Coraggio figliolo, torna a casa. Non c’è
bisogno che mi accompagni oltre. »
Lui la osservò, con un’ombra di
inquietudine negli occhi.
« A casa tua, intendo. Lui ti sta
aspettando. »
Già, non c’era niente da fare. Proprio
niente. Che poteva fare lei contro un amore come quello?
« Sei sicura? »
« Da qui posso proseguire da sola. »
« Allora la prossima volta venite a cena da
noi, tu e papà. Dovete assolutamente assaggiare qualcuno dei manicaretti di
Yuki! »
Lei ci pensò un attimo su mentre riprendeva
a camminare.
« Riferirò il tuo invito. »
« Ah, mamma? »
Si fermò.
« Non ti preoccupare. Noi siamo felici. »
Già, suo figlio era felice.
E forse… era quella la sola cosa che
contava.
FINE
N.d.A.
Io non so davvero come mi sia venuto in mente di rispolverare questa storia,
una “scena di vita quotidiana” romanzata di una coppia realmente esistente e
che adoro. Figurarsi, l’avevo scritta tempo fa mentre ero su un treno e
aspettavo che ripartisse…
I
protagonisti, comunque, sono Yuki e Hiro della band giapponese “rice”.
Una
volta facevano parte di una band culto del visual kei, i “Raphael” (io li
nomino, uno spera sempre che qualcuno li conosca! XD), e attualmente portano
avanti questo loro progetto da una decina di anni.
Questa
scena come ho detto è romanzata, primo perché Yuki e Hiro non vivono assieme,
secondo perché la madre di Hiro credo non sia così stronza… XD (quel che è
certo è che con Yuki non sembrano esserci particolari problemi).
All’inizio
ho aspettato ad inserirla, perché non sapevo se avrebbe fatto parte della serie
“
So
già che non la leggerà nessuno, ed è da tempo che non mi capitava di scrivere
qualcosa di così… ingenuo, se vogliamo. Non ci sono particolari picchi di
stile, è semplicemente una storia spero piacevole scritta per rilassarmi.
Grazie
a tutti, spero che vi sia piaciuta!
Vitani