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Autore: enyghte    05/10/2010    3 recensioni
Spock si risveglia su una spiaggia, è riuscito a sfuggire ad un naufragio. Incontra la dottoressa Adrien, infermiera dell'Enterprise. Entrambi dovranno tentare di cavarsela e capire esattamente cosa sia accaduto. Perchè, nonostante il resto dell'equipaggio sia andato perduto, Spock sente la presenza dei suoi amici terresti e c'è qualcosa di davvero strano in questo pianeta.
Genere: Drammatico, Erotico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Spock, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Salve ragazzi, mi scuso per i possibili errori di battitura, prima che cominciate a leggere. Esistono due ragioni alle posssibile defaiance:

 

1- scrivo di getto e, quindi, molto spesso, la velocità di battitura non mi concede di essere precisa. Quando poi vado a rileggere... non so perchè non riesco a notarli.

2-Ho Word in Inglese e questo non mi facilita il compito! a segnalazione tenterò di modificare!

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Il sole stava già alzandosi, in lontananza. Poteva avvertirne il silenzioso marciare, lo spandersi che, come un tiepido massaggio, sulla pelle giungeva ad accarezzare. Era intirizzito. Il freddo notturno aveva cosparso l’aria di gelide lacrime di rugiada.

Quegli occhi, neri come torvi uccelli rapaci, non erano stati pronti ad assorbire la luce, che, lentamente, inondava lo spazio di soffice candore.

Avrebbe dovuto non soffrire di quella differenza, avrebbe dovuto non accorgersi del chiarore effervescente del tempo, ma la salsedine, a cui, davvero, non poteva dirsi abituato, lo aveva privato della naturale prestanza visiva. Bruciavano, le palpebre. E il sapore delle croste salate sulla pelle, avevano suggerito che, le lunghe bracciate tra le onde, lo avevano condotto assai lontano da dove era stato giorni prima. Aveva nuotato, più di quanto la forza di cui era dotato avrebbe concesso. Non sapeva se i suoi compagni si fossero salvati, non erano dotati delle stesse capacità. Erano creature deboli. Aveva cercato di trascinare con se il capitano ed il dottore, ma la forza della tempesta li aveva spinti inesorabilmente indietro. Con il coraggio tipico della sua razza era tornato, allora, a riprenderli. Non era stato possibile. Una seconda ondata di dimensioni ancora maggiori, li aveva allontanati nuovamente.

S’era presto condotto a sedersi, a scutare l’orizzonte, che per oltre 10 km sembrava tingersi d’un profondo blu e non tistimoniare altro. Con una leggera punta di rammarico, che in circostanze normali non si sarebbe mai concesso, aveva posato lo sguardo sull’uniforme, ormai irriconoscibilmente macera.

La sabbia, chiara come lo sguardo delle lucciole, si sperdeva nell’ululato della brezza di cui poteva avvertirsi il leggero gemito tra gli arbusti distanti.

Le caratteristiche di quel luogo stavano suggerendogli che si trattava dell’oceano. Nei mari più piccoli, tali onde non si sarebbero potute vedere e certamente, le distanze sarebbero state diverse. Cinque giorni esatti erano trascorsi da quando aveva lasciato i suoi compagni alla deriva. Per quanto fosse logico avvertire un grave peso per la perdita dei colleghi, i migliori che la flotta stellare avesse mai avuto, c’era qualcosa ancora, dentro di sè, che lo conduceva a chiedersi se avesse fatto davvero tutto il possibile per salvarli. E per quanto se si fosse precipitato in una terza traversata le possibilità d’uscirne incolume si sarebbero ridotte a zero, quell’odiosa vocina non faceva che causare continue fluttuazioni interiori alla ricerca d’una risposta esatta al dilemma: “Avrei potuto farcela?”

Che senso aveva ritornare sullo stesso argomento? Non era riuscito a visualizzarli, non l’ultima volta. Avrebbe dovuto cercarli. Ci aveva anche provato, ma non era servito a molto. I cavalloni lo avevano fatto sbandare contro uno dei motori della navetta che, sprofontando, aveva cominciato ad attrarlo a se, nel profondo dell’abisso.

Il mare s’era tinto di verde. Una grossa ferita sullo sterno aveva preso ad emanare linfa vitale oltre lo scafo. Aveva dovuto inchiodare un piede sul metallo della Glileo per poter liberarsi dalla morsa e tirare. Aveva calcolato che l’indumento era abbastanza logoro perchè la sua resistenza corrispondesse allo 0.5% in quel punto. Se avesse preso a sfilarla ci avrebbe impiegato 5 secondi in più, a causa del collo stretto e ancora integro. Ora, però, in quelle condizioni, avrebbe dovuto medicare le ferite e, soprattutto togliere la salsedine dalla pelle. Aveva preso a camminare. Le onde segnavano il bagno asciuga dei lunghi morsi scuri.

Aveva tolto le scarpe. Aveva deciso fosse logico preservare la suola per i possibili terreni impervi. Le probabilità che ve ne fossero salivano al 45,4% da quella prospettiva. Anche la maglietta non era necessaria, soprattutto se ridotta in quelle condizioni, ma, non poteva ancora sapere di che colore fosse il sangue degli alieni che avrebbe trovato. Avrebbero sicuramente norato la ferita, se avessero prestato attenzione, quindi la sfilò e strappò un lembo cossìche fosse d’utilità per camuffare le orecchie e le sopracciglia. Poi posizionò la parte posteriore, ancora integra, a coprire il punto necessario. E’ vero che le spalle sarebbero state pressocchè scoperte, ma per ora, doveva accontentarsi di quell’accorgimento. Il sole era cresciuto un po’. Ora il calore era stato piacevolmente avvertito dalla pelle. Aveva notato, una macchia scura stendersi sulla spiaggia. Poteva contare un km e mezzo dinanzi a sè. A passo svelto l’avrebbe raggiunta tra 10 minuti esatti. Avrebbe voluto accellerare la corsa, ma una grossa contusione alla caviglia destra non gli avrebbe permesso di contare sulla propria velocità. Il rischio che fosse una rottura era più alto di quanto avesse voluto, tanto che, era stato faticoso, addirittura, sfilare gli stivali ebano dai piedi. Quand’era a 600 metri di distanza aveva potuto distinguere i lineamenti d’una donna. Le si era avvicinato lentamente. Giaceva immobile. Gli era parso un viso noto, ma della sua uniforme era restato ben poco. Le si era avvicinato ed aveva posato le dita sul polso. Era debole, un sussurro.

Poteva credersi avesse inghiottito dell’acqua. La logica suggeriva dovesse applicare le consuete norme di sopravvivenza. Così s’era posato su di lei e, tenendole stretto il naso, aveva cominciato a soffiarle aria nei polmoni tramite la respirazione artificiale. La donna aveva preso a tossire liquido. Gli si era gettata addosso trattenendo nei pugni l’uniforme blu.

I capelli scuri avevano preso a strisciare sulle spalle dell’alieno.Un enorme, sincopato, pianto stabortante, cominciò a riversarsi sulle clavicole dell’uomo che, nonostante fosse poco propenso al contatto fisico, non s’era mosso d’un passo.

L’aveva gentimente allontanata serrando in una stretta i polsi della giovane.

“Tenente?”

S’era accigliata, ma appena il viso era tornato a posizionarsi diritto:

“Signor Spock” aveva esclamato con gioioso stupore.

In un attimo non aveva potuto crederlo. Non aveva potuto credere di averlo toccato. Quell’uomo era stato colui che Adrian aveva sognato ogni notte, quando lei era stata semplice studentessa e lui stimato professore. Volutamente, non aveva mai cercato un contatto con il primo ufficiale. Quando si era presentata in infermeria aveva fatto il possibile perchè il dottor MecCoy non la introducesse ai membri dell’equipaggio di alto rango. Era riuscita ad evitare il Signor Spock quanto possibile. Sapeva che altre donne dell’equipaggio avrebbero strisciato ai suoi piedi se solo avessero potuto. Lei detestava quel modo di svilirsi che aveva trovato soprattutto nell’infermiera Chapel. Per questo motivo aveva montato una scorza più che dura, in modo tale che apparisse intoccabile. In realtà, era più che cotta.

“Tutto bene?” le aveva chiesto trattenendo ancora le mani nelle sue.

Adrian aveva abbozzato un sorriso poco veritiero e aveva portato le braccia a scendere lungo i fianchi. Aveva cominciato a far forza per alzarsi:

“Ah, mi sento pesare cento kg!” aveva stancamente ammesso.

Il vulcan, nel frattempo s’era tirato su, più goffamente di quanto generamente facesse.

In quel frangente lei era riuscita a notare la caviglia.

“Non credo che lei superi di 55 kg, tenente” aveva detto lui osservandola

“Ha occhio, comandante” aveva risposto sogghignando.

Faticosamente s’era infine alzata. Lui le aveva teso una mano, ma Adrian aveva deciso di non raccoglierla: “Non vorrà compromettere ulteriormente la caviglia?” aveva chiesto tirando ad una ad una le parole “dovrebbe immediatamente medicarla, anche se non so dove potremmo reperire in necessario”

S’era guardata attorno, tantando un qualsiasi indizio che fosse speranza.

“Non è riuscita a condurre con se nessuno?” le aveva chiesto, a quel punto, l’alieno, puntandole quei profondissimi occhi scuri addosso, che, lei, puntualmente, evitava.

Un’espressione quantomeno rammaricata affiorò sulle labbra della donna.

“No... avrei voluto... e lei?”

Il vulcaniano scosse la testa: “la sua razza è particolarmente dotata in acqua... forse potremmo sfruttare questa sua capacità per ritrovare parte dell’equipaggiamento. Logicamente, la corrente avrebbe dovuto trasportarlo qui, ma, se non dovessimo trovarlo, potrebbe essere rimasto incagliato nel fondo, dovremmo perlustrarlo”

La ragazza chiuse le spalle e scosse la testa: “Potrebbe anche essere andato distrutto, non crede?”

“Si, è una possibilità, ma non è logico prenderla in considerazione”

Adrian si posò sul suo profilo. E interiormente imprecò in mille lingue perchè tra tutti, tra le milioni persone, avrebbe potuto piacerle qualcuno di meno complicato. Il capitanto Kirk, ad esempio. Forse con lei, conoscendo la sua fama, ci sarebbe anche stato.

Scosse la testa, scacciando i pensieri:

“Signor Spock... lei è riuscito a nascondere l’alieno interiore... e io? Come posso farlo?” gli aveva domandato infine.

Spock si posò sulla ragazza. Effettivamente, quella pelle sarebbe stata difficile da camuffare. Aveva un pallore spettrale e occhi nerissimi. L’iride occupava tutto lo spazio possibile. Le labbra, estremamente disegnate si coloravano d’un rosa appena accennato.

Piccole corna chiare spuntavano leggermente, seppellite dalla folta chioma scura, sopra la fronte, a destra e a sinistra. In più, il corpo, dov’era possibile osservarne la nudità, sul ventre e sulle gambe, era tamponato da piccoli ricami neri, segno della cultura d’appartenenza. Il Vulcaniano l’aveva osservata per più d’un minuto.

“Avevo condotto con me il trucco necessario per mascherare la pelle ed ero rifornita di lenti a contatto. Inoltre, quando erano legati, i miei capelli, non davano a vedere il resto”

pronunciando queste ultime parole la giovane aveva impotentemente sospirato

“Dovremmo inventarci qualcosa, tenente. Probabilmente, lei fa parte di una tribù che usa aggiungere materiale posticcio dul proprio corpo”

Per un attimo, la ragazza aveva portato un’occhiata rovente al Vulcaniano, ma accortasi dell’espressione serenamente seria dell’ufficiale, era scoppiata a ridere:

“Si... certo...” aveva detto “ma lei deve mettere apposto la caviglia. Abbiamo bisogno di rifocillarci e di pensare a qualcosa”

I due s’erano allontanati verso la radura. Chissà perchè nessuno di loro ricordava esattamente cosa fosse accaduto. Spock s’era voltato un’ultima volta verso l’orizzonte. Qualcosa continuava a dirgli che Jim Kirk non era lontano... ma non avrebbe mai ammesso che fosse un’intuizione

  
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