Titolo: At This Time
Of Year
Autore: Meli_mao
Numero scelto: (Ed in seguito
l'elemento corrispondente) Numero 5, Farfalle.
Pairing: Yuri
Genere: Romantico, Generale.
Avvertimenti: Spoiler (In quanto
Whitey Bay appare a Marina Ford)
Note dell'autore: (facoltativo, ma
sempre ben accette):
- Il titolo
significa: In questa stagione. Quindi non è scelto a caso.
- gli animali
“usati”, non sono scelti a caso. Esistono davvero
quei tipi di foche e quelle sono davvero le loro abitudini. Il delfino
ci stava bene in quelle acque cristalline. Le farfalle… non
vanno spiegate J . Gli orsi
polari sono l’animale più freddo e caldo allo
stesso tempo che mi sia venuto in mente.
- la scelta
è caduta so questi due personaggi perché mi sono
sembrati l’una l’opposto dell’altra. I
capelli, il loro luogo d’origine… eppure entrambe
hanno quel particolare che le unisce: Barbabianca. Sono momenti diversi
e forse senza filo logico, ma per me hanno qualcos’altro ad
unirli. Un filo rosso del destino.
- So
perfettamente che l’ultima scena è abbastanza
impossibile, in quanto Bonney non sa nuotare perché ha i
poteri del frutto… però non riuscivo ad
immaginarmi qualcos’altro da fare su una nave, in piena
estate, vicino ad un’isola che ricorda probabilmente il mar
dei caraibi. Quindi abbi pazienza…
- Ci sono
momenti in cui entrambe ricordano quello che per loro fu il padre
(Newgate ovviamente). L’inizio della storia infatti si
colloca ipoteticamente quando Bonney è alla ricerca di
Barbanera (E ho volutamente tralasciato il fatto che sia Akainu a
“liberarla”, e ancora prima che lei sia fatta
prigioniera da Teach, proprio perché la mia ultima coppia
etero preferita vedrebbe appunto Jewelry e l’ammiraglio come
protagonisti). Comunque ho presunto che tu conoscessi il manga e quindi
ciò che le accade.
At This Time
Of
Year
Il cuore
delle donne come il cielo
d'autunno…
Quando
Jewelry Bonney mise piede su quella nave corrazzata e spacca ghiaccio,
sola e
ferita, nessuno dei presenti riuscì a dire una parola.
Fu
semplicemente Jake, il medico di bordo, a rivolgerle
un’occhiata sintetica ed a
trascinarla nel suo piccolo studio, obbligandola ad indossare qualcosa
di più
adatto alla temperatura autunnale.
Ma lei
non aveva parlato. Portava i capelli sul volto, gli occhi segnati dal
pianto e
dall’insonnia, e la vaga andatura di chi sembra sommerso da
un dolore
inimmaginabile.
Eppure
riconobbe, nei gesti della ciurma, una strana cordialità
dettata non tanto
dalla compassione quando dall’abitudine. E, presto, ne
capì il motivò.
Whitey
Bay, il capitano freddo e dal cipiglio severo, aveva la sua stessa
espressione,
i suoi stessi occhi e la sua stessa andatura.
Fu quello
il loro approccio: entrambe provavano qualcosa di simile.
La prima
volta che la vide era accanto al timone, con una mano tesa ad
accarezzarne il
legno ed i capelli azzurri rigidi sulle spalle.
“Devo
ringraziare te per l’ospitalità,
suppongo”. La voce le era uscita altezzosa
come sempre, più intenta ad addentare un pezzo di carne che
alla frase in sé.
La
“Strega” aveva continuato a guardare il mare,
indifferente, aprendo le labbra
in un “O” stupefatto, per poi richiuderle senza
averlo pronunciato.
Poi si
era decisa. Voltandosi con fare regale, aveva scosso la chioma ondulata
e le
aveva dedicato un’occhiata incolore.
“Sai in
che stagione siamo, Jewelry?” le aveva chiesto semplice e
diretta.
“Autunno,
presumo”
“In
Autunno gli orsi vanno in letargo per l’inverno” iniziò, senza
esserne del tutto convinta.
“Si
racchiudono nella loro bellissima pelliccia bianca, sazi e grassi, e
dormono.
Nessun pensiero, nessun rancore, nessun rimorso; semplicemente si
ritrovano
pronti a quella che forse considerano una futura rinascita con la nuova
stagione”.
Fece una
pausa, pensierosa, avvicinandosi di qualche passo alla giovane dai
capelli
rosa.
Con una
mano accarezzò la sua guancia, segnando il contorno del
tatuaggio all’altezza
dell’occhio destro, scostando di poco una ciocca liscia.
“Tu sei
pronta? L’inverno passerà anche per
noi e la primavera… la primavera tonerà,
com’è sempre stato”.
Avvicinò
le labbra morbide e lucide a quelle sottili e rosse
dell’altra.
Lasciò un
bacio semplice e casto, prima di voltarsi.
E Jewelry
sentì improvvisamente troppo freddo.
La gente non
si accorge se è estate o inverno quando è
felice…
Quando
Whitey Bay apparve sul ponte, un sorriso sarcastico increspò
le sue labbra
carnose.
Gli
stiletti ticchettarono sul legno della nave mentre si avvicinava
tranquilla al
timone, con le mani sui fianchi, il naso all’insù
e il mantello svolazzante al
vento gelido del Nord.
I suoi
capelli si mossero morbidi come onde implacabili, e gli occhi
saettarono in
direzione della figura seduta su una poltroncina coperta da
pellicce di
animali.
Se la
“Strega” si sentiva a suo agio tra le nubi
invernali e i ghiacci perenni, la
“Mangiona” stava invece raggomitolata al calduccio
con il rimpianto della sua
isola natia, a Sud.
“Non
dirmi… hai freddo?” Celiò con voce
ironica la prima, gustando i tremolii
dell’altra.
“Ho fame”
Fu la risposta ovvia, seguita da un’occhiata severa.
Whitey si
sedette graziosamente poco distante, accavallando le gambe magre e
rivolgendo
l’attenzione al log-pose stretto al suo polso.
“Farò
portare la colazione nella tua cabina, se preferisci”
Concesse infine,
sistemandosi meglio il cappello in testa e la bandana a pois sulla
fronte.
“Che
onore…” Bofonchiò Jewelry Bonney,
alzandosi con mala grazia e stringendo
una pelliccia attorno al suo corpo
snello.
Sistemò
una calza scivolata sotto il ginocchio, cercò di allungare
la maglietta
attillata per coprirsi lo stomaco, ma si arrese quasi immediatamente.
“Ci sono
degli abiti adatti nella mia stanza, se vuoi”
“Quando
avrò mangiato starò meglio”
E la
regina dei mari del Nord si limitò ad alzare le spalle,
inumidendosi le labbra
rosee con disinvoltura.
“Staremo
ancora a lungo in queste acque?” Alla fine si era decisa a
fare quella domanda,
barcollando sugli stivali alti, sperando in una risposta breve e
concisa.
“Un
settimana, o forse due…” Rispose vago il capitano,
alzandosi a sua volta.
“E’ il
periodo di riproduzione delle foche questo”.
“Ti
piacciono le foche, ho capito. Foche e orsi
polari…” Ma Jewelry non ne era del
tutto convinta.
Si avviò
verso una porta in legno e sospirò sollevata quando
percepì il calore del
camino di quella stanza.
“C’è un
tipo di foca, detta Phoca Vitulina, che non riesce a concepire
l’idea di avere
due figli. Per intenderci, se le nascono due gemelli uno
sarà destinato a
morire di fame, strillando nel vano tentativo di richiamare attenzione
su di sé
senza ottenerla. Il fatto è che la madre è troppo
presa ad accudire il primo figlio,
ignorando completamente l’altro”.
Whitey si
richiuse la porta alle spalle, togliendo il cappello come
d’abitudine.
“E’
agghiacciante” Esclamò
Bonney,
stringendo le labbra in una smorfia.
“E
l’ordine naturale…” rispose quella
pacata.
“Non sei
molto materna”
“Nemmeno
molti genitori lo sono”
Ed
entrambe tacquero, sotto la visione deprimente dell’unico
vero padre che pur di
non deludere un suo figlio, aveva sacrificato sé stesso.
Tenevano gli occhi
bassi, intimidite dai loro stessi pensieri, convinte che fossero fuori
luogo.
Alla fine fu la strega a parlare, accennando un sorriso:
“Vuoi una
cioccolata? Chiamo il cuoco…”
“Ferma!”
La mangiona le si avvicinò, obbligandola ad alzare lo
sguardo su di lei.
“Ci sono
anche altre foche che invece non abbandonano un figlio, anche se ne
hanno
appena avuti due. Crescono insieme, se sopravvivono, e si separano solo
più
tardi…”
Prese
fiato, cauta.
“Non c’è
solo il nero… nel mondo c’è anche il
bianco. E l’allontanamento non comporta un
abbandono” sentenziò, stupendosi lei stessa delle
sue parole.
Poi le
tornò vicina e le prese una mano.
“Facciamola
noi questa cioccolata, ti va?” aprì le labbra in
un sorriso innaturale e quasi
sadico.
E Whitey
Bay improvvisamente si sentì avvampare per il troppo caldo.
Le lacrime di
un amore perduto sono gocce di pioggia nel
sole di un giorno di primavera…
La testa
le vorticava, e le immagini le scorrevano davanti senza capire molto.
Si
ritrovava in quel letto a lei tanto familiare, eppure troppo caldo per
essere
il solito.
Le pellicce
erano ricadute su un fianco, per terra, e un semplice lenzuolo era
più che
sufficiente per riparare il suo corpo da una brezza lieve e
profumata che
penetrava dalla finestra aperta.
Aperta.
Mai le
sue finestre erano state aperte.
Alzandosi,
quasi completamente nuda, si avvicinò alla vetrata,
scostando il tendaggio
bordeaux per venire poi inondata da una luce calda e accecante.
“Chiamasi
Sole”
Quella
voce la fece quasi trasalire, ma non si voltò, preferendo
gustarsi il sorriso
spontaneo appena nato sulla suo labbra.
“Lo
sapevo… Dunque eccoci giunte nelle terre del Sud”
Disse secca, con un tono di
finta stizza.
“Oh
vedrai, ti piacerà… queste acque sono colme di
pesci, ci si può fare il bagno e
soprattutto non c’è rischio di morire per essere
stati esposti troppo al vento”
Jewelry Bonney si era alzata da quello stesso letto, eccitata e
spensierata.
“Sei a
casa” E Whitey fu felice per lei.
“Nah… non
ho mai avuto una vera casa. Mi sento una cittadina del mondo”
si portò un dito
sulle labbra dipinte, leccandolo appena dopo averlo inzuppato
letteralmente in
un budino al cioccolato.
“Magari
non proprio cittadina del Nord, ma ha poca importanza”
concluse allargando la
bocca in un sorriso.
Avanzò in
poche falcate, con le sue lunghe gambe scheletriche nonostante
l’implacabile
fame sempre acquetata, ed si posizionò accanto
all’altra, aprendo
definitivamente le tende e le finestre.
“Guarda
laggiù. Un’isola primaverile; i fiori in boccioli,
gli alberi con le prime
foglie verdi, l’erba che profuma e tutti quegli insetti
fastidiosi. Ma niente
zanzare!” concluse entusiasta.
Whitey si
voltò verso di lei, stringendo per un attimo al petto il
lenzuolo che si era
trascinata dietro per coprirsi.
La
guardò, improvvisamente disarmata, senza capire; come un
ghiaccio che si sta
sciogliendo e non è in grado di fermare il processo.
Rimase lì
fino a quando le sue labbra non furono prigioniere di altre, persino
morse da
quelle della piratessa mangiona.
La lasciò
fare, ricambiando e socchiudendo gli occhi, come fosse catturata in una
rete malefica.
Il
lenzuolo cadde a terra, e lei sentì il contatto caldo di
quella pelle contro la
sua, e le sue mani dalle dita sottili risalire il suo collo.
Smosse i
suoi capelli, Jewelry, provocandole dei brividi lungo la schiena.
Le sue
mani si strinsero attorno alle sue spalle e lei ricambiò la
presa, percorrendo
la sua vita.
La sentì
urgente, desiderosa, carica come non l’aveva mai sentita.
Con foga
fu sospinta verso il letto, di nuovo, e a nulla valsero le sue deboli
imprecazioni.
Ricambiò
i baci, sentendo la lingua liscia dell’altra nella sua bocca
e rimanendo senza
fiato.
E quella
bandana a pois, unico indumento ancora rimastole addosso,
scivolò sui suoi
occhi azzurri come l’acqua più pura e fredda.
Ma Bonney
non la spostò né permise a lei di farlo.
La guardò
un attimo, immaginandosela in una torta enorme, circondata da fragoline
di
bosco e mirtilli. Scese su quei seni piccoli e perfetti, tanto diversi
dai suoi
così ingombranti.
Li sentì
freddi, sotto le sue mani bollenti; le piacque.
Ed infine
tornò a baciarla, strusciandosi su di lei e lasciando che un
suo ginocchio
stuzzicasse in modo non troppo gentile la femminilità
dell’altra.
“Così
buona” Si permise, canzonandola con una delicatezza insolita.
Vide
quelle labbra naturali e così morbide aprirsi in un
sorrisetto compiaciuto.
Poi,
all’improvviso, qualcosa la fermò.
Due
farfalle svolazzavano gagliarde per la stanza, proprio sopra di loro.
Una mano
salì rapida verso la bandana, togliendogliela dagli occhi e
disse “Guarda” con
semplicità.
Whitey
dapprima infastidita, si ritrovò ad assumere
un’espressione meravigliata.
I suoi
occhi si illuminarono.
Due
animali colorati: uno così blu da sembrare fosforescente, e
l’altro così rosa
da essere più simile ad un fiore; e lei li vedeva per la
prima volta, incredula
di fronte a tanta bellezza.
“Cosa
sono?” chiese a bassa voce, impaurita all’idea di
farle fuggire.
“Farfalle”
Fu la risposta tranquilla. Bonney si spostò al suo fianco,
ed entrambe rimasero
a guardare il soffitto e i due animaletti stupendi volare.
Fu sempre
la mangiona a rompere l’attimo.
“Non le
avevi mai viste?”
“No”
“E… ti
piacciono?”
“Direi di
sì. È la natura a crearle?”
“Sì, con
un lungo processo…”
“Ne vale
la pena”
“Lo credo
anche io”
E per la
prima volta, entrambe sentirono lo stesso tepore.
Non
c'è che una stagione: l'estate. Tanto bella che le
altre le girano attorno. L'autunno la ricorda, l'inverno la invoca, la
primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla…
Solo
qualche ciocca le ricadeva sulle spalle, morbida come la neve.
Un’ampia
poltroncina di vimini era stata posta sul ponte, all’ombra di
un ombrellone da
mare. E lei era lì seduta, le braccia cascanti sui due
avambracci, le gambe
distese e l’espressione di una che avrebbe preferito morire,
o che comunque lo
stava per fare.
Il
vestito blu che quella Bonney aveva definito
“Perfetto” non le dava nessun
sollievo.
La sua
pelle sudava, il suo trucco colava e il Sole scottava, anche al riparo.
Tuttavia
sorrise sembrando a suo agio alla ragazza di fronte a lei.
Jewelry
se ne stava in costume sopra la balaustra di legno, pronta ad un tuffo
atletico.
La sua
pelle già risentiva della tintarella, pur restando candida.
I suoi capelli
bagnati erano rigidi sul suo seno e il ghiacciolo tra le mani era
l’incarnazione della cosa più naturale che sapeva
fare: mangiare.
“Che c’è,
Whitey? Hai caldo?” le si rivolse con indifferenza, ingoiando
il freddo gelato
e posizionandosi per un salto.
L’altra
mosse solo una mano, per acconsentire.
“Guardami”
la rimbeccò in modo infantile e con un
“Oplà” si tuffò
nell’acqua cristallina.
La strega
si alzò di malavoglia, avvicinandosi al bordo,
più in cerca di aria fresca che
per assecondarla.
Si appoggiò
con i gomiti e si ritrovò a sorridere come una stupida.
I capelli
rosa creavano uno strano gioco di riflessi, ed il costume marrone
dell’altra le
sembrò incantevole. E poi c’era quel delfino, che
nuotava attorno a
quel corpo perfetto.
Era come
se stesse osservando qualcosa di idilliaco.
“I
DELIFNI SONO MOLTO INTELLIGENTI!” Urlò la ragazza
dall’acqua, giocherellando
con il mammifero.
“RIESCONO
A COPRIRE GRANDI DISTANZE IN POCO TEMPO E COMUNICANO GRAZIE AI
SUONI… SI DICE…
CHE SONO GLI ANTENATI DELLE SIRENE” Continuò
rinfrescata dopo essersi immersa
per qualche istante.
“SE TU
VENISSI QUAGGIÙ LO SCOPRIRESTI E TI
RINFRESCHERESTI” le urlò.
E non si
sa come, Whitey si lasciò convincere.
Strappò
senza pensarci il vestito, stringendolo poco sotto il seno.
Sistemò le
mutandine sui glutei e si posizionò su una passerella in
legno che gli uomini
usavano come trampolino.
Il tuffo
fu penoso, ma nessuno lo notò. Cadde in acqua come un salame
lanciato e, senza
rendersene conto, andò a fondo.
Agitò
mani e gambe, aprì la bocca, sbatté le palpebre.
Nulla.
Più giù…
sempre più giù andava.
Poi, una
spinta sotto i piedi e un manto grigio con una pinna a cui attaccarsi.
Quando
riemerse, grazie all’intelligenza di quel delfino, Bonney se
la rideva di
gusto.
“Non sai
nuotare” continuò a ripetere, agitando le gambe
nell’acqua e stringendosi lo
stomaco per lo sforzo dell’ilarità.
“Come
dici fino allo sfinimento, al Nord non posso mica aver fatto
pratica” Emise
l’altra infreddolita. Arricciò le labbra
brontolando qualcosa, fino a quando
sconsolata lasciò che quella tentasse di insegnarle almeno
come stare a galla
da sola.
Fu un
pomeriggio piacevole.
Lasciarono
dietro di loro molto, in quel giorno; più di quanto avessero
fatto in tutto
quell’anno passato insieme.
Bonney si
dimenticò per un attimo del motivo che l’aveva
spinta a salpare da sola.
Scacciò
l’angoscia di ritrovarsi Akainu sul ponte, nel suo completo
rosso, pronto per
riportarla a casa. Rinchiuse in fondo alla mente il ricordo di quel
padre
adottivo che l’aveva semplicemente fatta crescere.
Whitey
invece trovò solo il calore di cui pensava il mondo ormai
fosse privo. Ripose
lontano quella maschera di freddezza ed insensibilità che
ormai era diventata
il suo universo e riaccese un sorriso pallido sulle sue guance rosee.
Ed anche
lei, con una facilità impensabile, riuscì a
serrare in fondo al cuore
l’immagine pungente - come di un ghiacciolo che cade
dall’albero conficcandosi
nella carne - del
Babbo.
Ti voglio bene, papà.
Era tutto
ciò che valeva la pena di ricordare.