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Autore: Ilaja    31/10/2010    6 recensioni
L'amore per una persona può superare la follia di una mente?
E' con questo interrogativo che Heinirich si lascia sconvolgere l'esistenza: uccide la sua amata Edith, e il fantasma di lei lo perseguita, ogni notte, di ogni giorno, come il suo cuore spezzato...
Inquietante?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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14/11/09

Edith

Entrammo nell’albergo, sicuri, decisi. Subdoli. Come un virus micidiale: arrivava invisibile, silenzioso, avanzando nella sua letale camminata, lenta ma inesorabile. Ci confondevamo tra i clienti allegri, spensierati, occupati in quelle misere sciocchezze quotidiane, quelle suppellettili della vita, quelle che non erano che soprammobili nella nostra casa del cuore. Le pareti, loro sì che erano importanti. Loro: le persone che si accavallano, come i mattoni, ansiose di far parte del nostro quotidiano, della nostra vita. Le persone che stanno a cuore, le persone che amiamo. I muri sono la base con cui possiamo arredare la nostra casa del cuore. Dopo le quattro mura vengono i mobili: il lavoro, le passioni, gli onori e i doveri, i diritti, le virtù. Infine ci sono i suppellettili: poster, statue, quadri, elettrodomestici, tende, lampade. Sono gli argomenti di cui parliamo con le persone che non conosciamo e di cui non c’importa niente, tranne i soldi e i favori che possono offrirci. Ecco la nostra esistenza: è subdola, avida ed insaziabile come la malattia che ci rode all’interno. Come la malattia che ci sta uccidendo.

Allora, dirigiamoci verso la signora seduta sul divanetto. Sì, proprio lei. Quella composta ed elegante, avvolta in un ampio cappotto blu. È bionda, con un cappello in testa. È fine come lei, Edith. La nostra cara Edith. Nostra moglie, nostra amante. Nostra amica. Che ci è stata tolta, sì, ci è stata tolta come si toglie l’ossigeno ad un disperato, come si toglie la sorella ad un pazzo. Ma noi non siamo pazzi, no, no. Noi siamo bravi. Siamo bravi. Noi stiamo per uccidere la sua sosia, quella che le sta infangando l’onore. Sì, è questo che vogliamo fare.

La donna si sta alzando. Ci ha visti. Corri, Heinirich, corri! Non dobbiamo perderla di vista. La dobbiamo accerchiare. Disarmare. E sbranare.

Sta andando nella sua camera. Brava, proprio come avevamo previsto. La paura la rende imprudente. Come crede che la potremmo uccidere in mezzo alla clientela? Noi non siamo stupidi. No, nemmeno pazzi. Noi siamo Heinirich. Ed Heinirich sa quel che va fatto.

La camera è la numero 17. Come i suoi anni. Gli anni in cui se ne andò, la nostra Edith! Ci è stata portata via! Ma noi la vendicheremo.

Quella ragazza non ha fatto nulla, allora perché ucciderla? Perché vogliamo vendere cara la pelle di Edith. E lei, quella donna che le assomiglia così tanto, le sta infangando l’onore! Non potremo mai permetterlo.

Amanda, si chiama. Che nome sciocco. Quasi quanto lei. Una pulzella combattiva, non c’è che dire. Ma non può combattere contro di noi. Perché noi portiamo l’anima della cara Edith.

Entriamo nella camera. Ordinata. Pulita. Le valigie sono pronte. Lo sapeva che saremmo arrivati. Non ha fatto in tempo a fuggire. Ora è nelle nostre mani.

“Ora sei nelle nostre mani.”

“No! Non ti ho fatto niente! Perché continui a seguirmi? Cosa vuoi da me? Che cosa ho fatto?”

Che cosa ho fatto, cosa vuoi. Domande inutili. Non c’importa cosa hai fatto. C’importa chi sei. Tu assomigli ad Edith. Tu non sei Edith.

“Smettila, mostro!”

Mostro. Questa parola l’abbiamo già sentita, tanto tempo fa. In un’epoca lontana. Non sappiamo dove. Non c’importa. Dobbiamo uccidere Amanda. Dobbiamo uccidere Amanda.

Prendiamo il coltello. È freddo al tatto, liscio e letale, come il corpo sinuoso di un serpente che si attorciglia lungo un collo bianco ed ancora palpitante di vita e stringe, stringe, stringe. E quel collo si affloscia, come una bambola di pezza senza bambagia, come un guscio vuoto.

Una, due tre coltellate. Il sangue sprizza. Ci sporca la camicia. Ma non ce ne importa niente. Noi vogliamo la vita di Amanda. La vogliamo, per Edith.

Il pavimento, un lago di sangue.

La maglia bianca, macchiata di rosso.

Il coltello, luccicante al sole di mezzogiorno.

Il corpo di Amanda, inerte, morto. Bianco come la neve. Questa neve però è sporca di sangue. Di sangue umano. Del sangue di Amanda.

Amanda è morta. Morta! Di questa parola ne assaporiamo il suono sulla lingua. Di questo sangue ne gustiamo il sapore in bocca.

Edith è libera. Nessuno più la potrà insultare. Noi le abbiamo ridato la vita. Ora la vita ce la deve ridare.

Edith.

Non viene.

Edith!

Non viene.

EDITH!

Non viene.

Non è giusto. Avevamo pianificato ogni cosa. Niente è giusto.

Il corpo di Amanda è lì, steso, immobile, bianco. La prendiamo. La smembriamo. La sezioniamo. Le laceriamo l’anima.

Edith non c’è.

Edith non c’è!

La finestra è aperta. Vogliamo liberarci di Amanda. Amanda non esiste più. Edith deve rinascere!

Buttiamo i pezzi di Amanda fuori dalla finestra.

“Edith!”

Un urlo lacera la città. Un urlo lacera il mondo.

Viene da sotto.

Ci affacciamo alla finestra. Grida, ammonimenti, offese si accaniscono contro di noi. Noi non le ascoltiamo. Noi vogliamo Edith.

“Edith!”

Quell’urlo di donna risuona di nuovo quando il muscolo cardiaco di Amanda piomba sul marciapiede. È Edith.

“Edith!”

Vento. Dal nostro cappotto, lasciato a terra, nell’appartamento, si libra una fotografia. È Edith.

“Edith!”

La fotografia è in bianco e nero. Una donna siede seria, triste, accanto a noi, in un tempo ormai dimenticato. Sembrava che volesse andare via. Noi non glielo abbiamo permesso. Noi sapevamo ciò che era bene per lei. Lei doveva stare con noi. Noi eravamo la sua vita.

La foto vola via, nell’aria, fuori dalla finestra. È Edith.

“Edith!”

Noi non ci pensiamo. Ci buttiamo. Vogliamo Edith. La volevamo, volevamo lei, il suo corpo, la sua anima, la desideravamo. La desideriamo ancora.

Smettila, mostro!

Mostro. Ci ricordiamo.

In quel salto nel vuoto, Heinirich ricordò. La sua persona plurale si ricongiunse. Era lui, solo, perso, in volo.

Smettila, mostro!

L’aveva detto Edith. Poco prima di morire. Lo aveva detto Edith!

“Edith!”

Il suo io cattivo si unificò all’io buono. Heinirich rinacque.

Era troppo tardi. Stava per morire.

Come un film, si vide passare davanti tutta la sua vita. Aveva amato e desiderato solo una persona, voluto solo una persona.

“Edith!”

Lei l’aveva rifiutato. Lui si era ostinato.

“Smettila, mostro!”

L’aveva uccisa lui. L’aveva uccisa lui!

“Edith!”

Troppo tardi. Il suolo era sotto di lui. Lo colpì. Non sentì nulla. Tranne la sua coscienza che implorava la redenzione.

“Edith. Perdonami.”

Le ultime parole di Heinirich.

Edith.

 


 

Oggi mi sono cimentata in qualcosa di vagamente inquietante. Questo ammasso di frasi senza senso l’ho rinvenuto due giorni fa, e, visto che non mi sembrava sta gran schifezza, l’ho pubblicata per sapere cosa ne pensate. Dunque, su, su! Riempite quello 0 sotto la scritta “Recensioni:”!!!

Qualunque danno fisico, psicologico, morale o anche un semplice scombussolamento degli organi interni non sono da attribuire a questa storia. Gli effetti collaterali qui sopra elencati sono semplici trasformazioni fisiologiche con nulla in comune a questa storia. Consiglio amichevole: prima di farlo leggere ai vostri pargoli, rammentate ciò che vi è successo. 

Buona giornata!! (e non vi prendo in giro)

Ilaja

  
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