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Autore: Dils    24/10/2010    1 recensioni
Sabrina è una sedicenne dal carattere solare e aperto, una passione per i libri e gli accessori, una relazione (amicizia?) complicata e una migliore amica che adora più della sua stessa vita.
Alice è una sedicenne estroversa, un pò pazza, con la passione per la musica, sognatrice e alla disperata ricerca dell'amore della sua vita. Ma l'unica persona che al momento ha intenzione di lasciare nel proprio cuore è Sabrina, la sua migliore amica.
E se le loro strade si incroceranno con i Jonas Brothers?
Quella, ne era sicura, si pronosticava l’estate più incredibile che avesse mai passato.
Storia scritta a quattro mani con Maggie_Lullaby.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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You belong with me.


 

Capitolo 1.

«Joseph Adam Jonas, non è possibile che tu sia sempre in ritardo!» strillò Angela Jonas, battendo sulla porta della camera del ventenne.

«Un attimo, zia, i capelli non mi stanno bene» si lamentò Joe, urlando, mentre continuava a mettersi a posto la capigliatura spettinata.

Angela, i capelli biondi stetti in una treccia lunga e fluente e un abito celeste che le avvolgeva il fisico esile, sbuffò, ticchettando le dita lunghe e affusolate sul legno della porta.

«Tua madre si risposa e tu pensi ai capelli?!» domandò. Suo nipote era vanitoso, lo sapeva perfettamente, ma non sino a quel punto.

«Voglio farle fare bella figura» ribatté il ragazzo, irritato.

«Peccato che la cerimonia inizi tra tre minuti e tu non sei ancora pronto. Cosa pensi che accadrà quando tua madre si ritroverà senza testimone di nozze?»

«Angie, sei vagamente nevrastenica, te l'ha mai detto nessuno?» chiese Joe, aprendo finalmente la porta e mostrandosi nel suo smoking nuovo di zecca.

La donna trattenne appena un sorriso al tono che aveva usato il ragazzo e montò una finta espressione di irritazione.

«Muoviti!»

«Sissignore, signora!» disse lui, facendo un saluto militare e scappando via, incespicando.

Angela lo seguì per qualche istante con lo sguardo.

«E cerca di non cadere!» gli gridò dietro, ricevendo in cambio un pollice alzato, come per indicare che aveva capito.

Joe corse per i corridoi semi deserti della sua casa in Texas, a Dallas, e si maledì per il ritardo. Erano già tutti in giardino, pronti per cominciare il matrimonio e lui, il testimone di sua madre, non c'era. Tipico.

Schizzò fuori dalla porta principale, rischiò di inciampare in un tavolino vicino alla piscina, e raggiunse di corsa il prato dove era stata posizionata qualche decina di sedie e, in fondo al tappeto bianco in mezzo ad esse, c'era un gazebo dove un uomo vestito di nero aspettava con un piccolo libro di cuoio scuro in mano.

Joe lanciò un'occhiata veloce agli invitati, tutte persone conosciute, per lo più parenti e amici stretti, vestiti con i loro abiti migliori. Sotto al gazebo, accanto a suo padre, Paul Kevin Senior, c'era suo fratello ventiduenne Kevin, vicino a una delle damigelle d'onore, nonché sua moglie, Danielle.

Nick non c'era. Non ancora, almeno, sarebbe entrato più tardi, accompagnando loro madre, Denise, all'altare.

Di nascosto si infilò nel gazebo, accanto a Maya, la migliore amica di Nick, nonché altra damigella al matrimonio.

«Dov'eri finito?» sibilò la ragazza, bellissima nel suo abito di seta rossa, i capelli corvini raccolti in uno chignon e il viso elegantemente truccato.

«Lascia perdere.»

Sbuffò, per poi montare un sorriso di perfetta serenità sul suo volto da bambino e fu come se fosse stato sempre lì.

Per il loro venticinquesimo anno di matrimonio suo padre e sua madre avevano deciso di rinnovare i loro voti matrimoniali, risposandosi con una cerimonia semplice, solo con gli amici più stretti e la famiglia, nella loro casa di Dallas. Se l'avessero svolta a Los Angeles ci sarebbe stato troppo scalpore.

Paul Senior voltò la testa e gli rivolse un'occhiata piena di rimprovero per la sua solita apparizione all'ultimo minuto, ma prima ancora che potesse dire una parola il pianista prese a suonare la marcia nuziale.

Di colpo tutti gli invitati si guardarono alle spalle e dopo pochi secondi apparve Denise, stretta a braccetto con il figlio diciassettenne Nicholas.

Denise non era mai stata così bella. Indossava lo stesso abito del suo primo matrimonio, di raso bianco, semplice anche se elegante, che sfiorava il tappeto in terra. Non portava veli sulla testa o diademi, ma aveva una pettinatura complicata con una spilla incastonata di rubini regalatele da sua madre, Cinzia.

Nick, al suo fianco, sostituiva il padre scomparso anni prima per un malore, il volto serio e composto come sempre ma con un sorriso dolce che gli inarcava le labbra, con lo stesso modello dello smoking dei due fratelli maggiori.

Nick pose la mano della madre su quella del padre e si ritirò, mettendosi vicino al più piccolo dei fratelli Jonas, Frankie, che teneva tra le mani un cuscinetto di velluto le vecchie fedi dei genitori, che si erano sfilati per l'occasione.

Il pastore sorrise a Denise e Paul Senior ed iniziò a parlare.

Fu una cerimonia breve, e quando entrambi dissero “sì” la folla scoppiò in urla e battiti di mani festosi, alzandosi quando i due coniugi si scambiarono un tenero bacio.

I quattro fratelli Jonas sorrisero felici alla scena ed istintivamente gli sguardi di Danielle e Kevin si incrociarono, ricordando quello stesso momento accaduto a loro sei mesi prima.

Il matrimonio conseguì in un elegante banchetto sul retro della casa, con un paio di camerieri che giravano tra gli invitati versando champagne e tortine, mentre una canzone dolce e romantica iniziava e Paul e Denise iniziavano il loro primo ballo, seguiti dopodiché da Joe, a braccetto con una delle sorelle di Danielle, sua grande amica, Nick insieme a Maya ed infine Kevin con Danielle. In poco tempo la gran parte degli invitati stava danzando.


My heart has wings, oh you take me away.

And every prayer I’ve ever prayed was answered today.

So I’m standing here, with my hand held out,

Knowing that my love will never leave.

My heart on my sleeve and now I believe.

{Coffey Anderson.


Sabrina si sedette stancamente su un vecchio muretto di pietra, osservando il cielo azzurro sopra di lei. La leggera brezza estiva le scompigliò i capelli, facendo in modo che dalla crocchia in cui aveva costretto i lunghi capelli lisci color cioccolata le cadesse una ciocca proprio davanti agli occhi. Sbuffando, la scostò velocemente portandola dietro al suo minuscolo orecchio, conscia che non sarebbe rimasta lì a lungo. Aveva delle orecchie davvero minuscole, come non mancava mai di ricordarle Alice, la sua migliore amica.

Sorrise. Tra pochi minuti l’avrebbe riabbracciata. Era solo qualche settimana che lei e la sua famiglia era partita per le vacanze e già ne sentiva la mancanza. Da che ricordasse avevano sempre fatto tutto assieme: prime parole, primi passi, stessa classe dall’asilo, compleanni, festività, vacanze, ma soprattutto pazzie. Tante, belle, storiche, pazzie che avrebbe potuto condividere solo con lei. Eppure quell’anno, causa il troppo lavoro che teneva occupato Daniele, il compagno di sua madre, era stata costretta a rimanere a Milano senza partire, come di consueto, insieme ai genitori e fratelli, per le vacanze (che quell’anno sarebbero dovute essere in Egitto), con la promessa però che si sarebbero riviste a metà Giugno, nella casa estiva che le loro due famiglie avevano comprato da quando avevano cinque anni, in uno sperduto –e meraviglioso- paesino tra le colline Toscane.

Lanciò uno sguardo alla strada sterrata davanti a lei, sperando di vedere l’ormai familiare “Toyota” grigio scuro, naturalmente invano.

Perché accidenti il tempo non passava più? Era da soli cinque minuti che si era seduta ad aspettare la sua amica, eppure sembrava un’eternità!

Per un attimo si lasciò cullare dal vento, chiudendo gli occhi e ascoltando il silenzio assoluto che la circondava. Come previsto, la ciocca di capelli le sfuggì ancora una volta, ma lei non se ne curò, anzi, con un gesto veloce liberò il resto dei capelli permettendo al vento di scompigliarglieli più del dovuto, più di quanto avrebbe mai permesso a chicchessia: i suoi capelli erano assolutamente sacri. Toccarli equivaleva a un vero e proprio desiderio di morte, figuriamoci scompigliargli. Il lontananza sentiva le voci di sua madre e Daniele, colui che considerava ormai un vero e proprio padre, che discutevano su un qualcosa che da quella distanza non riusciva a capire.

Aprì gli occhi, lanciando un’occhiata dietro di lei, ma tutto quello che riuscì a vedere fu una figurina di non più di un metro e venti, dal sorriso sincero e lo sguardo vispo.

Suo fratello. Sei anni di pura vivacità, furbizia e intelligenza. Dire che l’adorava era a dir poco, avrebbe dato la vita per quello scricciolo.

«Hai bisogno di qualcosa, Lore?»

Lui annuì, serio e risoluto, come se stesse portando a termine un’importante missione.

«Mamma ha detto che devi sistemare le valigie prima che arrivi Alice», rabbrividì al pensiero delle due valigie e mezzo –senza contare il beautycase, eh- che l’aspettavano in camera, sadiche, pronte ad essere svuotate dalle migliaia di vestiti, scarpe, accessori e trucchi. Senza parlare dei suoi libri, che occupavano un intero borsone. Accidenti a lei e alla sua tendenza a farsi prendere la mano. «… io ho già sistemato la mia! Te l’ho detto che quest’anno divido la stanza con Matteo? Eh, Sabri?»

Lei annuì velocemente al fratello, ancora persa nei suoi pensieri, senza capire cosa stesse realmente dicendo, finché non si concentrò su una terrificante quanto lieta parola: Matteo. Se avrebbe diviso la stanza con Lorenzo significava che anche lui, a discapito di quanto le avevano detto, avrebbe passato l’estate con loro, ohcazzo.

Diverse sensazioni le attraversarono, da una parte c’era la felicità di rivedere il suo amico, dall’altra la consapevolezza che, quell’amico, oramai, non poteva più essere definito tale, e ciò le faceva non poca paura.

Non riuscì a formulare altri pensieri che il rumore familiare di una macchina la fece girare, provocandole un sorriso sincero e una strana sensazione allo stomaco. Lentamente, più lentamente di quanto riuscisse a sopportare, la macchina frenò davanti a loro e, in un attimo, come una furia, una figura dai capelli biondi e il fisico magro, scese dalla macchina stritolandola in un forte abbraccio. Alice.

«Hey… Ali… così… mi… strozzi!»

La suddetta interessata sembrò non averla sentita e, a discapito di quanto le aveva detto, la strinse ancora di più. Finalmente, quando si staccarono, si ritrovò davanti lo sguardo sincero e allegro, che tanto le era mancato, gli occhi verdi striati di grigio, molto più in alto di quanto lei, bassa e minuta, potesse mai arrivare, la pelle bianca, i capelli color miele, mossi e sbarazzini, proprio come lei. Dopo di lei, con atteggiamento da piccola diva, scese la sorella minore di Alice, Melania, che, dopo averla salutata con un cenno veloce, si incamminò altezzosa verso casa. Lei e Alice si guardarono, alzando in contemporanea le sopracciglia, per poi scoppiare a ridere convulsamente.

Quasi in contemporanea Alessandra fece la sua comparsa, salutandola con un dolce abbraccio e un buffetto amorevole, era come una seconda madre, per lei, la conosceva praticamente da sempre e non poteva non considerarla tale.

In fine, eccolo scendere lentamente dall’auto, con una lentezza esasperante. D’altro canto lei seguiva la scena in ogni dettaglio, quasi come se fosse un rallenty, osservando ogni suo piccolo particolare. Le gambe magre, la pelle chiara come quella della sorella, il fisico scolpito dopo anni di nuoto, i capelli corti, quasi rasati, i lineamenti fini e ancora infantili, nonostante avesse ormai diciassette anni, i vestiti semplici ma d’effetto, e infine i suoi occhi: azzurri e profondi. Capaci di farla perdere in mondi lontani senza che nemmeno lei se ne accorgesse. Matteo.

«Ciao Sabri!» Un sorriso sincero e allegro, tanto grande da riuscire ad illuminare tutto ciò che lo circondava; lei compresa, ovviamente e, forse, inevitabilmente. Sorrise di rimando, timidamente, in un modo che non era decisamente da lei, sempre allegra e solare, avvicinandosi al ragazzo per farsi stringere in un caldo –e rassicurante- abbraccio.

Quella, ne era sicura, si pronosticava l’estate più incredibile che avesse mai passato.

Everyone knows it's meant to be, falling in love, just you and me
'Til the end of time, 'til I'm on her mind It'll happen.
I've been making lots of plans, like a picket fence and a rose garden
I'll just keep on dreaming… but it's cool cause we're just friends.

{Jonas Brothers.



«Danger, hai finito di preparare le valigie?»

Joe Jonas era adirato. Suo fratello era entrato in casa solo due ore prima, annunciando che aveva prenotato i biglietti aerei per l’Italia per l’indomani, e osava chiedere se, in sole due ore, aveva finito di preparare i bagagli per tre mesi? Gli ci voleva come minimo una settimana di anticipo!

Appena finito il matrimonio, a Denise era venuta la brillante idea di spedire tutti i suoi quattro figli, senza ammissione di replica, poco importava se due quarti erano maggiorenni e totalmente capaci di badare a se stessi, in Italia con la loro nonna materna, Cinzia, momentaneamente in America, che riuscivano a vedere assai poco a causa della distanza e dei loro impegni lavorativi. Tutti ne erano stati entusiasti, ovviamente. Avevano proprio bisogno di una vacanza lontano da fan impazzite e giornalisti inopportuni, e inoltre l’Italia l’aveva sempre affascinato… Ma era materialmente impossibile per lui preparare dei dannati bagagli in due dannate ore!

«Kev, se non volessi bene a tua moglie, ti saresti già ritrovato morto. Quindi taci.»

Kevin entrò in camera del fratello e rimase scioccato. Il letto era completamente ricoperto di borsoni e valigie di pelle, pressoché completamente piene di vestiti e oggetti non ben definiti, tra cui riconosceva alcuni degli occhiali preferiti di Joe, un portatile, degli spartiti e una telecamera. La cabina armadio, una volta contente i suoi amati vestiti, era aperta e ormai completamente vuota, Kevin supponeva che i vestiti sparsi per tutta la stanza, tra cui il pavimento, provenissero proprio da lì. Il resto della camera poteva benissimo essere riassunto con la parola porcile.

«Joe ma che hai combinato? La terza guerra mondiale per caso!?»

Il diretto interessato, però, non solo non rispose ma lanciò un’occhiataccia al fratello.

«Mi devi aiutare.»

«A fare…?»

«Le valigie.»

Questa volta fu il turno del maggiore a guardare male l’altro. «Joe, caro fratellino mio, ho una casa e una moglie da cui tornare. Non posso rimanere qua tutto il giorno a fare una cosa che potresti benissimo fare da solo.»

Joe Jonas, a quel punto, sfoggio l’arma internazionale, di incredibile efficacia, per persuadere chicchessia: gli occhi dolci. Come poteva, vi chiederete, Kevin non provare pena per un ragazzo così dolce tale era Joe? Ebbene, che ci crediate o meno, quella sera Joseph rimase in totale solitudine a cercare di fare in tempo i bagagli.

Una notte insonne, due crisi isteriche, una corsa a prova di film d’azione per arrivare in tempo all’aeroporto, quindici ore di volo e due di macchina dopo, alla prime ore di una tiepida mattinata estiva la famiglia Jonas intravide, in lontananza, il paesino di cui avevano tanto sentito parlare ma che non avevano mai avuto la possibilità di vedere.

Nick Jonas non era mai stato un tipo loquace o estroverso, anzi, preferiva di gran lunga starsene rinchiuso in camera a suonare che andare a quel insulsa festa, eppure suo fratello Joe non era dello stesso avviso. Quando i loro genitori gli avevano dove sarebbero andati in Italia, aveva espressamente detto loro di non farsi riconoscere, di non fare le cose in grande, ma evidentemente, nonostante le raccomandazioni, a Joe il concetto di “rimanere in incognito” non gli era arrivato. Fu così che i Jonas arrivarono nel piccolo paesino nei pressi di Pienza accompagnati da un piccolo, si fa per dire, camion guidato da Big Rob e contente tutto ciò che Joe riteneva di vitale importanza per sopravvivere; non quella che si chiama un’entrata sobria insomma.

«Allora, che ve ne pare?» chiese tutta sorridente Cinzia, certa che sarebbero rimasti a bocca aperta.

Quel posto era a dir poco… magnifico. C’era un senso di totale pace, serenità, che sarebbe potuto rimanere per sempre a osservare il panorama senza stancarsi mai. Il villaggio era composto da poche abitazioni e qualche negozietto, sembrava di essere finiti in un film anni venti tanto era isolato dal resto del mondo, i contadini erano cordiali e, dovunque andassi, tutti ti riservavano un sorriso sincero. Tutt’intorno non si vedeva che campi, verdi colline, e animali al pascolo. Sì, quel posto era il luogo ideale per alleviare lo stress accumulato durante l’anno.

«Wow». Sussurrò Joe, con la bocca schiusa in una smorfia di stupore.

Cinzia sorrise alla loro reazione, anche a lei, nonostante abitasse in quel luogo da più di cinquant’anni, ne rimaneva ogni volta affascinata. Si poteva sentire la magia scorrere attraverso gli alberi, la storia in ogni vecchio edificio, la semplicità nei passi della gente.

Non avrebbe mai cambiato quel posto con qualsiasi grande città. Mai e poi mai.

«I Jonas sono qua!» Gridò il mezzano, aprendo il finestrino, contro il cielo.

«Joe, te ne vuoi stare zitto!?!» Malgrado l’acido commento, il ragazzo sorrise al fratello e lo abbracciò «Su, Nicky, non essere triste… E’ estate!» Nick cercò di fare il serio per non darla vinta a quella sottospecie di essere vivente che aveva come consanguineo, davvero, ma come poteva restare serio davanti a una faccia come quella? E insieme scoppiarono a ridere. Oh, come era bello stare in famiglia.



In our family portrait we look pretty happy
we look pretty normal, let's back to that.

{Pink.



Sabrina, le mani incrociate al petto, osservò divertita Alice che si stendeva sul muretto su cui erano sedute da più di un'ora.
Alice la guardò dal basso verso l'alto, ridacchiando senza perché, vedendo l'espressione di Sabrina.
«Cosa c'è di divertente, ora?», domandò la mora, scostandosi i capelli scuri dagli occhi blu.

«Hai una strana faccia vista da questa angolazione», disse molto intelligentemente Alice, i capelli corti e biondi sparsi a ventaglio sui mattoni duri del muretto.
Sabrina scosse il capo, ridendo di gusto, voltando il viso sottile verso il sole che, lentamente, stavo calando dietro le colline toscane.
Ecco cos'era che amava di quel posto, la calma, la serenità, il silenzio e soprattutto quello spettacolo meraviglioso che era il tramonto. A Milano non avrebbe mai potuto ammirarne uno simile.
Si strinse le spalle nella sua maglietta larga a maniche corte, rabbrividendo per una veloce folata di vento, guardando di nuovo la migliore amica.
Le loro famiglie non sapevano mai dove loro due andavano a cacciarsi durante le loro gite, e non gli importava, dicevano soltanto di essere puntuali alle otto per cenare, ed era sempre stato così.
«Davide mi ha chiamata di nuovo», disse Alice, a un certo punto, nel loro silenzio quasi innaturale.
Sabrina sgranò gli occhi, stupita, guardandola bene.
«Cosa dice?», domandò, incuriosita da quel gesto così insolito. A scuola sapevano tutti che Davide stravedeva per Alice, non perdeva occasione per invitarla ad uscire, seppur in comitiva, e un paio di volte anche da soli, ma tra loro non era successo mai niente, anche a causa dell'inizio dell'estate e nessuno dei due voleva cominciare una relazione sapendo che si sarebbero a malapena visti per tre mesi interi. Davide, solitamente, poi, l'estate spariva, e solo in Settembre ricominciava a farsi sentire. Era strano, quindi, che si fosse fatto sentire con Alice.
«Mi ha chiesto dove sono, con chi... Lui è a Milano», sospirò, «dice che gli manco».
Sabrina spiò l'espressione della migliore amica con cipiglio curioso a causa del suo tono di voce spento, scontento.
«E non ti fa piacere? Ti piaceva fino a un mese fa...», tentò di capire la mora.
«Ma è stato un mese fa, io... Non lo so, penso che se due persone stanno bene anche quando sono separate e provano qualcosa di forte l'uno per l'altra c'è qualcosa che non va; dovrebbero sentirne la mancanza, non il contrario», spiegò stancamente. «Lui non mi manca affatto, anzi».
Sabrina non seppe aggiungere alcunché.
Rimasero in un silenzio sospeso alcuni minuti, osservando il cielo colorato di rosso e di arancione.
«Te, invece, che mi dici?», domandò la bionda, negli occhi una nuova malizia, sbattendo le ciglia e osservando Sabrina con un sorrisetto ammiccante.
Sabrina arrossì appena, scostando il capo verso il basso mentre le gote le si tingevano di rosse.
«Cosa?», chiese con finta innocenze, rialzando gli occhi solo quando fu certa che il rossore di fosse spento.
«Oh, andiamo», fece Alice, mettendo le ginocchia sotto il mento, di nuovo allegra. «Sai benissimo di chi sto parlando».
La mora si mise una ciocca di capelli in bocca, grattandosi la punta del naso alla francese, dondolandosi sul muretto nervosamente.
Era vero, sapeva esattamente di chi Alice stesse parlando, solo voleva evitare anche solo di fare il suo nome.
Ma Alice la conosceva meglio di chiunque altro, da sempre, e sapeva che non avrebbe resistito a lungo alla sua occhiata di traverso mista a quel sorriso malizioso.
«Cosa ti devo dire?», cedette la mora, come da copione, riprendendo a torturarsi le mani.
«Ti ha chiesto di uscire? Vi siete baciati? Che avete fatto quel pomeriggio quando vi ho lasciati soli?», iniziò a chiedere a raffica Alice, trionfante.
«Sì, mi ha chiesto di uscire; no, non ci siamo baciati; quel pomeriggio ci siamo solo tenuti per mano», rispose Sabrina, rievocando nella sua mente le immagini di quella meravigliosa giornata in cui ogni cosa pareva essere al suo posto. Matteo che la stringeva, la abbracciava, le teneva la mano e giocava con i suoi capelli, che la prendeva per la vita, che cercava le sue labbra sfuggenti.
Matteo, il fratello maggiore di Alice. Il fratello della sua migliore amica. Il suo migliore amico.
Alice stravedeva per loro due come coppia, era come se il fatto che il suo adoratissimo fratello maggiore fosse completamente innamorato della sua migliora amica che, tra l'altro, ricambiava fosse il sogno di una vita. Non perdeva occasione per lasciarli soli, sperando magari in un bacio o, anche, qualcos'altro; era quasi ossessionata tant'è che quando, qualche tempo prima, Matteo aveva osservato quanto fosse carina Beatrice, un'altra sua amica, poco era mancato che gli tirasse uno schiaffo.
«Beh, siamo in vacanza insieme», disse Alice, senza demordere. «Non vi sarà difficile starvene un po' da soli, o uscire solo voi due».
Sabrina annuì poco convinta; Alice, su quel punto, era più testarda del solito perché non voleva capire come mai lei e Matteo non si mettessero insieme. Era accecata, quasi, dall'idea di amore eterno tra la mora e il fratello.
Ma era proprio quello il punto. Matteo era il fratello di Alice. Sabrina anche. Matteo era il migliore amico di Sabrina. Se le cose non avessero funzionato – e dato l'età era quasi sicuro al cento per cento – il rapporto si sarebbe incrinato a tal punto da dover mettere anche Alice di mezzo. E poi il rapporto d'amicizia che avevano lui e la mora era qualcosa di unico, non volevano perderlo.
Sabrina non si sentiva pronta.
Alice lanciò un'occhiata all'orologio che aveva al polso e scese dal muretto, pulendosi il retro dei jeans dalla polvere.
«È meglio se ci avviamo», disse allegramente, porgendo una mano a Sabrina per farla scendere.
La mora la prese e la seguì, mettendosi a braccetto, iniziando a parlare del più e del meno, chiedendosi cosa fare il giorno dopo.
Ma anche se con il corpo era a braccetto con Alice, con la mente Sabrina si trovava tra le braccia di Matteo.


Keep smilin’, keep shinin’
Knowin’ you can always count on me, for sure
That’s what friends are for
For good times and bad times
I’ll be on your side forever more
That’s what friends are for.

{Dionne Warwick.

  
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