Film > The Phantom of the Opera
Ricorda la storia  |       
Autore: BigMistake    03/10/2010    1 recensioni
Dal prologo:«Sapete Colas, mia madre mi diceva sempre di aver paura dei vivi non dei morti!» le labbra truccate si distorsero in un sorriso sadico. «Non temo i fantasmi!»
Ispirato al musical cinematografico del 2004: Mentre si consuma il dramma del Fantasma dell'Opera la Parigi del 1870 sta cambiando. Gli ideali della Rivoluzione sembrano essersi dispersi, i ceti medi vanno via via scomparendo mentre la borghesia ed i nobili si preoccupano solo delle proprie tasche. Gli assetti della società mutano in maniera drastica, vecchie fazioni amiche si trovano su fronti diammetralmente opposti. La Guerra incombe sulla Francia con la sua scia di morti innocenti e corpi straziati, viziando il giudizio del popolo sull'Imperatore e decretandone il declino. Nell'ombra i vecchi giochi di potere e politica continuano a muovere i fili dei propri burattini. Questo è lo scenario mentre l'Opera Garnier è al rogo. Qualcuno osserva la scena, attende risposte da tempo. Ci sono mostri mascherati da Angeli, Angeli caduti che cercano di rialzarsi, ali strappate... Ed al Fantasma dell'Opera non resterà che adeguarsi al mondo che l'aveva rifiutato ...
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Madame Giry, Nuovo personaggio, Raoul De Chagny
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lumière Noire - Deux anges tombés'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note dell'autrice: Allora, bonsoir madame e monsieur! Ho preso coraggio e ho scritto questa ff, ammettendo la mia pura ignoranza nel romanzo di Leroux. Sono una maledetta blasfema lo so. Però ho letto molto su di esso prima di iniziare, più per capire la differenza fra il libro ed il musical cinematografico, che amo follemente è il caso di dirlo. Purtroppo sono malata di una maledette vena romanti che m'impedisce di essere obbiettiva. Ho visto il musical per la prima volta un po' di tempo fa (ho amato la versione originale in inglese un po' meno quella in italiano, anche se la nostra lingua risulta molto musicale  per carità!!!) e mi sono innamorata di esso, di quella amara ironia della vita in cui chi vince sempre è il più bello e il più ricco mentre al povero storpio che rimane? Ebbene qui giungo io ...

Iniziamo con il dire che tratterò argomenti molto forti, che mi costringono a passare probabilmente ad un rating rosso (non per Lemon) per non turbare le menti più sensibili. Parlerò anche di Chiesa e Fede, vi avverto non voglio turbare nessuno. Siamo nel periodo in cui Roma è stata strappata al Papa proprio grazie alla Francia, quindi mi è sembrato quasi doveroso far intrecciare la storia con qualche avvenimento legato all'Italia. Non sarà facile e questo mi porterà a dovervi chiedere del tempo fra un capitolo e l'altro. Ovviamente non è una ff storica quindi non sarà incentrata su questo, nè tantomeno un'analisi clinica della condizione della chiesa nel 1871, però la mia new entry sarà legata a quest'aspetto.

PS: Nel frattempo sto portando a conclusione un'altra storia (mancano due capitoli quindi veramente poco) appena finita quella dedicherò ogni mia singola goccia di sangue alla mia ultima bimba se dovesse riscuotere successo.  

Ora passiamo alla storia:

Amo il personaggio di Erik ed ho paura a non rendergli giustizia, per questo sono molto aperta a qualunque giudizio o critica. L'ho studiato, ne ho letto trattati e altre ff e quant'altro e cercherò di disegnarlo come meglio posso seguendo qualsiasi consiglio utile.

Mi sono chiesta per gioco cosa sarebbe accaduto se Erik scoprisse un'anima molto simile alla sua, anch'essa deturpata dal gioco sadico del destino e forse anche più nera con lo stesso carico di sofferenza.

Non è detto che la deformità sia sul viso o sul corpo, potrebbe essere nel cuore un po' come dice la gattamor ... ehm ... pardon ... Christine alla fine del film. E' un'impresa, ve lo assicuro e c'ho pensato e rimurginato prima di riuscire a stendere il prologo e a pubblicarlo. (ah se non l'avete capito io detesto la Daaé, sono crudele lo so che ci posso fare) 

Quindi mi rimetto a voi, fatemi sapere che ne pensate, ve ne prego. Se non dovesse piacere o soddisfare, provvederò a liberare il sito da questo supplizio ^^.

Serva vostra. Mally.

Precisazione tecnica: Le frasi in corsivo rappresentano i pensieri dei personaggi, spero sia tutto fluido e chiaro. Che emozione!...

Vi lascio alla lettura che spero sia buona!!!

 

 

 

Lumière noire

 

PROLOGUE: Masque.

 

«È riuscito a scappare!»

Una frase semplice e lineare, come semplice risultava il gendarme. Era giunto con quella confessione trafelata vestito nella sua bella uniforme, il suo berretto conficcato sul capo come parte di esso, dorati bottoni sul doppio petto bordato e stivali neri imbrattati dal limaccio del fondale del lago sotterraneo a l’Operà Garnier.

Non urlava ai suoi compagni di inseguire il mostro deforme, lo spirito di un teatro reso uomo dalla passione per una eterea cantante dai pizzi e dall’organza. No. Indugiava con la mano sulla maniglia della porta in quell’appartamento disabitato che si affacciava sull’imponente e minaccioso rogo, attendendo che la figura desse anche solo un cenno di vita. Il guanto nero sollevato giocherellava con le dita affusolate, un piccolo vezzo di un fiocco ad adornarle il polso ferreo. Gli occhi scuri puntati alle fiamme non accennavano a disincantarsi. Le era sempre piaciuto guardare il fuoco, osservare come le fiamma languissero su loro stesse, incespicando verso l’alto ad un raggiungimento divino che non avrebbero mai ottenuto.

L’inferno non poteva ambire al Paradiso.

Le dicevano che la pioggia era il pianto degl’Angeli.

Le fiamme erano le urla dei Demoni.

«Malice! Avete sentito cosa ho detto?»

Un profilo, ecco cosa gli concesse. Solo il suo profilo nella penombra aranciata del fuoco. Un camino ardente fatto di anime e laccato con le più splendide bordure.

«Non vi preoccupate nemmeno della mia salute, monsieur? In fondo, fino a qualche momento fa, ero in quel teatro.» non vi era musica in quelle parole spiazzanti e l’uomo retrocesse come colpito da una trave in piena faccia.

«Come?» era sbigottito. Aveva accettato quell’incarico dietro un lauto compenso, il suo stipendio da gendarme non era mai sufficiente da spendere in allegre compagnie e nel gioco d’azzardo. Nessuno però gli aveva detto che avrebbe avuto a che fare con una donna, strana per giunta. Non sapeva se definirla bella: non aveva capelli luminosi come il grano o di un colore che spiccava tra la folla, o gli occhi astrusi di una strega ammaliatrice. Ad una prima visione l’avrebbe detta una donna piuttosto comune, una semplice bellezza mediterranea con le curve burrose e dalla pelle bianca come il latte, liscia e morbida. Eppure aveva quel qualcosa che nessuno sapeva decifrare, un’ombra che scompare nel buio per riapparire alle spalle e pugnalarti come la miseria.

Questo il suo lavoro. Essere invisibile, uniformarsi alla gente per scomparire e ascoltare chi non pensava che una ragazza dai capelli biondo scuri e dagl’occhi castani sinceri, potesse appartenere al proprio lavoro.

«Bene monsieur, è riuscito a scappare e voi siete qui. Quindi deduco che non lo state seguendo, a cosa mi servite?» le sue parole volavano al di sopra dei pensieri. Non si poteva dire che fosse misteriosa, però parlava troppo spesso per enigmi. In realtà era stata la sua sincerità che l’aveva condotta a diventare taciturna e spesso solitaria. All’amante bambina non era concesso dire la verità. 

«Mi spiace madame! Voi non sapete cosa si trova là sotto, è … è un labirinto ed è pieno di trappole. Non avrei potuto cercarlo nemmeno a volerlo …»

«Quindi state chiedendo il mio intervento suppongo?»

«Non so quanto sia indicato, madame. Avevo solo l’ordine di avvertirvi.»

«Avete ragione monsieur …» fu solo allora si voltò ad osservare il gendarme, che docile se ne stava ancora sull’uscio pronto a tornare ai suoi doveri prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza. Tutte le mosse erano studiate e calcolate, gli occhi caldi e liquidi potetti da uno strato oscuro di luminosa opalescenza.

«Le Beuf, ma potete chiamarmi Armand madame, se vi fa più piacere.»

Questo ti hanno insegnato Armand? Ad essere gentile con una donna? E sei gentile con le avventure di una notte? Menti a te stesso Armand!

«Monsieur Armand, non è cauto agire subito. Troppi occhi nobili sono puntati sul nostro Angelo caduto, non credete? Non sarebbe poi politicamente corretto!» il vestito rosso ricamato con pizzi neri, con la seta italiana pregiata che scendeva sul crinoline, frusciava. Un rumore simile a quel crepitio che veniva dall’ormai fu Teatro dell’Opera. Il gendarme si mise sull’attenti, precedendo la sortita della dama da quell’appartamento. Galanteria a dettare eccessiva solerzia, oppure avidità come preferiva chiamarla la donna. Rimase vicina all’uomo, di fronte a lui per la precisione, osservando quegl’occhi vuoti, banali e comuni. «In tutta franchezza, Armand. Io odio la politica!» la battuta rimase sospesa, non capiva quella sua sentenza velenosa detta così, alla penombra di un corridoio misero ed appena illuminato. Un sorriso spontaneo poi nacque su quelle labbra accerchiate dai baffi che sembravano appartenere alla propria uniforme, come se per essere uno della gendarmeria bisognasse farsi crescere i peli del labbro. La risata irruppe piano con un limpido scrosciare.

È quella politica che vi da il pane Malice.

Si trovò a pensare. L’ultima formula di un semplice quadro, la pennellata di gran effetto su di un quadro en plain air. Morire con un gemito strozzato, occhi che roteano verso l’alto, la scena che non finisce. Cala il sipario, si spegne il fuoco, si alza l’urlo dell’odio di una donna verso il suo aguzzino.

Ci sono due modi di morire: il primo è quello spirituale, un cuore spezzato nel vagabondare alla ricerca dei sentimenti spenti, il secondo è quello fisico di un gendarme sciocco che si è lasciato allettare dalla sporca pecunia macchiata sempre più dal sangue. Ora era lei ad attendere la scesa al sempiterno riposo, un uomo sorpreso che non aveva molti scopi. Si accasciava come i capelli sciolti e liberi dallo chignon severo che aveva per la prima del Don Giovanni Trionfante.  Il sangue era saettato dalla carotide come uno zampillo, quando con uno scatto secco lo spillone che ne sorreggeva la studiata architettura era accidentalmente finito al centro del collo dell’uomo. Le aveva macchiato il viso e il decolté con quel suo metodo chirurgico di uccidere, quanti maiali avevano fatto la stessa fine e quante autopsie aveva assistito per conoscere i punti vitali.

«Colas!» sussurrò lasciando scivolare il suo fazzoletto candido dalla manica della giacchetta. «Potete uscire!»

Aveva assistito quell’uomo, suo accompagnatore all’evento mondano dal sapore spettrale. Un ruolo o una farsa, come quella appena avvenuta. Pedine che si muovono su di una scacchiera invisibile con la volontà di assorbirne un’altra.

«Ordini, immagino …»

«Ci è andata bene, l’incendio coprirà la morte di questo stupido gendarme!» una professionista, era una professionista che non si scomponeva di fronte alla morte. Anzi, ne sfidava le sorti,  per questo era definita perfetta nel suo lavoro di solito maschile. Ma quanti non si sentivano lusingati da una donna avvenente e libera? Quanti si fidavano del suo letto per poi ritrovarsi con segreti svelati e partite perse con uno scacco matto? Era questo l’uso delle forme del gentil sesso, delicato anche quando il crocifisso che portava al collo si macchiava di sangue, bagnandone poi le labbra in un bacio devoto. «Non possiamo lasciare tracce, contatterai tu i nostri superiori. Io devo capire e portare a termine il nostro compito, che questo inetto non è riuscito a semplificare.»

«Certo, Malice, come volete voi!» Colas, le era sempre piaciuto quel nome. Lo diceva che aveva un non so cosa. Era l’unico che poi non l’aveva definita sgualdrina o traditrice. È di questo che si trattava. Di tradimento alla corona. Quale corona? Quella sacrale che vigeva su di un capo e che inneggiava alla povertà, quando le sue mani erano inanellate da rubini e smeraldi? Uomini che giudicavano secondo il loro auspicio di bene e male? Abiti talari vuoti dei veri sacramenti di un libro scritto da altri uomini? Un sigillo con le chiavi del Paradiso che non concedeva il perdono ai peccatori troppo abbietti?

Forse esistevano mostri e diavoli molto meglio nascosti di quello che la bella gente parigina pensava di poter combattere.

«Ah, Malice!» le mani erano già pronte a prendere il molle cadavere gorgogliante, mentre una signora procedeva alla pulizia del sangue dal pallido volto dell’indifferenza. Ferma, guardando con un lago di oscurità il volto di quell’uomo indaffarato almeno quanto lei. «State attenta!»

«Sapete Colas, mia madre mi diceva sempre di aver paura dei vivi non dei morti!» le labbra truccate si distorsero in un  sorriso sadico. «Non temo i fantasmi!»

«Ma quello non è un fantasma, è un uomo spietato!» rise di gusto, rischiando di attirare attenzione scemata dal rogo già diventato passato. Una risata argentina di bambina sul corpo di donna, eterna donna e bambola di porcellana.

«Ed io sono una semplice fanciulla indifesa!» ancora riso «È un uomo, impazzito sì, ma per amore, e come tutti gli uomini pazzi d’amore non pensa con il cervello! Mi dispiace ma non riesco ad apprezzare il suo tanto decantato genio artistico e musicale. Per me rimarrà sempre e solo un ordine. Prendo il pacco e lo consegno con la morte alle spalle … » erano le sue bianche spalle a parlare dalla fine di quel corridoio, lasciando il fazzoletto imbrattato dietro di esse inutilizzabile ormai e da gettare nelle fiamme.

Anche Lucifero era un Angelo. I capelli di seta e le labbra truccate, non vi fanno apparire meno innocente. Avete in comune molto di più con quell’uomo di quello che pensate Lucia.

Riprese allora il suo di lavoro Colas, con il cadavere ad avvolgerlo nel tappeto che era stato imbrattato. Alla macchia sottostante avrebbe pensato dopo. Prima doveva sbarazzarsi del povero gendarme.

«Pour la Sûreté monsieur

 

 

 

Forse temeva di non ricordare. Dovrebbe essere semplice: riempi e svuota, riempi e svuota, riempi e svuota. Così gli avevano insegnato a vivere l’istinto e la sopravvivenza, semplice e banale funzione. Riempi e svuota. Inspira ed espira.

Ricorda sempre di respirare Christine.

Christine.

L’ecatombe di un eco lontana, il suo nome passato sulle bocche di tutte le pettegole di Parigi ed ora già scomparso dalle altisonanti testate. Non era poi così semplice ricordarsi come fare. Riempire una sacca annodata non è facile. Gli importava veramente? E mangiare, era importante?

Quante notti insonni, quanti pasti non consumati, Erik nutrendoti solo della tua musica e del respiro di lei.

Era inspiegabile come non fossero riusciti a trovarlo, stava sotto quel ponte da quanto? Due giorni, forse.

La gendarmeria francese ha perso smalto, vero Erik? Se solo ne avesse avuto.

Il Fantasma non era più con lui, se non come un fastidioso e ridondante ronzio che provava qualche volta a tornare alla carica.

Odiala!

Gli aveva gridato, con le urla della gente che ghermivano le sue sinapsi e quell’orecchio innocente. Non era una melodia, non era musica, era solo il frutto germinato dalla follia di un pazzo.

Un pazzo non amato.

Da nessuno. Avrebbe aggiunto amaramente, aveva il suo alterego un minimo di pietà per non rivelare anche quella di verità.

La pietà non esisteva per il Figlio del Diavolo. O forse sì?

Ti ha tradito anche lei, Christine, Madame Giry, tua madre quando ti ha venduto. Quanto ancora deve spezzarsi il tuo cuore prima che tu te ne liberi.

L’hai amata ed hai sofferto, hai guardato nei suoi grandi occhi ed hai sofferto, ha ascoltato la sua voce e sei stato trascinato via.

Hai bruciato il tuo mondo per lei, non hai più un posto dove andare.

 «Basta! Taci, mostro!»

Mostro. Dov’era il confine fra mostro ed umano, il limite fittizio fra la fantasia geniale di un estro e la realtà brutale del mondo. Il mostro si trovava nel corpo, nella mente, nell’animo di quella creatura ributtante come si vedeva. Il dissenso di una vita macchiata dalla brutalità di un Dio che derideva uno dei suoi figli. Non dovevano forse essere tutti a sua immagine e somiglianza? Dolente disfatta, interno forte e crudele contro il cuore infranto come i vetri di uno specchio sotto i colpi di un candelabro. Bruciava come il suo teatro macabro scenario della sua sconfitta.

Don Juan, sconfitto.

«Amico hai qualche soldo?»

Teneva il capo chino tra le ginocchia, si difendeva il piccolo bambino dagli sputi e dagl’insulti. L’odore pestilenziale dei propri bisogni troppo impellenti per trattenerli fino alla sua ora d’aria, era quasi piacevole in confronto a quello intriso sulla pelle di quell’uomo. Sapeva di miseria, sapeva di stantio e sudore di giornate passate senza che il sapone conoscesse quelle putride membra violente. Vi era l’odore del marcio. Lo stesso del clochard che avanzava speranzoso la mano in cerca di qualche spicciolo per una bottiglia di vino. Gli occhi vitrei di un uomo distrutto si trasformarono in quelli attrattivi e magnetici del Fantasma.

Don Juan, trionfa.

Quel fisico forgiato dalle peripezie che un teatro può nascondere, dalle sartie di un vascello costruito per un palco, dai piccoli furti necessari per vivere poteva solo che incutere terrore. Ed era quello che gli occhi slavati del vagabondo percepivano, un Demonio risorto dagl’inferi pronto a rifarsi su di lui.

Il Diavolo chiuse il pugno che cigolò dopo ore inerti nella sua apatia d’amore, i sonori crack delle dita rendevano il concerto più allentate.

Un angolo era bastato un angolo della bocca sul quel lato deforme a sollevarsi in un ghigno mefistofelico, per far tremare quello strano soggetto dalle scarpe bucate e dal cappotto di lana logoro. Indietreggiava quando Erik avanzava con il suo passo felino da predatore, avvolto da quell’aurea funerea di morte. Il suo corpo esprimeva ogni lato del pericolo: ingegno, forza bruta con cui combattere e l’aspetto aitante di un uomo i cui muscoli tesi si tiravano sotto la pelle bianca. La piaga del suo lato destro sembravo lo scherno della natura contro il disegno divino, metà umano e metà demonio. La voce di un Angelo con cui mietere vittime. La maschera tragica e la maschera comica, il teatrino delle proprie emozioni. Ed era il suo lato destro a beffeggiare lo stesso meschino Dio che gli aveva procurato si tanto dono .

Sono io stesso la maschera. Io sono ancora con te.

«Non porto soldi con me vecchio!» l’altro non aveva parole, tutto era stato ingoiato assieme al groppo di saliva fermato in quel punto esatto fra le corde vocali e l’esofago. Quella pietra traditrice, poi, che lo fece capitombolare sulle magre ossa gracidanti della vecchiaia lo rendeva ancor più indifeso sulla riva della Senna che placida osservava l’opera del Figlio del Diavolo.

«Scusate monsieur pensavo che foste un …»

«Un miserabile, un scialbo vagabondo? Un fetido rifiuto della società come te?» il tuono incontrastato della sue vendetta sul mondo che chiedeva pietà a lui, quando per lui la misericordia era un mero miraggio. Era bastato così poco a far tacere quel poveraccio, svenuto sotto la tensione di un tono così gutturale da sembrar provenire dalle più neri profondità, lambito dal fuoco riarso della rivalsa.

Lo stesso fuoco della passione, Erik. Lo stesso fuoco del tuo teatro.

Prendi in mano il tuo destino e torna nel tuo regno, dove hai tutto quello che ti serve.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Phantom of the Opera / Vai alla pagina dell'autore: BigMistake