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Autore: alicyana    16/10/2010    12 recensioni
"Due gemelli perfettamente identici, che continuamente si tenevano la mano."
Genere: Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Len/Rin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Io e mia sorella non ci siamo mai separati. Da quando siamo nati, abbiamo sempre fatto tutto assieme.

Due gemelli perfettamente identici, che continuamente si tenevano la mano.

I nostri parenti hanno sempre ammirato la nostra bellezza, i passanti erano colpiti dalla nostra strabiliante somiglianza. Tutti rimanevano inteneriti da quanto fossimo attaccati l'uno all'altra.

La mamma era sempre così orgoliosa di noi: sorrideva, carezzandoci le guance o i capelli e con gli occhi colmi di gioia diceva:


I miei piccoli si vogliono un mondo di bene. Non riescono a stare ognuno per conto proprio”


E poi ci prendeva in braccio, e ci baciava teneramente la fronte. Il suo abbraccio era così morbido e caldo, e sapeva di frutta e di bucato. E noi appoggiavamo la nostra buffa testolina bionda sulle sue spalle, con le ditina paffute intrecciate saldamente.


Siete proprio inseparabili eh?”


Ci cullava dolcemente e sorrideva. Ci amava davvero tanto. Era così contenta che non fossimo come gli altri fratelli, sempre a scannarsi per chi dovesse usare quello o l'altro giocattolo, per chi avesse diritto alle sue coccole. Amava il fatto che ci volessimo tanto bene.


Io e mia sorella ci siamo sempre voluti bene, sempre di più man mano che crescevamo.

Troppo per gli standard fraterni.

Ogni sera, dopo cena, ci rinchiudevamo nella nostra stanza a parlare, lasciando il mondo fuori, stesi nel nostro grande letto dalle lenzuola dorate. E ridevamo, scherzavamo, era il momento più bello della giornata, perché eravamo solo noi due e il nostro mondo.

Alle medie, siamo finiti in classi diverse “Per abituarli ad essere indipendenti dall'altro” dicevano gli insegnanti, che non vedevano di buon occhio questo attaccamento.

Ma di notte, quando nessuno poteva dirci cosa fare, o con chi dovessimo stare, ci sfogavamo a vicenda. E poi accadde. D'improvviso, senza capire come.

Rin singhiozzava forte. Io la stringevo fra le braccia. Era stata rifiutata da un ragazzo più grande, un tizio dal volto gentile e la voce amichevole. Un senpai che tutti ammiravano per la sua disponibilità.

L'avevo intravisto una volta, con la sua sciarpa azzurra, dirigersi verso l'uscita della scuola cartella in mano, in perfetta solitudine.

A quanto avevo capito dalle parole confuse e frammentarie di Rin, quel Kaito aveva già qualcun altro per la testa.

Io non riuscivo a sopportare l'idea che qualcuno avesse potuto farle del male a tal punto, ma allo stesso tempo, tutta la faccenda mi faceva sentire sollevato.

Non mi avrebbero portato via la mia dolce Rin.

E la strinsi, ancora di più, premendo le labbra sui suoi capelli arruffati e umidi di sudore, sulla sua fronte, sul suo naso a punta, sulle sue labbra morbide.

E lì rimasero per un bel po'. Ad assaporare il gusto delle sue lacrime e del suo burrocacao alla

banana.

Lei non ricambiò il bacio, rimase immobile, interdetta. Quando mi separai da lei, era sgomenta: i limpidi occhi azzurri mi fissavano cercando una spiegazione a quell'asurdità che avevo appena commesso.

Io non risposi, continuai a guardare i lineamenti del suo viso – del nostro viso – stravolto, e cercai la sua mano, tenendola stretta fra le mie.

Fui quando lei mi sfiorò titubante la mascella con la punta delle dita, rilassandosi gradatamente, compresi una verità che sarebbe stato meglio non venisse mai fuori.

Le afferrai il volto, premendo le mie dita sulle morbide guance rosee e lo avvicinai al mio. Lei chiuse gli occhi, e avvicinò tutto il corpo, fino ad incontrare il mio. Poggiai di nuovo le labbra e lei mi ricambiò esitante.

Passammo tutta la notte a scambiarci dei bacetti casti, a stare semplicemente abbracciati, senza alcun pensiero per la testa.


Mi sento più al sicuro ora, Len.”


Mi si accocolò vicino, e io la cinsi con un braccio, tenendole il morbido fianco. Poco dopo si addormentò, e io pensai di amarla da morire. Di amarla davvero.

Avrei voluto baciarla ancora e ancora. Con la coda dell'occhio, seguii la curva del suo corpo sinuoso, già piuttosto sviluppato per la nostra età, e trasalii.

La canottiera del suo pigiama era troppo, troppo scollata.

Mi costrinsi a chiudere gli occhi, per cercare di dormire, pensando che fosse solo un impulso protettivo il mio, che fossi solo stramaledettamente geloso di una mia proprietà.

Che insomma, avessi solo un semplice complesso della sorella.


Ma i giorni passavano, e i baci e le coccole continuavano: lei era felice, si sentiva tranquillizzata da tutto questo, mentre io perdevo la testa per lei ogni giorno di più.

Mi sentivo un mostro a sognarla mentre mi baciava con molta più foga, mi facevo schifo da solo quando in bagno, dopo una doccia, mi ritrovavo a pensare a lei e a toccarmi.

Non potevo sopportare l'idea di essermi perdutamente innamorato della mia gemella.

Tuttavia, questi pensieri svanivano ogni volta che le nostre bocche si incontravano e i nostri occhi si scambiavano occhiate dolci e complici. Perché fra noi non c'era bisogno di parole.

E per tre lunghi anni, le nostre giornate si conclusero così, ogni volta con più desiderio di avere quel contatto che cominciava ad avere il sapore del proibito.

Io mi trattenni per tutto quel tempo, per amor suo. Lei non credo se ne fosse mai resa conto.

Non volevo che il suo sorriso caldo svanisse per causa mia.

Ma tre anni erano davvero troppi e il mio autocontrollo cedette una calda notte d'agosto.


Lontani dalla famiglia, in vacanza con i compagni di classe, ci ritrovammo a dover stare in una stanza doppia con un grande letto matrimoniale, in un'atmosfera soffusa e sensuale.

Lei si buttò sul materasso, tastando con gioia la comodità e la morbidezza del materasso.


Vieni qui, Len! E' bellissimo!”


Io non me lo feci ripetere. Mi sedetti al suo fianco, carezzandole i capelli appena lavati.

Fuori si sentiva il rumore lontano delle onde che si infrangevano contro gli scogli e arrivava dal mare una brezza leggera che sapeva di sale.

Il cuore cominciò a battermi forte quando Rin mi si avvicinò gattonando, sorridendo in maniera cattivella. In quella posizione le si vedeva praticamente tutto. Deglutii.

Scoppiando in una sonora risata, mi saltò addosso, stringendomi il collo fra le sue braccia.

La lasciai fare, ridendo assieme a lei, giocando un po' a farci il solletico e a punzecchiarci o tirarci i capelli. Ci prendemmo anche a cuscinate sulla testa e lottammo per finta, come dei wrestler.

Dopo una lunga battaglia, si ritrovò cavalcioni su di me, con le mani poggiate sul petto, trionfante sul mio corpo stanco.


Ti ho in pugno!”


Esclamò poi lei, alzando le braccia. Era così buffa quando giocava e così tenera. Aveva le guance e le orecchie arrossate e un po' di fiato corto. Si accasciò poi su di me, col viso vicino al mio.

Le infilai una mano fra i capelli sottili, e le posai un lieve bacio sulla punta del nasino.


Ti amo Rin.”


Le sussurrai piano, sfiorandole l'orecchio con le labbra. Lei lasciò andare un sospiro basso e caldo, e io mi avventai su di lei, cercando la sua bocca rossa e appetitosa, con più fame e audacia del solito.

Avevo la mente annebbiata, un solo pensiero che martellava rumorosamente e dolorosamente contro le tempie, che mi toglieva il respiro più di quanto non lo facessero già le sue labbra morbide.

In un momento, fui sopra di lei, le dita che correvano lungo la linea del suo collo magro, sulla pelle vellutata delle spalle e della braccia; tremanti, si insinuarono fra i capelli dorati e sottili, carezzandole il capo e sfiorandole le orecchie. Rin emise un mugolio, e strizzò gli occhi: il mio ginocchio si era insinuato fra le sue gambe, senza che me ne accorgessi.

Mi afferrò la maglia all'altezza delle spalle, stringendo fra le dita la stoffa leggera, provocandomi una scossa di piacere, non appena le sue unghie mi artigliarono la pelle.

Avevo caldo, troppo caldo. Sentivo la testa esplodere, il corpo bruciare: Rin era così bella sotto di me, con i capelli disordinati sulla fronte, gli occhi semichiusi e la maglietta sollevata sopra il seno, che ogni preoccupazione, ogni paura o divieto svanirono nel nulla, volarono via insieme alla brezza estiva, accompagnati dal profumo di salsedine e balsamo alla frutta.

Lei mi guardò attraverso le lunghe ciglia, coprendosi timidamente il petto con le piccole braccia, e arrossì leggermente quando le sfilai piano i pantaloncini di jeans che le circondavano i fianchi snelli.

Era tutta per me.

Vinta la timidezza iniziale, mi aiutò a spogliarmi. Rimanemmo non so per quanto tempo a baciarci, a morderci, accarezzarci. Rimaneva solo un passo da fare, ma nonostante ci stessimo desiderando come mai prima di allora, c'era ancora una barriera piuttosto spessa che divideva i nostri corpi.

Le mani calde e minute di Rin si appoggiarono sui miei pettorali, e mi spinsero via dolcemente, e allo stesso tempo le sue labbra scivolarono via dalle mie, lasciando però fra di noi un umido ricordo

del bacio appena interrotto.


Len, io ho paura.” mi confessò candidamente, guardandomi negli occhi. Mi carezzò lievemente la pelle, e io poggiai la mia mano sulla sua, ricambiando su di essa il gesto affettuoso.

E se... ci scoprissero?”


Sorridendo, le risposi che avevo preventivamente chiuso la porta a chiave e che nessun pazzo si sarebbe arrampicato alla finestra del quarto piano di un hotel come tanti.

La sua espressione non mi convinse del tutto, così mi sollevai di mala voglia a chiudere le veneziane in legno dei grandi finestroni che davano sul mare. Tirai anche le tende, giusto per rassicurarla ancora.

Lei rise, rotolandosi un po' sul letto, poi tese le braccia verso di me, a richiamare la mia attenzione.


Così va molto meglio.” commentò infine, quando tornai da lei, un po' contrariato per aver interrotto un momento quasi perfetto.


Len...” chiamò il mio nome con un tono quasi implorante, cercando sul mio viso un minimo di conforto, o sicurezza forse: le sue iridi azzurre mi scrutarono febbrilmente.


Non stiamo facendo nulla di male, vero?”


Non seppi rispondere a quella domanda: mi limitai ad abbracciarla, più forte possibile, e a coccolarla con piccoli baci sulle spalle, sul collo, sul viso, sui capelli.

Quando tornammo a guardarci negli occhi, sospirammo assieme, con un rantolo basso. Lasciammo che l'aria liberata si esaurisse del tutto prima di ritrovarci e continuare quell'opera distruttiva.



Eravamo diventati una cosa sola, io e lei. Perfette metà di un solo essere plasmato nell'amore più puro. Dipendenti totalmente l'uno dall'altra, vivevamo nel nostro piccolo universo fatto di emozioni clandestine e sogni irraggiungibili, dove contava solo ciò che provavamo noi.

Dove non importava quanti anni avessimo, che fossimo fratelli, che fossimo uguali. Dove non c'era nessuno che potesse dirci che fossimo disgustosi, immorali, totalmente sbagliati.

E ci cullavamo in questa utopia, chiudendo gli occhi, stretti fra le braccia dell'altro, sognando di poter essere semplicemente noi stessi, là fuori.

Immaginando di non dover più cercare un angolo buio per poterci dedicare a noi stessi, come invece eravamo costretti a fare ogni qualvolta sentissimo il bisogno incontrollabile di sentire il calore dei nostri corpi, il sapore delle nostre labbra, così dolci, così amare.

Ed era un bisogno che sentivamo troppo, troppe volte al giorno per riuscire a nasconderlo.

Un giorno, infatti, fallimmo la nostra missione.

Era più bruciante del solito, più impellente. Non facemmo caso allo spiraglio che la porta lasciava intravedere dall'andito.

Fu un attimo, una frazione di secondo. Sentii un tonfo sordo provenire dall'andito e un urlo acuto che mi raggelò il sangue. Ci voltammo di scatto, in perfetta sincronia.

Mia madre si artigliava il viso con le unghie, sconvolta e inorridita, ci guardava con gli occhi sgranati e gli angoli della bocca piegati innaturalmente verso il basso.

Rin si scostò subito da me, tenendosi le mani al petto, facendosi minuscola. Io mi alzai, dirigendomi verso di lei, tentando di dirle qualcosa, cercando di accampare scuse, cercando di trovare qualche parola adatta a spiegare perchè.

Ma non riuscii a dire nulla. Quando la raggiunsi, tendendo una mano verso di lei, feci solo in tempo a dischiudere le labbra.

Lei più veloce di me, e la sua mano destra volò velocissima contro la mia guancia, forte.

Tanto violenta da farmi girare la testa di lato. E a farla rimanere lì.

Il volto mi andava in fiamme, sentivo il dolore di quella sberla triplicato dallo sguardo schifato e disperato della donna che ci aveva messi al mondo.

Rin sconvolta cadde sulle ginocchia. La sentii singhiozzare, mentre nostra madre martoriava le mie gote ripetutamente, sempre con più rabbia.


IO... LO SAPEVO!” mi urlò contro, inviperita “LO SAPEVO!!! CHE C'ERA QUALCOSA DI STRANO IN VOI!”


Io la lasciai fare. Mi beccai una decina di schiaffi, o forse anche di più. Ognuno più rovente dell'altro. Come se mi avesse colpito con una griglia incandescente.

Quando si fermò, dopo aver imprecato in ogni modo possibile, averci dato degli “incestuosi”, “figli degeneri”, e aver pianto come mai l'avevo vista fare prima, stravolta, mi guardò con sguardo spento e vuoto.


... dove sono i miei bambini? Che fine hanno fatto i miei figli?”


Mi chiese, il volto rigato dalle lacrime. Mi afferrò la maglietta all'altezza delle spalle, che ormai superavano le sue di una decina di centimetri.

Ridatemi i miei angioletti.”


Afferrò la stoffa con forza, strattonandomi, continuando a piangere. Rin le si avvicinò, un po' titubante.


Mamma, siamo sempre noi. Siamo noi i tuoi figli” si sollevò una manica della maglia che indossava, mostrandole il braccialetto che ci aveva regalato quando avevamo dieci anni. “Ecco, vedi? Siamo noi!” le fece vedere anche il mio. Erano identici, salvo la lunghezza del mio, modificata per assecondare la crescita.

Rin sorrideva, nonostante gli occhi spalancati e il viso congestionato, umido di lacrime e sudore.

In risposta, nostra madre diede uno schiaffo anche a lei.

La afferrai per le braccia, e mi parai davanti a lei, per evitare che la colpisse ancora.

Lei ci fissò per dei secondi interminabili, poi si accasciò contro la parete, e scoppiò a piangere nuovamente, dando piccoli pugni al pavimento, accartocciata su sé stessa.

Lasciai Rin sulla porta della stanza, stravolta e in lacrime quanto mia madre, e afferrata un po' della mia roba e gettata alla rinfusa dentro una borsa da palestra, senza dire una parola, mi avviai verso il piano inferiore della nostra grande casa.

Rin mi seguì fino all'ingresso, a passi svelti e mi afferrò il polso prima che potessi aprire la porta.


Len... dove...? Dove stai andando? Non... andare... non...”


Mi voltai verso di lei. I suoi limpidi occhi azzurri, i nostri limpidi occhi azzurri, mi fissavano imploranti.


Non lasciarmi... che ne...” cominciò a tremare, e mi strinse ancora di più il polso “... che ne sarà di me? Di noi?”


Mi scansai, senza rispondere a nessuna delle sue domande. Le baciai piano la fronte, accarezzandole i capelli madidi di sudore, poi lievemente le labbra salate di lacrime. Aprii la porta, buttandomi la sacca su di una spalla.


E' meglio che tu vada a stare dalla zia o da qualche tua amica, Rin.”


Inforcai il vialetto, lasciando alle spalle mia sorella, la mia dolce piccola Rin, sulla soglia di casa, che urlava, mi pregava di tornare, di stare con lei. Gridava che non sarebbe riuscita a vivere senza di me.


IO TI AMO, LEN!!!”


Furono le ultime parole che io sentii della mia gemella. Se solo l'avesse ripetuto un'altra volta, probabilmente, sarei tornato indietro e l'avrei stretta a me, ricoperta di baci. Sarei rimasto con lei per il resto della mia vita.

Ma deglutii, strizzando gli occhi, cercando di ignorare il lacerante dolore al petto e al viso e la voce di Rin che mi rimbombava nelle orecchie.

Non la vidi mai più. Non vidi più nemmeno mia madre.

Io scappai dal mio passato, dalla mia vita, mi lasciai alle spalle tutto.

Fuggii come un codardo, abbandonando la persona che più amavo al mondo.











Note dell'autrice:

E' stato più facile di quanto pensassi scrivere questa fic. L'idea di partenza era strutturata in maniera diversa

ma mentre scrivevo, come al solito, è tutto cambiato XD

Mi scuso per eventuali errori (non l'ho ricontrollata, sorry >.<) e spero che venga apprezzata.

E' stata una scelta audace quella di scrivere sui gemelli, ma sono soddisfatta del lavoro nonostante tutto!

Quella che trovate qui è la versione "allegerita" della fic. Se avete curiosità di leggere quella integrale, contattatemi e ve la invierò :)










   
 
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