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Autore: cartacciabianca    12/10/2010    2 recensioni
Il fallimento è una circostanza spietata. Più che il buon animo o l’indulgere dei tuoi nemici, è la sorte a stabilire se avrai o meno un’altra possibilità. Quando un veleno fatale scorre nelle vene rendendoti cieco verso la speranza, a quale altro Dio potresti appellarti se non a quello del destino?
Cinque uomini cambieranno il corso della storia: aprendo una cicatrice nel cuore della corruzione, spargeranno i semi di una nuova rinascita. Solo dopo che sarà caduta, infatti, Roma potrà risorgere dalle ceneri del male e indossare un nuovo vessillo. Ma ad intralciare il compimento della loro sì altruista missione, c’è un essere malvagio capace di fronteggiare a testa alta qualsiasi avversario. Cesare Borgia è lungi dal permettere che gli Assassini irrompano in casa sua e calpestino lo stemma di famiglia. Per impedirlo sfrutterà il mezzo tramandato per secoli accanto al suo nome.
Nella più profonda ciecità, cosa possono insegnare un gruppo di pescatori affamati, un giovane contadino analfabeta, una vedova e i suoi due figli? Da Monteriggioni a Roma, e da Roma a Trevignano: una fuga disperata per le campagne Romane. L'ultima.
Fan fiction ambientata in un periodo ipotetico 1502/1503.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Ezio Auditore, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Helleborus'
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Helleborus (dal latino, Elleboro) è una long-fiction incentrata sui fatti prettamente “visivi” del trailer di lancio presentato alla E3 2010.
La narrazione – che si colloca poco tempo PRIMA di quel trailer – comprenderà una ventina di capitoli centrali, un prologo e un epilogo.
Saltando la conclusione che Brotherhood non è ancora uscito – e perciò nessuno di noi sa cosa aspettarsi prima o dopo quel beneamato trailer – ho voluto creare un “What If…” tutto mio, caratterizzato da un primo tentativo di assassinio di Cesare/Rodrigo e un presunto fallimento. Pertanto, le scene da me di seguito descritte non ricalcano assolutamente parti del gioco, ma sono frutto della fantasia della sottoscritta. Gli unici spoiler saranno unicamente di carattere storico. :) Amando entrare molto nei dettagli, buona parte della fan fiction vi parrà, sì e mi dispiace dirlo, una pallosa analisi psicologica dei cinque assassini – Ezio compreso.
Non c’è un vero e proprio protagonista. La mia attenzione di narratore esterno cadrà una volta sui nuovi personaggi, una volta sui soggetti di questa immagine [link] ai quali mi sono divertita ad affibbiare dei nomi provvisori, con il cento per cento di certezza che, quando uscirà Brotherhood e scopriremo quelli veri, farò una ‘sìddetta figura di miedda. Ma vabbe’, vorrà dire che chi leggerà questa storia dopo l’uscita del gioco si farà quattro risate! XD
Vorrei ringraziare, per la pazienza dimostrata nel sopportare le mie confessioni, Elkade e manga_darling. Mi sono lamentata con entrambe sulla mia incompetenza nel tenere al guinzaglio la fantasia, quando questa mi sveglia alle 2 di notte con una storia tutta nuova da scrivere.

Dedico la fan fiction, inoltre, a tutti quei fans sfegatati che, come me, non riescono a togliersi dalla mente il personaggio di cui vestiranno i panni nel multigiocatore. (E ve lo dice una che ha provato la Beta ;) Ci becchiamo tutti lì :3

Detto ciò, come Ezio Auditore il suo Requiescat, recito:
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della Ubisoft (fatta eccezione per il profilo degli Apprendisti ed eventuali nuovi personaggi); questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.







Capitolo I

Prologo: In Anima Vili

“Tu non tentar l’avvelenatore, e il veleno non sarà tentato da te.”


La chiamavano Locusta, come l’avvelenatrice che nel I secolo dopo Cristo servì Agrippina nel suo assalto al trono imperiale. Cesare aveva ordinato che fosse scovata e condotta in Vaticano giusto quella notte. Gli scopi del Valentino erano simili o ancor più subdoli alla madre di Nerone.
La donna, coperta da un pesante mantello di lana e scortata da due guardie a cavallo, giunse nel cortile sotto uno squarto di limpido cielo stellato. La sua figura proporzionata cavalcava all’amazzone un asino picco e tozzo che, pure affiancato da due possenti palafreni rivestiti di cotte da guerra, non si azzardava a fiatare mantenendo lo stesso contegno della padrona. Ella smontò agilmente di sella e s’avviò spedita sulle scale, sapendo già dove dirigersi, pedinata da tre alabardieri.
Cesare si staccò dal balcone e tornò nella stanza illuminata solo da qualche candela. Giunse le mani dietro la schiena e si posizionò al centro del tappeto, in attesa che la sua ospite varcasse la soglia a lui di fronte.
Erano in pochi a conoscerla di persona, ma ancor di meno a permettersi di pronunciarne o raccomandarne i servigi. Durante la sua permanenza a Roma, Cesare ne aveva ignorato l’esistenza come, d’altronde, il basso popolo romano faceva da secoli. Per questo motivo persino il figlio del Papa aveva faticato a rintracciare chi sapesse indicargliela.
Si pensava che fosse la diretta discendente della fattucchiera che aveva miscelato il veleno per Claudio, e che pertanto ne portasse lo stesso nome. In realtà era stata l’ignoranza locale ad affibbiarle quel diritto di sangue, alimentando oltremodo il mito. Tutto ciò che componeva la sua leggenda era stato tramandato per sentito dire. Si sapeva con certezza che la donna abitava fuori dalle Mura Aureliane, lontano da controlli di guardia o vicini spioni. A quel punto le opinioni raccolte dai suoi informatori si ramificavano in più parti: alcuni avevano riferito che viveva in una fetta di campagna abbandonata alla mercé di rovi e d’erbacce, così che nessuno potesse avvicinarvisi facilmente; altri avevano sussurrato ch’era accampata sulle sponde del Tevere, tra rospi e canneti, in un piccolo quartiere paludoso. Nonostante l’infecondità o l’ostilità del terreno, in entrambi i casi, le visioni pubbliche concordavano sul fatto che in qualche arcano modo coltivasse da sé tutti gli ingredienti a lei necessari, piantandone un giorno il seme e cogliendone il giorno dopo la pianta. Il mito, per Cesare, l’aveva alimentato chi sosteneva di averla vista assemblare e smontare a piacimento la sua casa con l’uso della stregoneria.
Sommando il tempo che c’era voluto per trovarla, il Valentino l’aveva attesa per settimane nella stanza che avrebbe ospitato il loro segretissimo incontro; poiché neppure l’Alessandro VI, in quei primi anni del ‘500 Papa e principe d’inganni, o Lucrezia sospettavano che Cesare, figlio per uno e fratello per l’altra, avrebbe ordinato il più infido tra gli omicidi al più insormontabile dei nemici.
Gli anni all’apice del potere erano volati via e la colpa era degli Assassini, che come parassiti si erano impuntati a sabotargli le forze. Se nessuno fosse intervenuto, si sarebbe avviata una discesa lenta e inesorabile, ma Cesare avrebbe fatto qualsiasi cosa per impedire che accadesse.
La sua coscienza di generale di guerra splendeva unicamente dell’idea che, a cose fatte, i suoi alleati l’avrebbero guardato col doppio del rispetto - da non confondere col timore - e i suoi nemici non l’avrebbero guardato affatto. Mai più. Dopo quella e la notte successiva, Cesare avrebbe potuto ammirare dal suo balcone la fuga degli Assassini con la coda tra le gambe. I suoi epocali avversari si sarebbero dispersi per la Romagna come formichine, sul cui formicaio s’era divertito a saltare personalmente. Avrebbe fatto dare loro la caccia in tutt’Italia e all’estero, se necessario, fin quando anche l’ultimo di quegli insetti ammorbanti non fosse perito sotto la suola dei suoi stivali.
Nei minuti che restavano cercò di svuotare la mente, domandandosi semplicemente che aspetto avesse una strega capace di tali nefandezze. S’immaginò di tutto: una vecchia col bastone, un’asiatica con serpenti attorcigliati su polsi e caviglie, un’anziana fattucchiera greca; oppure - l’idea gli strappò un respiro profondo - una piacevolissima e giovane dama dalle forme prorompenti e la lingua biforcuta, come Cesare ne aveva domate poche.
Fu allora che Locusta fece la sua apparizione, sorprendendo il Valentino con quel ghigno ambiguo che la visione di una bella donna gli stampava in faccia. Al contrario, l’impressione che si fece di lei, non appena la vide avvolta in quella mantella pesante, fu di estrema povertà. La lana era grezza, sciupata e scolorita, e le dava inoltre un aspetto gobbo. Il largo cappuccio, opera di un sarto alle prime armi, copriva la maggior parte della piccola testa. Là sotto, azzardò Cesare, poteva nascondersi una capigliatura altrettanto deforme.
La donna gli si posizionò dinnanzi e proferì un mezzo inchino. Quando tornò retta, Cesare si accorse che in altezza li separavano pochi centimetri, mentre guardandola dal balcone gli era parsa una differenza più considerevole. Il Valentino congedò le guardie, dopodiché invitò la sua ospite ad accomodarsi.
La donna rifiutò, impuntandosi al centro della stanza. “Limitatevi ad avanzare la vostra richiesta, mio Signore, senza offrirmi i vostri favori” disse freddamente in un latino stretto e dall’accento nordico.
“Un uomo come me cosa potrebbe volere da una donna come voi?”
Locusta sostenne il suo sguardo ambizioso. “Di che genere e applicazione?”
“Non troppo immediato, con sintomi anomali. Da freccia.”
“Da freccia?” persino Locusta metteva in discussione il suo onore, ma notando il viso del Valentino contorcersi in una smorfia contrariata, impiegò poco a trasfigurare stupore in interesse: “La quantità?”
“Un solo utilizzo.”
“Avventato” commentò la fattucchiera.
“L’affidabilità dei miei uomini non vi riguarda.”
“Fino a quanto sapete contare, mio signore? Per più archi non basterà una sola freccia” ironizzò con un risolino.
Cesare tacque. Se avesse continuato ad essere così irritante l’avrebbe strangolata personalmente. Non gli piaceva che quella donna si ponesse al suo stesso livello, usufruendo di una confidenza non autorizzata. Il Valentino si stava irritando e non poco. “Cosa vi occorre?” domandò direttamente. Era ufficialmente già stufo di quella cagna e voleva togliersela dai piedi il prima possibile.
La fattucchiera recitò una serie d’ingredienti comuni che sulle prime screditarono la sua infallibilità. Per ultimo lasciò il nome di una pianta che guariva, piuttosto che uccidere.
“Salderete il debito del fallimento con la vostra vita,” ringhiò Cesare, “tenetelo a mente.”

La notte successiva Locusta tornò in Vaticano, ma questa volta in buona compagnia.
Si presentò a Cesare con un serpente del deserto dalla testa sottile, bianco, attorcigliato sul braccio. Mostrò la creatura al Valentino dopo averla tenuta nascosta alle guardie di scorta, durante il viaggio, sotto il mantello. Intenzionato a non lasciarsi stupire oltre, Cesare congedò le guardie ordinando che nessuno li disturbasse fino all’alba. Per quell’ora Locusta sarebbe stata fuori dalle Mura Vaticane con il suo mulo carico d’oro, lontano da Roma ma soprattutto dal suo committente.
Quando la donna si fu accomodata al tavolo imbandito, la bestia si srotolò dal suo polso e prese posto autonomamente accanto al resto degli ingredienti. A quel punto la fattucchiera si levò il cappuccio, mostrando un volto raffinato e di pelle chiara. Occhi azzurri e labbra sottili, caratteri tipicamente nordici come i capelli biondi, tagliati cortissimi.
“Quanto tempo ci vorrà?” domandò Cesare, avvicinandosi, meravigliato da tanta bellezza.
Locusta non rispose. Passò in rassegna le piante e gli oli disposti ordinatamente sul tavolo, verificando che fossero tutti quelli da lei richiesti.
Cominciò col tagliare e bollire in un pentolino di rame il “serpente dagli occhi blu” tanto fedele. Nel frattempo ridusse in polvere del muschio e bulbi di narciso, per poi gettare il tutto ad acqua e fuoco.
La professionalità con la quale aveva confezionato l’infuso avrebbe fatto invidia a Lucrezia. L’ultimo ingrediente aggiunto, una pianta dagli enti curativi, Locusta lo trattò con la massima delicatezza, come se fosse stato un prezioso e raro rubino.
Appena fu ultimato, Locusta mostrò al Valentino come applicare il veleno sulla punta di una freccia. Dopodiché si affacciarono entrambi dal balcone della stanza. Puntando una guardia qualunque tra quelle che facevano la ronda nel cortile, Cesare scoccò il dardo avvelenato che colpì solo di striscio il malcapitato.
“E’ sufficiente” lo rasserenò Locusta.
Quando giunsero nel cortile, l’uomo stava per essere soccorso dai compagni allarmati. “Fermi” ordinò Cesare vedendo che qualcuno si apprestava a portarlo via. “Non avvicinatevi, lui non va da nessuna parte” decretò.
Le guardie ammutolirono e, ad un secondo comando, tornarono a fare la ronda ignorando le grida del compagno.
Il soldato, in preda alle vertigini, si dimenava in terra continuando a strillare di essere cieco.
In due ore circa, molto dopo che Cesare aveva già ordinato e assistito alla decapitazione della donna, il veleno di Locusta ebbe effetto e la guardia morì.















.:Angolo d’Autrice:.
La figura misteriosa di Locusta, che la storia degli Imperatori ha macchiato col sangue degli stessi, rimase a lungo nell’ombra del secondo piano. La donna, chiamata prima in causa da Agrippina, ordinando l’avvelenamento del vecchio Imperatore Claudio, avrebbe spianato la strada per figlio di lei, Nerone. Alla dichiarata morte dell’Imperatore, restava da far fuori l’erede legittimo, Britannico. Sempre a questo scopo fu richiesta Locusta. Alla fine Agrippina aveva visto realizzato il suo sogno, prima di sentirsi bruciare la gola dallo stesso veleno confezionato ai parenti. Il figliol prodigo, infatti, non aveva esitato a togliersi di mezzo anche quell’incomodo. Potendo regnare indisturbato, Nerone aveva ripudiato i servigi di Locusta non senza ordinare la sua cattura e la sua esecuzione, affinché nessuno potesse trarne altrettanti servigi e la verità sprofondasse con lei nella tomba.
Il mio Cesare è un po’ il Nerone della situazione :) anche se la storia ce lo dipinge capacissimo di confezionarsi un veleno da solo. In extremis, avrebbe potuto chiedere aiuto alla sorella, direte voi, la cui fama di avvelenatrice si è sospinta nei secoli fino a noi. Ma la figura di Lucrezia, in questa storia, va molto fuori quella che conosciamo noi e probabilmente conosce anche la Ubisoft, per necessità d’intreccio.

Ed eccomi tornata a rompervi le scatole! Avevo annunciato che storie passate, presenti e future avrebbero visto capitoli pubblicati solo al completamento delle stesse, ma la verità è che sono una gran bugiarda! :D Non ho resistito alla tentazione (o al bisogno) di cominciare la pubblicazione di questa storia prima dell’uscita di Brotherhood, così da non dover riscrivere determinati capitoli al fine di farli combaciare al gioco. Non per fare razzia o vantarmene, assolutamente, ma questa storia in particolare per me vale molto più delle altre. Ci sbatto la testa contro tutte le notti, prima di andare a dormire, sognandomene poi una determinata scena o un determinato personaggio. Helleborus è nata, sì e no, circa due mesi fa, quando scoprimmo in grande spoiler e per la prima volta, che Ezio, al suo fianco, avrebbe avuto degli “apprendisti.” Da quel momento la mia fantasia è entrata in una frenetica spirale che sta portandomi verso il più grande sogno mai partorito fino ad ora. Gli aggiornamenti di Helleborus non saranno costanti quanto i miei episodi di vita, ma Helleborus è un pezzo della mia vita :)

Cos'è Helleborus (non) in breve...

Ci sarà qualche sprazzo di storia della famiglia Orsini, un nobile casato romano che rifornì la Chiesa Cattolica di Papi, Vescovi e Cardinali per generazioni. Non furono tutti o in parte fedeli al Papa spagnolo *sorisetto malvagio*.
Le vicende legate a questa famiglia, tra cui l’avversione per i Colonna e il sottomesso/dovuto rispetto ai Borgia, mi hanno colpito molto. Presto scriverò anche un full immersion nella storia della dinastia Orsini, in questi anni Signori rispettivamente di Anguillara, Cerveteri, Oriolo Romano, Ladispoli, Monterotondo, Bracciano, Trevignano ed altri, e la battezzerò come “Le Cronache di Gentil Virginio”.
Il filo principale, sperando che catturi la vostra attenzione, è la storia di come Ezio, nel passaggio da AC II a Brotherhood, capisce che il sostegno del popolo è importante sotto tutti i punti di vista. L’Assassino imparerà dai propri errori e vedrà crescersi ai fianchi amici preziosi, più che veri e propri scagnozzi. Le circostanze spietate – la cecità e il fallimento della missione – fungono solo da cornice all’ideale centrale della fan fiction.
La lotta personale contro Cesare Borgia ha rinchiuso Ezio in quel “cinismo fatale” dei più spietati serial killer – qualcuno ha mai visto Criminal Minds? E per questo motivo, in un primo momento, l’ho immaginato mentre agisce impulsivamente, come una bestia affamata che, di fronte alla preda, non si ferma ad ascoltare le sue supplice di pietà, tantomeno perde tempo a guardarsi le spalle dando tutto troppo per scontato: nessuna trappola, nessun tradimento, nessun veleno… solo tu e il target, nient’altro. Il mio Ezio sarà determinato a tal punto da ignorare addirittura il Credo stesso… vi ricorda qualcuno? ;) Esatto, sto parlando dell’Altair d’inizio game. Ve lo ricordate quello spietato assassino che pur di conseguire il suo obbiettivo – o applicare una vendetta personale – manda a puttane la missione nel Tempio di Salomone con le varie conseguenze? Questo sarà Ezio nella prima parte della mia fan fiction. Poi accadrà qualcosa che lo sconvolgerà quanto basta per farlo tornare sulla retta via.
Pensiero egoistico il mio: pretendere di poter manipolare i personaggi della Ubisoft come pongo, intendo, sporcando di veleno la fama magistrale di Ezio; quale fan accanito tra voi non preferirebbe tirarmi addosso un’accetta piuttosto che proseguire nella lettura? Ma avanti, cos’altro sono le fan fiction se non distorsioni della trama originale? Io ho creato la mia, una da aggiungersi alle tante :) Si capisce che mi manca tanto il cazzuto assassino che fa arrabbiare Malik? :D
Ma tornando ad Ezio…
Per garantire il fallimento alla base della storia, tralascerà ovvi dettagli che invece, i suoi fedeli assistenti, tenderanno a considerare e circoscrivere per lui, pur non potendo ribaltare gli ordini del loro superiore. Ezio, infatti, vi parrà freddo, inconsistente e, da un punto di vista umano, insensibile; un suo adepto lo nominerà addirittura “senza cuore”. Divenuto da poco Maestro degli Assassini, Ezio è solo una parte di quell’uomo determinato, valoroso e fatale che vediamo nel trailer di lancio. L’altra metà saranno i miei nuovi personaggi a donargliela…
Il popolo di Trevignano – frazione di Bracciano, paese stupendo, tutt’ora esistente e celebre per lo storico circolo di vela 3V che frequentò st'estate mio fratello XD – sosterranno la causa degli Assassini non potete nemmeno immaginare quanto, arrivando addirittura a dare la vita per Ezio e i suoi compagni.
I turbolenti anni del primo ‘500 sono caratterizzati dalla fama di potere di un Tiranno e del suo Cardinal Prodigo. Il popolo che vi descriverò vive in una quasi condizione di schiavitù e certo non appoggia il fatto di dover dipendere da un simile “cancro”. Anche quando studiai questa parte di storia alle medie vidi sempre nel Valentino – Cesare Borgia – una figura negativa. Certo, all’epoca ne parlammo ed io me ne interessai pochissimo, ancora tutta presa dalle Crociate, ma ero inconsciamente già schierata con gli Assassini! Ora basta, credo di avervi rotto a sufficienza! XD




   
 
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