CAP. 10: UN COMPLEANNO BILINGUE!
Per un mese e mezzo, Camilla era rimasta a contatto con i MEREH, cercando di risolvere i loro problemi e di riavvicinarli alla società. Aveva parlato, urlato, lusingato, spiegato, esaminato. Ma nulla. Quei cinque non ne volevano proprio sapere di ascoltarla.
Non le lasciavano altra scelta.
Non le piaceva usare la tecnologia, ma a mali estremi, estremi rimedi.
Aveva un... oddio, che parola disgustosa... un cellulare.
Con dei soldi abbastanza per una sola chiamata.
Avrebbe usato quella chiamata per chiamare lui.
Si ricordava ancora di quell’ incarico, portato a termine il gennaio dell’ anno scorso, così freddo e lontano da quell’ ottobre così insolitamente tiepido. Si ricordava ancora di quelle due bambine, così tenere e dolci, ma con un terribile vizio. Una ragazza che si rispetti, dopotutto, non può permettersi di mangiare con i gomiti sul tavolo. E tantomeno la figlia dell’ uomo più potente del mondo.
Non appena Klara uscì dal salone, Camilla Rizzi prese in mano il telefonino e digitò velocemente il numero per la sua salvezza.
“Hello? Is this the White House?
“CAMILLA! DOVE SEI!?”
“Mmmh... Sono nella mia stanza, Roberta. Sto cercando di dormire... Perchè? Che ore sono?” mormorò la poveretta, sbadigliando.
“Sono già le tre di mattina! Vieni giù! Oggi è il compleanno di Bummino!”
‘EchisenefregaiocredocheilcompleannodiBumminopuòanche...Oddio! Cosa vado a pensare! Sono rimasta a contatto con questi ragazzini per troppo tempo.Ma oggi tutto finirà, e io tornerò alla mia vita di sempre.’
Scese dalla soffitta, giù per il corridoio, dove trovò i suoi quattro adolescenti e il piccolo festeggiato, che esplodeva letteramente dall’ emozione.
“Be’ ragà, mo’ ve dovemo dì na’ cosuccia. Bummino e Camì se devono bendà, perchè il regalo è na’ suppresa e ve tenga da vederla solo fino all’ ultimo minuto.”
“Ci dovete dare il tempo di accendere il meccanismo che...” iniziò Roberta, prima di essere interrotta da un’ occhiataccia di Klara.
“Ah, scusa. Stavo per dirvelo. Be’ bendatevi con queste.” e porse alla donna e al bimbo due pezzi di stoffa viola, con cui si bendarono (anche se Camilla non ne era particolarmente entusiasta).
Sentì la fredda mano di Gabriele e quella legnosa di Klara che la guidavano giù lungo le scale, attraverso il corridoio e davanti alla porta d’ ingresso.
Uscirono dal Maniero.
“Eccoce qua!”
La Tata sentì il rumore di una porta che s’apriva e qualcuno che le snodava il laccio dagli occhi.
Quando potè rivedere, le salirono le lacrime agli occhi.
Era... bellissimo!
Il peasaggio ritraeva la storia de: “Il Bel Trenino Rosso che andò al Mercato ed Esplose, Uccidendo tutti i Bambini ”. L’ intero giardino era attraversato da un trenino rosso a grandezza naturale, che procedeva velocemente su delle rotaie nuove di zecca. Ad un albero erano legati alcuni bambini castofioresi che, sotto minaccia di Roberta, ripetevano: “Analfabeta! Analfabeta!” ogni volta che il trenino passava. Vi era una bambola con un microfono all’ interno che recitava la parte del mercante di carburante, una stazione, con tanti trenini dai diversi colori che uscivano ed entravano. C’ erano persino delle mucchine robot che muggivano ogni cinque secondi.
“R-ragazzi ma... è stupendo! Come avete fatto a...”
“N’amico picciotto d’Hollywood.” disse semplicemente Nik.
“Chi? Conosci un regista?”
“Già! Siamo buoni amici di Jeffrey Oglethorpe, il genio che ha fatto il film del libro di Felice MaStronzo. Saliamo sul trenino, va bene, Bummino?” propose Roberta, agitando minacciosamente un mitra davanti ai bambini terrorizzati.
Incominciarono il loro giro, salutando i bambini che ripetevano quella frase come una litania, le mucche robot e i trenini che emettevano del fumo multicolore. Bum-bum batteva le mani ridendo, tanto era eccitato.
“Ragazzi, bravissimi. Sono f-fiera di v-voi.” disse singhiozzando la Tata. Forse, dopotutto, non meritavano quello che stava venendo per loro.
Al terzo giro, Nik mostrò a Bum-bum una piccola scatolina nera, con al centro un bottone rosso sangue.
“Te piace tutto chesto, Bum?”
“Bum... Bum-bum!”
“Be’, allora a te l’ onore.”
Gli tese la scatolina. Bum-bum, con un ghignetto sadico, premette il bottone e, improvvisamente, si sentì un grande-
A casa dell’ autrice (con suo fratello)
“ Scriverai ‘bum’, vero?”
“Vattene.”
“No, devo romperti le scatole mentre scrivi al P.C.”
“Non...lo...farai...”
“Potrei sorprenderti.”
“...Sei mio fratello, ma se non te ne vai entro cinque secondi io giuro che farò-”
“Bum, vero?”
“...Già.Ora sparisci.”
“Non fare la dura.”
“Non sto facendo la dura, voglio solo che tu te ne vada!!!”
“Klara, Klara... a quanto pare non sei un’ amante della scienza...”
“Scusa, ma cazzo centra tutto questo con la scienza?!”
“E’ un nuovo esperimento: cosa succede se una completa fallita sbrocca.”
“Tesorooo...”
“Cosa c’è, mamma?”
“Cosa abbiamo detto sui complessi d’ inferiorità di tua sorella?”
“...Che devo farli aumentare?”
“VA VIA!!! ”
“Cos’ è successo?”
“Credo ci sia stato un inutilissimo flash sul mondo reale, ma non ne sono sicura.”
“Perchè, questo non è il mondo reale?”
“Non mi risulta.”
“Ma siamo nel Molise! Non mi sembra che sia così irreale.”
“Be’... non lo so... allora perchè siamo dei mostri mutanti dai poteri incredibili?”
“Non lo so, Roberta.” la Tata alzò le spalle “Genetica, forse?”
“Ah, be’, sono i misteri della vita. Narratore, dove eri rimasto?”
...Ah, cosa? Siamo nel mondo irreale? Devo andare?
“Già”
Allora, vediamo... Qual è la mia battuta? Ah, giusto!
Gli tese la scatolina. Bum-bum, con un ghignetto sadico, premette il bottone e, improvvisamente, si sentì un grande:
BUM!
Ho detto bene?
“Sì, Narratore, hai detto bene. Torna pure al tuo... qualunque-cosa-tu-faccia...”
Narrare?
“Sssì. Quello.”
D’ accordo. Allora...
Non appena la Tata riaprì gli occhi, era circondata da una densa cortina di fumo. Quando esso fu un po’ meno denso, potè vedere Klara che raccoglieva un occhio e qualche dita e se le ricongiungeva al corpo.
“Mamma mia, ragà! Che figo!”
“Nik, ti prego non urlare. Vuoi rendere la vita più peggiore di quel che già è?”
“C-che è successo?”
“Abbiamo cosparso il terreno di dinamite, cosicchè quando Bum-bum ha premuto il bottone, tutto è saltato in aria.” spiegò Roberta, seguita dai bambini castofioresi, stranamente illesi, da Nik, Gabri e Bum-bum.
Erano tutti riuniti in un gruppetto. La Tata si alzò in piedi, guardandoli tutti. I MEREH scherzavano e ridevano fra loro, naturalmente, mentre i castofioresi si guardavano attorno, terrorizzati. Avrebbe voluto abbracciarli,per farli passare quella paura che quasi sicuratamente gli stava attanagliando. Ma ora aveva altro a cui pensare. Loro erano arrivati.
“Certo che ce ne avete messo di tempo.”
“Ci spiace, Camilla. Forse avremmo dovuto avvertirti.”
“Già forse avreste dovuto. Comunque non stavo parlando con voi.”
“E... allora con chi?”
“Voltatevi.”
I ragazzi, tranne i castofioresi (troppo traumatizzati dall’ esplosione per fare qualsiasi cosa), si voltarono all’ unisono verso delle sagome oscure, appena intravedibili in mezzo a tutta quella nebbia.
“No.”
Ecco. Era questa la parola che la Tata voleva sentir dire da Roberta. Quella parola piena di terrore, che cercava di aggirare la realtà, la crudele realtà.
“Non ce credo.”
Ci dovrai credere, Nik. È la vita. Capire anche la più terribile delle cose.
“Bum!”
“C’ hai raggio’. Proprio raggio’. E’... è incredibile!”
Già, incredibile. Era incredibile ciò che aveva fatto. E con un semplice telefonata.
Klara scosse la testa.
Perchè, con quella telefonata, aveva chiamato...
“Hello, Camilla.”
Il presidente degli Stati Uniti d’ America.
E, naturalmente, lui era circondato dalla Squadra Speciale, dall’ FBI, dalle Forze Armate e persino dalla NASA.
“N-no.”
Ah, come era piena di terrore quella voce, come dovevano essere spaventati i MEREH, come ci godeva a sentire, nelle loro voci, tutto quel... tutto quel...
ENTUSIASMO!!??
“Ma che cavol-?”
“Camì, nun c’ avevi mica detto che volevi fare un regalo a Bummì.”
“Un rega-?”
“Forsa, ragazzi! Tutti al Maniero! Poi loro ci rincorreranno e noi potremo divertirci un po’. Ma la maggioranza deve andare da Bum.” si assicurò Roberta, rivolta alla Tata.
La quale era totalmente disorientata.
“Non... non mi vorrete mica... non penserete che...”
Ma i teen-agers erano già diretti al Maniero.
“Camilla, what’s going on?!”
“Signor Presidente, non è il momento... Io mi nasconderei nell’ elicottero, se fossi in lei.”
“And what about the aliens?”
“Gli ‘alieni’ sono lì dentro. Se vuole proprio rischiare, mandi degli uomini a cercarli. Ma l’ avverto, questo lo farà sentire solo peggio, perchè non funzionerà.”
“What?”
“Quei ragazzi... la stanno prendendo come un nuovo giocattolo...”
“Se, ma... chi cosa... ?” chiese il Presidente, con il suo italiano leggermente maccheronico.
“Vuole sapere che cosa? Questo!” disse Camilla, indicando tutte le guradie del corpo, l’ FBI al completo, la squadra speciale e un numero notevole di cecchini posizionati dappertutto. Una donna castofiorese stava riportando i bambini a casa. “Questo per loro non è niente. E’ un mosca da bruciare, una cacchetta da pestare, una pesca-marijuana da mordere...”
“*-*”
“...Che c’è? L’ ho imparato da loro!”
“Yeah, right...”
“TO’ SENTITO, GIOVANOTTO! ORA BASTA, SONO STUFA DI ESSERE DATA PER MATTA!” e, con questo, saltò al collo più vicino. E indovinate un po’ di chi era quel collo? Ma della First Lady, naturalmente!
E indovinate chi si incavolò? Ma il Presidente e tutte le guardie del corpo, naturalmente! E indovinate chi si slanciò sulla Tata, portandola via di forza, mentre la fortissima Prima Donna riceveva un appasionante respirazione bocca a bocca dal Presidente?
E io che ne so? Curiosoni, lasciate vivere la povera Tata in pace!
Resta il fatto che venne portata via di forza, dove lo scopriremo più tardi.
ATTENZIONE!
Da qui in poi, i soldati americani parleranno italiano, anche se è inteso come inglese.
“Fate piano, non fate nessun rumore.” sussurrò il colonello Jacob Toybroke, entrando di soppiatto nella casa degli alieni. Avrebbe dovuto saperlo! Avrebbe dovuto sapere che quei maledetti dei suoi superiori gli stavano mentendo. Vincere un concorso di cui neanche si ricordava l’ iscrizione, andare gratis nel paese dell’ arte e del mare blu (e della sporcizia, l’ aveva imparato a sue spese), dove le pollastre erano tante e il sole splendeva sempre per pura fortuna? No, a quanto pare no. C’ era del lavoro da fare, e lui era il tipo giuso per portarlo a termine. Tutta la sua famiglia aveva combattuto in almeno una guera americana, e lui non era da meno. Si era dimostrato pieno di tenacia e prontezza di spirito. Però... qui si stava esagerando! Dopotutto, là si trattava di umani, carri armati e armi di cui, almeno, conosceva la funzione. Ma qua si stava parlando di alieni! O mostri... cosi... be’, non importava cosa fossero, ma a quanto pare era tutta una faccenda che poteva mettere a rischio le vite di ogni umano su questa stupidissima Terra, poco importava se veniva compromessa la settimana di vacanza concessali per il compleanno della sua nipotina Susy!
Mentre guidava il proprio gruppo lungo quella bizzarra galleria a cui conduceva quella ancor più bizzarra botola, pensava a quanto fosse ingiusta la vita con lui.
... Ma che discorsi andava a fare! Qui si parlava dell’ amore per la patria. Del proprio onore! Avrebbe guardato in faccia la morte, l’ avrebbe sfidata e non avrebbe avuto paura.
Aprì la porticina alla fine di quell’ oscuro cunicolo, da cui usciva una luce più che abbagliante.
Non avrebbe dovuto dire quelle cose sui suoi superiori. Loro gli avevano dato un’ occosione per provare il proprio coraggio e lui gli chiamava in modi così disdicevoli.
Ecco... il primo alieno (un orribile ragazzino vestito come una sottospecie di rapper) era seduto su di un gigantesco stereo dorato, a braccia incrociate, gli occhi scuri nascosti da un paio di occhiali a lenti nere.
Non sembrava pericoloso. Era un semplice ragazzino sui quindici anni. Era lui che doveva catturare?
Poverino, li faceva quasi pena.
“Ehi, ragazzino! Vieni giù. Ti porteremo in un bellissimo posto!”
“Bella, frate’! Ma che cazzo dici?”
“Ti porteremo in un laboratorio e ti faremo dei test. Possiamo toglierti da questa situazine, basta che vieni con noi!”
“...”
“...Allora, vieni giù?”
Nik aprì la bocca per parlare.
“Tu...”
Poveretto, certo che i suoi superiori erano proprio della grandi persone.
“... TU DE ME NUN CE SAI PROPRIO N’ ACCA!
PERCIO’ SHUT UP, MOTHA FUCKAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA...”
Poverino, gredeva veramente di poter avvicinarsi lontanamente a qualcosa che si avvicinasse al rap.
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA...”
Cosa credeva, che ci volesse solo una stupida rima come quella? No, il rap non era solo quello. La sua voce non era... non era abbastanza... abbastanza...
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA-”
CRASH!
“...Potente.”
Il colonello Jacobe Toybroke era al centro di un oceano di scheggie di vetro, sangue o corpi sfracellati. Certo che quel ragazzino non scherzava.
Non avrebbe mai più assistito al compleanno della sua nipotina Susy.
“Hal water, miei prodi! Non fate i pampini! ”
Una fila infinita di soldati si diresse verso il bagno. Non avevano trovato nulla nel sala da pranzo, e neanche nella cucina. Il capitano (un donnone alto ben 2 metri) Katrina Volfwagen incominciò con l’ aprire i vari cassetti e la tavola del water. Non appena strapparono via la tenda del bagno, i loro occhi si posarono su un bambno sui tre anni, nudo, che faceva il bagno nel succo di ribes. Questo, almeno, fu ciò che si imposero di credere, perchè sotto sotto sapevano che quello era sangue.
“OmmioDio kesto kinder stare facendo bagno nel... nel succo di ribes!”
“E’... è ricco di vitamine, capitano...”
“ZITTO, SOLDATO! QUALCUNO DIA DEI VESTITI A QUESTO... a questo... questo piccolo angioletto!”
Tutti i soldati si radunarono attorno a quel piccolo angelo caduto in quell’ orribile inferno. I biondi boccoli che cadevano, incurati, sulle spalle; gli occhi, simili a zaffiri, che mettevano in risalto il suo raggiante sorriso: tutto lo faceva assomiliare ad un cherubino. Prima di tre secondi, Bummino era avvolto in un asciugamano, tirato fuori da chissà dove, ed era coccolato e strapazzato da tutti i soldati della squadra.
“Lui essere veramente pikkolo tesoro, ja?”
“Ehrm... capo? Abbiamo un problemino...”
“Zut! Tu non kapire nichts di amore materno! Kesto povero piccolo lieb essere rinchiuso in gabbia di matti e tu dire me kalkosa totalmente ovvio kome un problema?!”
“Ma capo, noi abbiamo un problema!”
“Tu essere solo problema ka! Tu andare nell’ angolo con cappello d’ esel, di asino, e pensare a kanto tu essere maleducato!”
“Ok, ok. Ma poi non mi dica che non l’ avevo avvertita dell’ alligatore...”
“Kale alligatore?”
“Quello dietro di lei.”
“Ma ke kos... OH MEIN GOTT!”
Due colpi di pistola, e Ticchete cadde a terra, in un lago di sangue.
“Ma ke altro dovere aspettare noi da posto kome kesto... kinder , perkè tu piangere?”
“Uuh, bum... sigh, sob... buuhuum! Tikbum! Tikbum!”
“Oh, ke karino! Lui essere pikkolo animalista, ja?”
“Zittate...”
“Soldato, stare zitto, vuoi?”
“Non osà dì che so’ uno de’ tuoi soldati da quattro fioretti, brutta porcaccia...”
“S- soldato?”
Katrina si voltò, per poter ammirare la distesa di corpi sanguinolenti per terra, e non si erano aggiunti altri alligatori alla lista dei morti. I suoi uomini... i suoi soldati... tutti erano completamente scarnificati.
“Ma ke kos... RAGAZZI, NON E’ QUESTO IL MOMENTO DI DORMIRE NEL SUCCO DI RIBES!!!”
“Me sembra più che ovvio che so’ morti, no? Gli ho uccisi io, mentre sparavi a Ticchete’, brutta puttana che non sei altro.”
Katrina si voltò verso la porta che dava sull’ atrio, e impallidì vistosamente. Uno degli alieni, con in braccio un Bummino singhiozzante, la guardava con occhi di ghiaccio.
“L’ aveo messo a fare il bagnetto perche’ questo qua’ se doveva tenge’ da esse’ un giorno speciale per Bum-bum e a lui piace de esse’ pulito! Ma tu... tu hai... HAI AMMAZZATO TICCHETE! MA COME CAZZO TE PERMETTI, TU BRUTTA TROIA CHE NON SEI ALTRO? Lui... era l’ unico vero amichetto de Bummino... O’ picciotto e’ sempre stato solo, ma non da quando lui e’ entrato nelle nostre vite. E tu gli hai SPARATO!”
La Volfwagen non sapeva proprio che dire, neanche quando Nik mise con delicatezza Bum-bum a terra e con dolcezza, gli disse di farle ciò che voleva, lei non disse nulla.
Il che era più che strano: infatti chiunque avrebbe com minimo urlato se un bambino di tre anni si fosse letteralmente trasformato in una bomba (ma una vera e propria bomba di metallo, non di quelle con la crema dentro) e le fosse esplosa in faccia.
L’ ultima che vide furono le ceneri della bomba che, lentamente, si ricomosero, fino a formare il corpo del bambino, che stringeva a se’ il corpo agonizzante di Ticchete, l’ alligatore che altro non voleva che fargli gli auguri.
La squadra speciale, con i suoi forti “hop, hop!” di incitamento, si diresse su per le scale, dirigendosi nelle due stanze e nella soffitta dove sicuramente avrebbero trovato gli ultimi tre alieni. Da una porta in particolare, veniva una strana ed attraente luce. Non appena i soldati entrarono nella stanza, si sentirono automaticamente coccolati e al sicuro, come tra le braccia della propria mamma. Una ragazzina sui tredici anni stava cullando una bambola, gli occhi vitrei carichi di un amore quasi triste.
“Ragazzina! Che ci fai qui? Sei una prigioniera deglia alieni?”
La ragazza non fece altro che accarezzare la bambola e darle un tenero bacio. I soldati non si erano mai sentiti tanto amati e a casa. La ragazza adagiò sul letto il pupazzo e i soldati si sentirono sprofondare in un piacevole sonno tranquillo.
All’ improvviso, la giovane sciolse il nastro color lavanda che le legava i capelli. Legò velocemente la bambola al letto e, con una lentezza straziante, tirò fuori un accendino dalla tasca del vestito e diede fuoco alla bambola.
Non tutti credono nel vodoo. Non tutti sanno cosa sia. Non tutti sanno che lo praticano le streghe. Non tutti sanno che la marmellata di limone spalmata sul sedano e’ deliziosa. Non tutti saanno cosa sia la cucina gourment. Non tutti sanno cosa centri questo con questa storia. Non tutti sono perfetti.
Oh, be’, rimane il fatto che il vodoo sia una forma di magia nera, dove si fa ad una bambola cio’ che non vorresti fosse fatto a te, ed automaticamente la pena viene inflitta alla persona che hai in mente. Comodo, eh? Visto che Klara era una strega, anche lei aeva il potere del vodoo.
Circa dopo dieci minuti di urla e gemiti strazianti, della famosa squadra speciale americana non rimase altro che cenere.
Chi non ando’ a destra e scelse la via a sinistra sicuramente non sapeva cosa sarebbe successo di li’ a poco, perche’ andavano incontro alla morte fishiettando e raccontando bazellette. Qualcuno cantava “Nella Vecchia Fattoria”. Li uccelli cantavano e l’ aria era piene di sole e di amore. L’ arcobaleno sfoggiava i suoi sette colori e i prati erano coperti da migliaia di fiori variopinti...
Ok, forse non era proprio cosi’, ma non c’ era una pioggia di meteoriti e nessuna eruzione di magma era in corso, va bene? Resta il fatto che, non appena entrarono nella stanza di Roberta, l’ allegria svani’ all’ istante. Non diamoli torto, non credo sareste molto allegri se vi avessero mandato a combattere contro un alieno che dorme beato come se fosse domenica su di un trono fatto di ossa, con le stanze completamente tappezzate da tutte le armi possibili ed immaginabili (a quanto pare, seppur inconsciamente, l’ Italia la bomba atomica ce l’aveva) e con due rozzi cagnacci neri che le leccavano affettuosamente le mani come se fossero fatte di caramella gusto lampone.
“Ehi, psst...Uomini! dobbiamo prenderla di sorpresa.”
“Giusto, sergente. No si deve svegliare per nessun motio al m...”
“Etciuuu’!!!”
“....Soldato.... che .... cosa.... stai.... facendo?””
“...Ehrm... scusatemi... e’ l’ emozione, sapete....”
“SOLDATO, MA SEI UN CRETINO? ORA L’ ALIENA SI SVEGLIA E NOI SAREMO...”
“Mmmh... e’ gia’ ora di alzarsi?”
“Oh cazzo! Presto, chi conosce un ninna nanna?”
“IO!”
“Bene, fai il tuo dovere, soldato...”
“... ehrm... va bene... ora ci provo...
- · Roberta: Per aver preso in mano quel famoso libro, durante le vacanze ad Abruzzo, ed aver dato origine a tutto questo. Per essere sempre li’, pronta a consigliarmi e ad aiutarmi. Vorrei poterti ricambiare cosi’ tante volte, ma le occasioni sono rare. Per essere cosi’ stramaledettamente simpatica ed un’ ottima amica. Per tutto cio’ che fai per me e per gli altri.
- · Gabriele: Per quella frase su Dio, cosi’ incredibilmente deprimente, si e’ mostrata incredibilmente divertente. Altresi’ ti ringrazio per i consigli che mi hai sempe dato: da come costruire una casa di foglie per le lucertole alle ripetizioni di matematica. Ti stimo!
- · Nicolas: che dire, ci conosciamo da sempre, e tu sai piu’ di chiunque altro come mi hai aiutato. Non credo che ci siano parole che possano esprimerlo, ma sei il migliore, fratellino, e per questo non posso far altro che ringraziarti.
- · Thomas: Buuum! Hai solo sette anni e non sai ancora leggere questa minuscola scrittura. Ma un ringraziamento a te, caro piccolo fuchino, te lo devo proprio fare! Ti voglio bene, scusa se ho poco tempo per giocare con te.
E grazie anche a tutti coloro che hanno letto questa storia.