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Autore: Carlos Olivera    03/10/2010    2 recensioni
Ogni cosa ha un suo corso.
I regni sono come gli uomini; nascono, vivono, ed infine muoiono.
Ad ogni impero ne succede sempre un altro, in un ciclo senza fine.
La profezia a lungo dimenticata sta per avverarsi, e la guerra che molti credevano finita è prossima a ricominciare, ma questa volta ci sarà spazio solo per un vincitore.
Gli eroi scelti dal destino, a loro insaputa, si sono imbarcati in un'impresa che li porterà a varcare le porte di una realtà ignota, incredibile, ma anche piena di pericoli, pericoli sconosciuti e letali.
Buona Lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Millennium War'
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Ormai mancava davvero poco.

Da qualche giorno, Regis e il suo gruppo erano entrati nell’Impero di Kroatan, oltre il quale, a detta delle guide che avevano consultato, si trovava il Regno di Mystas, terra d’origine del culto di Inti, in cui sorgeva il suo grande tempio.

Poiché erano giunti così vicini al luogo in cui si annidavano i loro principali avversari, Regis giunse alla conclusione che molto probabilmente non solo la gemma trafugata al torneo di Munda da Zak-Ner, ma almeno anche un’altra delle restanti due doveva essere già in mano ai seguaci del dio del sole.

Questo stava a significare che, una volta ritrovata la quinta gemma, che ormai non doveva essere molto lontana, i ragazzi non avrebbero avuto altra scelta che prendere di petto i loro nemici e confrontarsi con loro in un faccia a faccia decisivo.

Il pensiero di dover dare l’assalto al castello dell’avversario impensieriva tutti, persino Regis, anche perché questo significava senza ombra di dubbio il doversi battere contro nemici del calibro di Hymir, il sacerdote del Toro incontrato a Torgaru, che aveva dato prova di essere un guerriero di molto superiore a quelli incontrati fino ad ora.

Durante quel viaggio erano tutti migliorati, su questo non c’era dubbio, ma forse non abbastanza per potersi confrontare con avversari tanto potenti e determinati.

In ogni caso sapevano fin dal giorno della partenza che prima o poi si sarebbe giunti a quel punto, solo non si aspettavano che sarebbe accaduto così presto.

«Signor maestro, quanto pensate che manchi al posto dove si trova la pietra?»

«Non molto credo. L’ultima emanazione era piuttosto forte. Una decina di chilometri al massimo.»

«Perfetto!» disse Elys «E poi sarà la volta di quei maledetti sacerdoti! Impareranno a loro spese cosa vuol dire mettersi contro le persone sbagliate!»

«Non fare troppo la spaccona.» disse Sakura «Non sarà una battaglia facile. Hai visto tu stessa di cosa possono essere capaci.»

«Che si facciano pure sotto! Li schiaccerò!»

«Elys sembra molto sicura di sé, maestro.»

«A buon diritto.» rispose inaspettatamente Regis «Non si può negare che è migliorata da quando tutta questa storia ha avuto inizio.»

«Credete davvero?»

«E non solo lei. Tutti bene o male, me compreso, stiamo ampliando le nostre conoscenze man mano che procediamo in questo viaggio. Di sicuro, quando sarà finito, avremo dalla nostra un patrimonio di conoscenza e di esperienza che non avremmo mai potuto ottenere semplicemente restando a Fiya.

Prendi Elys. È partita che era poco più di una spaccona attaccabrighe, per quanto di talento, e adesso si può quasi cominciare a considerarla una guerriera. E non parlo solo dell’abilità.»

«Volete dire che è cresciuta anche come persona? In effetti credo abbiate ragione.»

«Corpo e mente devono crescere di pari passo. Se una delle due parti prende il sopravvento sull’altra si crea uno squilibrio che genera inevitabilmente un guerriero mediocre destinato a fallire.

Credimi, lo so per esperienza».

Sul far del tramonto i ragazzi giunsero in vista di un piccolo villaggio che sorgeva nel mezzo di una vasta pianura, circondato da una bassa palizzata, e decisero di fermarsi per la notte trovando alloggio alla locanda. La gente del posto si mostrò accogliente, seppur nei limiti della cordialità, ma non gliene si poteva fare un torto; probabilmente vedevano di rado gente di altri Paesi, figuriamoci di altri continenti, di cui magari avevano sentito solo parlare vagamente da qualche carovana di mercanti.

Durante il viaggio avevano capito, tramite le varie esperienze capitate loro, che la presenza di una delle pietre poteva essere in qualche modo ipotizzata dal verificarsi, nella zona attigua al posto dove era custodita, di fatti insoliti o situazioni particolari, vedasi il caso dell’ultima ad essere stata aggiunta alla collezione. Di conseguenza, una delle prime cose che i ragazzi si premurarono di domandare subito dopo aver ottenuto un po’ di fiducia da parte degli abitanti fu se in quella regione fossero successe ultimamente delle cose strane o se esistessero leggende riguardanti strani e misteriosi poteri.

Alla domanda di un avventore sul perché fossero tanto interessati a cose simili Dave, con una bella intuizione, rispose che il suo maestro era un esimio studioso di leggende e folklore intento a scrivere un libro sui miti e le leggende del continente di Kamur, lui il suo assistente e le ragazze delle guardie assunte per fare da scorta. Gli abitanti parvero un po’ scettici, soprattutto notando il fatto che Regis, pur essendo un professore, non ne aveva granché l’aspetto, e oltretutto era armato, ma alla fine sembrarono crederci e cominciarono ad aprirsi.

«Nella Valle di Alman a sud di qui crescono piante medicinali dai poteri miracolosi.» disse il locandiere «Sono piante uniche che si trovano solo laggiù.»

«La Valle di Alman avete detto.» disse Regis «Molto bene, cominceremo da lì».

La cena, a base di carne e legumi, proseguì senza problemi, e in poco tempo gli abitanti del villaggio che all’osteria si concedevano una generosa pinta di vino o di birra per rimettersi dalle fatiche della giornata cominciarono ad essere sempre più cordiali ed espansivi con gli stranieri, fino al punto che, nel giro di un’ora, sembravano diventati ormai parte della comunità, tanto benignamente e allegramente venivano trattati.

Poco prima di mezzanotte Regis e gli altri andarono a dormire ma li svegliarono, neanche due ore dopo, gli schiamazzi e le urla infervorate di un battaglione di soldati che entrarono nel villaggio dopo aver costretto i guardiani a farsi aprire il portone. Donne e bambini restarono nascosti nelle case, gli uomini invece uscirono all’esterno; tra loro anche il proprietario della locanda, nonché capo della comunità.

«Prendete tutte le cose di valore che trovate e caricatele sul carro!» disse il capo del battaglione ai suoi uomini senza neanche prendersi la briga di dare qualche spiegazione

«Che state facendo?» domandò il capo villaggio vedendo quella marmaglia fare irruzione nelle case portando via tutto ciò che trovavano

«Eravate stati avvertiti. Visto che non avete pagato le tasse in denaro rimedierete pagando con tutto quello che avete.»

«Sono tasse inique. Non possiamo permetterci di pagarle.»

«Non sono qui per ascoltare piagnistei e giustificazioni. Risparmiateveli per il tribunale».

Ad un certo punto uno dei soldati, entrato in una delle case più misere e malandate del villaggio, non trovando niente di valore da rubare pensò bene di prendersi la figlia del proprietario, poco più che una bambina.

La cosa scatenò la reazione violenta degli abitanti, alcuni dei quali, armi alla mano, cercarono di riscattare la propria libertà e di portare in salvo la bambina; i soldati, però, erano più numerosi, meglio equipaggiati e più preparati di loro, e quello che era iniziato come un tafferuglio minacciò di trasformarsi in un bagno di sangue, anche perché il capo delle guardie sembrava determinato a punire in maniera esemplare quello che definiva un palese atto di insubordinazione.

Il capo villaggio, che aveva ispirato e guidato la rivolta, venne circondato e malmenato, ma prima che un soldato potesse infliggergli il colpo di grazie un dardo di luce lo centrò alla testa, e subito dopo Regis e gli altri si gettarono nella mischia offrendo il proprio aiuto.

«E questi chi diavolo sono?» domandò il comandante «Bifolchi bastardi, avete assoldato dei mercenari? E sia, uccideteli tutti!».

I ragazzi però erano decisamente su un altro livello rispetto ai contadini, e i soldati, uno dopo l’altro, cominciarono a cadere come foglie secche.

Regis, a causa della sua più che evidente abilità nel combattimento, fu costretto come al solito a fronteggiare il numero più consistente di avversari, e considerando il fatto che era stato appena buttato giù dal letto la sua concentrazione non poteva dirsi al massimo. Era così preso a dover tener testa a quattro o cinque soldati nello stesso momento da non accorgersi che uno di loro, nascosto dietro una pila di casse, lo aveva preso di mira con il proprio arco.

«Maestro, attenzione!» gridò Dave avvedendosi per primo della minaccia.

Il dardo partì, e prima che Regis potesse anche solo percepire distintamente il pericolo Dave gli saltò addosso buttandolo a terra e prendendo la freccia al suo posto, che lo trafisse ad una gamba.

«Dave!» gridò Regis vedendo il suo allievo accasciarsi al suolo.

Il ferimento di Dave non servì tuttavia a riaffrancare l’animo dei soldati, che ricevuto il benservito dai ragazzi e soverchiati dai contadini si diedero alla fuga zoppicando o gattonando per tutte le botte ricevute.

«Aspettate e vedrete, non finisce qui!» gridò il comandante prima di andarsene a sua volta.

Passata la tempesta Sakura e gli altri corsero incontro a Regis, ancora chino su Dave; il ragazzino non accennava a rialzarsi, sudava e respirava a fatica, inoltre la sua pelle scottava da impazzire.

«Dave! Dave, riprenditi!»

«Che cos’ha?» domandò Elys

«Non ne ho idea. Dave! Dave!»

«Ma… maestro.» balbettò lui aprendo faticosamente gli occhi «Ho… caldo…»

«La cosa è molto grave.» disse il capo villaggio giungendo con alcuni dei suoi uomini «I soldati imperiali il più delle volte bagnano le loro frecce nel veleno.»

«Nel veleno!?» ripeté Aria sconcertata.

 

Dave venne riportato in tutta fretta nella locanda e si tentò di somministrargli una qualche sorta di cura, ma, come previsto, nessun rimedio convenzionale risultò efficace.

L’unica speranza di salvezza era riposta in Sakura, la sola tra tutti a possedere le conoscenze necessarie a saper riconoscere e annullare gli effetti dei veleni sul corpo umano; la ragazza, sedutasi accanto al letto, passò a lungo una mano, avvolta in una calda luce verde, sopra il corpo di Dave, ma dopo parecchi muniti di concentrazione lo sguardo che le apparve in volto quando si rialzò e volse verso i suoi compagni, in trepidante ed angosciosa attesa dietro di lei, lasciava ben poche speranze.

«Allora?» domandò Elys «Puoi fare qualcosa?»

«Mi spiace, non riconosco il veleno.»

«Maledizione!» ringhiò Viola dando un calcio allo sgabello

«Voi ne conoscete la composizione?» chiese Sakura rivolta al capo villaggio e ai suoi uomini

«Purtroppo, questo è un segreto che i soldati dell’imperatore custodiscono con molta cura.»

«Non puoi cercare di scoprirla tu stessa?» domandò Elys

«Potrei, ma mi ci vorrebbe almeno un giorno. E in queste condizioni, se non facciamo qualcosa temo che Dave non arriverà a domani sera».

Nella stanza piombò un silenzio angosciante, rotto solo dall’ansimare affaticato di Dave che gravitava costantemente tra il sonno e la veglia con la febbre che saliva sempre di più.

«Aspettate!» disse uno degli uomini del capo «Forse il vecchio Kantari può aiutarlo.»

«Chi è il vecchio Kantari?» chiese Sakura

«È un erborista che vive nella Valle di Alman. Prepara i suoi unguenti con le piante che crescono laggiù. Un tempo viveva qui, poi si è andato a vivere nella valle e da allora vive come un eremita.»

«In questo caso, non c’è tempo da perdere.» disse Elys «Andiamo subito a parlare con questo Kantari.»

«Aspettate, non fatelo!» disse il capo «Se entrerete nella valle, il Guardiano vi ucciderà.»

«Chi è il Guardiano?» domandò Viola

«È l’orribile mostro che sorveglia perennemente la valle. Chiunque si avvicini, lui lo distrugge senza pietà. Dicono sia alto decine di metri, e che con le sue mani possa stritolare le montagne.»

«Potrebbe trattarsi di un robot.» disse Elys sottovoce

«Lo penso anch’io.» rispose Sakura «Ma in ogni caso, è un rischio che bisogna correre».

D’un tratto tutti si accorsero che Regis, che fino a quel momento era rimasto immobile in un angolo della stanza a braccia incrociate e sguardo basso, era sparito, e un istante dopo i suoi compagni, affacciatisi alla finestra, lo videro mentre, in sella ad un cavallo, sfrecciava sotto la locanda diretto verso il cancello sud.

«Regis, aspetta!» gridò Elys

«Che stai facendo, stupido!» disse Viola «Pensi di potercela fare da solo?»

«Lasciatelo andare.»

«Ma, Sakura…»

«Dave è il suo allievo. Si sente responsabile per quello che gli è successo, e vuole rimediare.»

«Ed è solo per questo?» chiese Elys

«Non solo.» rispose Sakura a sguardo basso «Dopotutto, sono anni che viaggiano insieme. Credo che Regis abbia cominciato a considerare Dave come un fratello, se non addirittura come un figlio. È naturale che voglia proteggerlo, del resto ha preso questo impegno anche con la sua famiglia.»

«Capisco. Spero solo che non gli accada nulla».

 

Cavalcando incessantemente per tutta la notte, all’alba Regis raggiunse le sponde della Valle di Alman.

La vista che si presentava dinnanzi ai suoi occhi era davvero impagabile: circondata da basse montagne, la vallata ridondava di vita in ogni suo anfratto, e come la tela di un pittore invisibile era abbellita dalle tinte di centinaia e centinaia di piante ed alberi dai colori più disparati.

Al centro un lago, e usando l’incantesimo per la rifrazione della luce da usare come un binocolo Regis intravide, lungo la sponda orientale, una piccola casa di legno e pietra.

«Quella deve essere la casa dell’erborista».

Sceso da cavallo accarezzò un momento il volto dell’animale, che nitrì come in segno di preoccupazione.

«Da qui in poi, sarà meglio che io prosegua da solo. Aspettami, d’accordo?» disse, e legato il cavallo ad un albero lì vicino si incamminò lungo il sentiero.

Quello che non sapeva era che una parte dei soldati da lui malmenati quella notte, i pochi che il comandante era riuscito a recuperare dopo che erano fuggiti, erano ancora sulle sue tracce, pronti a cogliere la prima occasione buona per saltargli addosso e fargli pagare quello che aveva loro fatto.

«Ci siamo.» disse il comandante appostato dietro a dei cespugli assieme ai suoi subalterni, una decina in tutto «Quel maledetto avrà ciò che si merita. Nessuno può sperare di prendersi gioco dei soldati dell’imperatore e farla franca».

I soldati, però, sembravano molto più spaventati e meno balzandosi di lui, e uno di loro non mancò di esternare i suoi sentimenti quando il comandante chiese loro una spiegazione per quell’incessante batter di denti.

«Signore, è pericoloso restare qui. Il Guardiano potrebbe…»

«Finitela!» urlò il comandante rosso in volto «Volete capirlo o no, quella è solo una favola!»

«Però…» disse un altro «Però si dice che chiunque entra nella valle sparisca nel nulla.»

«Dicerie. Storie di vecchi ubriaconi. Pensate alla ricompensa che potreste ottenere se portassimo all’imperatore quell’erborista portentoso. Ci darebbe tanto di quell’oro da poterci ritirare tutti dagli affari e vivere di rendita per il resto della vita.»

«Però… se il Guardiano esistesse davvero?»

«Poco importa. Se così fosse, del che io dubito, sarà quel tipo ad eliminarlo per noi. E quando ci avrà portato dall’erborista, lo sistemeremo come si deve.

Ora smettetela di tremare come scolarette e seguitemi. E attenti a dove mettete in piedi. Questo posto pullula di piante velenose».

Regis intanto aveva incominciato la sua discesa lungo i fianchi della valle senza incontrare alcun tipo di problema. La sola cosa a cui doveva fare attenzione era di non calpestare qualche pianta; la natura dominava davvero incontrastata in quell’angolo di mondo in cui il tempo sembrava essersi fermato, ed era incredibile osservare quante e quali meraviglie era in grado di produrre se lasciata libera di proliferare.

Del Guardiano invece, neanche l’ombra.

A ben pensarci forse si trattava solo di una leggenda, una diceria messa in giro per impedire agli uomini di entrare in quella specie di piccolo paradiso terrestre e farne man bassa.

Meglio così; ma ora non c’era tempo per pensarci. Dave andava aiutato, e il tempo era un lusso che Regis non si poteva permettere.

Più passavano le ore più il lago si faceva vicino, e con esso la meta del viaggio; Regis teneva costantemente un occhio puntato verso il sole, seguendone attentamente l’incessante procedere attraverso il cielo. L’ultima volta che guardò, dopo aver percorso quasi tre quarti della strada, dovevano essere da poco passate le dieci del mattino. Quasi un terzo del tempo a sua disposizione se n’era andato e Dave aveva ancora bisogno di essere curato.

Ripensando al suo giovane allievo in quelle condizioni, disteso in un letto tra febbre e dolori, non riuscì a non darsi dell’irresponsabile e dello stupido. Quando aveva deciso di prendere quel ragazzo con sé aveva promesso ai suoi genitori di prendersi cura di lui, e di tenerlo per quanto possibile lontano da eccessivi pericoli.

E invece aveva fallito: non solo era riuscito a proteggerlo, ma era stato addirittura protetto da lui, e per questo gesto ora Dave stava rischiando di pagare con la vita.

Aveva deciso di portarlo con sé nel suo viaggio a Kamur perché lo riteneva ormai abbastanza maturo da potersi prendere questo genere di responsabilità, ma forse chi non era davvero maturato nel corso degli anni era proprio lui.

Oggi come allora non era stato capace di proteggere le persone a cui teneva come aveva giurato di fare nell’istante in cui aveva visto la cosa a lui più cara di ogni altra venirgli strappata via nello stesso, identico modo. In quell’occasione aveva giurato a sé stesso che mai più avrebbe permesso ad una persona cara di morire a causa sua, ma ora, a distanza di migliaia di anni, ora quella promessa rischiava di essere disattesa, con suo grande disonore e vergogna.

No. Non lo avrebbe permesso. Anche se avesse dovuto costargli la vita, avrebbe rimediato al suo errore.

“Ti salverò Dave. È una promessa”.

Ormai mancava davvero poco all’arrivo, quando d’un tratto, mentre era ancora immerso nei propri pensieri, Regis ebbe la sensazione di non essere più solo. Fermatosi tese l’orecchio, e fu così che fu in grado di sentire distintamente un rumore strano, come di passi pesanti che si avvicinava sempre di più.

Dovettero passare solo pochi secondi, poi da un boschetto vicino uscì una gigantesca creatura di metallo. Grossa e tarchiata, di un colore argenteo rifulgente con alcuni riverberi in oro, poteva dirsi tranquillamente una enorme armatura medievale con elmo, corazza, schinieri, stivali, bacciali e mantello, e armata di spada e scudo da cavaliere.

Era talmente grosso che la terra tremava sotto i suoi piedi; fece alcuni passi verso Regis, e quando gli fu abbastanza vicino nella celata del suo elmo si accesero due occhi di fuoco.

«Allora esiste.» disse Regis tra sé e sé «Questo deve essere il Guardiano».

Il gigante urlò, come uno sfrigolare di motori, mulinando violentemente la spada.

«Via dalla mia strada!» gridò Regis.

Senza pensarci gli si lanciò contro, convinto di avere a che fare con un avversario alla sua portata, e in parte anche reso ceco dalla fretta che aveva di fare ritorno al più presto dal suo allievo con l’antidoto per salvargli la vita; una leggerezza che gli costò cara.

Quel bestione poteva pure essere mastodontico ma aveva un’agilità e una rapidità negli spostamenti non indifferenze, e di certo la forza non gli faceva difetto.

Schivato il primo attacco rispose immediatamente con un affondo di spada, e ben presto Regis si trovò nella condizione di doversi incessantemente difendere. Gli assalti del nemico erano così potenti che il terreno si squarciava e interi gruppi di alberi venivano recisi di netto, per non parlare dei suoi pestoni, capaci di scavare buche di un metro e più di profondità.

Regis ad un certo punto cercò di cogliere un apparente momento favorevole quando la spada del nemico rimase incastrata in una roccia e spiccò un salto per cercare di colpirlo tra i fori della celata, all’apparenza il suo unico punto debole, ma quello, con un gesto del tutto inaspettato, colpì violentemente il ragazzo con il suo scudo.

L’urto sarebbe stato sufficiente ad ucciderlo, ma grazie al cielo Regis riuscì a parare il colpo quel tanto che bastava per salvarsi le ossa; questo però non servì ad impedirgli di essere letteralmente sparato in mezzo ad uno strano cespuglio di foglie uncinate simili al vischio. Dapprima non avvertì nulla, se non il fastidio per qualche graffio subito, ma poi, prima ancora che potesse uscire dal cespuglio, la sua vista cominciò ad appannarsi, i suoni a diventare opachi, e un dolore sempre più forte prese a scorrergli in tutto il corpo, soprattutto nelle gambe.

“Ve… veleno…” pensò faticando a reggersi in piedi.

Era naturale. Anche lì come sulla Terra, certe piante dalle proprietà medicinali potevano risultare al contrario estremamente pericolose se le sostanze che producevano venivano assorbite dal corpo prima di essere state opportunamente trattate, e con la quantità esorbitante che doveva essergli entrata in corpo Regis rischiava di morire, o nella migliore delle ipotesi di perdere conoscenza.

In ogni caso la sua situazione stava davvero precipitando, perché anche se il veleno gli avesse lasciato uno scampo ci avrebbe pensato quel mostro di metallo a dargli il colpo di grazia.

Più per istinto che per altro il ragazzo continuò a combattere, ma la sua era più una difesa disperata piuttosto che un vero e proprio combattimento, e più passava il tempo più ai colpi ricevuti si aggiungeva l’effetto letale del veleno, che lo allontanava sempre di più dalla sua percezione della realtà.

Alla fine, stremato, cadde in ginocchio sorreggendosi alla sua spada, ed ebbe a malapena la forza di pensare di aver fallito ancora, per l’ennesima volta, prima che la sua mente andasse come in corto circuito, spegnendosi.

Ciò nonostante il suo corpo non cadde, né mostrò i segni della morte imminente. Rimase invece immobile nella sua posizione, poi, come per incanto, il suo corpo cominciò a circondarsi di uno strano alone bianco, e per un istante due grandi ali bianche si materializzarono dietro la sua schiena.

Il gigante di metallo dapprima fece qualche passo indietro, poi, apparentemente senza timore, si lanciò alla carica per infliggere il colpo di grazia con un devastante fendente, ma all’ultimo istante, come animato da un’altra mente, Regis si alzò di scatto, e con un solo colpo orizzontale recise di netto la spada del nemico, che colto alla sprovvista barcollò all’indietro.

Regis colse l’occasione e attaccò immediatamente, e con straordinaria forza, trovando sulla propria strada lo scudo che il gigante aveva sollevato a propria difesa. Vi fu solo un brevissimo contatto, più rapido di un batter di ciglia, poi i due contendenti si separarono. Regis tornò a terra alle spalle del nemico, il cui corpo, dopo qualche secondo, un enorme taglio si aprì nel suo fianco mentre lo scudo, risultato del tutto inutile, si divideva a metà.

«Troppo lento.» disse il ragazzo con una voce strana, profonda ed echeggiante

Dallo squarcio, netto e preciso come il taglio di un bisturi, sprizzarono fumo e scintille, poi gli occhi del gigante si spensero e l’armatura rovinò inerme al suolo afflosciandosi su sé stessa.

Come la minaccia cessò Regis, apparentemente svuotato di colpo di tutta quell’inaspettata energia, crollò svenuto sul terriccio, e l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu un’ombra nera che lo sovrastava oscurando il sole.

 

Nel delirio del veleno Regis vide molte cose.

Si vide di nuovo a casa, nel suo mondo, davanti ai suoi amici che come ogni altro giorno uscivano da scuola al termine delle lezioni. Vedeva anche lei, la sua Nadeshiko, che rideva e scherzava come era nel suo carattere. La chiamava, chiamava tutti loro, ma nessuno si voltava, e più cercava di raggiungerli più loro sembravano allontanarsi, perdendosi nell’oscurità.

Poi, un altro salto nel tempo, ed eccolo ritornare a quel giorno maledetto, il giorno in cui aveva visto la sua amata morire per proteggerlo. Il giorno in cui tutto era iniziato, in cui la sua maledizione aveva avuto inizio.

Spezzato nell’animo da quella visione lanciò un agghiacciante urlo di dolore, e come riaprì gli occhi si ritrovò disteso su di un semplice materasso di piume all’interno di una casa dall’aspetto povero e trascurato ma che profumava di erbe ed estratte come solo la dimora di un potente avrebbe potuto fare.

«Che…» borbottò ancora mezzo intontito «Che mi è successo?».

Le varie ferite sul suo corpo erano state tutte medicate, e lui stesso profumava di erbe; di conseguenza, non serviva certo un genio per capire che era finalmente giunto in casa dell’erborista.

Ma come aveva fatto ad arrivare fin lì?

Aveva ricordi molto vaghi e offuscati di quanto accaduto durante il combattimento con quel gigante di metallo, quasi certamente un robot messo da qualcuno a guardia della valle, o magari più semplicemente programmato per attaccare chiunque entrasse nel suo raggio d’azione, e per quel che sapeva era svenuto nel bel mezzo della battaglia a causa del veleno inalato.

Tuttavia, aveva l’impressione che ci fosse qualcos’altro, che fosse accaduto qualcosa di particolare, ma per quanto si sforzasse non gli riusciva di ricordare.

Di colpo, un dubbio lo assalì. Quanto tempo era passato? Quanto era stato privo di sensi?

Ore? Giorni? O forse addirittura settimane? Se era così, per Dave non ci sarebbe stata speranza. Forse era già morto.

Con la paura nel cuore si girò verso la finestra; il sole non si vedeva, ma scrutando le ombre tracciate sul terreno dagli alberi che stavano a ridosso del lago capì che doveva essere all’incirca l’una del pomeriggio.

«Ah, sei sveglio.» disse in quella una voce di vecchio, e poco dopo da una porta laterale uscì un bizzarro vecchietto dall’aria simpatica e ascetica al tempo stesso.

Pelato, aveva una folta barba grigia, due piccoli occhi marroni nascosti dalle rughe e vestiva in modo molto semplice, da povero contadino.

«Hai davvero una tempra d’acciaio ragazzo. Raramente ho visto qualcuno sopravvivere dopo aver inalato una simile quantità di veleno della maronaia.»

«Voi siete Kantari l’erborista?»

«In persona, ragazzo.»

«Per quanto tempo ho perso i sensi?»

«Non molto un paio d’ore. Giusto il tempo di portarti qui e medicare le tue ferite».

Regis si mise una mano sul torace; si sentiva ancora debole, ma a parte questo l’effetto del veleno era stato quasi del tutto eliminato. Ancora una volta, non sapeva perché, il fato aveva deciso di lasciarlo in vita.

Poi, si ricordò del motivo che lo aveva condotto lì.

«Signor Kantari, ho estremo bisogno del vostro aiuto. Io…»

«Non dire niente, ragazzo.» rispose lui fermandolo con la mano.

Kantari si avvicinò al grande tavolo in legno al centro della stanza e da un contenitore recuperò un sacchettino di pelle che lanciò a Regis.

«Questo è l’antidoto per il veleno usato dai soldati dell’Imperatore. Sarà sufficiente tritarlo e mescolarlo con acqua e zucchero fino a farne una pomata da spalmare sulla ferita. Tutti gli effetti dovrebbero sparire nel giro di poche ore.»

«Ma…» ribatté Regis attonito «Ma come…»

«Come facevo a sapere di cosa avevi bisogno?» disse Kantari con uno strano sorriso.

In quella uno splendido falco entrò da una finestra aperta e andò a posarsi sulla spalla del vecchio, che gli sfiorò la testa e gli offrì un pezzetto di carne. Regis lo riconobbe dal colore particolare del piumaggio, un marrone acceso: lo aveva intravisto al suo arrivo al villaggio, appollaiato su di un tetto.

«Lui è il mio tramite con il mondo esterno. Mi racconta tutto quello che succede al villaggio. Sai, quella un tempo era la mia casa.»

«E come mai alla fine siete voluto venire qui.»

«Diciamo che la vita lì fuori era diventata troppo complicata per i miei gusti. Qui almeno le cose non cambiano. E poi, sono un amante della quiete».

Regis stette un attimo a riflettere sulle parole del vecchio, quando d’un tratto, proprio come era accaduto subito prima della comparsa del robot, avvertì distintamente l’approssimarsi di un pericolo. Anche Kantari parve avere la stessa sensazione, tanto che si alzò in piedi e prese in mano un lungo bastone dall’estremità a bulbo volgendosi verso la porta d’ingresso.

In tutta fretta, e per quanto le forze glielo permettessero, Regis si alzò dal letto, recuperò le sue spade ed infilò velocemente la sua maglietta quindi, assieme al padrone di casa, uscì all’esterno pronto a combattere. I soldati che lui e i suoi compagni avevano massacrato al villaggio erano infine arrivati, e sembravano più determinati che mai a riscattare l’umiliazione subita.

«E così, alla fine ci rincontriamo.» disse il comandante «Te l’avevo detto che ti avrei fatto pagare il tuo affronto.»

«La lezione di questa notte non ti è bastata?»

«Fai meno lo sbruffone. Si vede ad occhio nudo che a stento ti reggi in piedi».

Regis digrignò i denti. Quel pallone gonfiato aveva ragione. Tra il veleno che si era ritrovato in corpo, il periodo trascorso privo di sensi e l’effetto tranquillante che dovevano avere alcune delle erbe con le quali era stato curato Regis in quel momento aveva più voglia di un letto che di una battaglia, tanto era provato.

Il comandante sguainò la spada, puntandogliela contro.

«Ti lascerò qualche minuto, se c’è qualche Dio che vuoi pregare. Il tempo di convincere questo vecchio a venire con noi.»

«Sono onorato del vostro invito» disse l’interessante «Ma allo stesso tempo, sono anche costretto a declinarlo.»

«Forse non ci siamo capiti, vecchio. Questo non è un invito, ma un ordine.»

«Sono venuto a vivere qui proprio per non dovermi trovare in questo genere di situazione. A me non piace obbedire agli ordini, men che meno se provengono da uomini dell’imperatore.»

«E sia, vecchio pazzo. Vuol dire che useremo le maniere forti!»

«Provateci soldanto!» gridò Regis mettendo mano alla spada

«Aspetta, ragazzo.»

«Ma…»

«Ha ragione lui. Non sei ancora nelle condizioni di combattere. Lascia che ci pensi io.»

«Voi?»

«Non mi sottovalutare. Ho anch’io i miei assi nella manica.» disse Kantari, che poi sfiorò delicatamente il becco del suo bel falco «Giusto amico mio?».

Di colpo, gli occhi del volatile emanarono uno strano bagliore, poi tutto il suo corpo sprigionò un’esplosione di luce verde tanto forte da accecare tutti. Regis si coprì gli occhi, e quando li riaprì vide il vecchio erborista stringere tra le dita della mano uno smeraldo ottagonale dal taglio sopraffino e dall’incredibile potere.

«La pietra sacra!?» esclamò esterrefatto

«Come questa, ad esempio.»

“Incredibile. Una pietra in grado di mutare il proprio aspetto!?”

«Che diavolo sta succedendo?» domandò il capitano

«Activation».

Kantari venne avvolto dalla stessa luce, e quando ne riemerse era completamente diverso; alla veste vecchia e sporca si era sostituita una tunica ocra con i bordi rossi e le maniche corte, ai piedi scarpine con alcune parti d’argento e dietro le spalle una mantellina leggera. Il bastone si era allungato leggermente, ma la forma era rimasta più o meno la stessa.

«Scusate per l’attesa. Vogliamo cominciare?»

«Non illuderti, vecchio. Se speri che basti questo spettacolo da quattro soldi per spaventarci sei fuori strada. Prendetelo!».

Quattro soldati corsero verso Kantari armi alla mano, ma nonostante ciò il vecchio rimase calmo ed immobile.

«Masha?»

«Sonic Move!».

Kantari come per magia parve scomparire subito prima di essere raggiunto; il realtà, movendosi a velocità a dir poco eccezionale, comparve alle spalle dei suoi aggressori.

«Dove attaccate? Io sono qui».

Quelli, dopo un attimo di stupore, lo attaccarono ancora, ma la scena si ripeté nuovamente, e poi ancora e ancora per diverse volte fin quando quei poveri soldati non si ritrovarono la testa che era sul punto di saltare via dal collo tanto erano confusi.

A quel punto a Kantari bastarono un paio di calci ben piazzati, eseguiti tra l’altro con straordinaria agilità e abilità, per metterli tutti a riposo.

«Dannatissimo vecchiaccio! Uccidetelo!».

I superstiti a quel punto attaccarono tutti insieme, ma uno dopo l’altro vennero messi fuori combattimento e come già accaduto solo poche ore prima chi prima e chi dopo abbandonarono il campo dandosi alla fuga. Restò solo il comandante, che però non voleva saperne di scappare una seconda volta.

«Dovessi restarci secco, questa volta non scapperò!» gridò correndo verso Kantari

«Attenzione!» gridò Regis vedendo la follia negli occhi del soldato.

In quelle condizioni un uomo era capace di tutto, ma nonostante ciò Kantari restò immobile.

«È la tua fine, vecchiaccio!».

L’anziano erborista piantò a terra il proprio bastone, e sotto di lui si formò un grande circolo magico dal quale si sollevarono una decina di sfere luminose.

«Cannon Shot!».

Le sfere partirono veloci come proiettili una dietro l’altra; il comandante, in parte per abilità in parte per il delirio della rabbia, evitò le prime, ma le successive lo colpirono in rapida successione. L’ultima poi lo centrò in pieno volto, sparandolo a tutta velocità dritto nel lago; un brutto colpo, ma certamente non mortale, anche se indubbiamente ne sarebbe uscito con qualche dente di meno.

«Bene, credo che così possa bastare.» disse Kantari, che poi si volse verso Regis, ancora stupito per quanto aveva visto «Ora, immagino tu voglia questa pietra.»

«Cosa…»

«L’ho capito dal tuo sguardo. Inoltre, le pietre incastonate sulla lama della tua spada non forse simili a questa? Ci sono altri tre fori che aspettano di essere riempiti, e uno di essi sembra fatto apposta per ospitare la mia.»

«Ecco… veramente io».

Kantari sorrise leggermente, quindi tornò al suo aspetto reale.

«Mentre ti medicavo ti ho sentito parlare nel sonno. Non ho la presunzione di comprendere quante e quali prove hai dovuto affrontare nel corso della tua vita, ma so per certo che sono state tante e difficili.

Chi lo sa, forse questa pietra, qualunque cosa sia, ti aiuterà ad arrivare un po’ più vicino alla conclusione del tuo viaggio».

Detto questo il vecchio porse a Regis la propria pietra, ma prima che il ragazzo potesse prenderla richiuse il pugno.

«Però, in cambio, vorrei che tu e i tuoi amici faceste una cosa per me.»

«Di che si tratta?»

«Lo hai visto tu stesso. Questo Paese non è governato da una persona che si potrebbe definire un buon regnante. L’Imperatore Maduras è un uomo avaro e pericoloso che pensa solo a sé stesso, e anche se sono in molti a non sopportare più la sua presenza l’esercito a sua difesa lo protegge da qualsiasi pericolo.

Io personalmente non ho mai fatto niente per tentare di contrastarlo. Ho sempre pensato che la cosa non mi riguardasse e sono venuto qui, dove speravo di essere finalmente lontano da tutto quel marcio. Poi però ho visto te e i tuoi compagni, e ho capito che far finta di non vedere è quanto di più sbagliato si possa fare.

Questa pietra merita di stare in mani più degne delle mie, ma l’ultimo sogno di questo povero vecchio sarebbe che venisse usata per guidare questo Paese verso una strada un po’ migliore di quella che sta attualmente percorrendo».

Regis temporeggiò un momento, poi allungò nuovamente la mano e raccolse la pietra.

«Vi prometto che esaudirò il vostro desiderio. Userò questa e le altre pietre per dare nuova speranza a questo impero.»

«Ti ringrazio. Se non altro, morirò con qualche rimpianto in meno.

Ora và. Il tuo discepolo aspetta».

Senza tergiversare oltre Regis, salutato e ringraziato il vecchio Kantari, tornò rapidamente sui suoi passi con una nuova gemma incastonata nella spada e, soprattutto, il sacchettino con l’antidopo legato alla cintura.

Al suo ritorno al villaggio le condizioni di Dave erano molto peggiorate, al punto che tutti cominciavano a temere seriamente per la sua sopravvivenza, ma grazie all’estratto di erbe e all’esperienza di Sakura alla fine il ragazzino venne salvato.

«Vi ringrazio, signor maestro.» disse prima di addormentarsi

«No, Dave. Grazie a te».

Fu sufficiente una buona nottata di riposo e un pasto abbondante, e Dave era di nuovo in piedi e pronto a partire.

Lui e gli altri si rimisero dunque in marcia con una nuova, inaspettata missione da portare a termine. Elys e Viola non mancarono di sottolineare il proprio disappunto per doversi sobbarcare quell’ennesima seccatura.

«Non è giusto!» sbottò Elys subito dopo che ebbero lasciato il villaggio «Perché dobbiamo fare anche questa?»

«Sono d’accordo.» disse Viola «Come se non avessimo già abbastanza problemi. Ci mancava solo il dover detronizzare un imperatore fanatico.»

«Non possiamo tirarci indietro.» disse Dave «Dopotutto, quell’anziano erborista ci ha fatto un grande favore consegnandoci la sua pietra, e noi abbiamo il dovere di ricambiare.»

«Tu parla per te!» ribatté Elys «Se non ti fossi ridotto in quello stato probabilmente non ci troveremmo in questa situazione ora?»

«Suona strano detto da te. Non è stato forse a causa tua che abbiamo dovuto fermarci per due settimane in mezzo alle montagne?»

«Che c’è, hai voglia di litigare per caso?».

Regis sorrideva divertito, ma la sua mente era per buona parte altrove. Anche dopo una notte di sonno e senza la preoccupazione di dover salvare la vita al suo allievo non riusciva ancora a ricordare cosa fosse accaduto tra il suo svenimento e il risveglio nella capanna del vecchio Kantari.

Aveva però la sensazione che fosse molto importante, e proprio per questo, in un modo nell’altro, avrebbe dovuto cercare di capire di che cosa si trattava.

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Quello di oggi è un cap molto speciale, non tanto per i suoi contenuti quanto piuttosto perché è il primo che pubblico dalla mia nuova casa.

Esatto, mi sono trasferito! Il trasloco per la verità è ancora in atto (diciamo pure in alto mare) ma sono riuscito comunque a trovare il tempo per scrivere.

Altra cosa importante, ormai sono in tesi, il che significa che, tolto il tempo da dedicare al suddetto trasloco, dovrei avere un po’ più di tempo libero.

Spero di poterlo usare al meglio.

Grazie come sempre a Selly e Akita.

A presto!^_^
Carlos Olivera

  
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