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Autore: Ilaja    05/10/2010    1 recensioni
La vita è sempre stata un ciclo, e lo sarà sempre. A volte, però, penso che noi non possediamo gli occhi per capirla. Forse quelli di una bambina sono i più adatti per svelare ciò che si cela dietro il segreto della nostra esistenza: la morte.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III – Può essere la fine un nuovo inizio?

Quando ripresi i sensi, pensai di essermi appena risvegliata da un sogno. Volteggiavo in aria, ma non era più buio, di quel buio che mi faceva paura.

Paura.

Ricordavo cos’era! Sì! Ricordavo tutto!

“Buongiorno. O Buonanotte. Non che ci sia molta differenza, a dir la verità.”

  Non riconoscevo l’origine di quella voce, stranamente femminile, né capivo se venisse dall’esterno o dal mio cuore. Probabilmente da quest’ultimo, visto che andava e veniva come i suoi battiti, che andavano accelerando sempre più velocemente.

Ma avevo veramente il cuore?

‘Chi sei?’ tentai di dire, ma non riuscii ad emettere suono. Una risata riecheggiò cristallina nella vallata bianca, candida ed eterea cime la pelle delle ninfe, quelle creature con cui mi piaceva tanto passare, una volta alla settimana, degli interi pomeriggi al lago. Però non mi era mai piaciuto il bianco. Non era un colore: era vuoto. Privo di dolcezze e sensazioni che imprimono le altre tinture. Il bianco fa venire fuori solo la malinconia che è dentro di te.

“Prova a guardare dentro di te”. Facile a dirsi. Non avevo corpo!

Poi, improvvisamente, il bianco si tramutò in rosso, poi in verde, in azzurro, in viola. Un serpente scivolò vicino a me. Cacciai un urlo.

“Visto? Non è così difficile parlare.”

Il problema era sapere come avevo fatto.

Il serpente era sparito, e al suo posto era apparso un meraviglioso uccello dal piumaggio variopinto. “Fantastico” mi sentii sussurrare.

La voce tintinnò allegra. “Hai capito dove ci troviamo?”

Il paesaggio si era divenuto di nuovo scarlatto. Battiti. Rulli imprecisi che mi circondavano. Pulsazioni di origine imprecisa che sbattevano contro il rosso dello scenario.

“Dicono che l’anima risiede nel ventricolo sinistro del cuore” annunciò sibillina la mia compagnia incorporea.

“E allora?” dissi, prima di rendermi conto da dove  udivo il suono della mia voce.

“Davvero non hai capito che posto è questo?”

L’uccello di luna scivolò a terra con eleganza idilliaca, e al suo posto spuntò un gatto dal pelo corto e con due enormi occhi verdi. “Sei la Morte” mi sentii sussurrare. “E questo posto” aggiunsi, guardando il gatto dritto nelle iridi luminescenti “è il mio cuore”.

Il gatto agitò la coda e balzò in aria: a metà salto si tramutò in una rosa bianca, che giacque a terra, esanime, i candidi petali arricciati si sé stessi e le foglie spinose arcuate in un minaccioso avvertimento. “A volte ciò che è ovvio pare più difficile di quel che è celato” rispose enigmatica.

Io non le diedi retta. “Come mai prima non riuscivo a parlare? E come faccio a trovarmi qui? Dov’è il mio drago, dove sono gli uomini di prima?”

La rosa frusciò al passare di un vento improbabile. “Tu condividi il tuo cuore con qualcuno?”

Rimasi in silenzio. Nell’intenso rosso apparvero macchioline bianche. Ricordi.

Rabbrividii. “Non voglio vederli.”

“Ma devi.”

Scene. Pezzi di una vita ormai dimenticata.

Una donna dal ventre rigonfio che scendeva le scale, avvolta nel sontuoso vestito da regina… Un uomo che puntava il dito contro un ladro di galline… Un drago che sputava fiamme…

Avrei voluto avere le palpebre per chiuderle.

Ninfe che spuntavano dall’acqua, i bei capelli color del vento che circondavano i volti diafani dipinti dall’enigma… Un castello adornato a festa, musica di allegre danze che ballavano i cittadini spensierati… Una bambina seguita da due guardie e un precettore che coccolava il suo drago…

 La rosa perse i petali. Uno a uno, come cadevano le foglie in una giornata autunnale, come le lacrime per un tradimento, così, di colpo, secche e dure come un cuore murato dalla gelosia. Il resto fu spazzato via da una nuvola di passaggio. Rimase una pozza d’acqua, sporca e grigia. “Cosa c’è?”

“E’ solo colpa mia se non posso più vederli” piansi triste. “Volevo esplorare il mondo al di fuori del mio castello e del lago delle ninfe … volevo sapere cosa ci fosse al di là di quella barriera malinconica che li separava. Ho portato anche il mio drago con me… gli ho fatto del male, lo so. Lui voleva rimanere a casa. Tuttavia mi ha seguita, fedele. E ora…” Non riuscii a continuare. La pozza si modellò, assumendo le sembianze di una donna paffuta dal volto materno. Mi si avvicinò, quasi mi volesse accarezzare.”Ora?”

“Ora sono morta per colpa mia, tutta colpa mia, e sono costretta a lasciare solo il mio drago, i miei genitori, i miei amici … a vagare sola per sempre nell’oscurità.

La Morte accennò un sorriso. “Sai, bambina” iniziò “tu stai parlando proprio con questo luogo che pulsa attorno a noi. L’esprimersi non è una cosa che s’impari solo con una bocca o un volto. Certe volte dobbiamo imparare ad usare il cuore, una parte di noi che quasi nessuno conosce, a parte i piccoli uomini.”  Mi guardò fissa, le iridi verdi contro le mie. Erano uguali a quelle del gatto. Non capivo.

La donna sospirò. “Vagare sola per l’eternità? La morte non è una punizione. E’ un inizio.”

L’immagine di alcuni mostri di ferro mi si parò davanti. “Hai presente le stazioni degli abitanti dell’altro mondo?”

Annuii. Stazioni. Sì, era così che si chiamavano, c’ero stata una volta, prima che ci rapissero quei trafficanti di animali. Quei briganti.

“Una stazione è fatta perché un treno parta…” Una delle creature metalliche si mosse, e presto non fu altro che un punto minuscolo all’orizzonte. “… e un altro arrivi.” Un altro essere prese il suo posto tra i pavimenti di pietra e i piedi della gente.

Ero sempre più confusa.

La Morte sorrise ancora. “Dimmi, bimba, quando nasci, parti, giusto?”

Annuii titubante. Sì, partivo per un’avventura. Il mio precettore lo diceva sempre: ‘la vita non è altro che una grande, meravigliosa avventura. E quando si fa ritorno a casa, la nostalgia è così grande da prendere il sopravvento sul tuo cuore’.

“E quando muori, ritorni da quell’avventura. In poche parole, la morte non è altro che un transito, una sosta prima di riprendere il viaggio. Perciò, penso proprio che sia ora di prendere quel treno.”

“Per dove dovrei partire?”

La donna scivolò via. Non rimaneva altro che vento di fronte a me.

“Perché svelare a tutti uno dei più grandi misteri dell’uomo?”, soffiò accanto a me.

Il treno fischiò. “Dimmelo!” gridai, mentre iniziava a muoversi. “Tanto non ricorderò niente!”

“Oh, ricorderai, quando ci rivedremo. Rivedo tutti, prima o poi” dissero due occhi nella notte che mi avvolse.

E il ciclo ricominciò.

  
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