62
Ormai mancava davvero poco.
Da qualche giorno, Regis e il suo
gruppo erano entrati nell’Impero di Kroatan, oltre il quale, a detta delle
guide che avevano consultato, si trovava il Regno di Mystas, terra d’origine
del culto di Inti, in cui sorgeva il suo grande tempio.
Poiché erano giunti così vicini al
luogo in cui si annidavano i loro principali avversari, Regis giunse alla
conclusione che molto probabilmente non solo la gemma trafugata al torneo di
Munda da Zak-Ner, ma almeno anche un’altra delle restanti due doveva essere già
in mano ai seguaci del dio del sole.
Questo stava a significare che, una
volta ritrovata la quinta gemma, che ormai non doveva essere molto lontana, i
ragazzi non avrebbero avuto altra scelta che prendere di petto i loro nemici e confrontarsi
con loro in un faccia a faccia decisivo.
Il pensiero di dover dare l’assalto
al castello dell’avversario impensieriva tutti, persino Regis, anche perché
questo significava senza ombra di dubbio il doversi battere contro nemici del
calibro di Hymir, il sacerdote del Toro incontrato a Torgaru, che aveva dato
prova di essere un guerriero di molto superiore a quelli incontrati fino ad
ora.
Durante quel viaggio erano tutti
migliorati, su questo non c’era dubbio, ma forse non abbastanza per potersi confrontare
con avversari tanto potenti e determinati.
In ogni caso sapevano fin dal
giorno della partenza che prima o poi si sarebbe giunti a quel punto, solo non
si aspettavano che sarebbe accaduto così presto.
«Signor maestro, quanto pensate che
manchi al posto dove si trova la pietra?»
«Non molto credo. L’ultima
emanazione era piuttosto forte. Una decina di chilometri al massimo.»
«Perfetto!» disse Elys «E poi sarà
la volta di quei maledetti sacerdoti! Impareranno a loro spese cosa vuol dire
mettersi contro le persone sbagliate!»
«Non fare troppo la spaccona.»
disse Sakura «Non sarà una battaglia facile. Hai visto tu stessa di cosa
possono essere capaci.»
«Che si facciano pure sotto! Li
schiaccerò!»
«Elys sembra molto sicura di sé,
maestro.»
«A buon diritto.» rispose
inaspettatamente Regis «Non si può negare che è migliorata da quando tutta
questa storia ha avuto inizio.»
«Credete davvero?»
«E non solo lei. Tutti bene o male,
me compreso, stiamo ampliando le nostre conoscenze man mano che procediamo in
questo viaggio. Di sicuro, quando sarà finito, avremo dalla nostra un
patrimonio di conoscenza e di esperienza che non avremmo mai potuto ottenere
semplicemente restando a Fiya.
Prendi Elys. È partita che era poco
più di una spaccona attaccabrighe, per quanto di talento, e adesso si può quasi
cominciare a considerarla una guerriera. E non parlo solo dell’abilità.»
«Volete dire che è cresciuta anche
come persona? In effetti credo abbiate ragione.»
«Corpo e mente devono crescere di
pari passo. Se una delle due parti prende il sopravvento sull’altra si crea uno
squilibrio che genera inevitabilmente un guerriero mediocre destinato a
fallire.
Credimi, lo so per esperienza».
Sul far del tramonto i ragazzi
giunsero in vista di un piccolo villaggio che sorgeva nel mezzo di una vasta
pianura, circondato da una bassa palizzata, e decisero di fermarsi per la notte
trovando alloggio alla locanda. La gente del posto si mostrò accogliente,
seppur nei limiti della cordialità, ma non gliene si poteva fare un torto;
probabilmente vedevano di rado gente di altri Paesi, figuriamoci di altri
continenti, di cui magari avevano sentito solo parlare vagamente da qualche
carovana di mercanti.
Durante il viaggio avevano capito,
tramite le varie esperienze capitate loro, che la presenza di una delle pietre
poteva essere in qualche modo ipotizzata dal verificarsi, nella zona attigua al
posto dove era custodita, di fatti insoliti o situazioni particolari, vedasi il
caso dell’ultima ad essere stata aggiunta alla collezione. Di conseguenza, una
delle prime cose che i ragazzi si premurarono di domandare subito dopo aver
ottenuto un po’ di fiducia da parte degli abitanti fu se in quella regione
fossero successe ultimamente delle cose strane o se esistessero leggende
riguardanti strani e misteriosi poteri.
Alla domanda di un avventore sul
perché fossero tanto interessati a cose simili Dave, con una bella intuizione,
rispose che il suo maestro era un esimio studioso di leggende e folklore
intento a scrivere un libro sui miti e le leggende del continente di Kamur, lui
il suo assistente e le ragazze delle guardie assunte per fare da scorta. Gli
abitanti parvero un po’ scettici, soprattutto notando il fatto che Regis, pur
essendo un professore, non ne aveva granché l’aspetto, e oltretutto era armato,
ma alla fine sembrarono crederci e cominciarono ad aprirsi.
«Nella Valle di Alman a sud di qui
crescono piante medicinali dai poteri miracolosi.» disse il locandiere «Sono
piante uniche che si trovano solo laggiù.»
«
La cena, a base di carne e legumi,
proseguì senza problemi, e in poco tempo gli abitanti del villaggio che
all’osteria si concedevano una generosa pinta di vino o di birra per rimettersi
dalle fatiche della giornata cominciarono ad essere sempre più cordiali ed
espansivi con gli stranieri, fino al punto che, nel giro di un’ora, sembravano
diventati ormai parte della comunità, tanto benignamente e allegramente venivano
trattati.
Poco prima di mezzanotte Regis e
gli altri andarono a dormire ma li svegliarono, neanche due ore dopo, gli
schiamazzi e le urla infervorate di un battaglione di soldati che entrarono nel
villaggio dopo aver costretto i guardiani a farsi aprire il portone. Donne e
bambini restarono nascosti nelle case, gli uomini invece uscirono all’esterno;
tra loro anche il proprietario della locanda, nonché capo della comunità.
«Prendete tutte le cose di valore
che trovate e caricatele sul carro!» disse il capo del battaglione ai suoi
uomini senza neanche prendersi la briga di dare qualche spiegazione
«Che state facendo?» domandò il
capo villaggio vedendo quella marmaglia fare irruzione nelle case portando via
tutto ciò che trovavano
«Eravate stati avvertiti. Visto che
non avete pagato le tasse in denaro rimedierete pagando con tutto quello che
avete.»
«Sono tasse inique. Non possiamo
permetterci di pagarle.»
«Non sono qui per ascoltare
piagnistei e giustificazioni. Risparmiateveli per il tribunale».
Ad un certo punto uno dei soldati,
entrato in una delle case più misere e malandate del villaggio, non trovando
niente di valore da rubare pensò bene di prendersi la figlia del proprietario,
poco più che una bambina.
La cosa scatenò la reazione
violenta degli abitanti, alcuni dei quali, armi alla mano, cercarono di
riscattare la propria libertà e di portare in salvo la bambina; i soldati,
però, erano più numerosi, meglio equipaggiati e più preparati di loro, e quello
che era iniziato come un tafferuglio minacciò di trasformarsi in un bagno di
sangue, anche perché il capo delle guardie sembrava determinato a punire in
maniera esemplare quello che definiva un palese atto di insubordinazione.
Il capo villaggio, che aveva
ispirato e guidato la rivolta, venne circondato e malmenato, ma prima che un
soldato potesse infliggergli il colpo di grazie un dardo di luce lo centrò alla
testa, e subito dopo Regis e gli altri si gettarono nella mischia offrendo il
proprio aiuto.
«E questi chi diavolo sono?»
domandò il comandante «Bifolchi bastardi, avete assoldato dei mercenari? E sia,
uccideteli tutti!».
I ragazzi però erano decisamente su
un altro livello rispetto ai contadini, e i soldati, uno dopo l’altro,
cominciarono a cadere come foglie secche.
Regis, a causa della sua più che
evidente abilità nel combattimento, fu costretto come al solito a fronteggiare
il numero più consistente di avversari, e considerando il fatto che era stato
appena buttato giù dal letto la sua concentrazione non poteva dirsi al massimo.
Era così preso a dover tener testa a quattro o cinque soldati nello stesso momento
da non accorgersi che uno di loro, nascosto dietro una pila di casse, lo aveva
preso di mira con il proprio arco.
«Maestro, attenzione!» gridò Dave
avvedendosi per primo della minaccia.
Il dardo partì, e prima che Regis
potesse anche solo percepire distintamente il pericolo Dave gli saltò addosso
buttandolo a terra e prendendo la freccia al suo posto, che lo trafisse ad una
gamba.
«Dave!» gridò Regis vedendo il suo
allievo accasciarsi al suolo.
Il ferimento di Dave non servì
tuttavia a riaffrancare l’animo dei soldati, che ricevuto il benservito dai
ragazzi e soverchiati dai contadini si diedero alla fuga zoppicando o
gattonando per tutte le botte ricevute.
«Aspettate e vedrete, non finisce
qui!» gridò il comandante prima di andarsene a sua volta.
Passata la tempesta Sakura e gli
altri corsero incontro a Regis, ancora chino su Dave; il ragazzino non
accennava a rialzarsi, sudava e respirava a fatica, inoltre la sua pelle
scottava da impazzire.
«Dave! Dave, riprenditi!»
«Che cos’ha?» domandò Elys
«Non ne ho idea. Dave! Dave!»
«Ma… maestro.» balbettò lui aprendo
faticosamente gli occhi «Ho… caldo…»
«La cosa è molto grave.» disse il
capo villaggio giungendo con alcuni dei suoi uomini «I soldati imperiali il più
delle volte bagnano le loro frecce nel veleno.»
«Nel veleno!?» ripeté Aria
sconcertata.
Dave venne riportato in tutta fretta nella locanda e si
tentò di somministrargli una qualche sorta di cura, ma, come previsto, nessun
rimedio convenzionale risultò efficace.
L’unica speranza di salvezza era
riposta in Sakura, la sola tra tutti a possedere le conoscenze necessarie a
saper riconoscere e annullare gli effetti dei veleni sul corpo umano; la
ragazza, sedutasi accanto al letto, passò a lungo una mano, avvolta in una
calda luce verde, sopra il corpo di Dave, ma dopo parecchi muniti di
concentrazione lo sguardo che le apparve in volto quando si rialzò e volse
verso i suoi compagni, in trepidante ed angosciosa attesa dietro di lei,
lasciava ben poche speranze.
«Allora?» domandò Elys «Puoi fare
qualcosa?»
«Mi spiace, non riconosco il
veleno.»
«Maledizione!» ringhiò Viola dando
un calcio allo sgabello
«Voi ne conoscete la composizione?»
chiese Sakura rivolta al capo villaggio e ai suoi uomini
«Purtroppo, questo è un segreto che
i soldati dell’imperatore custodiscono con molta cura.»
«Non puoi cercare di scoprirla tu
stessa?» domandò Elys
«Potrei, ma mi ci vorrebbe almeno
un giorno. E in queste condizioni, se non facciamo qualcosa temo che Dave non
arriverà a domani sera».
Nella stanza piombò un silenzio
angosciante, rotto solo dall’ansimare affaticato di Dave che gravitava
costantemente tra il sonno e la veglia con la febbre che saliva sempre di più.
«Aspettate!» disse uno degli uomini
del capo «Forse il vecchio Kantari può aiutarlo.»
«Chi è il vecchio Kantari?» chiese
Sakura
«È un erborista che vive nella
Valle di Alman. Prepara i suoi unguenti con le piante che crescono laggiù. Un
tempo viveva qui, poi si è andato a vivere nella valle e da allora vive come un
eremita.»
«In questo caso, non c’è tempo da
perdere.» disse Elys «Andiamo subito a parlare con questo Kantari.»
«Aspettate, non fatelo!» disse il
capo «Se entrerete nella valle, il Guardiano vi ucciderà.»
«Chi è il Guardiano?» domandò Viola
«È l’orribile mostro che sorveglia
perennemente la valle. Chiunque si avvicini, lui lo distrugge senza pietà.
Dicono sia alto decine di metri, e che con le sue mani possa stritolare le
montagne.»
«Potrebbe trattarsi di un robot.»
disse Elys sottovoce
«Lo penso anch’io.» rispose Sakura
«Ma in ogni caso, è un rischio che bisogna correre».
D’un tratto tutti si accorsero che
Regis, che fino a quel momento era rimasto immobile in un angolo della stanza a
braccia incrociate e sguardo basso, era sparito, e un istante dopo i suoi
compagni, affacciatisi alla finestra, lo videro mentre, in sella ad un cavallo,
sfrecciava sotto la locanda diretto verso il cancello sud.
«Regis, aspetta!» gridò Elys
«Che stai facendo, stupido!» disse
Viola «Pensi di potercela fare da solo?»
«Lasciatelo andare.»
«Ma, Sakura…»
«Dave è il suo allievo. Si sente
responsabile per quello che gli è successo, e vuole rimediare.»
«Ed è solo per questo?» chiese Elys
«Non solo.» rispose Sakura a
sguardo basso «Dopotutto, sono anni che viaggiano insieme. Credo che Regis
abbia cominciato a considerare Dave come un fratello, se non addirittura come
un figlio. È naturale che voglia proteggerlo, del resto ha preso questo impegno
anche con la sua famiglia.»
«Capisco. Spero solo che non gli
accada nulla».
Cavalcando incessantemente per tutta la notte, all’alba
Regis raggiunse le sponde della Valle di Alman.
La vista che si presentava dinnanzi
ai suoi occhi era davvero impagabile: circondata da basse montagne, la vallata
ridondava di vita in ogni suo anfratto, e come la tela di un pittore invisibile
era abbellita dalle tinte di centinaia e centinaia di piante ed alberi dai
colori più disparati.
Al centro un lago, e usando
l’incantesimo per la rifrazione della luce da usare come un binocolo Regis
intravide, lungo la sponda orientale, una piccola casa di legno e pietra.
«Quella deve essere la casa
dell’erborista».
Sceso da cavallo accarezzò un
momento il volto dell’animale, che nitrì come in segno di preoccupazione.
«Da qui in poi, sarà meglio che io
prosegua da solo. Aspettami, d’accordo?» disse, e legato il cavallo ad un
albero lì vicino si incamminò lungo il sentiero.
Quello che non sapeva era che una
parte dei soldati da lui malmenati quella notte, i pochi che il comandante era
riuscito a recuperare dopo che erano fuggiti, erano ancora sulle sue tracce,
pronti a cogliere la prima occasione buona per saltargli addosso e fargli
pagare quello che aveva loro fatto.
«Ci siamo.» disse il comandante
appostato dietro a dei cespugli assieme ai suoi subalterni, una decina in tutto
«Quel maledetto avrà ciò che si merita. Nessuno può sperare di prendersi gioco
dei soldati dell’imperatore e farla franca».
I soldati, però, sembravano molto
più spaventati e meno balzandosi di lui, e uno di loro non mancò di esternare i
suoi sentimenti quando il comandante chiese loro una spiegazione per quell’incessante
batter di denti.
«Signore, è pericoloso restare qui.
Il Guardiano potrebbe…»
«Finitela!» urlò il comandante
rosso in volto «Volete capirlo o no, quella è solo una favola!»
«Però…» disse un altro «Però si
dice che chiunque entra nella valle sparisca nel nulla.»
«Dicerie. Storie di vecchi
ubriaconi. Pensate alla ricompensa che potreste ottenere se portassimo
all’imperatore quell’erborista portentoso. Ci darebbe tanto di quell’oro da
poterci ritirare tutti dagli affari e vivere di rendita per il resto della
vita.»
«Però… se il Guardiano esistesse
davvero?»
«Poco importa. Se così fosse, del
che io dubito, sarà quel tipo ad eliminarlo per noi. E quando ci avrà portato
dall’erborista, lo sistemeremo come si deve.
Ora smettetela di tremare come
scolarette e seguitemi. E attenti a dove mettete in piedi. Questo posto pullula
di piante velenose».
Regis intanto aveva incominciato la
sua discesa lungo i fianchi della valle senza incontrare alcun tipo di
problema. La sola cosa a cui doveva fare attenzione era di non calpestare
qualche pianta; la natura dominava davvero incontrastata in quell’angolo di
mondo in cui il tempo sembrava essersi fermato, ed era incredibile osservare
quante e quali meraviglie era in grado di produrre se lasciata libera di
proliferare.
Del Guardiano invece, neanche
l’ombra.
A ben pensarci forse si trattava
solo di una leggenda, una diceria messa in giro per impedire agli uomini di
entrare in quella specie di piccolo paradiso terrestre e farne man bassa.
Meglio così; ma ora non c’era tempo
per pensarci. Dave andava aiutato, e il tempo era un lusso che Regis non si
poteva permettere.
Più passavano le ore più il lago si
faceva vicino, e con esso la meta del viaggio; Regis teneva costantemente un
occhio puntato verso il sole, seguendone attentamente l’incessante procedere
attraverso il cielo. L’ultima volta che guardò, dopo aver percorso quasi tre
quarti della strada, dovevano essere da poco passate le dieci del mattino.
Quasi un terzo del tempo a sua disposizione se n’era andato e Dave aveva ancora
bisogno di essere curato.
Ripensando al suo giovane allievo
in quelle condizioni, disteso in un letto tra febbre e dolori, non riuscì a non
darsi dell’irresponsabile e dello stupido. Quando aveva deciso di prendere quel
ragazzo con sé aveva promesso ai suoi genitori di prendersi cura di lui, e di
tenerlo per quanto possibile lontano da eccessivi pericoli.
E invece aveva fallito: non solo
era riuscito a proteggerlo, ma era stato addirittura protetto da lui, e per
questo gesto ora Dave stava rischiando di pagare con la vita.
Aveva deciso di portarlo con sé nel
suo viaggio a Kamur perché lo riteneva ormai abbastanza maturo da potersi
prendere questo genere di responsabilità, ma forse chi non era davvero maturato
nel corso degli anni era proprio lui.
Oggi come allora non era stato
capace di proteggere le persone a cui teneva come aveva giurato di fare
nell’istante in cui aveva visto la cosa a lui più cara di ogni altra venirgli
strappata via nello stesso, identico modo. In quell’occasione aveva giurato a
sé stesso che mai più avrebbe permesso ad una persona cara di morire a causa
sua, ma ora, a distanza di migliaia di anni, ora quella promessa rischiava di
essere disattesa, con suo grande disonore e vergogna.
No. Non lo avrebbe permesso. Anche
se avesse dovuto costargli la vita, avrebbe rimediato al suo errore.
“Ti salverò Dave. È una promessa”.
Ormai mancava davvero poco
all’arrivo, quando d’un tratto, mentre era ancora immerso nei propri pensieri,
Regis ebbe la sensazione di non essere più solo. Fermatosi tese l’orecchio, e
fu così che fu in grado di sentire distintamente un rumore strano, come di
passi pesanti che si avvicinava sempre di più.
Dovettero passare solo pochi
secondi, poi da un boschetto vicino uscì una gigantesca creatura di metallo.
Grossa e tarchiata, di un colore argenteo rifulgente con alcuni riverberi in
oro, poteva dirsi tranquillamente una enorme armatura medievale con elmo,
corazza, schinieri, stivali, bacciali e mantello, e armata di spada e scudo da
cavaliere.
Era talmente grosso che la terra
tremava sotto i suoi piedi; fece alcuni passi verso Regis, e quando gli fu
abbastanza vicino nella celata del suo elmo si accesero due occhi di fuoco.
«Allora esiste.» disse Regis tra sé
e sé «Questo deve essere il Guardiano».
Il gigante urlò, come uno
sfrigolare di motori, mulinando violentemente la spada.
«Via dalla mia strada!» gridò
Regis.
Senza pensarci gli si lanciò
contro, convinto di avere a che fare con un avversario alla sua portata, e in
parte anche reso ceco dalla fretta che aveva di fare ritorno al più presto dal
suo allievo con l’antidoto per salvargli la vita; una leggerezza che gli costò
cara.
Quel bestione poteva pure essere
mastodontico ma aveva un’agilità e una rapidità negli spostamenti non
indifferenze, e di certo la forza non gli faceva difetto.
Schivato il primo attacco rispose
immediatamente con un affondo di spada, e ben presto Regis si trovò nella
condizione di doversi incessantemente difendere. Gli assalti del nemico erano
così potenti che il terreno si squarciava e interi gruppi di alberi venivano
recisi di netto, per non parlare dei suoi pestoni, capaci di scavare buche di
un metro e più di profondità.
Regis ad un certo punto cercò di
cogliere un apparente momento favorevole quando la spada del nemico rimase
incastrata in una roccia e spiccò un salto per cercare di colpirlo tra i fori
della celata, all’apparenza il suo unico punto debole, ma quello, con un gesto
del tutto inaspettato, colpì violentemente il ragazzo con il suo scudo.
L’urto sarebbe stato sufficiente ad
ucciderlo, ma grazie al cielo Regis riuscì a parare il colpo quel tanto che
bastava per salvarsi le ossa; questo però non servì ad impedirgli di essere
letteralmente sparato in mezzo ad uno strano cespuglio di foglie uncinate
simili al vischio. Dapprima non avvertì nulla, se non il fastidio per qualche
graffio subito, ma poi, prima ancora che potesse uscire dal cespuglio, la sua
vista cominciò ad appannarsi, i suoni a diventare opachi, e un dolore sempre
più forte prese a scorrergli in tutto il corpo, soprattutto nelle gambe.
“Ve… veleno…” pensò faticando a
reggersi in piedi.
Era naturale. Anche lì come sulla
Terra, certe piante dalle proprietà medicinali potevano risultare al contrario
estremamente pericolose se le sostanze che producevano venivano assorbite dal
corpo prima di essere state opportunamente trattate, e con la quantità
esorbitante che doveva essergli entrata in corpo Regis rischiava di morire, o
nella migliore delle ipotesi di perdere conoscenza.
In ogni caso la sua situazione
stava davvero precipitando, perché anche se il veleno gli avesse lasciato uno
scampo ci avrebbe pensato quel mostro di metallo a dargli il colpo di grazia.
Più per istinto che per altro il
ragazzo continuò a combattere, ma la sua era più una difesa disperata piuttosto
che un vero e proprio combattimento, e più passava il tempo più ai colpi
ricevuti si aggiungeva l’effetto letale del veleno, che lo allontanava sempre
di più dalla sua percezione della realtà.
Alla fine, stremato, cadde in
ginocchio sorreggendosi alla sua spada, ed ebbe a malapena la forza di pensare
di aver fallito ancora, per l’ennesima volta, prima che la sua mente andasse
come in corto circuito, spegnendosi.
Ciò nonostante il suo corpo non
cadde, né mostrò i segni della morte imminente. Rimase invece immobile nella sua
posizione, poi, come per incanto, il suo corpo cominciò a circondarsi di uno
strano alone bianco, e per un istante due grandi ali bianche si
materializzarono dietro la sua schiena.
Il gigante di metallo dapprima fece
qualche passo indietro, poi, apparentemente senza timore, si lanciò alla carica
per infliggere il colpo di grazia con un devastante fendente, ma all’ultimo
istante, come animato da un’altra mente, Regis si alzò di scatto, e con un solo
colpo orizzontale recise di netto la spada del nemico, che colto alla
sprovvista barcollò all’indietro.
Regis colse l’occasione e attaccò
immediatamente, e con straordinaria forza, trovando sulla propria strada lo
scudo che il gigante aveva sollevato a propria difesa. Vi fu solo un brevissimo
contatto, più rapido di un batter di ciglia, poi i due contendenti si
separarono. Regis tornò a terra alle spalle del nemico, il cui corpo, dopo
qualche secondo, un enorme taglio si aprì nel suo fianco mentre lo scudo,
risultato del tutto inutile, si divideva a metà.
«Troppo lento.» disse il ragazzo
con una voce strana, profonda ed echeggiante
Dallo squarcio, netto e preciso
come il taglio di un bisturi, sprizzarono fumo e scintille, poi gli occhi del
gigante si spensero e l’armatura rovinò inerme al suolo afflosciandosi su sé
stessa.
Come la minaccia cessò Regis,
apparentemente svuotato di colpo di tutta quell’inaspettata energia, crollò
svenuto sul terriccio, e l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu
un’ombra nera che lo sovrastava oscurando il sole.
Nel delirio del veleno Regis vide molte cose.
Si vide di nuovo a casa, nel suo
mondo, davanti ai suoi amici che come ogni altro giorno uscivano da scuola al
termine delle lezioni. Vedeva anche lei, la sua Nadeshiko, che rideva e
scherzava come era nel suo carattere. La chiamava, chiamava tutti loro, ma
nessuno si voltava, e più cercava di raggiungerli più loro sembravano
allontanarsi, perdendosi nell’oscurità.
Poi, un altro salto nel tempo, ed
eccolo ritornare a quel giorno maledetto, il giorno in cui aveva visto la sua
amata morire per proteggerlo. Il giorno in cui tutto era iniziato, in cui la
sua maledizione aveva avuto inizio.
Spezzato nell’animo da quella
visione lanciò un agghiacciante urlo di dolore, e come riaprì gli occhi si
ritrovò disteso su di un semplice materasso di piume all’interno di una casa
dall’aspetto povero e trascurato ma che profumava di erbe ed estratte come solo
la dimora di un potente avrebbe potuto fare.
«Che…» borbottò ancora mezzo
intontito «Che mi è successo?».
Le varie ferite sul suo corpo erano
state tutte medicate, e lui stesso profumava di erbe; di conseguenza, non
serviva certo un genio per capire che era finalmente giunto in casa dell’erborista.
Ma come aveva fatto ad arrivare fin
lì?
Aveva ricordi molto vaghi e
offuscati di quanto accaduto durante il combattimento con quel gigante di
metallo, quasi certamente un robot messo da qualcuno a guardia della valle, o
magari più semplicemente programmato per attaccare chiunque entrasse nel suo
raggio d’azione, e per quel che sapeva era svenuto nel bel mezzo della
battaglia a causa del veleno inalato.
Tuttavia, aveva l’impressione che
ci fosse qualcos’altro, che fosse accaduto qualcosa di particolare, ma per
quanto si sforzasse non gli riusciva di ricordare.
Di colpo, un dubbio lo assalì.
Quanto tempo era passato? Quanto era stato privo di sensi?
Ore? Giorni? O forse addirittura
settimane? Se era così, per Dave non ci sarebbe stata speranza. Forse era già
morto.
Con la paura nel cuore si girò
verso la finestra; il sole non si vedeva, ma scrutando le ombre tracciate sul
terreno dagli alberi che stavano a ridosso del lago capì che doveva essere
all’incirca l’una del pomeriggio.
«Ah, sei sveglio.» disse in quella
una voce di vecchio, e poco dopo da una porta laterale uscì un bizzarro
vecchietto dall’aria simpatica e ascetica al tempo stesso.
Pelato, aveva una folta barba
grigia, due piccoli occhi marroni nascosti dalle rughe e vestiva in modo molto
semplice, da povero contadino.
«Hai davvero una tempra d’acciaio
ragazzo. Raramente ho visto qualcuno sopravvivere dopo aver inalato una simile
quantità di veleno della maronaia.»
«Voi siete Kantari l’erborista?»
«In persona, ragazzo.»
«Per quanto tempo ho perso i
sensi?»
«Non molto un paio d’ore. Giusto il
tempo di portarti qui e medicare le tue ferite».
Regis si mise una mano sul torace;
si sentiva ancora debole, ma a parte questo l’effetto del veleno era stato
quasi del tutto eliminato. Ancora una volta, non sapeva perché, il fato aveva
deciso di lasciarlo in vita.
Poi, si ricordò del motivo che lo
aveva condotto lì.
«Signor Kantari, ho estremo bisogno
del vostro aiuto. Io…»
«Non dire niente, ragazzo.» rispose
lui fermandolo con la mano.
Kantari si avvicinò al grande
tavolo in legno al centro della stanza e da un contenitore recuperò un
sacchettino di pelle che lanciò a Regis.
«Questo è l’antidoto per il veleno
usato dai soldati dell’Imperatore. Sarà sufficiente tritarlo e mescolarlo con
acqua e zucchero fino a farne una pomata da spalmare sulla ferita. Tutti gli
effetti dovrebbero sparire nel giro di poche ore.»
«Ma…» ribatté Regis attonito «Ma
come…»
«Come facevo a sapere di cosa avevi
bisogno?» disse Kantari con uno strano sorriso.
In quella uno splendido falco entrò
da una finestra aperta e andò a posarsi sulla spalla del vecchio, che gli
sfiorò la testa e gli offrì un pezzetto di carne. Regis lo riconobbe dal colore
particolare del piumaggio, un marrone acceso: lo aveva intravisto al suo arrivo
al villaggio, appollaiato su di un tetto.
«Lui è il mio tramite con il mondo
esterno. Mi racconta tutto quello che succede al villaggio. Sai, quella un
tempo era la mia casa.»
«E come mai alla fine siete voluto
venire qui.»
«Diciamo che la vita lì fuori era
diventata troppo complicata per i miei gusti. Qui almeno le cose non cambiano.
E poi, sono un amante della quiete».
Regis stette un attimo a riflettere
sulle parole del vecchio, quando d’un tratto, proprio come era accaduto subito
prima della comparsa del robot, avvertì distintamente l’approssimarsi di un
pericolo. Anche Kantari parve avere la stessa sensazione, tanto che si alzò in
piedi e prese in mano un lungo bastone dall’estremità a bulbo volgendosi verso
la porta d’ingresso.
In tutta fretta, e per quanto le
forze glielo permettessero, Regis si alzò dal letto, recuperò le sue spade ed
infilò velocemente la sua maglietta quindi, assieme al padrone di casa, uscì
all’esterno pronto a combattere. I soldati che lui e i suoi compagni avevano
massacrato al villaggio erano infine arrivati, e sembravano più determinati che
mai a riscattare l’umiliazione subita.
«E così, alla fine ci
rincontriamo.» disse il comandante «Te l’avevo detto che ti avrei fatto pagare
il tuo affronto.»
«La lezione di questa notte non ti
è bastata?»
«Fai meno lo sbruffone. Si vede ad
occhio nudo che a stento ti reggi in piedi».
Regis digrignò i denti. Quel
pallone gonfiato aveva ragione. Tra il veleno che si era ritrovato in corpo, il
periodo trascorso privo di sensi e l’effetto tranquillante che dovevano avere
alcune delle erbe con le quali era stato curato Regis in quel momento aveva più
voglia di un letto che di una battaglia, tanto era provato.
Il comandante sguainò la spada,
puntandogliela contro.
«Ti lascerò qualche minuto, se c’è
qualche Dio che vuoi pregare. Il tempo di convincere questo vecchio a venire
con noi.»
«Sono onorato del vostro invito»
disse l’interessante «Ma allo stesso tempo, sono anche costretto a declinarlo.»
«Forse non ci siamo capiti,
vecchio. Questo non è un invito, ma un ordine.»
«Sono venuto a vivere qui proprio
per non dovermi trovare in questo genere di situazione. A me non piace obbedire
agli ordini, men che meno se provengono da uomini dell’imperatore.»
«E sia, vecchio pazzo. Vuol dire
che useremo le maniere forti!»
«Provateci soldanto!» gridò Regis
mettendo mano alla spada
«Aspetta, ragazzo.»
«Ma…»
«Ha ragione lui. Non sei ancora
nelle condizioni di combattere. Lascia che ci pensi io.»
«Voi?»
«Non mi sottovalutare. Ho anch’io i
miei assi nella manica.» disse Kantari, che poi sfiorò delicatamente il becco
del suo bel falco «Giusto amico mio?».
Di colpo, gli occhi del volatile
emanarono uno strano bagliore, poi tutto il suo corpo sprigionò un’esplosione
di luce verde tanto forte da accecare tutti. Regis si coprì gli occhi, e quando
li riaprì vide il vecchio erborista stringere tra le dita della mano uno
smeraldo ottagonale dal taglio sopraffino e dall’incredibile potere.
«La pietra sacra!?» esclamò
esterrefatto
«Come questa, ad esempio.»
“Incredibile. Una pietra in grado
di mutare il proprio aspetto!?”
«Che diavolo sta succedendo?»
domandò il capitano
«Activation».
Kantari venne avvolto dalla stessa
luce, e quando ne riemerse era completamente diverso; alla veste vecchia e
sporca si era sostituita una tunica ocra con i bordi rossi e le maniche corte,
ai piedi scarpine con alcune parti d’argento e dietro le spalle una mantellina
leggera. Il bastone si era allungato leggermente, ma la forma era rimasta più o
meno la stessa.
«Scusate per l’attesa. Vogliamo
cominciare?»
«Non illuderti, vecchio. Se speri
che basti questo spettacolo da quattro soldi per spaventarci sei fuori strada.
Prendetelo!».
Quattro soldati corsero verso
Kantari armi alla mano, ma nonostante ciò il vecchio rimase calmo ed immobile.
«Masha?»
«Sonic Move!».
Kantari come per magia parve
scomparire subito prima di essere raggiunto; il realtà, movendosi a velocità a
dir poco eccezionale, comparve alle spalle dei suoi aggressori.
«Dove attaccate? Io sono qui».
Quelli, dopo un attimo di stupore,
lo attaccarono ancora, ma la scena si ripeté nuovamente, e poi ancora e ancora
per diverse volte fin quando quei poveri soldati non si ritrovarono la testa
che era sul punto di saltare via dal collo tanto erano confusi.
A quel punto a Kantari bastarono un
paio di calci ben piazzati, eseguiti tra l’altro con straordinaria agilità e
abilità, per metterli tutti a riposo.
«Dannatissimo vecchiaccio!
Uccidetelo!».
I superstiti a quel punto
attaccarono tutti insieme, ma uno dopo l’altro vennero messi fuori
combattimento e come già accaduto solo poche ore prima chi prima e chi dopo
abbandonarono il campo dandosi alla fuga. Restò solo il comandante, che però
non voleva saperne di scappare una seconda volta.
«Dovessi restarci secco, questa
volta non scapperò!» gridò correndo verso Kantari
«Attenzione!» gridò Regis vedendo
la follia negli occhi del soldato.
In quelle condizioni un uomo era
capace di tutto, ma nonostante ciò Kantari restò immobile.
«È la tua fine, vecchiaccio!».
L’anziano erborista piantò a terra
il proprio bastone, e sotto di lui si formò un grande circolo magico dal quale
si sollevarono una decina di sfere luminose.
«Cannon Shot!».
Le sfere partirono veloci come
proiettili una dietro l’altra; il comandante, in parte per abilità in parte per
il delirio della rabbia, evitò le prime, ma le successive lo colpirono in
rapida successione. L’ultima poi lo centrò in pieno volto, sparandolo a tutta
velocità dritto nel lago; un brutto colpo, ma certamente non mortale, anche se
indubbiamente ne sarebbe uscito con qualche dente di meno.
«Bene, credo che così possa
bastare.» disse Kantari, che poi si volse verso Regis, ancora stupito per
quanto aveva visto «Ora, immagino tu voglia questa pietra.»
«Cosa…»
«L’ho capito dal tuo sguardo.
Inoltre, le pietre incastonate sulla lama della tua spada non forse simili a
questa? Ci sono altri tre fori che aspettano di essere riempiti, e uno di essi
sembra fatto apposta per ospitare la mia.»
«Ecco… veramente io».
Kantari sorrise leggermente, quindi
tornò al suo aspetto reale.
«Mentre ti medicavo ti ho sentito
parlare nel sonno. Non ho la presunzione di comprendere quante e quali prove
hai dovuto affrontare nel corso della tua vita, ma so per certo che sono state
tante e difficili.
Chi lo sa, forse questa pietra,
qualunque cosa sia, ti aiuterà ad arrivare un po’ più vicino alla conclusione
del tuo viaggio».
Detto questo il vecchio porse a
Regis la propria pietra, ma prima che il ragazzo potesse prenderla richiuse il
pugno.
«Però, in cambio, vorrei che tu e i
tuoi amici faceste una cosa per me.»
«Di che si tratta?»
«Lo hai visto tu stesso. Questo
Paese non è governato da una persona che si potrebbe definire un buon regnante.
L’Imperatore Maduras è un uomo avaro e pericoloso che pensa solo a sé stesso, e
anche se sono in molti a non sopportare più la sua presenza l’esercito a sua
difesa lo protegge da qualsiasi pericolo.
Io personalmente non ho mai fatto niente
per tentare di contrastarlo. Ho sempre pensato che la cosa non mi riguardasse e
sono venuto qui, dove speravo di essere finalmente lontano da tutto quel
marcio. Poi però ho visto te e i tuoi compagni, e ho capito che far finta di
non vedere è quanto di più sbagliato si possa fare.
Questa pietra merita di stare in
mani più degne delle mie, ma l’ultimo sogno di questo povero vecchio sarebbe
che venisse usata per guidare questo Paese verso una strada un po’ migliore di
quella che sta attualmente percorrendo».
Regis temporeggiò un momento, poi
allungò nuovamente la mano e raccolse la pietra.
«Vi prometto che esaudirò il vostro
desiderio. Userò questa e le altre pietre per dare nuova speranza a questo
impero.»
«Ti ringrazio. Se non altro, morirò
con qualche rimpianto in meno.
Ora và. Il tuo discepolo aspetta».
Senza tergiversare oltre Regis,
salutato e ringraziato il vecchio Kantari, tornò rapidamente sui suoi passi con
una nuova gemma incastonata nella spada e, soprattutto, il sacchettino con
l’antidopo legato alla cintura.
Al suo ritorno al villaggio le
condizioni di Dave erano molto peggiorate, al punto che tutti cominciavano a
temere seriamente per la sua sopravvivenza, ma grazie all’estratto di erbe e
all’esperienza di Sakura alla fine il ragazzino venne salvato.
«Vi ringrazio, signor maestro.»
disse prima di addormentarsi
«No, Dave. Grazie a te».
Fu sufficiente una buona nottata di
riposo e un pasto abbondante, e Dave era di nuovo in piedi e pronto a partire.
Lui e gli altri si rimisero dunque
in marcia con una nuova, inaspettata missione da portare a termine. Elys e
Viola non mancarono di sottolineare il proprio disappunto per doversi
sobbarcare quell’ennesima seccatura.
«Non è giusto!» sbottò Elys subito
dopo che ebbero lasciato il villaggio «Perché dobbiamo fare anche questa?»
«Sono d’accordo.» disse Viola «Come
se non avessimo già abbastanza problemi. Ci mancava solo il dover detronizzare
un imperatore fanatico.»
«Non possiamo tirarci indietro.»
disse Dave «Dopotutto, quell’anziano erborista ci ha fatto un grande favore
consegnandoci la sua pietra, e noi abbiamo il dovere di ricambiare.»
«Tu parla per te!» ribatté Elys «Se
non ti fossi ridotto in quello stato probabilmente non ci troveremmo in questa
situazione ora?»
«Suona strano detto da te. Non è stato
forse a causa tua che abbiamo dovuto fermarci per due settimane in mezzo alle
montagne?»
«Che c’è, hai voglia di litigare
per caso?».
Regis sorrideva divertito, ma la
sua mente era per buona parte altrove. Anche dopo una notte di sonno e senza la
preoccupazione di dover salvare la vita al suo allievo non riusciva ancora a
ricordare cosa fosse accaduto tra il suo svenimento e il risveglio nella
capanna del vecchio Kantari.
Aveva però la sensazione che fosse
molto importante, e proprio per questo, in un modo nell’altro, avrebbe dovuto
cercare di capire di che cosa si trattava.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Quello di oggi è un
cap molto speciale, non tanto per i suoi contenuti quanto piuttosto perché è il
primo che pubblico dalla mia nuova casa.
Esatto, mi sono
trasferito! Il trasloco per la verità è ancora in atto (diciamo pure in alto
mare) ma sono riuscito comunque a trovare il tempo per scrivere.
Altra cosa
importante, ormai sono in tesi, il che significa che, tolto il tempo da
dedicare al suddetto trasloco, dovrei avere un po’ più di tempo libero.
Spero di poterlo
usare al meglio.
Grazie come sempre a Selly e Akita.
A presto!^_^
Carlos Olivera