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Autore: Ulissae    11/10/2010    1 recensioni
Tantissimi auguroni, mia amata
[USA/NATIVE STATES -Oc. Dopo che Inghilterra lascia le coste americane]
Era sempre stato abituato a vivere da solo in quei territori sconfinati, ma dopo così tanto tempo passato con quel suo nuovo fratellone, non riusciva più a sopportare l'idea di stare solo.
Per lo meno, non così solo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Credo che molti sanno che i Padri Pellegrini arrivarono con la Mayflower nel 1620 sulle coste dell'America del Nord e che rischiarono di morire di fame e di stenti, per fortuna loro i nativi del luogo decisero di aiutarli.
Il mio OC si chiama Matoaka -era il vero nome di Pochaontas <3- e incarna il popolo dei Nativi Americani. Non ho molto da specificare se non che ho amato questa bambina e l'ho rappresentata come tale per l'innocenza e la purezza spirituale di questi popoli, che rispettavano completamente il mondo che li circondava.


Accarezzare il mondo




Quando America, quel giorno, vide la piccola barca di Inghilterra sparire in lontananza, si sentì perduto.
Era sempre stato abituato a vivere da solo in quei territori sconfinati, ma dopo così tanto tempo passato con quel suo nuovo fratellone, non riusciva più a sopportare l'idea di stare solo.
Per lo meno, non così solo.
Fissò a lungo l'orizzonte, aspettando che calasse il sole e quando questo calò, il bambino attese con pazienza che la luna salisse.
Non voleva tornare a casa. Certo, Arthur gliene aveva costruita una piccola e graziosa, con tante assi di legno una sopra all'altra e dei piccolo balconcini, da dove i fiori estivi scendevano rigogliosi.
Era semplice, sì, ma così calda e familiare che per lungo tempo Alfred aveva deciso di non uscire finché Inghilterra, curioso e voglioso di esplorare nuovi territori, non lo aveva trascinato fuori.
Ora, però, non ci voleva tornare.
L'idea che quella casa fosse vuota e senza Arthur lo teneva lontano.
Così calò la notte e il freddo e Alfred rimase lì, sperando -ingenuamente- che suo fratello tornasse.

Il giorno dopo si ritrovò infreddolito e intirizzito a terra, si era stretto al suo mantello di lana, ma il freddo pungente delle ultime sere di estate lo aveva congelato.
Starnutente e tremante corse fino a casa, una volta lì cerco in tutti i modi di riscaldarsi. Accese il fuoco, si avvolse in coperte pesanti di pelliccia, chiuse ogni finestra, si rintanò sotto il letto.
Ma niente, quel freddo, quel tremendo freddo gli era entrato dentro e chissà quando se ne sarebbe andato.
Passarono delle settimane e presto i viveri lasciatogli da Inghilterra finirono, per quanto Alfred si sforzasse di cucinare, gli ingredienti non erano adatti e non aveva un'esperienza tale da permettergli di creare piatti con radici o quant'altro.
Fissando piccole bacche e mangiucchiandole rannicchiato tra le pellicce, per la prima volta provò nostalgia per la cucina di Arthur.

Quando iniziò a scendere la neve, Alfred era ormai così debole da non riuscire neanche più ad alzarsi dal suo piccolo giaciglio. Sfinito e emaciato, fissava le assi del soffitto, continuandosi a ripetere che il fratellone sarebbe arrivato, negando anche l'evidenza più lampante.
Non sentì lo scricchiolio della porta mal oliata, né i passi felpati e silenziosi di quella creatura minuta che era entrata. Non la vide neanche nitidamente, in realtà. Era già svenuto quando la piccola Matoaka gli sfiorò la fronte ormai bollente.

Si ritrovò in una piccola capanna, con tutte le giunture del corpo indolenzite, la fronte coperta da una pezza bagnata e delle manine leggere e rapide affaccendate a spalmare una strana crema sul suo torace, che si abbassava e si alzava ad un ritmo lento e regolare.
La bambina gli sorrise, guardandolo un attimo, gli occhi neri brillarono e tornarono subito a occuparsi del loro paziente.
Alfred chiuse gli occhi. E dormì.

Matoaka lo svegliò la mattina dopo, porgendogli una ciotola con dentro del latte caldo. Alfred lo bevve con avidità e la guardò, porgendole il recipiente. Le fece segno che aveva fame e lei sorrise, facendogli capire che aveva inteso. Gli porse delle piccole focaccine di pasta di mais e lui le trangugiò con gola e voracità.
Le gallette di Arthur facevano schifo, a loro confronto. Era dolci e salate, morbide, e calde, si scioglievano sul suo palato. Quando finì di mangiare, si rese conto che non aveva più freddo e che quella ragazzina dai lunghi capelli color dell'ebano era compostamente seduta a gambe incrociate e lo fissava.
La pelle color del rame era liscia e morbida e il visino tondo e schiacciato nascondeva due enormi occhi neri, ma che, grazie al bianco, contrastavano magicamente con il resto del viso.
Gli sorrideva, mostrando delle piccole perle, quali erano i suoi dentini tondi.
Alfred si mise seduto meglio e cercò di analizzare la situazione razionalmente, proprio come avrebbe fatto Inghilterra.
Perché quella bambina lo aveva aiutato?
Forse perché anche lui era piccolo, e stava male. Sì. Ma perché?
Non aveva denaro né gioielli né possedimenti. E dove si trovava, perché stava in una capanna?
Matoaka le sfiorò leggemente il viso, poi si batté una mano sul petto e mormorò: «Matoaka»
Alfred sbatté le palpebre, non capendo subito.
La bambina ripeté e nuovamente lui non capì. Solo dopo la terza volta afferrò che quello era il suo nome.
Fece come lei e le disse che si chiamava Alfred.
Non poteva dire altro, non lo sapeva dire. Così rimasero in silenzio, lei stringendogli una mano e lui guardandola.
Era così bella, pensava.

Dopo circa due giorni America fu nuovamente in grado di camminare, anche se un po' fiacco, si imbardava in pesanti pellicce che Matoaka gli porgeva e iniziava a camminare lentamente nella neve fresca che scendeva un poco ogni notte.
Lei gli stava sempre a fianco. A volte cantava, a volte sussurrava semplici parole indicando degli oggetti e rimanendo poi in silenzio, aspettando che lui le dicesse, nella sua lingua, come chiamava la quercia e poi le foglie e infine i rami. E tutto il mondo.
Gli mostrò il mais, le pannocchie abbrustolite, i bufali che pascolavano.
Matoaka viveva in un piccolo villaggio, dove tutta la gente sorrideva, e trattava Alfred come se fosse uno di loro.
Passarono giorni e giorni, e Alfred continuava a vivere insieme a Motoaka, ad imparare da lei, a vivere come lei.
Quando Inghilterra arrivò, la primavera dell'anno successivo, lo trovò intento a parlare con una pianta e, sconvolto, rimase a fissarlo per un lungo tempo.
Lo guardò mentre cantava e sistemava la casa, mentre usciva e ringraziava il mais appena nato, e altre mille stramberie che lo lasciarono senza fiato.
Ma, mentre lo osservava, deciso da farlo rinsavire, non riusciva a capire la cosa più importante: Motoaka gli aveva insegnato ad accarezzare il mondo.




Angolo Autrice:
questa è probabilmente la più bella che abbia scritto sul fandom. È quella che mi piace di più e tu, Frè, prendila come il regalo principale.
Non ho molto da dire, solo che mi è piaciuta scriverla e mi farebbe piacere sapere se anche a voi è piaciuto leggerla.
Auguri, moglie adorata <3
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Se avete un livejournal, questo è il mio: [info]ulissae
Idem per anobii (ha trovato il giochino, la bimba): Ulissae anobii
 

Se invece volete farmi una qualsivoglia domanda, ecco il mio formspring: Ulissae
   
 
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