Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: __indelible    24/10/2010    7 recensioni
Non riuscii più a muovermi. Non sentivo le gambe, non sentivo nulla. Non sentivo i rumori. Non sentii lo schianto, né le grida. Ma il mio cuore si accorse subito di ciò che era successo, anche senza vederlo. Riuscii quasi a sentirlo rompersi, spezzarsi e volare via, in un qualche paradiso. Solo allora capii di cosa davvero avevo paura.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale, Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
neverleaveme

Never Leave Me

« Questa è la promessa che si sono fatti Alice e Jasper,
questa è la promessa che verrà infranta. »

 

Avevamo fallito, miseramente fallito. Stavamo tornando a mani vuote, come quando ce ne eravamo andati. Stavamo andando incontro alla morte.
Non avevo mai pensato di morire, prima di allora. Non così seriamente. Ero certa che invece sarebbe successo qualcosa. Un sesto senso che mi diceva “Non andare Alice, non andare”.
Ma non avrei abbandonato la mia famiglia. Anche se questo avrebbe significato morire. 
Stavano per iniziare a combattere, quando arrivammo. Entrammo nella radura silenziosi, passando da dietro, sentendo i mormorii cupi che ci lasciavamo alle spalle, mentre attraversavamo le file dei nostri.
Quando arrivai davanti allo sguardo di Edward, per poco non mi misi a singhiozzare.

Ci abbiamo provato, Edward. Ma non ci siamo riusciti.
«Non è colpa tua, Alice», mi rassicurò con un mormorio basso.
Avremmo combattuto. E saremmo morti tutti.
 
Fu così che iniziò il combattimento. Tutti contro tutti, pregando che almeno uno di noi si salvasse. Jake e Nessie erano partiti. Ringraziai Bella, che aveva seguito il mi consiglio.
Non ci era mai andata così male. Non avevamo mai dovuto combattere contro di loro. Non in modo così violento.
«Demetri lo voglio io», mormorò Edward.
« Jane è mia», continuò Bella.
«Felix è mio», mormorò Jasper.
«Alec è mio», sibilai. Se dovevo morire, tanto valeva morire per qualcuno che odiavo davvero. Tanto valeva provarci.
«Io penso a Chelsea», continuò Rose.
Rimanemmo a fissarci in cagnesco, fino a quando Aro non alzò lentamente la mano destra. Era il segnale. Era l’inizio della fine.
 
Il campo di battaglia era enorme. Riuscivo a sentire le grida degli sconfitti, il ringhiare torvo degli avversari, la risata fragorosa di qualcuno.
Non mi voltai alla ricerca della persona che amavo, no. Non potevo dirgli addio. Perché in qualunque luogo fossimo finiti dopo la nostra morte, l’avrei rivisto. Quella certezza, mi fece sentire un po’ meglio.
«Sbaglio o hai chiesto di me?», sussurrò suadente Alec, mentre si avvicinava.
Sorrisi, beffarda. «Che c’è, preferivi qualcuno di più grosso?», mormorai sprezzante. Mentivo. Ogni parola, era una menzogna. Ogni parola era calcolata nel mio cervello, per non far capire quanto in realtà fossi terrorizzata. Perché lo ero, si. Ero terrorizzata. Completamente.
«Uno vale l’altro …».
Stava cercando di usare il suo potere, lo sentivo chiaro. Si stava sforzando di superare il muro di Bella. Mi chiesi quanto poteva resistere mia sorella con il muro alzato. Non ci sarebbe voluto molto.
Eppure non accadde niente. Rimasi a osservarlo, quasi più sorpresa di lui quando intuii che era più forte di quanto mi aspettassi. Almeno, non sarei morta senza provare né sentire nulla.
Da quel momento, il suo bel visino, si fece più contratto, mentre cercava di prendermi. Povero illuso. Una volta tanto che il mio potere serviva, pensava di raggirarlo così facilmente?
Schivai una sua mossa a sorpresa per un pelo, andandomi a schiantare contro qualcosa. Contro qualcuno. Non riuscii a voltarmi, perché mi ritrovai davanti mio marito, che parò un colpo di Alec.
«Che ci fai qui?», mormorai a voce bassa.
«Felix sembrava più potente di quanto non fosse», mormorò in risposta. «Vai ad aiutare Rose. Chelsea è in gamba …».
Annuii, mentre mi voltavo. Mi resi conto che mi ero schiantata contro Emmett. Stavo quasi per andarmene, quando misi a fuoco Bella. Jane la stava per colpire. Rimbalzò più indietro, senza scomporsi. Ma vidi il terrore nei suoi occhi. Poteva esserci soltanto una risposta, a quel terrore. Lo scudo. Glielo lessi negli occhi.  Rimbalzava attorno a lei, lasciando scoperti i nostri famigliari. Si ricompose subito, allargandolo di nuovo. Ma era troppo tardi.
Riuscii a sentire il gemito soffocato di qualcuno. Un secondo. Due secondi. Lo schianto.
Non è lui, non è lui. Pregavo, nella mia testa di non avere avuto l’intuizione giusta. Mi voltai piano, mentre smettevo di respirare.
Fu allora che lo vidi. Ranicchiato e dolorante, affianco a un albero, mentre tentava di rialzarsi. Mentre Alec gli correva incontro, un sorriso perfido sulle labbra.
Fu allora che mi crollò il mondo addosso.
«NO!», gridai. Si voltarono tutti, tutti verso di me. Tutti tranne Jasper e Alec.
Feci per iniziare a correre, ma qualcuno mi stringeva. Non mi voltai a controllare. Quel profumo poteva appartenere solo a Edward.
«Mollami», ringhiai.
«Alice, no».
«Lasciami andare! Lasciami andare a salvare mio marito!»
Non mi mollò, rimase a fissarmi.
«Dio, Edward, mollami subito!»
Ma era troppo tardi. Spostai lo sguardo da Edward e lo posai su Jasper. Era steso, dolorante. «No no no!», strillai sempre più forte.
Mi scrollai Edward di dosso, mentre gli correvo incontro. Mi chinai su di lui e lo baciai.
«No, Jazz, no. Non lasciarmi, ti prego. Ti amo», mormorai con voce soffocata.
Edward mi corse incontro e mi prese via, prima che Alec riuscisse ad attaccare.
Non riuscii più a muovermi. Non sentivo le gambe, non sentivo nulla. Non sentivo i rumori. Non sentii lo schianto, né le grida. Ma il mio cuore si accorse subito di ciò che era successo, anche senza vederlo. Riuscii quasi a sentirlo rompersi, spezzarsi e volare via, in un qualche paradiso. Solo allora capii di cosa davvero avevo paura.
Non era la mia morte, no. Era la sua. Avevo sempre avuto paura di questo. Senza di lui la mia vita non aveva senso. Ero morta quando lui era morto. Ero morta quando Edward mi aveva salvato. Ero morta. Non desideravo altro che morire.
No, non era esattamente così. Non desideravo altro che Alec morisse. Poi sarei morta anche io. Alec sarebbe morto. Quello sarebbe stato il mio obbiettivo. Finito quello, mi sarei tolta la vita. Tanto non aveva più un senso, senza di lui.
 
Non so per quanto tempo rimasi ferma, in quella posizione. Gli occhi e le labbra serrate, persa nel mio dolore. Le mani che stringevano l’erba sulla quale Edward mi aveva appoggiato. Le ginocchia appoggiate a terra, immobili da chissà quanto tempo. Le spalle curve, tremanti.
Udii i gridolini di gioia dei nostri famigliari, ma non mi unii a loro. Avevano vinto, si. Ma io avevo perso tutto.
Ringraziai che Peter e Charlotte se ne fossero andati, prima della battaglia. Farmi vedere in quello stato, li avrebbe insospettiti. E mi avrebbero fatto mille domande. A cui avrei dovuto dire la verità, dire cosa era accaduto ad alta voce. Non sarei mai stata in grado di farlo, no. Mai.
«Alice », mormorò una voce lontana.  Esme. L’unica persona che sembrava ricordare che lui …
Non mi voltai, non ero in grado di farlo.
Sentii le sue mani calde che mi sfioravano il capo.
«Mi dispiace, Alice», sussurrò singhiozzante. «Mi dispiace davvero».
Mi strinse, goffa, dato che non avevo cambiato posizione.
«Non … non è colpa tua», mormorai in un sussurro così basso che non ero certa che mi avesse sentito.
Sentii Bella avvicinarsi. Quanto tempo sarebbero rimasti a guardarmi? Non potevano lasciarmi lì? Non mi sarei mai più ripresa, lo sapevo benissimo. Ma loro, non se ne rendevano conto?
No. Nemmeno io sarei mai riuscita a immaginare che un dolore così grande mi lacerasse il petto.  Avevo sempre dato … lo avevo sempre dato per scontato. Io e lui per sempre. Per l’eternità.
Ora non era più così. Ora era “Alice e il suo dolore”. Alice senza il suo Jasper.
Bella non disse niente. Si sedette accanto a me e mi sfiorò i capelli dolcemente. Pensava di riuscire a capire. Pensava di immaginare cosa provassi in quel momento.
No, non lo immaginava. Nessuno di loro lo immaginava.
Sarei stata una Alice diversa. Più chiusa, solitaria. Una Alice meno vivace, meno trasgressiva. Una Alice che, come un fantasma, si aggirava in un mondo che non sentiva più suo. Una Alice che aveva fretta di raggiungere il suo obbiettivo, per tornare finalmente dal suo amore.
 
Erano passati tre giorni, dalla mia morte. Dalla sua morte. Nessie era appena tornata. Jacob era insopportabile, intollerabile. Più cane del solito. Oppure ero io che non sopportavo più nulla.
Tutte le volte che mi voltavo, lo vedevo lì, mentre si aggirava nella stanza, sorridente, mentre giocava con Emmett a scacchi, mentre si stendeva sul letto, invitandomi ad imitarlo. E non stavo pensando a Jacob.
Il primo giorno dopo la battaglia, l’avevo passato in camera nostra, distesa sul letto. Persa fra i ricordi, persa nel mio dolore. Avevo preso una sua maglia dall’armadio e l’avevo stretta a me, annusata fino allo sfinimento. Il suo odore era dolce ma forte lì, in quella stupida maglia. Mi ero stesa sul letto ed ero rimasta lì tutto il giorno, a singhiozzare, stringendola. Poi, Bella era entrata in camera e si era seduta accanto a me. Da quel momento non mi aveva più perso d’occhio.
La mia famiglia, ormai, si era quasi abituata al mio silenzio. Rispondevo solo se qualcuno mi poneva una domanda. Non parlavo, non giocavo, non facevo niente. Ero inutile alla comunità.
Avevano anche imparato a non pronunciare il suo nome. In fondo, anche loro soffrivano.
«Zia Alice! Sei tornata!»
Una voce mi fece ritornare alla realtà. Nessie, la mia piccola nipotina, mi chiamava, correndomi incontro, felice di riabbracciarmi. Beata lei, che era all’oscuro di tutto.
Mi diede un bacio sulla guancia e mi spettinò i capelli. Poi si allontanò leggermente da me, guardandosi attorno, accigliata.
«Dov’è zio Jasper?»
Un coltello affondò nell’ultima parte del mio cuore, quando pronunciò il suo nome. Domanda sbagliata.
Milioni di ricordi riaffiorarono nella mia mente. Lui in costume da bagno, lui mentre cacciava. Il suo respiro, la sua voce. Le sue labbra sulle mie. I suoi riccioli spettinati. L’espressione con cui mi guardava. I suoi occhi caldi, invitanti. Il suo sguardo preoccupato, ogni volta che avevo una visione.
Pensare al passato. Ecco, ora ero morta. Di nuovo.
Lanciai un’occhiata a Edward, mentre correvo fuori dalla stanza.
«Che c’è?», mormorò Renesmee perplessa. «Che ho detto?»
Chissà cosa le avrebbero raccontato. Forse la verità. Forse le avrebbero detto che mi aveva lasciata. In fondo era così. Mi aveva lasciata. Se ne era andato, lasciando in me i ricordi indelebili della sua presenza.
 
Erano passati giorni, forse mesi dalla sua morte.  E la situazione, almeno per me, non era migliorata.
Mi sentivo uno schifo.
Costringevo Bella a farmi da babysitter, privando Reneesmee di sua madre e Edward di sua moglie. E per questo mi sentivo ancora peggio.
Sentivo lo sguardo di Edward su di me in ogni minimo istante. Speravo che non seguisse il corso dei miei pensieri, ma non ne ero troppo convinta. Quindi, teoricamente, stavo costringendo Edward a subire la disperazione dei miei pensieri, facendolo andare sempre più giù di morale.
Esme e Carlisle erano sempre più disperati. Non sapevano più cosa inventarsi.
Era dal giorno della  battaglia, che non andavo a caccia. E non avevo nessuna intenzione di andarci, in realtà. Perciò diventavo sempre più intollerante agli inutili sforzi di Bella di tenermi su di morale e a quelli di Emmett, che tentava di farmi ridere.
Nei pochi momenti in cui riuscivo a sfuggire a Bella, cercavo di trovare un modo per portare a termine la mia promessa. Cosa che risultava alquanto impossibile, considerando che Alec aveva quel potere. E che io, purtroppo non ne ero immune. E l’unica in grado di aiutarmi, sarebbe stata Bella …
«Perché non vieni a caccia con noi, Alice?», mi chiese per la terza volta Emmett, distogliendomi di nuovo dai miei pensieri.
«Vai Emmett», mormorai piano.
«E dai, Alice! Dieci minuti …».
«Emmett, vuoi cortesemente andare a caccia e lasciarmi in pace?»
Rimase a fissarmi, leggermente sconvolto e poi se ne andò.
Mi lasciai scivolare a terra, le spalle contro al muro. Era strano da dire, ma la persona che sopportavo di più era Rose. Almeno, ignorandomi completamente, mi lasciava i miei spazi.

E intanto, il mio pensiero fisso era sempre uno: Alec, Alec, Alec. Devo uccidere Alec.
Mi alzai lentamente e uscii dalla porta, sbattendo contro alla sagoma di Edward.
«Scusa», mormorai abbassando lo sguardo.
«Dove vai, Alice?», sussurrò.
«A cercare un modo per mantenere la mia promessa», mormorai.
Rimase a fissarmi per un istante, senza capire. «Quale promessa?»
Scossi la testa. «Lascia stare …», risposi poco convinta e mi avviai verso il ruscello.
Mi prese per un braccio, obbligandomi a fermarmi.
«Quale promessa?», ripeté.
Mi voltai verso di lui e trassi un sospiro. «Quella di uccidere Alec».
«Non te lo permetterò, Alice. Non lo farai. Non è questo che lui vorrebbe.»
«Ti ringrazio Edward. Perché so che lo fai per il mio bene. Perché so che lo fai perché non vuoi che me ne vada anche io. Ma non riuscirai a trattenermi per sempre».
«Tu l’hai fatto», mormorò sottovoce.
Scossi lentamente la testa. «Non per sempre. Bella è qui, ora, e ci sarà per sempre. Spero davvero che non vi succeda mai quello che è capitato a me, a noi. E non dire di capirmi, Edward. No, non puoi capirmi. Nessuno di voi può capirmi».
«Hai ragione, Alice. Nessuno di noi può capirti. Ma pensa a lui. Credi forse che vorrebbe questo?»
«Credo in poco, ora, Edward. Avevamo promesso di rimanere uniti per sempre, di non lasciarci mai. Ha fatto del suo meglio per mantenere la sua promessa, me ne rendo conto. Ma lui ora non è qui. E non tornerà mai più. L’unica cosa in cui credo ora più che mai è nel futuro. Nel dopo. E se questa è l’unica maniera per incontrarlo, lo incontrerò. Prima ucciderò il suo assassino e poi raggiungerò il mio cuore. Questa è l’unica mia ragione di vita. Lo è sempre stato e sempre lo sarà», conclusi voltandomi di nuovo.
Lasciò la presa sul mio braccio e io fuggii, libera, verso il ruscello.
 
Erano passati meno di due minuti, che Bella subito si avvicinò a me. Dall’odore inebriante che riuscivo a percepire, doveva essere completamente inzuppata di sangue. Il raschiare grottesco della mia gola, quando Bella si sedette a un centimetro da me, si fece sempre più insistente. Cercai di controllarmi e, con un certo sforzo, ci riuscii.
«Alice, senti … non sono venuta qui a farti la predica. Ma … se tu almeno cercassi di … sfogarti, forse ti sentiresti …».
«Non credo proprio».
«Potremmo … potremmo andare a fare un po’ di shopping …», propose piano.
«Bella, tu odi andare a fare shopping …».
«Nella vita si cambia».
In quel momento un’idea mi balenò in testa. Io e Bella sole a fare shopping. Chiederle un favore, dicendole che poi sarei stata meglio … non avrebbe potuto dirmi di no.
Alzai immediatamente lo sguardo. «Però, pensandoci bene, un po’ di shopping non farebbe male …».
Rimase a fissarmi, sconcertata. «Potrebbe venire anche Rose, magari …».
«No, no, no!», borbottai troppo in fretta. «Litigo sempre con Rose».
Sorrise. «Quando?»
«Sabato e domenica?»
Mi fissò stranita. «Sabato è domani …».
«Lo so!», mentii spudoratamente.
«Okay, allora … Scusa ma ora … vado a cambiarmi».
Annuii.
Dovevo sbrigarmi. Prenotare due coincidenze per un aereo in modo che riuscissimo a tornare entro domenica notte. Cosa complicata ma non impossibile. Ma la parte più complicata era ricordarsi di non pensare a niente quando c’era Edward nei paraggi. Pensieri oscurati sempre.
Mi alzai malvolentieri e entrai in casa. «Edward è qui?», mormorai a bassa voce.
«No, è andato fuori con Bella».
Annuii e mi diressi verso la cucina, dove il mio portatile, ancora acceso, mi aspettava.
Appena ebbi finito di comprare online i due biglietti, Edward e Bella entrarono in casa.
Immediatamente socchiusi gli occhi, pronta ad oscurare i miei pensieri.
«Alice, hai già in mente dove andare?», mi chiese Bella sorridente, saltellando verso di me.
«Bè, un posto ci sarebbe … considerala una sorpresa!», abbozzai con un sorriso.
«Mmh … okay».
Edward mi lanciò uno sguardo curioso, ma finsi di non averlo notato. Andai al piano di sopra e mi pettinai piano, con cura, tanto per tenermi in qualche modo impegnata. Pochi minuti più tardi, Nessie entrò nel bagno, rimanendo incantata a guardarmi, senza sapere bene cosa fare.
«Posso?», mormorò infine imbarazzata.
«Certo, piccola».
«Zia Alice …», fece per continuare ma si bloccò all’improvviso.
«Dimmi, Nessie».
Era da un mese o più che non mi parlava. Non sapevo qual’era il motivo, ma dopo aver fissato la mia immagine riflessa allo specchio, potevo immaginarlo. Sembravo sul serio un fantasma. Qualcosa di non vivo.
«Mi … manca tanto anche a me …», sussurrò infine, scoppiando in lacrime.
Chiusi le palpebre, respingendo i ricordi che stavano per riaffiorare nella mia mente.
«Vieni qui …», mormorai piano, stringendola forte a me.
«Oh, zia Alice!», sillabò fra una lacrima e l’altra.
«Shh …», mormorai sempre più piano, cercando di calmarla.
«Alice, andiamo?» gridò Bella dal piano di sotto.
Presi un respiro. «Arrivo subito». Lentamente mollai l’abbraccio di mia nipote. «Lo so, Nessie, lo so. Manca anche a me, tu non sai quanto. Ma non farti vedere così dai tuoi genitori. Sai quanto si preoccupa papà …»
Lei annuì, asciugandosi le lacrime che ancora le ricadevano sulle guance.
Lanciai uno sguardo verso la porta del bagno. «Devo proprio andare ora, prima che tua madre si arrabbi sul serio …», proseguii con un sorriso complice.
Lei annuì, ancora sconvolta.
Le diedi un bacio sul capo e corsi leggera al piano di sotto, afferrando al volo le chiavi della mia porsche, che Edward mi aveva appena lanciato.
«Divertitevi», mormorò con tono distaccato, tentando di fissarmi negli occhi.
Io mi voltai appositamente verso Bella e la sorrisi. «Grazie», risposi senza voltarmi.
Entrammo in macchina silenziose. Girai rapidamente la chiave, e subito il rombo familiare della mia 911 Turbo ci accolse silenziosa.
«Allora», iniziò subito Bella, «dove andiamo?»
«Fidati, Bells. Ti divertirai», risposi sorridente.
Come potevo dirle dove stavamo andando? Mi avrebbe ammazzata sul posto, sgridata e … Edward mi avrebbe osservata per tutto il resto della mia eterna ed insulsa vita.
Quindi, mi limitai a sorriderle e a sgommare fuori dalle vie di Forks.
Il viaggio passò per lo più in religioso silenzio, con una musica piuttosto noiosa come sottofondo. Non appena vidi la svolta per Seattle, svoltai rapida, seguita da uno sguardo preoccupato e al tempo stesso curioso di Bella.
Quando intuì dove la stavo portando si voltò verso di me, incredula. «Prendiamo l’aereo?»
Annuii, lo sguardo puntato sulla strada, mentre sentivo i suoi occhi indagatori scrutarmi il volto.
«Dirette per dove?»
Le lanciai un’occhiata. In fondo New York era la capitale dello shopping sfrenato … «New York», risposi infine sincera.
«Interessante …», accennò, continuando a studiarmi.
Parcheggiai rapida di fianco ad una Mercedes tirata a lucido, e nello stesso momento afferrai la borsa, cercando il mio passaporto e quello di Bella, che avevo ficcato dentro poco prima che lei e Edward tornassero dalla loro passeggiata.
Appena entrate, ci dirigemmo subito verso il gate, ormai vuoto.
«Ho prenotato online …», mormorai, aprendo il passaporto e sorridendo gentilmente al ragazzo che mi ritrovai di fronte.
Controllò rapido le informazioni. «Due biglietti per due …».
«Si, sono quelli» lo interruppi rapida.
Rimase a fissarmi, sbigottito. «Uhm … okay, potete andare …», continuò, dandomi i biglietti.
«Grazie!», risposi prendendoli entrambi, mentre mi allontanavo con passo leggero, seguita da Bella.
«Alice, stai praticamente correndo, stiamo per perdere l’aereo?», mi chiese in ansia.
«Quasi …», abbozzai con un sorriso.
Mi lanciò un’occhiata e si mise a correre a velocità umana dietro di me.
Riuscimmo ad entrare nell’aereo, come avevo previsto, giusto una decina di minuti prima che partisse e ci accomodammo nei sedili della seconda classe, seguita dagli sguardi ostili che ci riservarono le hostess.
Il viaggio in aereo passò rapido e silenzioso; ero troppo persa nei miei pensieri, cercando un modo per dire a Bella dove stavamo andando senza che mi assalisse, per fingere di stare bene e sorridere amorevolmente. E Bella … bé, a Bella piaceva il silenzio, quindi non si preoccupò – per mia fortuna – di iniziare una conversazione con me.
Mi risvegliai dai miei pensieri, solo quando cominciai a sentire le hostess passare accanto a me, controllando se avevo o meno la cintura di sicurezza allacciata; fu allora che intuii che era troppo tardi. Troppo tardi per inventare una scusa, troppo tardi per darle una spiegazione. Avrebbe capito, e probabilmente mi avrebbe costretta a tornare indietro. E io … bé, in qualche modo sarei fuggita, entrata in aereo e avrei cercato di fare del male a Alec … anche se non sarei riuscita nemmeno a torcergli un capello. Mi avrebbe messa al tappeto in meno di un secondo, e molto probabilmente mi avrebbero uccisa sul posto. Bé, almeno sarei morta …
Scendemmo assieme dall’aereo, passando davanti al tabellone degli arrivi e delle partenze. Non badai ad osservarlo, sapevo benissimo che mancavano due minuti esatti dall’arrivo della coincidenza per Firenze. Bella, invece, si bloccò all’improvviso, cominciando a stringermi per un braccio. Rimase a fissare per 10 lunghissimi secondi il volo New York – Firenze, un’espressione sconcertata in viso.
Poi si voltò verso di me. «D… dove stiamo andando?», sussurrò con un filo di voce.
Evitai di voltarmi, rimanendo a fissare il pavimento sotto alle mie scarpe.
«Alice …», sussurrò ancora, continuando ad aumentare la stretta sul mio braccio. «Non dirmi che …».
Alzai lo sguardo lentamente, come una ladra colta in flagrante. Fissai lo sguardo scandalizzato di Bella, sapendo che aveva capito dove la stavo portando. Annuii piano.
Lei rimase a sua volta a fissarmi, la bocca aperta. «Cosa pensi di fare, Alice? Portarmi in Italia per fare cosa? Pensi davvero che ti accompagnerò a …», si bloccò all’improvviso, cominciando improvvisamente a scuotere la testa. « non … non riesco nemmeno a pronunciarlo!»
Rimasi a fissarla, titubante. «Bella … io non voglio suicidarmi», chiarii subito. Non ancora, precisai nella mia testa.
«Come sarebbe a dire, scusa?! Stiamo andando casualmente a Firenze per fare un giretto turistico?», sciolse la presa dal mio braccio, continuando a gesticolare mentre parlava.
«Bella …», mi avvicinai a lei, riuscendo a tenerla ferma, fissandola bene negli occhi. «Bells, non voglio suicidarmi. Non potrei mai lasciare te, Edward e Nessie, lo sai quasi meglio di me. Non ora, non dopo tutto quello che è successo … Non dopo aver visto Nessie stare male per …». Mi bloccai all’istante.
Continuò a fissarmi, perplessa. «Stare male per?»
«Per … lui», sussurrai stringendo i pugni, lottando contro il dolore che ogni volta nasceva in me quando casualmente pensavo a lui.
Rimase a fissarmi negli occhi. «E allora Alice perché stiamo andando a Volterra?», mi chiese più calma.
Presi un bel respiro.  «Bella … è stato Alec, lo sai?», sussurrai tremante.
«Si …».
«Io non … non posso sapere che il … che il suo assassino è ancora in vita. Non posso farlo», mormorai sincera.
Lei continuava a fissarmi, seguendo il filo del mio discorso, senza capire dove volevo arrivare.
«E … ho bisogno del tuo aiuto, per fare quello che voglio fare …».
Mi interruppe. «Tu vuoi … uccidere Alec?», mi chiese più serena.
Annuii.
«E hai … bisogno di me perché io ho lo scudo», concluse pensierosa.
Annuii di nuovo. «Bells, non ti coinvolgerei in tutto questo se non avesse il potere che ha. Ma … è una cosa che devo fare, e non posso riuscirci senza di te».
Continuò a fissarmi, mordicchiandosi il labbro. «Giurami che non tenterai di toglierti la vita. Giuramelo, Alice, te ne prego».
«Bella … guardami. Te lo giuro. Ma ti prego, dammi la possibilità di uccidere il suo assassino».
Abbassò gli occhi, mentre una visione mi avvertiva della decisione che aveva preso. «Grazie, Bells», sussurrai abbracciandola.
Il viaggio in aereo in prima classe passò rapido e, come il primo, prevalentemente in silenzio, mentre Bella mi lanciava occhiate misteriose.
L’unica conversazione di tutto il viaggio la iniziai io. «Bella … sarebbe meglio …».
«…se Edward restasse all’oscuro di tutto, lo so», concluse lei. «Quindi, se non sbaglio … siamo andate a New York e abbiamo comprato poca roba perché l’aereo era in ritardo …».
Annuii. «Esatto. Ci fermiamo dopo in aeroporto  a prendere qualcosa per te, per me e magari un vestito per Nessie».
«Perfetto».
 
Eravamo appena arrivate a Volterra; avevamo appena passato i confini delle mura di cinta, eravamo appena entrate in territorio nemico.
Ma nessuno si sarebbe accorto di noi, nessuno tranne il diretto interessato.
Infatti era una giornata piovosa e per le strade non c’era nessuno. Nessuno tranne, come mi aveva avvisato la mia visione, Alec e Jane, che stavano finendo il loro solito giro di perlustrazione.
Scesi dall’auto che avevo preso in noleggio, una Ferrari rossa, che assomigliava molto a quella che Edward aveva regalato a Bella. Mi appoggiai sul cofano, imitata dalla moglie di mio fratello.
«Quando te lo dico, usa lo scudo», le dissi, rimanendo a fissare il punto dove sarebbero apparsi i due gemelli.
«C’è anche Jane, vero?»
Annuii.
«Bene», sibilò a bassa voce. «Deve solo provarsi a sibilare qualcosa come suo solito e giuro che la uccido».
«Come vuoi», risposi pacata. «Stanno arrivando».
Lei annuì, mentre allargava il suo scudo su di me. In quell’esatto momento, i due fratelli passarono calmi davanti a noi.
«Alice, Bella …», sibilarono nello stesso istante. «Qual buon vento …», continuò Alec sprezzante.
«Non è un bel giorno per le tue battutine, Alec», tagliai corto.
«Ancora arrabbiata con me, Alice? Pensavo di averti tolto un peso, uccidendo … mmh, come si chiamava? Ah, già. Jasper».
«Prova a pronunciare ancora il suo nome e giuro, Alec, che morirai in un modo così doloroso che anche da morto ricorderai cosa ti ho fatto», sibilai facendo un passo avanti.
«Oh, siamo di buon umore, vedo!», commentò lui, facendo un passo indietro.
Continuai a fissarlo, avanzando lentamente verso di lui, ignorando Jane che sconcertata ci fissava. Trattenermi dall’ucciderlo seduta stante fu piuttosto difficile; non avevo mai sopportato il suo bel visino, e dopo quello che mi aveva fatto non riuscivo nemmeno a capire come mai non l’avessi ancora ucciso.
«La tua ora, Alec, è arrivata quando te la sei presa con lui, invece che con me. Quando non hai sfruttato la possibilità che ti trovavi davanti agli occhi: avevi me, sola, senza l’aiuto dello scudo di Bella, e invece ti sei avventato su di lui. Quella è stata la tua scelta sbagliata. Uccidere lui, al mio posto».
Lui mi fissava, sinceramente preoccupato, mentre avanzavo a grandi passi verso di lui. «Hai sbagliato, Alec, e ne pagherai le conseguenze».
Feci per avventarmi verso di lui, ma subito dovetti abbassarmi per schivare un colpo di Jane.
«Eh, no, mia cara!», sibilò Bella. «Non ti azzarderai ad attaccarla. Non senza avermi uccisa».
Tornai a voltarmi verso Alec. Mi avventai verso di lui, mentre tentava inutilmente di scappare. «Tu mi hai sottovalutata», sussurrai al suo orecchio. «Tu hai sottovalutato la potenza del nostro amore, Alec. Tu pensavi che uccidendone uno, avresti ucciso anche l’altro. E in questo, avevi ragione. Mi hai uccisa. Mi hai inflitto il dolore più grande di tutta la mia esistenza. Ma hai scatenato in me l’istinto della vendetta. Per questo morirai. Per vendetta. Per non aver ragionato su quello che stavi facendo. Perché non conosci l’amore, e non puoi sapere quanto è forte un sentimento. L’unico motivo per cui sono ancora qui, Alec», conclusi infine, «è perché tu sei ancora vivo. Spero proprio che tu soffra parecchio, sai?»
«Non … non ti sentirai meglio, Alice …», sibilò lui piano, completamente terrorizzato.
«Non mi importa. Tu morirai e il mio cuore verrà vendicato. Questo è l’importante. Addio, Alec».
E con questo conclusi. Conclusi e attaccai definitivamente Alec, ammucchiando le sue membra in un lato del vicolo. Rimasi a fissare il suo cadavere. «Ora ti ho vendicato, amore mio», sussurrai piano, alzando gli occhi e fissando il cielo ancora nuvoloso sopra a noi. «Ti raggiungerò presto, te lo prometto».
Mi voltai verso Bella e Jane; stava per attaccarla, entro una decina di minuti avrebbe finito.
E infatti così fu. La aiutai a raccogliere i resti, e li ammucchiammo assieme a quelli del fratello.
«Bella, vai dentro».
Lei mi lanciò uno sguardo strano.
«Fidati, vai».
Presi fuori un fiammifero e lo strisciai lentamente sul muro, provocando una piccola scintilla.
Poi mi chinai e cominciai a dare fuoco ai corpi. Spensi il fiammifero e mi sciolsi il foulard dal collo. Lo lasciai affianco ai corpi ormai senza vita dei due fratelli, dopodiché corsi in macchina e partii rapida, dando gas.
Bella, sorridente, guardava fuori dal finestrino, osservando per la prima volta la città dei Volturi. La stavo ancora osservando, prestando poca attenzione alla strada, quando fui interrotta da una visione.
Demetri era stato mandato da Aro a cercare i gemelli. Li trovò quasi per caso, grazie all’odore inebriante di vampiro bruciato che ancora si sentiva in tutta la città.
Rimase a fissare i due corpi senza vita, sconvolto, quasi senza accorgersi del piccolo regalino che avevo fatto ai suoi padroni. Stava per andarsene, quando puntò l’occhio sul mio foulard viola. Lo raccolse rapido, e subito l’annusò. «Alice», sussurrò infine.
«Alice?», chiese Bella piuttosto calma.
«Mmh?», risposi concentrata.
«E’ successo qualcosa di brutto?»
«No, assolutamente», le risposi tranquilla. «Demetri ha trovato i corpi. C’è troppo odore e non riesce a capire chi sia stato a ucciderli».
«Perfetto, direi!»
 
Arrivammo all’aeroporto con una decina di minuti di anticipo rispetto all’orario di partenza, così riuscimmo a comprarci qualcosa, prima di imbarcarci. Arrivammo a Seattle a mezzanotte passata e in una mezzora di macchina, arrivammo a Forks.
«Bella …», le ricordai.
«Lo so, lo so».
Edward era già lì ad aspettarla, ovviamente. Sorrideva e aveva gli occhi soltanto per Bella. Gli occhi quasi lucidi, come se avesse visto la sua luce, la sua unica speranza in quella vita tormentata. Gli occhi che aveva lui quando guardava me.
Non avevo la forza di restare lì a fissarli. No, non ce la facevo. Non potevo fissarli, mentre si baciavano, sapendo che sarebbero restati assieme per tutto il resto della loro eterna vita. Non potevo osservarli mentre si guardavano in quel modo: come due persone parte di uno stesso intero, che sarebbero vissute sempre assieme.
Chiusi le palpebre, stringendo sempre con più vigore il volante davanti a me, mentre aprivo lo sportello, sfuggendo alle effusioni dei due innamorati.
«Nessie?», la chiamai appena entrai in casa.
Saltellò allegra verso di me, curiosa. «Ho un regalino per te …», mormorai sorridendo.
Corse verso di me e mi abbracciò forte. Poi sbirciò dentro alla sportina che tenevo in mano. «Oh, zia Alice! Ma è bellissimo!», esclamò entusiasta.
L’unica della famiglia che apprezza la moda quanto me, pensai con un sospiro.
Solo in quell’istante la guardai negli occhi; delle profonde occhiaia li cerchiavano, facendo uno strano contrasto con la sua pelle chiara. «Nessie», mormorai preoccupata, «da quanto non vai a caccia?»
Scrollò le spalle. «Da un po’ …», poi tornò da Emmett, che nel frattempo la stava chiamando.
I volturi dovevano essere molto arrabbiati con me. Non ci avrebbero messo molto tempo per venirmi a cercare. Probabilmente un giorno o due al massimo, secondo la visione che avevo avuto. Quindi, dovevo prendere l’occasione al volo e … bé, sforzarmi di essere la Alice di un tempo.
«Edward?», lo chiamai. Per mia fortuna era troppo impegnato con Bella per darmi ascolto. Entrai in cucina nell’esatto momento in cui Bella uscì. «Edward, ma da quanto tempo Nessie non va a caccia?»
Rimase a pensarci un istante prima di rispondere. «Tre settimane, credo …».
«Tre settimane? Vuoi farla morire di fame? Edward, è tua figlia, dovresti essere più responsabile!»
«Tre settimane non sono molte …», borbottò pensieroso.
«Non sono molte per te, Edward! Ma lei è più piccola! Deve ancora crescere! Non dovrei spiegartele io, queste cose …».
Mi fissò per un istante. «Hai ragione. Ma dovresti venire anche tu a caccia», puntualizzò.
«Oh, non preoccuparti per me. Posso darti un consiglio?»
«Dimmi».
«Innanzitutto, inviterei anche Carlisle e Esme. Insomma, è da troppo tempo che per colpa mia li tengo segregati in casa. E poi … Jake. Sarà pure un cane ma la ama, Edward, sul serio. Dovreste andare un po’ più lontano del solito … c’è un bosco bellissimo in Canada . E domani ci sarà bel tempo, quindi potrete anche godervi il sole. Lo sai quanto Nessie ama il sole, vero?»
Edward rimase a fissarmi per un lungo istante, meditabondo. «In effetti non sarebbe male …», commentò. «Ma vieni anche tu».
«Oh, non dire sciocchezze. Nessie ha bisogno di un po’ di serenità, Edward. E per quanto io possa sentirmi meglio, oggi, non sarò mai così serena da farla ridere. E non riuscirei nemmeno a guardare te e Bella vicini, quindi … quindi basta, ci andate voi…», mi interruppi per un breve istante, mentre vedevo i miei piani realizzarsi. Mi accorsi che Emmett e Rose stavano tornando in Africa. «Emmett e Rose tornano in luna di miele?» chiesi sorpresa a Edward.
Lui annuì, senza proferire parola. «Bene!»
«Alice, non sono sicuro che lasciarti qui da sola possa aiutarti …».
«Oh, Edward! Smettila di preoccuparti per me, okay? Ho bisogno di stare sola. Lasciatemi sfogare, per un giorno o due. E poi … bé, a meno che non vengano i volturi, non posso mica ammazzarmi da sola, giusto?» , conclusi sarcastica.
«Giusto», concluse lui, accennando un sorriso. «Bentornata, Alice».
 
Due ore più tardi, la mia famiglia al completo era divisa in due macchine diverse: Edward, Bella, Nessie e Jacob nella Volvo di Edward, Carlisle, Esme, Rose e Emmett nella Mercedes. Carlisle ed Esme avevano deciso di accompagnare Emmett e Rose all’aeroporto, prima di partire per il Canada.
«Sei sicura, zia Alice?», mi chiese di nuovo Nessie.
«Si, piccola, divertitevi», le risposi sorridente, dandole un bacio sulla guancia.
Partirono tutti sgommando per il vialetto ricoperto di foglie, mentre il vento mi scompigliava i capelli. Attesi sorridente fino a quando non udii le gomme delle tre auto sfrecciare via rapide sulla strada. A quel punto rientrai.
Quella sarebbe stata l’ultima volta in cui li avrei visti. Li avevo fatti contenti, rincuorati quasi, mostrandomi felice. Ma avevo mentito, come facevo da troppo tempo ormai. Ora non sarei stata più costretta a mentire.
I Volturi sarebbero arrivati presto, molto presto. Il mio solito sesto senso, mi diceva che forse mi avrebbero fatto un favore, ad arrivare prima. In quel momento, una visione mi dette la conferma di quello che pensavo.
Sarebbero arrivati nella prima mattina. Strano ma vero, non c’era nessun testimone, né le mogli. C’erano solamente i tre fratelli, Aro, Marcus, Caius, e i due più fidati componenti della guardia, Demetri e Heidi. Avevano fretta, molta più fretta di quanto non ci avessi sperato.
Subito un’altra visione mi portò più avanti nel tempo; in una discussione tra Edward e Bella. Immaginai che Jacob e Nessie si fossero allontanati, altrimenti non sarei mai riuscita ad assistere alla litigata fra i due.
«Non lo so, Bella», proseguì Edward. «Ha pronunciato quella frase con così tanta leggerezza che quasi mi impaurisce».
«Ma no, tranquillo. Diceva solo per scherzare, tutto qui».
«Lo spero», riprese Edward. «Non sai che pensieri aveva solitamente, non puoi nemmeno immaginare. Lei vuole la morte. L’ha sempre desiderata, dal primo momento in cui ha capito che lui non c’era più. Spero davvero che si stia riprendendo».
«No, sul serio, credimi».
«Ma siete davvero andate a fare shopping?», le chiese.
«Sisi!», rispose lei subito.
Edward le lanciò uno sguardo strano. «Bella, non mentirmi mai, soprattutto se sai che me ne accorgo. Dove siete andate?»
Rimasero a fissarsi. «In Italia. Ma ti prego, non dirglielo. Voleva … bé, voleva uccidere Alec e l’ho aiutata, tutto qui. Ha detto che si sarebbe sentita meglio e … mi sembra che sia davvero più allegra».
«COSA?!», esplose Edward. «Bella, l’unico motivo per cui rimaneva in vita, era perché voleva uccidere Alec. Era l’unico obbiettivo che si era posta. Lei desidera … morire, Bella!»
«Come? No, Edward, non è possibile …», balbettò lei.
La visione finì così. Abbassai lo sguardo, andando a sedermi sulla mia solita sedia nel tavolo della cucina, pensando a come dirgli addio per sempre. Prima mi concentrai sul futuro dei Volturi, controllando se e quando avrebbero attaccato di nuovo, e soprattutto quale sarebbe stato l’esito.
Rimasi immobile per ore, pensando a come dire addio per sempre alla mia famiglia, senza trovare una risposta precisa. Sentivo il ticchettare dei secondi, dei minuti, delle ore. Quando alzai lo sguardo sull’orologio mi resi conto che era troppo tardi. Avrei dovuto scrivere di getto.
Presi una penna e scrissi in bella calligrafia, sul retro del foglio.
“Edward”
Lo voltai e cominciai a scrivere.
“Bè, a questo punto dovresti già aver capito cosa sto per fare. Dovresti sapere che io e Bella siamo andate a Volterra, e non a fare shopping, lo scorso weekend. Che finalmente ho mantenuto la mia promessa. E che sto per andare incontro alla morte.
Mi mancherai, Edward. Credimi, una volta tanto. Scrivere questa lettera è stata una delle cose più difficili che ho dovuto affrontare in tutta la mia vita. Scriverti addio. Scrivere addio a te, a Bella, a Emmett, a Rose, a Nessie, a Carlisle e a Esme. Mi si spezza il cuore a sapere che vi farò del male. Ma è una scelta che ho già preso, ormai, e non cambierò idea.
Torneranno, quando io ormai non sarò più qui. Fra tre mesi esatti, nella prima giornata della primavera. E vincerete, Edward, vincerete. Non vi lascerei ora se non ne fossi sicura. Non hanno più la loro offensiva, non hanno più Alec né Jane. Senza di loro sono nulla in confronto a voi.
Addio, allora. E non prendertela con Bella, te ne prego. Non è colpa sua, sono stata io a convincerla. Non poteva aspettarsi che volessi morire.
Dille che mi mancherà. Che non dovrà soffrire, perché finalmente sarò tornata insieme a lui, alla persona che amo. A Jasper. Si, ora riesco anche a pronunciare il suo nome.
Strana la vita, non è vero? Qualche volta morire sembra meglio che vivere. Per me lo è.
Dì a Carlisle e Esme di non addolorarsi, a Emmett di non esagerare. E Rose … bè, non so come la prenderà. Forse non sarà nemmeno troppo sconvolta. Forse griderà contro tutto e tutti che lei lo sapeva, che sarebbe finita così. E ti prego, stai vicino a Nessie, in modo particolare. E non lasciare che i tuoi pregiudizi su Jacob ostacolino il loro amore. Sono fatti per stare assieme, Edward. Hanno bisogno l’uno dell’altro. E in questo caso, la prima ad avere bisogno sarà Nessie. Prenditi cura di lei, sarà un colpo duro, già lo vedo.
Ti vorrò per sempre bene. Addio,
Alice.”
 
Rimasi a fissare il foglio per un secondo, pensando al nulla. Poi lo presi e lo piegai accuratamente, prima di riporlo nella busta.
Mi tolsi la collana, il ciondolo simbolo della famiglia Cullen e riposi anch’essa all’interno della busta. A Nessie sarebbe piaciuto. E nel caso non fosse piaciuto a lei, Edward non avrebbe mai permesso di perderlo o dimenticarlo.
Mi alzai lentamente dalla sedia e mi avviai fuori, nella radura dove avrei incontrato la morte.
 
Non ci misero molto ad arrivare. Non appena entrai nella radura, vidi la faccia di Aro, che mi fissava con occhi rabbiosi. In fondo, io e Bella avevamo ucciso i suoi gioiellini. Era piuttosto ovvio che fosse arrabbiato con noi.
« Alice», sibilò.
Non risposi, rimasi a fissarlo, mentre con una mano sfioravo delicatamente l’anello che portavo sull’anulare della mano sinistra. Il nostro anello di matrimonio.
«Come … come hai potuto?», ringhiò dopo un istante. «Cosa ti aveva fatto di tanto male?» Attese un istante, ma non risposi. «Ah, già! Aveva ucciso Jasper, non è così?»
Gli lanciai un’occhiata furente.
«Era vendetta, non è vero? Ah, ora però sei nei guai, mia piccola, stupida vampira. Anche se non capirò mai il motivo di quel stupido foulard, lasciato accanto ai loro poveri corpi».
Il mio sguardo si spostò da lui a Demetri, che fece in quell’esatto istante un passo avanti.
«Posso andare, signore?», gli chiese impaziente.
«Certo, Demetri. Quando vuoi», continuò fissandomi.
Se avessi voluto, mi sarei spostata e avrei lottato. Perché per quanto lui fosse più forte di me, io con il mio dono potevo anche sconfiggerlo. Ma non era ciò che cercavo. Volevo la morte. Perciò rimasi a fissare la terra sotto ai miei piedi, continuando a stringere l’anello.
«Sto arrivando, Jasper. Sto arrivando», sussurrai piano.
Demetri mi si schiantò addosso, colpendomi con tutta la sua forza.
Chiusi gli occhi e per la prima volta lo rividi accanto a me. In piedi, alto, in tutto il suo splendore. Lui e io suoi riccioli spettinati, lui e il suo sguardo attraente, come una calamita. Lui e le sue labbra calde, morbide. Si avvicinò a me, silenzioso e mi prese per mano. Mi fece fare una piroetta e mi baciò piano, passionale. Il ricordo della sua voce, del suo sussurrare dolce al mio orecchio quei suoi “Ti amo”, quei suoi “sarai per sempre mia”. Il matrimonio. Lo stupore per la luna di miele fantastica. La prima notte, e tutte le altre a seguire. Le litigate fra me, lui e Edward. La sua calma con Rose. La sua risata squillante ogni volta che batteva Emmett. Il suo guardarmi dolce, premuroso. Il suo sguardo innamorato ogni volta che si intrecciava al mio. Il suo sorriso, così magnetico e caldo.
«Ti amo», sussurrò infine al mio orecchio, prima di continuare a baciarmi.
 
***

Note dell’Autrice :3
Allora, che ne dite?
Bè, certamente non è una shot felice, ma spero che comunque vi piaccia.
Never Leave Me è parte di me, un pezzo della mia pelle.
E’ nata da un mio sogno e non ci sono affezionata, di più.
Insomma, spero che vi piaccia *--*
E perché no, che vi faccia commuovere, tanto quanto ho pianto io mentre la scrivevo.

Grazie a tutti per le belle recensioni! ^^
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: __indelible