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Autore: Melanto    15/10/2010    10 recensioni
Fuggire. Reazione immediata dinanzi ad un dolore troppo grande per essere affrontato a viso aperto. Camuffare la sofferenza in voglia di lavorare. Poi partire. Cambiare persino continente per ricostruire precari equilibri su cui camminare in punta di piedi. Dimenticarsi di tutto: amici, famiglia... assopire i ricordi e cullarli come bambini, perché non facciano troppo male, per ricaricare le certezze. E poi... e poi tornare, per affrontare il passato ed i sensi di colpa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Yoshiko Yamaoka
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Huzi - the saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Huzi

- Epilogo: 28 anni dopo -

Il proiettore venne spento sull’ultima immagine: la pliniana del Fuji con i suoi ventisette chilometri di altezza.
L’attimo dopo, il ronzio delle persiane, che venivano nuovamente sollevate, accompagnò l’entrata della luce del sole all’interno della spaziosa aula dell’Università di Tokyo, assieme al piacevole odore dell’avvicinarsi dell’estate.
Il Prof fece lentamente il giro della cattedra per portarsi di fronte al gruppo di studenti che, freneticamente, terminava di scrivere gli ultimi appunti. Con comodo si appoggiò di spalle alla scrivania, incrociando le braccia al petto.
I corti capelli, che all’epoca delle immagini appena trasmesse erano stati perfettamente scuri, mostravano ora un incalcolabile numero di ‘fratelli di Paco’, il suo primo e famoso capello bianco. Qualcuno più scuro, ancora, cercava stoicamente di sopravvivere, ma a cinquantotto anni la sua brizzolatura era divenuta perfetta.
“Allora” esordì “chi sa dirmi qual è stato il volume di tefra emesso dall’eruzione del Fuji del 2006?” poi puntò il dito verso l’ultima fila e osservò lo studente prescelto da sopra gli occhiali da vista. “Takahashi?”
Il ragazzo tribolò, cincischiando con la penna. “1 km3?”
Yuzo nicchiò. “Uno… chi offre di più?”
La mano di Fujimori si levò dal primo banco. “1,3 km3!”
“1,57 km3!”
“2,3 km3!”
“3,4 km3!” proclamò solennemente Aikawa, alzandosi addirittura in piedi, lui, che si trovava nell’angolo più a sinistra dell’aula.
Yuzo lo indicò. “3,4! Nessun altro? 3,4 e uno! 3,4 e due!... 3,4 e tre! Aggiudicato a Ryo Aikawa!” e le risate corsero tra i vari studenti per quell’asta improvvisata, mentre lui scuoteva il capo nonostante fosse divertito. “Signori, non dovete dare i numeri. Ma dovete stu-dia-re!”. Adagio sfilò gli occhiali, ripiegandoli con cura ed infilandoli nel taschino della giacca. “Per oggi direi che abbiamo finito.”
Un brusio liberatorio si levò tra i banchi, ma Aikawa aveva ancora qualcosa da chiedere, e fermò Yuzo mentre stava riponendo il portatile nella borsa.
“Prof, senta…” esordì, sporgendosi un po’ sul banco, affiancato da Kikuchi e Sakamoto meglio conosciuti come ‘i tre lapilli’ – e non è difficile immaginare come, invece, fossero peggio conosciuti. Il brusio calò di tono, divenendo interessato. “…gira una strana leggenda metropolitana.” continuò, sfregandosi le mani; il cappellino da baseball che veniva fatto ruotare lentamente, portando indietro la visiera.
“Addirittura?”
“Si dice che lei sia sopravvissuto ad uno dei famosi lahar del 2006. Per quattro giorni.” scandì adagio Aikawa, sottintendendo la domanda: ‘è vero?’.
Yuzo si portò una mano al mento, pensieroso. “Cosa vi ho sempre detto dei lahar?”
“Che c’è tra il novanta e il novantacinque per cento di mortalità.”
“Esatto.”
“E quindi? Resta un 5-10 per cento di sopravvivenza, no?”
“Sì. La matematica non è ancora diventata un’opinione.” che diceva tutto e non diceva niente. Yuzo lo sapeva bene e si divertiva da matti. “Ma le leggende metropolitane sono belle per il loro mistero e le domande senza risposta. Se poi vengono svelate, che leggende metropolitane sono?”
E Aikawa comprese che non avrebbe saputo altro da lui, ma sorrise pieno di soddisfazione perché, nel suo non dire, aveva capito quale fosse la verità.
Anche Yuzo ridacchiò, dando loro la benedizione. “Andate in pace, ci vediamo Venerdì e faremo un bel test!”
Il coro di dissensi fu unanime e quasi supplichevole, ma lui era sordo e implacabile.
“Oh, sì! Test! Test, test, test! Quindi incollate la faccia ai libri!” e lasciò l’aula tra i saluti e le risate dei suoi studenti di Principi Fisici delle Eruzioni Vulcaniche.
Una volta fuori, camminò a passo svelto nel via vai dei corridoi dell’Università, dando una rapida occhiata all’orologio. Quello era un giorno importante e lui era addirittura in anticipo. Meglio così, avrebbe fatto le cose con calma. Cavò dalla tasca le chiavi del Pick-up appena sbucò nel cortile. L’enorme ed ingombrante Mitsubishi sembrava una nave da crociera rispetto ai motorini e le piccole utilitarie dei suoi colleghi. Ma lui e Yoshiko erano andati in concessionaria con le idee ben precise. L’avevano scelto verde, come la speranza che non muore mai anche quando tutto sembra perduto, e per spirito di continuità gli avevano fatto aerografare la piccola scritta ‘Vergil’ sul fianco.
Dante era morto, sepolto da una massiccia coltre di relitti, ed ora toccava a Virgilio essere il nuovo compagno d’avventure e fino a quel momento stava svolgendo perfettamente il suo compito.
Yuzo salì sul mezzo, posando la borsa sul sedile posteriore ed infilando l’auricolare. Non fece nemmeno in tempo a mettere in moto che il cellulare squillò.
“Rick, il tuo tempismo ha dell’incredibile.” sospirò il Prof.
“Lo prendo come un complimento. Dove sei?”
“Devo uscire dal parcheggio dell’Università.”
“Ti sei ricordato che oggi hai la riunione col Primo Ministro Kishu, il Prefetto Hiromu e gli altri colletti bianchi per la questione del Sakura-jima?”
“E tu ti sei ricordato che io ho preso questo pomeriggio libero da almeno un mese?”
“Ma… non puoi silurarli! Sei il Direttore del VRC, lo sai bene che Kishu non muove un passo su queste cose se prima non ne ha parlato con te.”
Certo che lo sapeva; da che era stato eletto Primo Ministro, Tatsuya Kishu era divenuto attentissimo a quelli che erano i pericoli offerti dalla terra e dal cielo: i terremoti, i vulcani, il dissesto idrogeologico, i tifoni. Il Giappone non era mai stato tanto sicuro come adesso. Aveva visto giusto, tanti anni fa, e colui che si era dimostrato solo un cinico arrivista aveva saputo imparare da i propri errori.
“Lo so, per questo ci andrai tu. Che diavolo: sei o non sei il mio Vice?”
“Ma io odio parlare con i colletti bianchi!”
“So anche questo, non ti faccio mica andare allo sbaraglio! Trovi una relazione sulla scrivania, nel mio ufficio. Fatti accompagnare da Toshi e divertitevi!”
“Non sfottere! A volte mi ricordi il burbero e non è un complimento.”
Yuzo rise, con un po’ di malinconia. “Certo che mi mancano i suoi: ‘ragazzo, tentare di ragionare con te è come parlare ad un mulo sordo!’.” perché Hideki Yoshikawa, capo dell’ormai storico Osservatorio di Nankatsu, era morto felicemente cinque anni prima, sull’amata spiaggia di Okinawa dove si era trasferito subito dopo essere andato in pensione.
“Guarda, non avrei mai immaginato di dirlo, un giorno, ma: cazzo!, se hai ragione. Ne parlavamo anche con Rita, la scorsa settimana. E, a tal proposito e in onore dei vecchi tempi, pensavamo di organizzare una cena per rimpatriare tutta la squadra, appena Hisui torna in Giappone. Ah, parlando di Meteo-man: lo hai sentito?” ed il fatto che Rick stesse sghignazzando non gli preannunciò nulla di buono.
“No, se è per questo non ho sentito nemmeno mio figlio. Credo che lo darò per disperso.”
“Oh, tranquillo papito: ho parlato col mio, stanno benone, anche se credo che a qualcuno verrà un esaurimento nervoso.”
“Un nome a caso: Hisui?”
La risata di Ricardo fu così forte che Yuzo pensò l’avessero sentita in tutto il VRC.
“Io e Toshi ci siamo letteralmente ammazzati dalle risate, poverino, lo faranno diventare matto.”
“Ma è tornato a fare il meteorologo, dovrebbe essere contento.”
“Sì, ma nessuno capirà mai che lui vorrebbe un lavoro di scrivania o occuparsi delle previsioni in TV!”
Yuzo rise. “Nah! È troppo vecchio per fare il ‘Signorino Meteo!”
“Non se ne farà mai una ragione. Comunque, allora è deciso! Appena il lamentone rientra, si fa grigliata da me e Rita. Ah! Ti ho detto che sono mesi che continua a ripetere che le manca il vecchio lavoro all’Osservatorio e che all’ERI si annoia?!”
“Ma se praticamente è come se comandasse lei là dentro!”
“Lo so! La conosci, no? Se non si lamenta di qualcosa…”
“…si annoia.”
“Ecco. Ieri è tornata a casa felice come una Pasqua mostrandomi due biglietti per l’Etiopia per andare a vedere l’Erta Ale e il Dallol. Il Dallol, capisci?! Il Dallol! 60°C all’ombra inesistente!” poi Rick sospirò rassegnato, facendo scoppiare a ridere il Prof. “Amo quella donna.”
“Ci sono stato sette anni fa con Yoko, fidati, ne vale la pena.”
“Lo so che ne vale la pena, per questo si è impuntata che doveva andarci!”
“Allora ti posso già consigliare di fare scorta di crema solare e cappelli. Dio solo sa quanto ne avrai bisogno. Adesso però ti saluto, devo scappare.”
“Ok, capo, almeno tu divertiti e… auguri!”
Yuzo sorrise, accendendo il motore, pronto per fare manovra. “Grazie, Rick, ci vediamo domani al VRC.”
E la comunicazione venne chiusa, mentre si allontanava dal parcheggio per scivolare nel traffico cittadino. Aveva ancora una cosa da fare prima di passare a prendere Yoshiko e non voleva correre il rischio di trovare il negozio chiuso. Così, s’accodò alla fiumana di auto che, veloci, correvano per le strade di una Tokyo risorta dalle ceneri e dai lapilli non solo dell’eruzione del 2006, ma anche di tutte quelle successive, seppur molto meno intense. Ogni volta, la città veniva ripulita dai materiali piroclastici, ma se si andava un po’ più lontano, verso le campagne, era ancora possibile trovare degli affioramenti; ricordo di ciò che era stato e che non doveva mai essere dimenticato e Yuzo era convinto che nessuno avrebbe potuto rimuoverlo, lì come in tutto il Giappone, ed era giusto così.

“Adagio… adagio… è un ‘Misaki’ quello, volete fare più attenzione?”
Yoshiko sospirò con una certa rassegnazione, mentre seguiva, senza perderli d’occhio un momento, gli addetti che stavano sistemando l’ultimo, meraviglioso quadro lasciato da Ichiro Misaki: il Monte Fuji sovrastato dalla sua immensa e terribile nube nera.
Il Soffio del Dragone, si intitolava, ed ora occupava tutta la parete della enorme sala che Yoshiko aveva fortemente voluto e ottenuto all’interno del Museo Internazionale di Tokyo.
Osservò la maestosità delle dimensioni, la forza dei colori e la crudezza delle ombre con un sorriso deliziato e timoroso al contempo. Lei, che aveva vissuto la devastante eruzione del 2006, riusciva a rivederla attraverso quelle decise pennellate che sapevano metterle i brividi e lasciarla in contemplazione di ogni minimo particolare.
Poi, il cellulare cominciò a vibrare nella mano che teneva appoggiata sotto al mento, distogliendola dalla sua ammirazione estatica.
“Sì, pronto?” rispose senza nemmeno guardare il display.
“Direttrice!” esordì una voce femminile all’altro capo, caricandosi di una pesante vena ironica. “Oggi è il suo giorno fortunato! Vorremmo proporle l’allestimento di una mostra che non può assolutamente rifiutare! Le meravigliose opere della più grande artista contemporanea giapponese del secolo!”
Yoko ridacchiò, prestandosi al gioco. “Mi dispiace, ma nel Museo Internationale esponiamo solo i lavori di artisti morti.”
“Che diavolo! Dovrò addirittura crepare prima di vedere appeso un mio quadro lì dentro?!” e tutte e due scoppiarono a ridere sonoramente.
“Sa-chan!”
“Yoko!”
Si misero a squittire all’unisono come se fossero improvvisamente tornate indietro di trent’anni, attirandosi gli sguardi un po’ perplessi degli addetti ai lavori e dell’assistente di Yoshiko, che cercò di non ridere, tirando su gli occhiali.
“Come stai, Saya? E’ da tanto che non ci sentiamo.” almeno tre mesi, Yoko se ne rese conto in quel momento, facendo un attimo mente locale. Ma la sua amica di sempre era ormai divenuta un’artista irrintracciabile e perennemente in giro per il mondo, alla ricerca di nuova ispirazione. Su questo, le ricordava moltissimo il padre di Taro e, chissà, magari anche lei, un giorno, avrebbe avuto una sala tutta sua proprio in quel Museo.
“Lo so, tesoro, per questo ti ho chiamato! Ho finalmente strappato cinque minuti alla mia arte per sentire una voce amica.”
“Oh, che cara!” ridacchiò Yoshiko “Da dove mi stai chiamando?”
“Sono ancora a Londra, ma ci resterò poco. Io e Michael abbiamo un sacco di altri posti da vedere, pensavamo di spostarci in Nepal per un po’. Lui con le sue foto ed io con i miei quadri daremo una nuova immagine del mondo!”
“Come al solito, progetti in grande.”
“Vedrai che ci riuscirò, ma dovete fare un salto qui in Inghilterra prima che ripartiamo! Ti preeeeeego! Abbiamo così tanto di cui spettegolare! Lo sai da quanto tempo è che non lo faccio?!”
La donna sorrise con affetto, anche se Saya non poteva vederla. In tutti quegli anni non era cambiata di una virgola: era la solita matta e chiacchierona di sempre, e le voleva bene per questo.
“D’accordo, vedrò di parlarne a Yuzo e di organizzare il nostro piano di evasione dal Giappone per raggiungervi.”
“Sìììì!” squittì l’altra piena di entusiasmo “Allora devi assolutamente farmi sapere quando, e guarda che ci conto! Altrimenti vi toccherà venire in Nepal e credo che Yuzo si annoierebbe: non ci sono vulcani, che io sappia!”
Yoshiko le fece il verso. “Non temere, riesce sempre a trovare qualcosa ovunque si trovi! E comunque potresti anche venire tu in Giappone, qualche volta! Non fare la snob!”
“Hai ragione, dovrei tornarci. Ti immagini che Apocalisse: io, te e le Tre Grazie tutte insieme?!”
“E chi vi fermerebbe più! Mettereste su il Circolo delle Vecchie Comari!”
Saya rise divertita, cercando comunque di non fare troppo rumore, a Londra era notte fonda e suo marito, in teoria, era andato a dormire. “E di te che mi racconti? Come procede nel tuo ‘covo di tesori’?”
“Benissimo, abbiamo quasi finito l’allestimento della Sala Misaki.”
“Oh! Alla fine ce l’hai fatta!”
Yoshiko si inorgoglì un po’, girando lentamente su sé stessa per poter osservare le opere esposte che non attendevano altro di essere finalmente mostrate al pubblico per poter essere ammirate da tutti. “Certo che sì! Non avrei mai gettato la spugna! Contro Kounellis, poi! Ah! Il Ministro Chiba era convinto di dover allestire la discarica cittadina!”
“Yoko! Sei perfida!”
“Beh, dammi torto! Ichiro Misaki è davvero uno degli artisti contemporanei migliori del Giappone e gli andava reso il giusto riconoscimento.”
L’altra annuì con vigore. “E’ così che ti vogliamo, Direttrice!”
“Scema, non cambierai mai.”
“E per fortuna! Mi ci vedresti diversa?! Ora ti saluto, tesoro, è meglio se filo a letto prima che Michael si alzi e mi venga a tirar via per i capelli.”
A giudicare da come rideva e parlava, non avrebbe avuto dubbi che suo marito avesse potuto farlo sul serio, almeno per riuscire a dormire in pace.
“D’accordo, allora ti faccio sapere quando verremo. Saluta Mike.”
“Contaci e tu saluta The Lord of the Volcanoes! Ti abbraccio forte!”
Yoshiko chiuse con ancora il sorriso sulle labbra. Nonostante fossero passati anni, Saya continuava sempre a trovare qualche nomignolo nuovo da affibbiare a Yuzo, proprio come quando erano ancora all’Università. Annuendo soddisfatta mise via il cellulare e diede un’ultima occhiata ai lavori prima di guardare l’ora.
“Oh, accidenti! Sonoko…”
L’assistente in tailleur blu, coda di cavallo e occhiali sottili si fece avanti prontamente tenendo a portata di mano la cartellina con gli appunti.
“Sì, Direttrice?”
“Io devo scappare e sono già in ritardo. Qualora dovesse nuovamente telefonare il Ministro Chiba potresti dirgli, testuali parole: ‘L’Ala Contemporanea del Museo Internazionale di Tokyo non ospiterà mai accozzaglie di metallo, scatolette piene di merda e tantomeno animali, siano essi vivi o morti’? Grazie!”
La ragazza annuì, trattenendo una risatina. “Sarà fatto, Direttrice Morisaki e auguri di buon anniversario.”
Yoko le poggiò la mano sulla spalla con complicità. “Grazie, mia cara. Sei insostituibile.”
L’attimo dopo, il ticchettare deciso dei suoi tacchi risuonò per tutta la sala, accompagnandola fino all’uscita. Svelta raggiunse il suo ufficio, recuperando il soprabito, la borsa ed il cestino da pic-nic che aveva messo in fresco all’interno del piccolo frigo che aveva nella stanza. Diede un’ultima sistemata alle carte presenti sulla scrivania, che l’avrebbero attesa con impazienza il giorno successivo, quando di nuovo il lavoro avrebbe assorbito buona parte delle sue giornate, ma quel pomeriggio era solo suo e di Yuzo. Lo sguardo le cadde sulla foto che aveva sulla scrivania, ed un sorriso di moglie e madre le distese le labbra nel vedere i suoi uomini. Quella gliel’aveva scattata Michael, un giorno di svariati anni prima. In bianco e nero, Yuzo e suo figlio contemplavano con lo sguardo critico e curioso degli scienziati una piccola roccia. Erano fatti così e nella Terra avevano tracciato la loro vita, anche se Hirotaka l’aveva fatto a modo suo con buona pace di entrambi. Non sapeva quale dei due fosse più matto, ma aveva smesso di chiederselo anni prima ed in fondo li amava anche per questo.
Scuotendo il capo, sistemò meglio la cornice e lasciò l’ufficio, chiudendo la porta alle sue spalle.
Mentre camminava con decisione per i corridoi del Museo, si attirò le occhiate indagatrici dei visitatori che la osservavano andare in giro con quel cesto, ma lei non li notò nemmeno ed uscì dall’edificio, lasciandosi avvolgere dai piacevoli e caldi raggi di Maggio. Distogliendo completamente lo sguardo dalla strada, Yoshiko si mise a frugare nella borsa alla ricerca delle chiavi della macchina quando un enorme mazzo di fiori le si parò davanti.
“Oh.”
“Ciao.”
Parlarono quel tripudio di orchidee rosse e rose bianche, prima che una testa facesse capolino dietro di loro.
Il sorriso tornò ad illuminarle gli occhi ed i tratti maturi del viso, su cui il tempo aveva già cominciato a lasciare il suo segno.
“Yuzo, che fai qui? Non dovevamo vederci a casa di tua madre?”
Lui si strinse nelle spalle, i primi bottoni della camicia aperti, la cravatta eclissata chissà dove e la giacca messa via; le maniche arrotolate fino ai gomiti. Nemmeno sembrava un professore universitario, a dire il vero, non sembrava nemmeno il Direttore di un centro di ricerca.
“Sorpresa.” disse solo, sorridendole e porgendole i fiori profumati e dalle corolle meravigliosamente aperte. Bianco e rosso, neve e lava, proprio come le loro fedi che brillavano lucenti sotto il sole, mentre lei prendeva il dono dalle sue mani: una fascia d’oro bianco avvolta da un filo d’oro rosso; l’essenza dell’uno legata al futuro dell’altra.
Yoshiko inspirò la fragranza delicata delle orchidee. “Sono bellissimi, grazie.”
“Sei tu ad essere bellissima.” le disse, carezzandole il viso e sistemandole una ciocca di capelli, castani e d’argento, sfuggita alla crocchia con cui li teneva legati. “Auguri.”
Lei inclinò leggermente il capo, guardandolo da sotto in su con aria furba. “Ma ce li siamo già fatti questa mattina.”
“Ma la giornata non è ancora finita.” le fece notare Yuzo, baciandole la fronte e stringendola con affetto.
“Questo è vero. Auguri anche a te, tesoro.” si lasciò coccolare dal suo abbraccio, come aveva sempre fatto da quando l’aveva conosciuto, e dalla stretta che, nel passare del tempo, non aveva perso quell’aura di sicurezza e protezione che aveva sempre saputo infonderle, facendola sentire protetta ovunque fosse stata. Ora che i pericoli erano davvero solo un ricordo lontano e che l’attività del Fuji era un qualcosa di monitorato fin nei minimi dettagli, poteva godersi quei gesti d’amore senza più alcuna preoccupazione. “Andiamo? Ma prima dovremmo passare da casa per posare la mia macchina.”
“Lasciala pure qui, la veniamo a riprendere stasera.” suggerì Yuzo, dandole un altro bacio, ma l’espressione di Yoko, che la diceva praticamente lunghissima, lo lasciò interdetto e preoccupato.
“Va bene, però…” la donna allungò la mano “…guido io!”
E il Prof non poté fare altro che capitolare davanti alla sua richiesta. Scuotendo il capo con un sorriso, mise mano alla tasca tirando fuori le chiavi del Pick-up. Yoshiko gliele sfilò, ridacchiando come una bambina a cui avevano dato una golosissima caramella.
“Grazie!” disse, lasciandogli in cambio i fiori, il soprabito e il cestino per poi raggiungere a passo svelto il mezzo. “Ciao, Vergil! Oggi ti guida la mamma!”
Yuzo la osservò, con ironia ed un sopracciglio inarcato. “Non mi sembra uno scambio molto equo.” ma lei aveva già preso posto al lato guidatore, togliendosi le fastidiose scarpe col tacco che aveva praticamente lanciato sul sedile posteriore.
“Tesoro, nulla è equo, nella vita!” poi si appoggiò col gomito fuori dal finestrino, scoccandogli un’occhiata ammaliatrice. “Forza, salta su, giovanotto!”
Yuzo alzò lo sguardo al cielo con divertita rassegnazione.

Il panorama scivolava attorno a loro lungo l’autostrada che percorreva il perimetro del Fuji, passando per il Monte Hakone e il Monte Ashitaka. Si riusciva ad intravvedere, sulla sinistra, il filo di mare brillare come una striscia d’oro sotto i raggi del sole che pigramente migrava verso il tramonto.
Il chiarore del Fuji diveniva invece sempre più potente e magico, stranamente quieto pur col suo pennacchio bianco e grigio che, pacifico, si levava dalla sommità ribassata di circa trecento metri dopo gli eventi del 2006 e successivi. Ora sembrava un Dragone ammaestrato, ripiegato su sé stesso e sbuffante più per tedio che per ira.
Certo, continuava a fare paura soprattutto in chi aveva vissuto gli eventi del suo violento risveglio, ma come ogni pericolo, il suo eco si era spento con gli anni, tramutando in abitudine ciò che un tempo era stata anomalia. Adesso si manteneva costantemente attivo, calando periodicamente e poi, altrettanto periodicamente, tornando a tuonare con fumo e sbuffi neri che non arrivavano a quattro chilometri di quota oppure lasciando scivolare lingue di lava su i suoi versanti, bella da vedere e per nulla pericolosa. Solo i lahar continuavano ad essere la minaccia immutabile, ma il Primo Ministro di allora aveva fatto costruire, su progetto di Tatsuya Kishu,  il più imponente sistema di dighe SABO che il Giappone avesse mai visto, e seppure con le piogge e i momenti di vivace attività i mudflow tornavano a rombare dalla montagna, venivano trattenuti, deviati, incanalati e fatti sfociare dove non avrebbero potuto più fare del male.
Yuzo osservò, correndo con lo sguardo, la linea sempre dolce del pendio inconfondibile della Montagna Sacra, rimasta tale, nonostante tutto, per poi focalizzarsi su qualcosa di più interessante. Il gomito poggiato sul bordo chiuso del finestrino, l’altro braccio disteso a carezzare la linea del collo di Yoshiko che continuava a guidare scalza e a suo agio il possente Vergil. La giacca dell’elegante tailleur era finita assieme all’altra roba sul sedile posteriore mentre i lembi del foulard, che le fasciava la gola, svolazzavano alla corrente che entrava dal finestrino. Lui sorrise, pensando a come il tempo non sembrasse toccare la giovinezza del suo sguardo sempre limpido e vivace, così come lo aveva conosciuto. Come ogni storia d’amore che si rispetti, il loro inizio era stato segnato da ostacoli e tribolazioni, ma ormai questi erano solo un ricordo da tirare fuori di tanto in tanto e sorridere di come non facesse più male. Le sue dita salirono fino allo spillone che le teneva fermi i capelli, tirandolo via adagio.
“Ehi!” rise Yoshiko, lanciandogli una fugace occhiata prima di tornare a guardare la strada. “Che fai? Così mi distrai, non essere dispettoso!” ma lui si divertiva a vederla ridere e a seguire lo scivolare dei crini lunghi e mossi dal vento.
“Tanto ormai siamo quasi arrivati.” si difese Yuzo, mentre la Baia di Suruga era nitida e calma sull’altro lato dell’autostrada.
Come ogni anno, avevano quasi raggiunto la loro meta. Era diventato una specie di rituale ad ogni anniversario di matrimonio, un ritornare alle origini, all’inizio di tutto, per non dimenticare da dove ambedue avevano mosso i primi passi, chi perché vi era nato e chi perché da lì aveva cominciato il cammino verso l’indipendenza. Entrambi si erano ritrovati, in quelle strade che ora non c’erano più, avevano sognato, avevano amato e, sì, avevano anche sofferto, ma la roccia non era destinata a rimanere tale e solitaria per sempre: se la terra aveva ancora vita dentro di sé, dal fango, tra i sassi e blocchi di cemento sapeva comunque crescere qualcosa. E dalla lava rappresa di un vulcano, da i suoi cristalli e vetro trasformati in tefra, da i suoi gas e lahar la vita rinasceva. Sempre. Così, mentre arrivavano sulla collinetta dalla quale tanto tempo prima un bambino aveva lanciato una sfida scritta su un pallone da calcio, potevano già scorgere ciò che restava della vecchia Nankatsu.
Yoshiko parcheggiò Vergil col muso rivolto in senso contrario al belvedere, e scese dal mezzo senza nemmeno rimettersi le scarpe, ma sentendo sotto i piedi la morbidezza dell’erba. Si stiracchiò le braccia e le gambe, mentre Yuzo prendeva il cestino da pic-nic e apriva il portellone posteriore, salendo sul vano scoperto del Pick-up.
“Finalmente.” sospirò Yoko, avanzando fino al bordo del pianale per poterla ammirare di nuovo. La città si stava colorando dell’oro del tramonto che tracciava un arco sopra la vetta del Fuji-san, nitido e vicino in quella bellissima giornata. “Ciao, Nankatsu.” sussurrò, come se stesse salutando una vecchia amica. Il sorriso carico d’affetto era rivolto all’enorme distesa verde che ora sorgeva dove prima era esistita una viva e attiva città. La stessa che aveva assistito alla crescita di una parte della prima Generazione D’Oro del Giappone calcistico: campioni quali Ozora e Wakabayashi che, dal paese del Sol Levante, avevano portato il loro modo di fare calcio in tutto il mondo. Ora non c’erano più case e il fango era stato completamente ricoperto dalla vegetazione che in quegli anni era ricresciuta. Dopo l’eruzione che l’aveva distrutta, la città era stata dissepolta, ma impossibile da rendere nuovamente abitabile, perché troppo vicina al vulcano. Così gli edifici erano stati abbattuti, i materiali portati via e lasciato alla natura il compito di prendersi nuovamente cura di quella terra. Solo, sporadici, restavano alcuni scheletri storici quali i templi, che si era cercato di recuperare e lasciare lì, a proteggere l’intera area; la grande Villa Wakabayashi, seminascosta dai rampicanti per volontà della stessa famiglia e lo Stadio Ozora, simbolo della salvezza per le centinaia di persone che vi si erano barricate, sopravvivendo all’ondata assassina.
Ma Yoshiko riusciva a vedere ugualmente, in mezzo a tutto quel verde, le strade brulicanti di vetture, il rumore dei clacson del centro, la sede dell’Università ed il palazzo dello Studentato, la casa di Yuzo, la casa di Taro, l’orchestra suonare nella sala ricevimenti della Villa di Genzo, lo squadrato palazzone dell’FVO. Vedeva i ricordi ballare come la bambolina di un carillon ad una dolce musica malinconica e sorrise, perché anche se ormai Nankatsu non c’era più, le aveva lasciato la cosa più importante che aveva. La stessa che aveva spiegato la coperta a quadri sul vano del Pick-up e vi si era seduta, liberandosi delle scarpe. Le gambe distese e lo sguardo rivolto alla donna che gli dava le spalle, fissando il passato al di sotto della collina.
Sì, dire addio alla propria città era un qualcosa di impensabile e traumatico, per certi versi. Si vedeva la propria casa sparire nel giro d’un attimo e rendersi conto di non appartenere più a nessun luogo, questo Yuzo lo sapeva e l’aveva provato sulla propria pelle almeno due volte, ma da quando la sua strada s’era incrociata con quella di Yoshiko, aveva capito che il concetto di ‘casa’ non apparteneva più a quello di ‘luogo’, ma era lei e ovunque si fosse trovato, sarebbe sempre stato ‘a casa’.
“Credi che tuo figlio si degnerà di farci sapere che fine ha fatto?” esordì la donna ad un tratto, voltandosi verso di lui e raggiungendolo adagio, le mani dietro la schiena ed i capelli che oscillavano morbidamente alle sue spalle.
Yuzo inarcò un sopracciglio. “Perché quando fa qualche danno è solo figlio mio?”
“Perché è la tradizione, amore.” ridacchiò Yoko, salendo sul vano e prendendo posto accanto a lui.
“Questa risposta non mi convince affatto, comunque Ricardo ha dichiarato che, a detta di Pablo, stanno tutti bene e in ottima salute, tranne Hisui.”
“Oddio, che gli stanno facendo passare?”
Yuzo si passò una mano sul viso con una certa rassegnazione. “Guarda, non voglio nemmeno saperlo. Appena torna vivo e non esaurito da quest’esperienza, ha detto Rick che vuole organizzare una grigliata con tutta la squadra.”
Yoshiko ne fu più che entusiasta. “Oh, sì! Adoro queste cose nostalgiche! E poi ci sono ancora un sacco di aneddoti che non mi avete mai raccontato.”
“Se sono stati volutamente omessi, significa che sono troppo vergognosi per essere sbandierati.”
Ma lei gli pungolò il fianco, poco convinta.
“Vuoi dire peggio del vitello in fuga? Non ci credo. E comunque sappi che ho sentito Saya. Ci ha invitato a passare qualche giorno in Inghilterra, prima che riparta per il Nepal.”
Il vulcanologo ci pensò un po’. “Addirittura in Nepal? Mh… c’è la Catena Himalayana che è spettacolare. Potrei consigliare a Michael dove fare delle belle foto.”
“Ecco, come volevasi dimostrare.” sospirò la donna, trattenendo una risatina, ma lui non ebbe nemmeno il tempo di replicare qualcosa, che il piccolo portatile di Yoshiko trillò, avvisandola di aver ricevuto una e-mail.
“Mi ero dimenticata di spegnerlo.” disse, tirandolo fuori dalla borsa e controllando rapidamente di cosa si trattasse. Nel leggere il mittente, il suo sguardo si illuminò di gioia. “E’ Hirotaka! Tesoro di mamma!”
“Scommetto che ora è anche figlio tuo, vero?” la stuzzicò Yuzo e lei gli mollò una leggera gomitata.
“Finiscila!”
Ridendo, l’uomo l’abbracciò, attirandola a sé e lasciandole un bacio tra i capelli.
“Vedi un po’ cosa dice il nostro ‘cacciatore’, va’.”
Yoshiko annuì, cercando un maggiore appoggio contro il suo petto e aprendo l’e-mail.

“Seguite la via del Video! Vi voglio bene :)”

Era la semplice frase che campeggiava come testo, mentre più in basso era riportato un link.
“Tremo all’idea di ciò che vedrò.” fu il sospiro di Yuzo a metà tra il divertito e il rassegnato. Conosceva bene suo figlio e, no, non aveva ereditato la sua calma, quanto la sua attitudine ad andarsi a cercare il pericolo con le proprie mani, rincorrendolo addirittura. Nel vero senso della parola.
Yoshiko cliccò con impazienza sul link che aprì una piccola finestra dove un sorridente e traballante Hirotaka fece capolino assieme al rumore del motore, il cielo plumbeo che occhieggiava oltre i vetri e le voci fuori campo di un ispano-napoletano Francisco Pablo e un sagace Stuart in prestito dall’USGS degli Stati Uniti.
“Parla pure Hiro, il video è partito.” l’inquadratura cambiò velocemente per mostrare la faccia sorridente di Francisco Pablo Fusco Manzanares con i capelli rossicci di sua madre e l’aria da casinista di suo padre. “Salve, signori Morisaki!”
“Pablo!” lo riprese il guidatore e l’obiettivo tornò su di lui. Hirotaka Morisaki, ventiquattro anni, l’aria da scienziato e la sigaretta di suo padre, le testa dura di sua madre stava guidando il fuoristrada nemmeno loro riuscirono a capire dove. Se i suoi genitori avessero dovuto indovinarlo, avrebbero detto: ‘nel mezzo del nulla di qualche strada americana’ e non ci sarebbero andati troppo lontani. In realtà, stava percorrendo un vecchio tratto della Route 66 nello stato dell’Oklahoma, in piena Tornado Alley.
Come per il mestiere del vulcanologo, c’erano tanti modi per essere un meteorologo e lui s’era scelto quello più divertente: fare lo Storm Chaser per la JMA. Con buona pace dei suoi genitori e di Hisui, che era stato messo a capo di quel gruppo di ricerca e che non vedeva l’ora di tornare a casa.
“Mamma, papà… auguri di buon anniversario!” esordì con un sorriso smagliante e la faccia da schiaffi di chi sapeva d’esser nel torto. “No, non me ne sono dimenticato e, sì, lo so, non mi sono fatto sentire molto spesso, ma qua è il finimondo: siamo stati dietro a tre tempeste nelle ultime ventiquattro ore.”
L’inquadratura cambiò di nuovo. “Io però una telefonata a casa l’ho fatta. Sonc nu’ piezz ‘e core!”
“Pablito!” abbaiò ancora l’altro, mentre il suo compagno d’avventure ridacchiava. L’immagine tornò su Hiro, che scalò marcia tenendo la sigaretta tra le labbra. “Ma stiamo tutti bene, anche se mangiamo un po’ da schifo, però ci sono tornado a non finire, quindi, state tranquilli e non vi preoccupate! E se te lo stai domandando, mamma: no, non sto fumando, quella che vedi non è una sigaretta, ma solo il frutto della tua immaginazione.”
Yoshiko arricciò le labbra, tra lo sghignazzare di Yuzo. “Che sfacciato!”
“Se poi ti dovessi convincere che è una sigaretta vera, ricorda le sagge parole del nonno Keisuke: ‘vizi di famiglia, la cicca è nel DNA dei Morisaki!’” gli fece solennemente il verso il giovane, mentre Yoko lanciava un’occhiata truce a Yuzo.
Quest’ultimo tentò di difendersi. “Ma è vero!”
“Tu non fumi.”
“Fumavo.”
“Hai smesso!”
“Smetterà anche lui, un giorno…” la rassicurò per poi aggiungere, non udito. “…forse.”
“Ma se gli dici che ci sono tornado a non finire, a tua madre verrà un colpo!” l’obiettivo della telecamera si focalizzò sul retro della macchina, dove Stuart stava tenendo sotto controllo i monitor dei satelliti meteorologici.
“Ma quale colpo, Stu, lei è abituata con mio padre: fa il vulcanologo!”
“Ganzo!” esclamò lo straniero, masticando del chewing-gum e guardando in camera con due dita alzate in segno di ‘Vittoria’. “La stimo, signora Morisaki!”
Pablo tornò ad inquadrare Hirotaka. “Come potete vedere io sono tutto intero, Pablo è tutto intero, Stu è tutto intero e Hisui…” tentennò, mostrando un sorriso tiratissimo “…cercheremo di riportarlo con tutti i nervi intatti, ma non assicuro niente.”
In quel momento dalla radio arrivò proprio la voce del meteorologo in questione, il tono lamentoso era inconfondibile.
“Morisaki e compagnia, occhi aperti, il doppler ha segnato la probabile formazione di un tornado ad una decina di chilometri alla vostra sinistra. Pronti a dare gas.” poi piagnucolò “Io li detesto, ma quanti ce ne sono?!”
Hiro afferrò il microfono. “Ricevuto, siamo allerta, penso che a breve dovremmo cominciare a vederlo. Ah! Sto registrando un videomessaggio per i miei, salutali, capo!” e accostò il microfono in direzione della telecamera.
L’attimo dopo, Hisui era praticamente sull’orlo delle lacrime. “Yuzo! Voglio tornare ad occuparmi dei vulcani, ti prego, salvami da questo incubo!”
“Grazie della partecipazione.” chiuse la conversazione il giovane guidatore. Poi guardò alla sua sinistra, accompagnato dall’occhio attento della telecamera di Pablo e sia lui che i suoi genitori videro stralci di nubi diramarsi dal corpo uniforme e compatto della supercella.
La forma diveniva a poco a poco più netta e riconoscibile, una perfetta campana rovesciata che toccò terra con potenza e stabilità. Le correnti ascensionali iniziarono a sradicare tutto ciò che trovarono sul loro cammino.
“Questo è grosso, signori!” sbottò Stuart “Diventerà almeno un F3!”
“Allora tenetevi forte, andiamo a caccia!” Hiro si rivolse un’ultima volta alla telecamera. “Vi manderò questo messaggio appena ci saremo accampati in qualche cittadina. Divertitevi, oggi, e ci sentiamo presto, promesso. Vi voglio bene.”
Il video si interruppe lì, sul sorriso impaziente di chi non vedeva l’ora di mettersi al lavoro e se loro avevano potuto visionare quel messaggio, significava che stava bene.
Yoshiko sospirò, spegnendo il piccolo computer. “E’ proprio figlio tuo.”
“Non dirlo come se avessi creato un mostro.” scherzò Yuzo e lei si stiracchiò stringendosi di più a lui. Appoggiò il capo contro il suo petto e le braccia sottili gli corsero attorno alla vita.
“No, ma… ha lo spirito dell’eroe, come te.”
“Anche lui in stand-by?”
Lei rise, mentre quel flash del loro primo incontro apparve e scomparve in un attimo nel cinguettare d’uccelli e stormire di fronde, nello scorrere del tempo che spostava il sole un po’ più in là, nella Nankatsu silenziosa e dormiente, ma non per questo dimenticata, nel Fuji che, nonostante tutto, continuava a vegliare sul Giappone. Nel loro ritornare sempre, ogni anno, per mantenere una sorta di continuità con la nuova realtà delle cose che aveva segnato l’inizio concreto del loro futuro insieme.
“Sì, fino a che non avrà trovato la persona giusta cui mostrare il proprio valore. In fondo, è un Morisaki e ha coraggio da vendere. Esattamente come suo padre.”
Lui le carezzò i capelli, poggiando il mento sul suo capo. “E allora sarà altrettanto fortunato." disse con un sorriso. "Ti amo, tesoro.”
“Ti amo anch’io.”
Yoshiko sospirò quelle parole, chiudendo gli occhi e godendo del suo tocco che, lo sapeva, ancora per molto tempo le avrebbe scaldato il cuore.
Dai finestrini aperti dell’abitacolo, la radio di Vergil continuava a cantare quanto, nonostante tutte le avversità, il mondo fosse meraviglioso.

I see trees of green, red roses too
I see them bloom for me and you
And I think to myself, what a wonderful world

I see skies of blue and clouds of white
The bright blessed day, the dark sacred night
And I think to myself, what a wonderful world

The colours of the rainbow, so pretty in the sky
Are also on the faces of people going by
I see friends shakin' hands, sayin': ‘How do you do?’
They're really saying: ‘I love you’

I hear babies cryin', I watch them grow
They'll learn much more than I'll ever know
And I think to myself, what a wonderful world
Yes, I think to myself, what a wonderful world

Oh yeah


Louis ArmstrongWhat a wonderful world

 

Fine


…E poi Bla, bla, bla…

 

E’ finita.
E con lei se ne va anche un pezzo di cuore.
Di solito sono felicissima di concludere le mie storie, soprattutto se sono long di questa portata. Ma in questo caso non posso negare di sentirmi triste, perché “Huzi” è andata avanti tre anni, signori miei.
Tre anni.
Ha visto la mia laurea con tesi in Fisica del Vulcanismo, ha visto la mia passione per la scoperta della storia del Fuji e delle sue caratteristiche, ha visto anche i cali di ispirazione e le battute d’arresto, ma è andata avanti, pacifica e piena.
Piena di tante cose, ma soprattutto di quello che amo di più al mondo e che spero d’aver fatto amare un pochino anche a voi (compresi i tornado, la mia seconda passione catastrofica). A Yuzo ho fatto tenere il corso di “Principi Fisici delle Eruzioni Vulcaniche” che è stato il mio ultimo esame di vulcanologia nel corso di questa laurea specialistica che sto cercando di concludere. Lo stesso tenuto dalla persona che io rispetto di più in tutta l’Università. Il mio Prof. Se questa storia è nata, buona parte del merito va soprattutto a lui, che è riuscito a trascinare via dal letargo una passione che avevo creduto morta.
Vi ringrazio, quindi, del tempo che siete stati con me, seguendo le avventure di uno Yuzo non più tra i pali e di una Yoshiko che nessuno aveva mai preso in considerazione. Siete stati dei lettori bellissimi ed io sono riconoscente ad ognuno di voi.
Grazie, quindi, a tutti coloro che hanno letto “Huzi”, anche chi non s’è mai fatto sentire; grazie a chi l’ha messa nei preferiti e nei seguiti. Grazie a coloro che hanno lasciato un segno del loro passaggio: alle mie fedelissime Eos e Hikarisan che, nonostante i lunghi tempi d’attesa, non si sono scoraggiate e hanno perseverato, a Kara seppur odiasse Yoko e etero-Yuzo (XD), a Maki (amurrr), a Cloud, a Scandros, a Sandie Rose, a Jaly Chan, a Rubysage, a Mei_chan e anche ad Alex_kami e Luxy, nonostante le nostre strade si siano separate per motivi più o meno noti.
Un grazie sentitissimo a Yeran85 che, nel momento del bisogno, mi ha aiutato moltissimo con la politica giapponese.
Ma, soprattutto, il mio grazie più grande va alla mia Be(t)ta, Sakura-chan, che si è sciroppata tutti i capitoli prima degli altri e mi ha fatto da betareader insostituibile (ti sto ‘allisciando’ perché adesso tocca ad Elementia XD, come sono subdola!).
L’ultimo abbraccio coccoloso è, invece, tutto per i personaggi. Per Yuzo, Yoko, Rick e Rita. Per Hisui, Toshi, Hideki, Junko e Keisuke, Hiroshi, Tatsuya, Saya e le Tre Grazie, Taro, Azumi, Aiko, Dante e Vergil (dovevo farvelo vedere **) e tutti gli altri tra Original Character e Personaggi di CT che sono comparsi in questa fanfiction.
A tutti loro, a tutti voi e a me stessa dedico questa storia.

*Titoli di coda*

Yuzo Morisaki
(perché il naso di Caviezel non ha prezzo e gli sta da Dio. XD e poi sono sfigati uguali!)
Yoshiko Yamaoka
(perché la Love-Hewitt mi piace moltissimo ** e non riesco più a non associarla a Yoko XD)
Ricardo Manzanares
(perché qui, Esai Morales, riesce a rendere figo pure Rick XD)
Margherita Fusco
(perché Sarah Gilbert mi ricorda la mia Prof XD)
Hisui Aoki
(perché non vi aspettavate che Hisui fosse il più vecchio della squadra, dite la verità! *ridacchia* ebbene sì, lo è, ma Keith-Rennie ha l’espressione troppo cazzuta per essere Hisui, me ne rendo conto!)
Toshi Sugihara
(perché Freddie Prinze ha l’espressione un po’ pirlotta degna di Toshi)
Hideki Yoshikawa
(perché Jon Woight ha proprio la faccia da burbero)
Tatsuya Kishu
(perché Andy Garcia sembra davvero il politico rampante, un po’ stronzo e pure mafioso)
Keisuke Morisaki
(perché Eric Roberts resterà il migliore Eurimaco della storia dell’Odissea. *muored’amore*)
Junko Morisaki
(perché la Weaver è la Weaver sempre e comunque ** e qui ha l’espressione afflitta perfetta per MammaMorisaki XD)
Saya
(a cui non ho mai dato un cognome, ora che ci penso. XD Fa lo stesso. E Rachel Mcadams aveva il giusto taglio di capelli.)
Hiroshi Nakazawa
(perché Byrne è stato uno dei Satana più fighi ever)
Sanae Nakazawa
(perché dovevo mostrarvela! Per me è stato un pg importante, anche se comparso poco. In questa foto, Ashley Judd ha proprio l’espressione furba da Anego)
Le Tre Grazie
(perché hanno la faccia da pettegole incallite XD)
Taro Misaki
(perché Macfarlane è gay, lo sapevate? Chi meglio di lui, allora, per il nostro Taruzzo *sghignazza*)
Azumi Hayakawa
(perché le somiglia tantissimo e perché Azumi ha i capelli chiari o_o che shock! Mica me lo ricordavo)
Aiko Nakazawa
(perché la Weisz ha l’aria da tosta e Aiko lo era. Ed è pure abbastanza bona, diciamocelo XD)
Akinori Terobashi
(perché Dennis Hopper non ha nemmeno bisogno di presentazioni. RIP)
Hirotaka Morisaki
(Perché volevo mostrarvi anche la prole e Joseph Gordon Levitt ha davvero una faccia da schiaffi! XD E, sì, se non si era capito, il nome Hirotaka è in onore del mio mangaka preferito: Hirotaka Kisaragi!)
Francisco Pablo Fusco Manzanares
(perché Gabriel Garcia Bernal, per quanto non sia rossiccio di capelli, mi ispirava tantissimo per Pablito nostro XD)


E così sia.
Il Re è Morto. Viva il Re.

 

   
 
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