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Autore: RoseGONEwild    20/10/2010    11 recensioni
Cosa accadrebbe se una ragazza dai capelli rossi riuscisse ad intrufolarsi nel backstage, dopo un meraviglioso concerto degli SKID ROW?
Angel si trova catapultata nei camerini dei suoi idoli, senza sapere bene come comportarsi, finendo in bellezza la nottata realizzando uno dei suoi sogni: fare l'amore con Sebastian.
ATTENZIONE: in questa fanfic sono presenti scene di sesso discretamente esplicito.
So che la maggior parte di voi nemmeno sa chi sono gli Skid Row, ma mi auguro che qualcuno, per combattere la noia, la legga ugualmente.
Ovviamente esorto chiunque abbia modo di leggere questa storia a recensirla, così da farmi sapere cosa ne pensa (:
Buona lettura ;)
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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- Andrai a finire nei guai, sicuramente! – mi sussurrò Nathalie, mentre io aprivo lentamente la pesante porta grigia. Dall’altra parte era più buio della notte del vicolo nel quale eravamo addentrate. Feci spallucce ed entrai ugualmente, voltandomi verso la mia amica. – Non mi interessa, è l’unica occasione che ho! …Che avremmo, se tu venissi con me. -

Mi guardò implorante, appoggiandosi al muro dell’edificio. – Non ci penso nemmeno. E nemmeno tu dovresti! –

Scossi il capo: come poteva anche solo pensare che il pensiero di venire acciuffata dalla security mi potesse fermare dal raggiungere la mia band preferita nel backstage dopo un concerto da paura?

– Non aspettarmi – conclusi freddamente.

- Angel? – mi chiamò prima che avessi modo di richiudere la porta – Fai attenzione -.

Annuii soltanto dopo aver alzato la maniglia, arrancando nel buio del largo corridoio. I miei passi sui tacchi a spillo erano incerti per via del troppo alcol bevuto prima, durante e dopo il concerto e rimbombavano in tutto l’ambiente, mentre mi muovevo lateralmente al muro con le mani protese in avanti, prevenendo lo scontro con qualsiasi ostacolo il buio pesto non mi permettesse di vedere.

La testa mi girava, ma ero ancora abbastanza lucida da rendermi conto di ciò che facevo.

Aspettavo un concerto degli Skid Row da troppo tempo, non ero mai riuscita a vederli live nella mia città nonostante fossero in assoluto il mio gruppo preferito. Erano all’apice del successo ed anche quella sera lo show era sold-out. Mi ero prefissata l’obiettivo della prima fila e l’avevo raggiunto appostandomi davanti al locale fin troppo presto quella mattina, avevo aspettato tutto il giorno sotto al sole per godermi Sebastian & co a pochi metri da me. Sarei anche potuta morire dopo il concerto oppure andarmene subito, sarei stata ugualmente felice, ma non resistetti alla tentazione di cercare un modo per intrufolarmi nel backstage. Ero fatta così, cercavo sempre di ottenere il meglio, senza perdere un’occasione.

Così, mentre camminavo nel buio, mi ritrovai a pensare che ce l’avevo fatta davvero e che nonostante questo non riuscivo a rallegrarmi, per la paura di venire presa e perché l’alcol in circolo mi stava distruggendo lo stomaco.

Una ventina di metri più avanti, il corridoio volgeva verso destra  e una volta girato l’angolo potei finalmente rivedere uno spiraglio di luce fioca, proveniente dal vetro opaco di una porta in fondo. Quando la raggiunsi, mi accorsi che la finestrella era posta più in alto di quanto pensassi e dovetti alzarmi in punta di piedi per vedere attraverso il vetro: era una sala vuota, con un tavolo di legno sulla sinistra. Nessuna star, nessun bodyguard, niente di niente.

Provai ad abbassare la maniglia, ma mi accorsi ben presto che la porta era chiusa a chiave.

- Cazzo! – esclamai sottovoce, mentre fallivo l’ultimo tentativo con una forcina per capelli. Mi guardai intorno, ma non vidi altre porte, così mi accasciai seduta sul pavimento, con la schiena poggiata contro una delle pareti fredde del corridoio e decisi di aspettare.

Stavo per accendermi una sigaretta, ma ringraziai il cielo di non averlo fatto quando sentii una chiave che girava nella serratura. Velocemente ma cercando di fare il minor rumore possibile, tornai nella parte di corridoio in ombra e mi appiattii contro il muro. Quando la porta si aprì chiusi addirittura gli occhi, cercando di immedesimarmi il più possibile nel ruolo di una parete, pregando con tutta me stessa che chiunque fosse lì non richiudesse a chiave e non si accorgesse della mia presenza.

Non riaprii gli occhi fino a quando non fui certa che anche la porta dalla quale ero entrata si fosse richiusa, ed ero nuovamente sola. Le mie preghiere erano state esaudite, la porta si aprì facilmente non appena abbassai la maniglia. Mentre mi guardavo intorno osservando gli oggetti presenti nella stanza mi maledissi per non aver aperto gli occhi e osservato l’uomo che aveva aperto la porta: se fosse stato uno della band?

Sul tavolo c’era una pila di locandine del concerto e alcuni volantini più piccoli. Ne sfiorai uno con l’indice destro e cercai di mettere a fuoco la foto della band, azione difficoltosa per via della vista traballante, ma rimasi ad osservare i loro volti per un po’, convincendomi pian piano che io li avevo appena visti dal vivo, che ero sotto al loro palco e che mi ero divertita un sacco.

Infilai un volantino in borsa, raggiunsi la porta dall’altro lato della stanza e sforzai la serratura con la forcina: stavolta si aprì al primo colpo e mi sorpresi delle mie doti di scassinatrice. Mi si presentò davanti un altro corridoio in penombra ed improvvisamente ebbi una prova inequivocabile di essere davvero arrivata nel backstage: Rob Affuso mi passò davanti senza degnarmi di uno sguardo, mentre io richiudevo la porta dietro di me e mi sentivo mancare. Lo osservai mentre percorreva il largo corridoio fino a sparire dentro una delle stanze sulla sinistra. Mi appoggiai alla parete per qualche secondo e respirai profondamente anche per reprimere la nausea, decidendomi ad andare nella sua stessa direzione.

Mi accertai di essere di nuovo sola e mi diressi verso la prima porta aperta lungo il corridoio, che neanche a farlo apposta era abbellita da un cartello scritto a mano riportante il nome “Sebastian Bach”. Cercai di mantenere un respiro regolare mentre mi addentravo silenziosamente in quello che dedussi essere il camerino dell’uomo dei miei sogni.

La luce era accesa, ma nella stanza non c’era nessuno, così mi fermai ad osservare i vestiti di scena indossati da Sebastian durante il concerto di quella sera: sfiorai i pantaloni di pelle appoggiati al divanetto e raccolsi da terra il gilet nero, appoggiandolo vicino allo specchio dopo averlo portato accanto al mio naso per inalarne la fragranza: dopobarba, birra, fumo e sudore, un mix da capogiro.

Mi stavo ancora guardando intorno girando su me stessa, quando sentii dei passi avvicinarsi e una voce fin troppo famigliare canticchiare “Rock’n’Roll” dei Led Zeppelin. Presa dal panico, non trovai un nascondiglio efficace e mi appiattii semplicemente contro la parete dietro la porta mentre il cuore mi martellava nel petto.
Trattenni il respiro quando fui certa di non essere più sola nella stanza e di avere a poco più di un metro da me Sebastian Bach, ma non riuscii a chiudere gli occhi e a resistere alla tentazione di sbirciare: l’uomo che amavo stava piegando i pantaloni di pelle fischiettando, con addosso solo un paio di pantaloncini ciclisti blu.

Sentii nuovamente le gambe deboli e lo stomaco che si contorceva ed ebbi bisogno di sorreggermi alla parete accanto per non perdere l’equilibrio, ma me ne pentii subito quando sentii il fischiettio che cessava e lo sguardo irritato di Sebastian addosso.

- E tu chi cazzo sei? – chiese con la voce alta ma provata dalle due ore di concerto. Ci guardammo negli occhi per una manciata di secondi e non riuscii a dargli una risposta, mentre gli occhi mi si bagnavano di lacrime. Scivolai lentamente contro la parete e sentii il dolore allo stomaco farsi sempre più forte. Dovevo immaginarlo: avevo sbattuto per due ore contro una transenna fredda avendo addosso solo un top corto e scollato, avevo mangiato e bevuto tanto e il mio corpo non era in grado di affrontarlo. Sentii una nausea insopportabile e l’unica cosa che riuscii a singhiozzare coprendomi la bocca con una mano fu – Non mi sento bene -.

Mi guardò inclinando la testa da un lato e ravviò con una mano i lunghi capelli resi mossi dall’umidità del sudore. Non disse nulla, ma aprì una porta secondaria del camerino che io non avevo nemmeno notato.

- Qui c’è il bagno, se vuoi – disse facendomi segno con la mano di seguirlo. Non avevo le forze né la voglia per tirarmi in piedi, così raggiunsi la stanzetta trascinandomi per terra, sentendomi una perfetta idiota. Sentii il sapore del vomito in bocca ed appoggiai le mani al water, mettendomi in ginocchio. Con il primo conato arrivò anche la crisi di pianto, il mascara e la matita nera mi colarono rovinosamente lungo le guance, mentre mi davo della stupida per aver bevuto e mangiato così tanto e per aver deciso di addentrarmi nel backstage. Sentii la figura di Sebastian che si chinava accanto a me e le sue mani grandi che mi spostavano i capelli dalla faccia per evitare di sporcarli. Mi voltai per due secondi verso di lui e l’unica cosa che vidi fu che slacciava dal suo braccio destro un bracciale elasticizzato, quello che poi usò per legarmi i capelli mentre io vomitavo l’anima. Era l’ultima cosa che volevo che il mio idolo mi vedesse in quelle pessime condizioni, ma non avevo altra scelta, mi arresi alle reazioni del mio corpo.

Non riuscii a smettere di singhiozzare nemmeno quando non ebbi più nulla da rimettere, per il mal di stomaco e per la testa che girava, ma soprattutto perché ero sembrata così maledettamente vulnerabile davanti a lui.

Non ebbi la forza di spostare la sua mano dal mio viso, ma mi spostai leggermente da lui, sedendomi contro la parete di quel piccolo bagno.

- Stai meglio? – mi chiese, alzandosi per aprire la finestrella sopra di noi, facendo entrare il freddo e il buio della notte di Los Angeles.

Annuii lentamente, sciogliendomi i capelli e porgendogli l’elastico. – Grazie -.

- E di cosa? – rise, riallacciando la cordicella al braccio – vuoi un po’ d’acqua? -

Non aspettò risposta e prese dal mobiletto vicino al lavandino un bicchiere di plastica, riempiendolo d’acqua per metà, porgendomelo. Lo ringraziai una seconda volta e sorseggiai l’acqua fresca, cercando di pulire le guance dai residui di mascara. Ancora in piedi davanti al lavandino, lui prese una salvietta e la inumidì, per poi inginocchiarsi di fronte a me ed alzarmi il viso con l’indice.

- Lascia, faccio io – disse, iniziando a pulirmi il viso dalle tracce nere di trucco. Tremavo ancora, ma forse non era più per le condizioni fisiche: avevo gli occhi fissi in quelli di Sebastian, che sorrideva lievemente e non mi sarei mai aspettata che lui facesse tutto questo né per me, né per nessun altro. Nel frattempo, mi scervellavo per trovare una qualunque cosa sensata da dirgli, ma l’unica cosa che mi uscì dalle labbra fu – Sei magnifico -.

Sorrise, gettando la salvietta che aveva utilizzato per struccarmi nel cestino, senza rispondere. Per l’ennesima volta nel giro di un paio d’ore offesi mentalmente me stessa con i peggiori appellativi che riuscivo a trovare. Come mi era saltato in mente di fargli un complimento così maledettamente diretto? Ero convinta che mi avrebbe sbattuta fuori dal camerino e fatta cacciare in malo modo dai bodyguard, considerandomi una ragazzina idiota che gli sbavava dietro come tutte le altre.

- Non mi hai ancora detto cosa ci fai qui – incalzò, sedendosi a gambe incrociate di fronte a me e questo bastò per farmi tirare un sospiro di sollievo: non mi aveva cacciata.

Sospirai e ricambiai il suo sorriso per un istante. – Sono una persona che non ne ha mai abbastanza di nulla -.

- Come dire che non ti è bastato il concerto e hai voluto… approfondire? – chiese, osservando in maniera piuttosto attenta i miei indumenti: indossavo un paio di stivali texani, le calze a rete, un paio di shorts in pelle e un top corto, ricavato ritagliando una maglietta della band il necessario per farci stare solo il logo.

- Esatto – risposi, cercando di rendere la mia lieve risata quanto più convincente possibile. Anche io posai lo sguardo sul suo corpo, ma i pantaloncini aderenti che indossava lasciavano ben poco spazio all’immaginazione e non me la sentii di risalire con lo sguardo lungo il petto, quindi mi incatenai direttamente ai suoi occhi.

- Bene, sei felice ora? – mi chiese, mantenendo il sorriso ma con un briciolo di acidità nel tono, senza distogliere lo sguardo dal mio.

Non sapevo se fosse una domanda a cui si aspettava la palese risposta “sì” o se fosse realmente curioso; ad ogni modo, optai per la sincerità: - Non sono felice che tu mi abbia visto in quelle… queste condizioni. Ma sto parlando con Sebastian Bach, diavolo! E’ sempre stato il mio sogno. –

- Non ti preoccupare, ho visto ragazze in condizioni peggiori – ammise, mantenendo il tono di distacco con il quale mi aveva fatto la domanda. Dov’era finito il Sebastian che mi aveva pulito il viso dai residui di trucco? – Immagino… -

- Cosa vuoi fare? – mi chiese, alzandosi ed allungando le braccia in alto per stirarsi i muscoli. – Lo sai che io dovrei chiamare i bodyguard e farti buttare fuori? Insomma, ti sei intrufolata nel mio camerino… -

Lo guardai dal basso in alto, stringendo le ginocchia al petto – Lo so -.

- Non lo farò – mi rassicurò, tendendomi la mano per farmi alzare. Mi tirai in piedi e la testa mi girò vorticosamente, senza farlo apposta mi appoggiai al suo petto per rimanere diritta. – Ah no? -

- Hai appena sboccato e sei pallida come un foglio di carta: se quelli ti mettono le mani addosso arrivi fuori con le ossa rotte – si giustificò, staccandosi da me. Lo guardai mentre apriva la porta del camerino e ruotando il braccio mi faceva segno di uscire. – Ti accompagno -.

Presi la borsa da terra e uscimmo, camminando lungo il corridoio che avevo percorso in un istante che mi parve lontano anni luce da quel momento, mentre andavo a passo spedito a fianco di Sebastian Bach dopo aver passato più di mezz’ora nel suo camerino.

- Bach! Te le porti anche in camerino le groupie adesso? -

Ci voltammo nello stesso istante verso chi aveva appena fatto la battuta di pessimo gusto al vocalist, scorgendo dietro di noi niente meno che Scotti Hill, con indosso solo i boxer e una maglietta: si erano messi d’accordo per farmi impazzire, forse?

- Non… sono una groupie – sibilai fra i denti, guardandolo con aria di sfida. Sebastian rise, mettendo le mani sui fianchi.

Scotti mi squadrò dalla testa ai piedi, osservando minuziosamente i vestiti e i capelli rossi e cotonati. – Sei sulla buona strada per diventarlo, honey –.

- Vaffanculo Hill! – esclamò Sebastian, dandogli una spinta, ma io risi ed incrociai le braccia sotto il seno. – Bene, sto realizzando il sogno della mia vita, quindi – dissi, con ironia.

Sorrisero entrambi, ma Scotti tornò serio nel giro di una manciata di secondi. – Sul serio, chi sei tu? – mi chiese.

Guardai Sebastian con espressione implorante, chiedendogli tacitamente di rispondere per me. Lui mi appoggiò il braccio sulla spalla e mi fece l’occhiolino. – Una tipa che è venuta a sboccare nel mio camerino, in pratica -.

- Troppo alcol? – si incuriosì il chitarrista, estraendo da Dio solo sa dove una lattina di birra. Annuii e sorrisi, ora stavo molto meglio e potevo ridere di me stessa per aver bevuto. Sebastian si fece passare la lattina, ma invece di bere la birra, se la rovesciò di proposito sul petto, calciando poi la lattina fino in fondo al corridoio. Improvvisamente ebbi sete di birra.

- Non guardarlo così, che lo consumi! – rise Scotti, alludendo al modo in cui stavo palesemente ammirando il corpo di Sebastian. Distolsi lo sguardo e feci finta di niente, sicura di essere arrossita, e nemmeno il cantante diede a bado a Hill, fortunatamente. – Beh, dove stavate andando? -

- Mi stava accompagnando fuori – risposi, indicando distrattamente la porta dalla quale ero arrivata in quel corridoio.

- Fuori dove? Ormai sei qui, vieni un po’ di là! –

Sebastian lo fulminò con lo sguardo, scotendo la testa. – Non so se sia una buona idea -.

- E perché? – chiese il chitarrista – Se gli armadi della security si lamentano, basta dire che è con noi! L’abbiamo già fatto, no? -

Il cantante sospirò ed abbassò lo sguardo su di me – Ti va di rimanere? –

Sentii un piacevole brivido lungo la schiena e non riuscii ad evitare di sorridere della sua rassegnazione, mentre annuivo e Scotti alzava l’indice ed il medio in segno di vittoria per poi indicarci una stanza in fondo al corridoio. La raggiunsi camminando fra Sebastian e Hill, cominciando lentamente ad abituarmi all’idea di essere nel backstage con i miei idoli.

- E’ qui la festa? – chiese Bach bussando alla porta spalancata dello stanzone, dove Rob, Dave e Rachel erano accomodati su due divani in pelle, bevendo e fumando. Sul tavolino un giradischi suonava un Greatest Hits degli Aerosmith e accanto ad esso, ammucchiati l’uno sopra l’altro, c’erano i regalini lanciati sul palco dalle ragazze durante il concerto.

Quando Rachel avvertì la presenza di una ragazza, afferrò la bandiera con il logo della band appoggiata al muro e la utilizzò per coprirsi, avendo anche lui indosso solo un paio di boxer. – Tu chi sei? – chiese fintamente allarmato.

Risi, scotendo la testa – Ho già visto Sebastian e Scotti mezzi nudi, se vedo anche te non fa molta differenza. Comunque piacere, Angel -.

Sebastian sprofondò su uno dei divani, accanto a The Snake - Cristo, non ti avevo nemmeno chiesto il nome -.

- Te la sei scopata senza chiederle il nome? – chiese ironicamente Rachel, mentre baciava la mano che gli avevo porto da stringere.

Il cantante allungò un braccio per spintonarlo - Chiudi quella cazzo di bocca, Bolan! Non le ho fatto niente. E smetti di fare il cascamorto! –

Affuso trangugiò la metà di birra rimasta nella lattina e poi la buttò a terra, rivolgendosi a Sebastian – Non ci hai ancora detto chi è questo Angelo -.

- Una rossa da urlo che è venuta a vomitare nel mio camerino – rispose ridendo e facendomi segno di sedermi accanto a lui. Mi passò un braccio dietro le spalle ed io rabbrividii. Scotti si sedette sull’altro divano.

Sorpresi Snake a fissarmi, così mi incuriosii – Che c’è? –

- Nulla… E’ che sei pallida come un fantasma tesoro! – rispose, allungando una mano come per accarezzarmi la guancia, ma Sebastian provvide prontamente a dargli uno schiaffo – E tieni le mani a posto, cazzo! -

Risi nuovamente del loro comportamento, sentendomi stranamente a mio agio fra i membri della mia band preferita che sembravano anche piuttosto attratti da me. Accidenti, peccato che il trucco mi era tutto colato, altrimenti chissà che impressione avrei fatto loro. Afferrai dal tavolo una delle lattine di birra rimanenti e staccai la linguetta – Beh, lasciate che riprenda un po’ di colore -.

- Hai capito tutto della vita, ragazzina! – esclamò il bassista, allungandosi per brindare con le lattine –All’enorme successo di questa sera! -

La cosa più intelligente da fare in quel momento mi sembrò complimentarmi con loro – Ottimo concerto, sicuramente all’altezza delle mie aspettative. Era la prima volta che vi vedevo e, cazzo, ho amato la serata in ogni suo particolare. Siete perfetti -.

Fui sinceramente felice di vedere sui volti di tutti un sorriso radioso, il mio complimenti aveva fatto centro. – Grazie tesoro – mormorò Sebastian, lasciando uscire dalle labbra il fumo, che mi invase le narici e mi fece pensare che da quel momento in poi, avrei associato l’odore delle sigarette accese a quel particolare istante della mia vita.

Nel giro di qualche decina di minuti ci ritrovammo a fare della birra e della nicotina la nostra unica ragione di vita, mentre discutevamo di musica e di concerti. La mano di Sebastian non era più sulle mie spalle ma sulla mia coscia ed io, come Scotti ebbe modo di notare, fremevo di desiderio.

- Seb, se lasci quella mano lì ancora per un po’, puoi cuocerci le uova sul viso di Angel – disse, facendo ridere tutti compresa me.

- Che ore sono? – chiesi, tanto per mettere fine al momento di imbarazzo. Non che avessi voglia di tornare a casa, ma mi ero accorta di aver totalmente perso la cognizione del tempo.

- Ora di andare a dormire, direi! – esclamò Sebastian alzandosi. I ragazzi risero, ma non ne capii immediatamente il motivo. Il cantante mi fece segno di alzarmi e mi prese la mano, mentre io avvampavo e fissavo il soffitto per evitare di incontrare lo sguardo di un membro qualsiasi della band.

- Buonanotte – dissi stupidamente agli altri, mentre uscivamo dalla stanza. Quando fummo nuovamente sul corridoio, mi accorsi che non c’era più musica, ma non mi ricordavo come o quando il giradischi avesse smesso di suonare.

Forse perché ero di nuovo brilla, quando arrivammo davanti alla porta attraverso la quale ero arrivata nel backstage mi voltai automaticamente verso di essa, sicura che il bel sogno fosse finito e di dovermene andare. Contrariamente a ciò di cui ero convinta, Sebastian mi prese per le spalle e mi voltò dalla parte opposta, facendomi entrare in camerino con lui.

- Pensavo mi volessi accompagnare fuori – mormorai, mettendomi di fronte a lui. Scese con le mani lungo i miei fianchi e mi abbracciò con inedita dolcezza – Sei ubriaca, qua fuori è pieno di brutta gente -.

Sospirai e mi strinsi al suo petto appoggiandoci la testa, mentre le sue mani si avvicinavano lentamente al mio fondoschiena, fino a finire nelle tasche posteriori degli shorts. Solo in quel momento mi accorsi della ventina di centimetri che ci dividevano in altezza: io non ero poi così bassa, ma pur avendo i tacchi arrivavo con la testa a livello del suo mento. Alzai il viso ed incrociai il suo sguardo, alzandomi quasi inconsciamente in punta di piedi, fino a raggiungere le sue labbra. Fu un bacio caldo e lento, ma molto passionale: bastarono pochi secondi per farmi perdere completamente ogni buon proposito, quando le mani di Sebastian salirono sotto al mio top per sfilarlo. Tenevo gli occhi chiusi e assaporavo al meglio quel momento, la realizzazione di uno dei miei sogni nel cassetto. Lui camminò contro di me facendomi indietreggiare fino ad inciampare in uno dei braccioli del divano, cadendo su di esso e trascinando Sebastian sopra di me. Mi aggrappai ai suoi capelli e lasciai che scendesse lentamente a baciarmi il collo in maniera esperta, facendo dei piccoli cerchi sulla mia pelle con la punta della lingua.

Passai le mani lungo la sua schiena fino a raggiungere l’orlo dei pantaloncini, per poi introdurmi al di sotto della stoffa e stringere le sue natiche con entrambe le mani. Spostava in maniera frenetica i miei capelli rossi dal viso e dal collo che baciava con crescente avidità.

– Te l’ho mai detto – mormorò fra un bacio e l’altro, - che le rosse mi fanno impazzire? -

Mi morsi il labbro con aria provocante, slacciando il bottoncino dei miei shorts – Dimostramelo -.

Emise un lungo verso gutturale e un sospiro voglioso per poi ricominciare a baciarmi con veemenza, tenendomi il viso fermo con una mano, mentre con l’altra provvedeva a sfilarmi i pantaloncini in pelle e a buttarli a terra; potevo sentire chiaramente la sua erezione premere contro il mio ventre.  La sua lingua s’impadroniva della mia bocca con movimenti frenetici e quasi aggressivi, così come i morsi che lasciava sul mio labbro inferiore, che ben presto iniziò a sanguinare.

Quando decise che c’era ancora troppa stoffa a dividerci, strappò letteralmente le mie calze di rete e mi sfilò gli slip neri, mentre io mi preoccupavo di lasciare del tutto scoperto anche il seno. Sebastian lasciò le mie labbra per scendere a baciarlo con bramosia, facendo scorrere insistentemente le mani lungo le mie curve, per poi far giungere le lunghe dita della destra al loro scopo: mentre provvedeva a baciarmi ogni lembo di pelle, iniziò a masturbarmi con due dita, facendomi inarcare sotto di lui. Mi lasciai sfuggire un gemito ed afferrai il suo viso spingendolo più in basso, fino a far arrivare il suo viso fra le mie cosce. Mentre mi dava piacere movendo la lingua sul punto più sensibile senza smettere di prepararmi con le dita, io fissai il soffitto e pensai alla cosa più stupida a cui potevo pensare in quel momento: la mia amica Nathalie. Nat, Nat, non sai che ti stai perd..ahhh..endo.

Risalì baciandomi i fianchi e l’ombelico, raggiungendo infine le mie labbra e riprendendo il gioco di carezze audaci che le nostre lingue si scambiavano. Immaginai che lui volesse essere ricambiato, così gli sfilai del tutto i pantaloncini e presi il suo sesso fra le dita, movendo la mano con ritmo veloce. Sorrise e mi baciò una spalla, quando capì le intenzioni che avevo, lasciando che io ribaltassi le posizioni facendolo stendere sotto di me, raggiungendo velocemente il suo basso ventre con il viso. Senza smettere di masturbarlo, presi in bocca la punta del suo pene, movendo la lingua in cerchi precisi, lasciando che lui stringesse fra le dita i miei capelli sospirando velocemente il mio nome.

Quando ne ebbi abbastanza gattonai sopra Sebastian, che prontamente mi fece stendere nuovamente sotto di lui allargando le mie cosce con le mani. Contrariamente a ciò che mi aspettavo per via della discreta brutalità con la quale avevamo assaporato gli ultimi momenti, entrò in me con una spinta lenta, accarezzandomi il viso con una mano. Sorrisi e chiusi gli occhi, intenta a fargli capire che ero preparata ad una violenza maggiore, e lui sembrò cogliere il messaggio: le spinte che seguirono furono più decise e i baci che lasciava sul mio viso divennero più famelici. Mi morse le labbra un’ennesima volta e nel bacio lascivo che ne seguì sentii il sapore metallico del sangue che si mischiava a quello delle nostre salive, mentre il piacere arrivò mandandomi letteralmente in paradiso sotto alle movenze esperte di Sebastian Bach. Lui raggiunse l’orgasmo poco dopo, uscendo dal mio corpo in tempo per venire sulla mia pancia e stendersi di fianco a me respirando affannosamente.

- Sì, cazzo! – esclamò sorridente, con la voce ancora provata dallo sforzo – è stato fenomenale! -

Risi stupidamente, afferrando una salvietta dal tavolino accanto a noi, per ripulirmi della sua essenza.

- Grazie – dissi, voltandomi anche io sul fianco per vederlo bene in viso: dopo un orgasmo era quasi più eccitante di quando stava sul palco.

Schioccò la lingua sul palato e mi abbracciò, avvicinandomi a lui. Si sdraiò a pancia in su, permettendomi di appoggiare la testa al suo petto. – Grazie di che? Vieni qui… -

Chiusi gli occhi ed ascoltai il suo battito cardiaco che lentamente ritornava normale ed intrecciai una mano alla sua, sistemandomi meglio fra le sue braccia. Mi accarezzò i capelli lentamente, facendomi sprofondare lentamente in uno stato di dormiveglia. Passai ciò che restava di quella notte nel suo camerino stretta a lui e l’ultima cosa che gli sentii sussurrare fu: - Domani ti accompagnerò davvero fuori di qui. Ma per il momento, buonanotte Angelo -.

  
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