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Autore: Josie_n_June    10/10/2010    2 recensioni
"Non c'entra niente da chi sei stato generato, o perché. Tu sei chi sei. [...]Non è la discendenza a stabilire ciò che siamo, è quello che facciamo della nostra vita. [...] Tu puoi scegliere la tua parte. Anzi, l'hai già fatto." Un Cavaliere di Drago. Una sacerdotessa. Un mago. Un'Assassina. A dieci anni dalla Grande Battaglia d'Inverno, un nuovo periodo oscuro travolge il Mondo Emerso. Non ci sono più eroi a combattere. Quattro ragazzi si trovano dentro una guerra che non si è mai conclusa, senza alcuna garanzia di vederne la fine. E sta a loro, decidere il loro destino. Una storia a due mani scritta qualche capitolo a testa, e quindi imprevedibile anche per noi che siamo le autrici. Se vi abbiamo incuriosito almeno un po', perché non date una sbirciata?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Un dolore forte e pulsante le martellava il braccio. Algeiba aggrottò le sopracciglia ed emise un gemito tra le labbra. Poi, improvvisamente, si ricordò. Spalancò gli occhi e rotolò a terra, allungando la mano verso uno dei pugnali che aveva nella cintola. Non tutto era perduto. Poteva ancora salvarsi.

Ma le sue dita strinsero solo aria, e quando la ragazza si mise in posizione di guardia, accovacciata a terra con i muscoli tesi, si accorse che non si trovava più nella piccola radura vicino Laodamea.

Era in un bosco, certo, ma vicino al luogo in cui si era svegliata scorreva placido un basso torrente, che rendeva il terreno umido e molle. Algeiba si tirò su lentamente, respirando forte.

Era al centro di un piccolo accampamento. A pochi metri da lei, scoppiettava un fuoco magico circondato da pietre, sopra cui era appesa una pentola che sembrava piena d’acqua calda. Guardò verso sinistra, e vide un basso cumulo di foglie secche ricoperto da un lenzuolo, che doveva essere stato il suo giaciglio. Continuò a guardarsi intorno per un po’, ma a parte lei, non sembrava esserci nessun altro.

Si permise di abbassare lo sguardo sul suo corpo. La sua cintura era sparita, e con essa le sue armi, e così il corpetto e la bisaccia. La manica sinistra della casacca era arrotolata sopra il gomito, ed Algeiba vide una fasciatura bianca attorno al suo avambraccio, macchiata da una mezzaluna di sangue. Si portò una mano a sfiorare la ferita, e trasalì. Bruciava, e sembrava gonfia.

Ma questo non è il momento di pensarci.  

Riprese a guardarsi intorno, chiedendosi dove si trovasse. Aggrottò le sopracciglia, sforzandosi di pensare. L’ultima cosa che ricordava erano le sue braccia attorno al collo di Taras. Poi più nulla.

Algeiba alzò lo sguardo verso il cielo. Era pomeriggio inoltrato, a giudicare dalla luce e dalla posizione del sole. Quindi, secondo l’ipotesi più ottimistica, erano passate almeno venti ore da allora.

Perlustrò di nuovo l’accampamento con lo sguardo. Nessuno. Possibile che chiunque l’avesse catturata se ne fosse andato così, senza prendersi nemmeno la briga di legarla? Era strano. Troppo strano.

Ma non avrebbe guardato in faccia alla fortuna, se poteva scappare, tanto meglio. Non riusciva a vedere nessuna delle sue armi, ma non poteva sperare tanto. Le dispiaceva un po’ per la sua sciabola e il diario, ma la sua libertà era più importante.

Libertà. Che parola grossa.

Ignorò quel pensiero, e senza indugiare oltre prese a correre via da quell’accampamento improvvisato. Superò il fuoco, il giaciglio, i primi alberi intorno al bivacco, ma non riuscì ad andare oltre. Una forza invisibile la sbalzò di nuovo all’indietro, facendola cadere a terra.

Algeiba si alzò facendo leva sul braccio sano, senza capire. Provò di nuovo a muoversi in quella direzione, ma di nuovo una forza, proporzionale a quella che aveva usato per andare incontro a quell’invisibile barriera, la fece indietreggiare.

Sconvolta, Algeiba provò a scappare in altre direzioni, ma ogni volta era costretta ad arretrare, come se qualcosa la incatenasse all’accampamento vicino al torrente.

Disperata provò a tornare indietro, percorse la strada a ritroso fino al bivacco e poi lo superò, dirigendosi di corsa verso le acque tranquille del torrente…

Di nuovo si ritrovò distesa a terra, il respiro mozzato dall’impatto con il suolo. Si puntellò sui gomiti, troppo confusa e frustrata per badare al dolore all’avambraccio. Fu allora che lo sentì.

“Dove pensi di andare, filatrice?” chiese una voce nota alle sue spalle, palesemente divertita.

In un secondo, Algeiba fu in piedi, facendo per estrarre una spada che non aveva. A circa sei braccia da lei, all’altro capo dell’accampamento, il Cavaliere di Drago di nome Taras la osservava con arroganza, con le spalle appoggiate ad un albero. Non indossava più l’armatura, ma un semplice completo da viaggio, anche se il grande spadone a due mani rimaneva legato alla sua schiena.

Algeiba istintivamente ringhiò, e fece per indietreggiare di un passo. Ma sentì distintamente contro la schiena una pressione opposta, che le impediva di muoversi oltre.

Il Cavaliere ridacchiò. Sembrava proprio che si divertisse.

“Non hai ancora capito che non puoi allontanarti da me più di così? Siamo legati, filatrice, che ti piaccia o no.”

Algeiba si guardò intorno, cercando la sottile corda o catena di cui parlava il Cavaliere. Poi capì.

“Esatto.” esclamò Taras, leggendo la comprensione sul suo viso “Magia. Guardati il polso.”

Automaticamente la ragazza abbassò lo sguardo sul braccio ferito, ma non vide niente. Poi, con lentezza, sollevò l’altro braccio di fronte al viso. La manica della tunica le scivolò lungo l’avambraccio, e Algeiba lo vide.

Un tatuaggio di rune fittamente intrecciate le cingeva il polso come un bracciale. Sapeva che cos’era.

“E’ un sigillo.” la precedette il Cavaliere, visibilmente compiaciuto “Sei braccia è la distanza massima che può separarci. Hai una vera e propria attrazione per me.” aggiunse con insolenza.

Algeiba smise di osservarsi il polso e sollevò verso di lui uno sguardo feroce. Ci mancava solo questo. Un Cavaliere arrogante e spocchioso che si divertiva a fare giochi di parole.

“Nel caso tu non lo sappia, Cavaliere, mi basta uccidere il depositario dell’incantesimo per essere libera. Quindi ti conviene guardarti le spalle.”

Taras inarcò un sopracciglio con fare sarcastico.

“E nel caso tu non lo sappia, Assassina, ti riuscirà piuttosto difficile uccidermi senza nemmeno un’arma. Quindi, fossi in te, eviterei di fare minacce a vuoto.”

Algeiba si morse le labbra, consapevole che aveva ragione. Il Cavaliere non era uno sprovveduto, e come aveva avuto modo di vedere, era un abile combattente. Anche se avesse cercato di colpirlo mentre dormiva, avrebbe potuto fare ben poco. In più, lui era armato.

“E tra parentesi” proseguì il Cavaliere “Questo sigillo è formulato in modo che se dovessi provare ad attaccarmi a mani nude, perderesti le forze. Quindi non puoi fare niente contro di me.”

Algeiba sorrise amara “Certo. Perché senza questo giochetto non avresti opportunità di battermi.”

Taras scrollò le spalle, affatto colpito “Libera di crederlo.”

Improvvisamente, Algeiba sentì un senso di vertigine, come se stesse per svenire. Vacillò appena sul posto, e l’espressione arrogante del Cavaliere si incrinò.

“Sei ferita,” le disse, avvicinandosi a lei a grandi passi “E il taglio si sta infettando. Smettila di fare la testarda e siediti.”

Algeiba non si mosse, stringendosi con la mano il braccio dolorante, uno sguardo sprezzante fisso in quello del Cavaliere. Taras sbuffò, e la prese per il braccio sano, trascinandola verso il giaciglio.

La ragazza oppose resistenza, puntando i piedi, ma il Cavaliere non l’assecondò.

“Oh, finiscila, non costringermi a legarti.”

“Anche se lo facessi servirebbe a poco.” sibilò Algeiba.

“Appunto.” sbottò Taras.

La obbligò a sedersi sul pagliericcio, e poi si accovacciò di fronte a lei. Le rivolse uno sguardo severo, che la ragazza ricambiò con uno di pura avversione. Taras sbuffò, e le prese il braccio. Con un paio di movimenti esperti svolse la benda che glielo fasciava, e osservò la ferita. Con disgusto, Algeiba notò che quello che era cominciato come poco più di un taglio si era ridotto a uno squarcio gonfio e sanguinolento, con un aspetto molto poco rassicurante. Taras lo esaminò con aria critica, e dopo un po’ estrasse una foglia larga e spessa da una bisaccia che gli pendeva dalla cintura. La mise in bocca e la masticò per un po’, per poi sputarsi sulla mano una poltiglia blu verdastra, che avvicinò alla ferita.

Algeiba si ritrasse, tenendosi il braccio stretto al petto, uno sguardo diffidente fisso sul volto del Cavaliere. Questi alzò gli occhi al cielo, e senza dire altro le riprese a forza il braccio e ci spalmò sopra l’intruglio medicinale.

Algeiba lo lasciò fare controvoglia, per il semplice fatto che non voleva che la curasse. Conosceva quella pianta, e sapeva che aveva sul serio proprietà mediche. Ma le dava fastidio il fatto che fosse lui a medicarla.

Suo malgrado, appena l’impasto fresco le venne spalmato sulla ferita sentì un immediato sollievo. Capì che l’unico motivo per cui il Cavaliere si era allontanato era trovare le erbe mediche per fermare l’infezione.

“Non facevi che agitarti mentre venivamo qui.” disse Taras, quando ebbe finito di masticare la seconda foglia “Avevi la fronte calda e mugugnavi qualcosa. Era Righel, giusto?”

Algeiba sussultò, e abbassò lo sguardo. Ricordava di aver fatto l’ennesimo incubo, e anche stavolta riguardava Righel. Lui e il mago di nome Namhar le camminavano incontro, gli sguardi supplicanti, chiedendo pietà. Lei li uccideva ancora e ancora, ma ogni volta loro tornavano, e lei era costretta a farlo di nuovo, finché non era sprofondata in un sonno più profondo.

Non rispose, lasciandosi applicare l’unguento sulla ferita.

“E’ tuo padre, filatrice? Non si chiamava Lao? Oppure è il tuo maestro nella Gilda?” chiese con violenza il Cavaliere, stringendo il nodo sul bendaggio così forte che Algeiba strinse i denti.

Alzò uno sguardo sdegnoso verso di lei, uno sguardo totalmente differente da quelli arroganti o ironici che le aveva rivolto prima. Algeiba rimase di nuovo in silenzio, sottraendo bruscamente il braccio alla sua presa. Ricambiò il suo sguardo con uno di sfida.

“Perché è questo che sei, vero Fanela? Un’Assassina. E io come uno stupido mi sono lasciato abbindolare.”

Nei suoi occhi dal colore indefinibile c’era una scintilla di rabbia repressa, ma anche qualcos’altro, che Algeiba non avrebbe saputo definire.

“Ma scommetto che neanche ti chiami Fanela. Come ti chiami veramente, eh? Con quale nome ti chiamano i tuoi amici sicari?” aggiunse con amara ironia, senza distogliere lo sguardo dal suo.

Algeiba incurvò un lato delle labbra in un sorriso senz’allegria, quasi cupamente divertito.

“E tu dove mi stai portando, Cavaliere? Non mi hai lasciata a Laodamea. Per quale assurdo motivo devo sopportare la tua presenza?” chiese ironica.

Taras scosse la testa, sorridendo rassegnato, e poi si alzò in piedi.

“Ad Assa, nella Terra del Fuoco, al cospetto della regina. Lì ti attendono il processo e la condanna.” rispose asciutto.

Per Algeiba fu come ricevere un pugno nello stomaco. Avrebbe dovuto vivere, ancora, e viaggiare con quell’odioso Cavaliere fino ad Assa, per avere lo stesso verdetto che avrebbe ricevuto a Laodamea.

Lo guardò con odio, e senza dire altro si coricò su un fianco, osservando accigliata le rune tatuate sul suo polso. Di nuovo, la fine della sua miserabile vita era stata ritardata.

 

 

Taras la osservò chiudersi in quel silenzio ostinato a poca distanza da lui, e fece una smorfia. Quella ragazza era incredibilmente cocciuta. Ed era un’Assassina, era malvagia.

A quel pensiero, qualcosa nella sua mente reagì. Rivide i suoi occhi, quegli occhi azzurri torbidi come le acque del Saar, colmi di quella determinazione fredda, vacua, e allo stesso tempo brillanti di quella strana luce che, per qualche motivo, gli era parsa familiare.

Scosse la testa e abbassò lo sguardo sulla pentola d’acqua che gorgogliava dolcemente sul fuoco, e vi immerse delle radici e qualche spezia. Mescolò distrattamente il contenuto e poi coprì la pentola con il coperchio, accigliato. Senza che se ne rendesse conto, il suo sguardo era scivolato di nuovo verso la figura dell’Assassina, distesa sul giaciglio dall’altra parte del falò.

Doveva portarla ad Assa. Doveva condurla al cospetto della regina Aires e farlo al più presto, come aveva promesso a Namhar. Doveva farlo, e non avrebbe esitato mai più.

 

 

Partirono l’indomani mattina. Taras la svegliò battendole forte le mani vicino all’orecchio, e sembrò divertirsi molto quando Algeiba scattò in piedi allarmata. Ogni giorno che passava, la ragazza sentiva di odiarlo di più.

Il Cavaliere radunò le sue poche cose, che ripose in una grossa sacca a spalla, spense il fuoco e prese a farle strada attraverso il bosco, senza neanche dirle dove stavano andando. Algeiba, dal canto suo, lo seguiva senza fare domande, automaticamente. Il suo passo era così silenzioso che spesso il Cavaliere doveva voltarsi a controllare che ci fosse ancora.

La guidò fino a una vasta radura poco lontana, inondata dal sole tiepido d’inizio inverno. Appena Algeiba uscì dall’ombra degli alberi e immediatamente si bloccò, terrorizzata.

Al centro della radura c’era una creatura grandissima, con delle enormi ali ripiegate lungo il corpo possente. Le zampe dell’animale erano alte poco meno di lei e spesse il doppio, e una lunga coda spinata frustava nervosamente l’aria. Il muso era coriaceo, allungato, con due buchi per narici, due grandi occhi verde smeraldo e, soprattutto, una bocca smisurata piena di denti aguzzi. Le scaglie dorate della creatura brillavano al sole mattutino, spargendo riflessi ocra tutto intorno.

Un drago, pensò Algeiba, senza fiato. Non ne aveva mai visto uno, non dal vivo. E le illustrazioni dei suoi libri erano molto meno… imponenti. Quella creatura le metteva addosso una certa agitazione.

Intanto, Taras si era avvicinato tranquillamente al drago, e adesso gli stava dando delle pacche affettuose su un fianco, mentre agganciava la sacca a dei legacci di cuoio che pendevano dalla sella.

Dopo un po’ parve accorgersi che Algeiba non era dietro di lui. Si voltò lentamente, fino a incrociare la sua figura rigida, bloccata ai margini della radura. Inarcò le sopracciglia.

“Allora? Che aspetti?”

Algeiba alzò il mento in segno di sfida, senza muoversi da dove stava “Io su quel coso non ci salgo.”

Il drago ringhiò infastidito, e una nuvola di fumo uscì da una delle narici. Cosa che non fece altro che scoraggiarla ancora di più dall’avvicinarsi.

Taras scoppiò a ridere. “Guarda che ci sei già salita. Come credi che siamo arrivati fin qui?”

“Ero svenuta!” sbottò Algeiba, esasperata.

Taras scosse le spalle. “Beh, io ci salgo. Quindi se non vuoi penzolare nel vuoto a sei braccia da me, ti conviene seguirmi.”

La ragazza rabbrividì al pensiero e, di malavoglia, si avvicinò cauta all’enorme drago dorato. Questo fissò due occhi verde brillante su di lei, con atteggiamento poco amichevole. Per la seconda volta, una nuvola di fumo gli uscì dalle narici.

Visibilmente divertito, Taras batté un altro paio di pacche sul fianco del drago per tranquillizzarlo.

“Su Hìrador, ti assicuro che non morde.”

Il drago rivolse ad Algeiba uno sguardo che sembrava ricordarle che lui, invece, lo faceva eccome.

Taras rise di nuovo. “Mi spiace, ma dobbiamo portarla con noi, amico mio. Lo so, anch’io la preferivo quando dormiva.”

Algeiba gli lanciò uno sguardo di fuoco. “Mi fai salire o no?” chiese brusca.

Con un sorrisetto irritante, il Cavaliere si avvicinò a lei, e la aiutò ad issarsi sulla sella. Algeiba afferrò l’arcione con tutte le sue forze, mentre Taras si sistemava dietro di lei, e le cingeva i fianchi con le braccia per arrivare agli appigli della sella.

Decisamente compiaciuto, vide le nocche della ragazza sbiancare intorno all’arcione.

“Non preoccuparti.” le sussurrò all’orecchio “Il volo non è difficile, infondo è come andare a cavallo. E il decollo, che dà più problemi.”

Algeiba non rispose soltanto perché aveva paura che se avesse aperto bocca avrebbe vomitato.

Poi, senza avvertirla, il Cavaliere dette un colpo ai fianchi del drago, che spalancò le ali, le sbatté e si staccò da terra. L’urlo terrorizzato di Algeiba riempì la radura. 

 

 

Elnath chiuse gli occhi, lasciando che il frizzante vento autunnale gli rinfrescasse il viso e gli scompigliasse i capelli. Sotto di lui, Morwen sbatteva le ali con forza per guadagnare terreno sulla dragonessa bianca davanti a loro. Il bambino non si sarebbe mai aspettato che Estella, molto più grande di Morwen, riuscisse ad andare così tanto più veloce di lei. Avevano molto da imparare.

Tutti e due, pensò di malavoglia.

Accarezzò uno dei fianchi neri della dragonessa.

Ci siamo quasi, piccola.

Il Cavaliere di Drago, Parascheuazo, li stava portando ad accamparsi in un posto sicuro, dove avrebbero potuto passare qualche tempo, allenandosi, aveva detto. Era una piccola foresta che Elnath conosceva come Bosco Marino. Quando Parascheuazo l’aveva nominato, il bambino aveva avuto un tuffo al cuore; era vicinissimo a Laia, la sua città natale.

Si trovava al confine tra la Terra del Mare e la Terra dell’Acqua, e dal luccichio sempre più debole della distesa azzurra alle sue spalle, Elnath intuì che erano quasi arrivati.

Lanciò uno sguardo malinconico al mare. Non si era mai allontanato così tanto dalla costa. In un certo senso, il riflusso delle onde in lontananza gli dava un senso di familiarità, di protezione. Inoltrarsi così tanto in un entroterra sconosciuto lo rendeva ansioso.

Non sapeva perché alla fine avesse deciso di seguire quel soldato. Nonostante fosse passata una settimana, ancora, dentro di lui, scalciava l’idea di piantarlo in asso e tornare indietro. In fondo, non sapevano granché di quel tizio. Magari li stava portando in un accampamento militare, verso morte certa.

Eppure, Elnath sapeva che non era così. L’aveva convinto a seguirlo dicendogli che avrebbe dovuto lottare per il Mondo Emerso con la sua dragonessa, e il bambino aveva letto una tale passione nei suoi occhi che non credeva avrebbe potuto mentirgli.

L’aveva seguito perché le sue parole l’avevano infiammato. Perché dopo tanto tempo si era sentito di nuovo un bambino in vena d’avventure, con un futuro di gloria e battaglie di fronte a sé. Quelle sensazioni gli ricordavano gli anni passati ad allenarsi con suo padre sulla spiaggia, gli donavano uno scopo più alto di quello di salvare la pelle. Ma non era solo questo.

Per qualche motivo, sapeva che quella era la sua strada. Dietro quel Cavaliere brusco e sconosciuto, per allenarsi, per combattere. Per qualche motivo, sentiva che era quello il suo destino.

 

_____________________________

 

Note:

 

Ci stiamo avviando verso il solito, prevedibile tema del viaggio, che però si presta benissimo a una storia di tipo fantasy XD Spero siate felici che Elnath (insieme a Morwen) abbia deciso di andare con il Generale e la sua Estella verso nuove avventure! Fa tanto episodio dei pokémon… Nient’altro da dire che buona lettura!

 

Josie e June

 

MonyPurpa: Ecco la nostra fedele lettrice! E’ bello vedere che ti piace davvero Taras e che la nostra storia ti appassiona. Una domanda; cos’è un AK-47? XD

  
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