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Autore: micht82    31/10/2010    0 recensioni
uno scrittore alle prese con un blocco, riceve una telefonata che gli cambierà la vita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pagina bianca del monitor continuava a rimanere tale, senza che io potessi fare qualcosa per riempirla, anche solo di parole senza senso. Il racconto che avevo in mente e che avrebbe concluso la storia dell’ elfo, rimaneva a vagare tra i miei pensieri senza riuscire a venir fuori da essi.
Un suono squillante interruppe quel momento di stasi. Ringraziai mentalmente chiunque avesse deciso di chiamarmi al telefono di casa, perché mi aveva dato la scusa per distrarmi dalla mia mancanza d’ispirazione.
“Pronto”
“Buongiorno parlo con il signore Alberto Lombardo?”
“Si, sono io”
“Sono la direttrice dell’istituto Don Bosco per giovani senza famiglia, avrei bisogno d’incontrarla al più presto per discutere di una questione che la riguarda da vicino”
“Domani va bene?”
“Certo, l’aspetto domani mattina alle nove, arrivederci”
Incominciai a pensare al motivo per cui un istituto per orfani volesse vedermi, probabilmente volevano organizzare un incontro con i ragazzi, ma la storia non mi convinceva e continuava a tornarmi in mente, a fasi alterne, durante la rilettura dei miei appunti, disseminati su tutta la scrivania.
Vedendo la data sul calendario fui preso quasi dal panico, visto che il termine per la consegna del romanzo era sempre più vicina. Non più tardi di qualche giorno prima, il mio editore mi aveva chiamato per farmi pressione, visto che ero la fonte più remunerativa per loro.
L’indomani mattina, dopo aver indossato abiti informali, mi recai all’istituto, anche se la ritenevo una seccatura non me la sentivo di ignorare un impegno preso, la mia speranza era che fosse una cosa breve e che non comportasse perdita di tempo, visto il momento delicato.
L’edificio dell’organizzazione per i giovani era grande e talmente vecchio, che avrebbe avuto bisogno di un restauro . Aveva un ampio giardino con un viale in mezzo che portava direttamente all’ingresso della struttura circondata da grandi mura.
Entrando dal portone principale chiesi ad una signorina vestita in modo sobrio e dai tratti gentili se poteva indicarmi l’ufficio della direttrice.
Molto cordialmente mi indicò il percorso per raggiungerlo, una volta ringraziata, mi misi in marcia per trovarlo.
Dopo alcune rampe di scale, e dopo essermi perso almeno due volte, riuscii finalmente a raggiungere la mia meta e bussare alla porta.
“Avanti”
“Buongiorno sono Alberto Lombardo, ci siamo sentiti ieri al telefono” esordii dopo aver chiuso la porta alle mie spalle.
“Buongiorno anche a lei, l’ho riconosciuta subito anch’io leggo i suoi libri… prego si accomodi” mi disse con un sorriso.
“Signor Lombardo le ho chiesto di venire qui, perché ho alcune comunicazioni da darle” continuò lei, diventando subito seria.
“Mi dica, spero niente di grave” volevo essere sarcastico, ma il suo volto me lo impediva e la mia espressione fu altrettanto seria.
“Lei conosce Maria di Chiara?” mi chiese scandendo bene il nome.
Mi chiedeva se conoscevo l’unica ragazza che avevo mai amato, ma che purtroppo aveva deciso di lasciarmi con una lettera, su cui avevo riversato lacrime di dolore.
“Si, la conosco, ma sono anni che non so più niente di lei” le dissi quando mi riscossi dai tristi ricordi che mi ottenebravano la mente.
“Mi spiace informarla che purtroppo è morta tre mesi fa di cancro al seno” mi disse con molto tatto.
La notizia mi aveva gelato il sangue nelle vene, dovetti farmi forza per non disperarmi, ero stupito che la rivelazione della sua morte, poteva avere questo effetto su di me, pensavo di averla dimenticata dopo tutti questi anni e invece il suo ricordo mi attraversò anima e cuore, toccandomi nel profondo. Evidentemente non ero riuscito a spezzare il legame profondo che ci univa.
“Mi scusi se la notizia l’ha turbata, ma era necessario che lei sapesse” mi disse lei visto che era da quasi un minuto che non avevo reazioni.
“Mi perdoni lei… è solo che non è facile accettare questa sua notizia, ma non capisco perché sia stata lei a dirmelo” per fortuna sembrava che una parte del mio cervello, quella razionale, avesse deciso di tornare a funzionare, visto che quella emotiva era in lutto.
“Deve sapere che Maria aveva una figlia, la bambina ora ha dodici anni, e dopo la sua morte era stata affidata alla sorella di lei. Purtroppo la zia è finita in prigione in attesa di giudizio e la piccola è stata portata qui. Parlando con un assistente sociale ci è sembrato opportuno che la bambina venisse affidata al padre” disse concisa.
“Mi scusi, continuo a non capire” non riuscivo a comprendere il mio ruolo nella vicenda.
“Non sa di essere il padre di Giada?” mi chiese stupita.
La mia espressione di stupore con occhi sgranati e bocca aperta doveva averla convinta di avere di fronte un uomo che era appena caduto dalle nuvole, perché prese un documento e me lo consegnò.
“Come può vedere questo è il certificato di nascita di Giada e c’è il suo nome, pensavo che non avesse riconosciuto la bambina visto che manca la sua firma, ma non credevo che non fosse a conoscenza della sua esistenza” mi disse sorpresa.
“È così, non lo sapevo…” il certificato riportava il mio nome, un'unica domanda continuava a girarmi nella testa: perché Maria non me l’aveva detto?
“Capisco che per oggi lei ha ricevuto troppe emozioni, ma le chiederei se almeno per domani volesse dirmi quali sono le sue intenzioni per Giada” mi chiese gentilmente.
“Posso vederla?” fu tutto quello che riuscii a dire.
“Certo, mi segua” mi disse alzandosi dalla scrivania.
Mi guidò per l’istituto per vedere per la prima volta… mia figlia. Non potevo credere a tutto ciò che mi stava succedendo, troppe emozioni tutte insieme. Non capivo come facessi a rimanere così calmo.
“Eccola… è la bambina dai capelli neri seduta isolata nell’angolo” mi disse sorridendo.
Alzando lo sguardo su di lei non avevo dubbi che fosse figlia di Maria, assomigliava a lei in modo impressionante stessi capelli e stessi tratti del viso, gli occhi da quella distanza non riuscivo a capire se fossero uguali a suoi, ma una domanda si fece strada dentro di me, era veramente mia figlia?
“Vuole andare a parlargli?” mi chiese con fare rassicurante.
“Potrebbe tralasciare almeno per il momento di dirle che sono suo padre?” anche perché non c’era certezza in questa rivelazione.
“Come vuole… possiamo dirle che era un amico della madre almeno” dal suo tono capii, che sapeva che io nutrivo dei dubbi sul fatto di essere il padre della bambina.
“Sono d’accordo, procediamo” mi occorse tutto il mio coraggio per percorrere quei pochi metri che mi separavano da Giada… da mia figlia.
Eravamo a un passo da lei che era intenta a leggere un libro, aveva un’espressione così assorta, che dubitavo che ci avesse sentito arrivare.
“Giada… voglio presentarti un amico di tua madre” le disse in modo cordiale.
Sembrava che non volesse staccare gli occhi dal libro, ma poi con fare stizzito lo chiuse non prima di averci messo il segnalibro per segnare la pagina.
“Non potevate aspettare… la storia cominciava ad essere bellissima” disse lamentandosi mentre ci guardava negli occhi.
Fu in quel momento che ebbi il mio terzo shock della giornata, perché Giada aveva gli stessi occhi di mia madre, lo stesso azzurro chiaro che anch’io avevo ereditato da lei. Non avevo bisogno di altre prove, perché in quel momento ero certo che la bambina di fronte a me era mia figlia.
“Piacere sono Giada, qual è il suo nome?” cercava di essere gentile, ma era ancora infastidita di essere stata interrotta.
“Mi chiamo Alberto Lombardo… e sono tuo padre” non sapevo perché lo avessi detto in quel momento, forse mi ero lasciato trascinare dalla situazione e da tutte le emozioni provate in poco tempo.
“Razza di…” la sua espressione era cambiata, i suoi occhi erano pieni di risentimento e tutto il suo viso si deformò in una maschera di puro odio, si fece avanti cercando di colpirmi con calci e pugni.
“Perché sei venuto! Hai abbandonato la mamma! Schifoso… “ sono sicuro che mi rivolse altri insulti, ma non vi feci caso, ero troppo sconvolto dalla sua reazione furiosa e incontrollata.
Solo l’intervento della direttrice e di un’altra insegnante riuscì a smorzare la sua furia.
Mi sedetti sulla sedia, la stessa che lei aveva usato per leggere, perché sentivo le gambe cedermi sotto il peso delle continue rivelazioni, che mi erano piombate in poco tempo. Avevo bisogno di recuperare almeno una parte delle forze che gli eventi mi avevano prosciugato.
Non ero cosciente del tempo che trascorreva, ero in evidente stato di shock.
“Signor Lombardo…” la voce della direttrice mi riscosse.
“Mi scusi… vorrei andare a casa, ho bisogno di riflettere e parlare con qualcuno… posso chiamarla io per favore?” avevo una voce strana lo percepivo distintamente.
“Ma certo… è sicuro che ce la farà a tornare a casa da solo?” era molto preoccupato.
“Credo di no, chiamerò una mia amica per farmi venire a prendere” dissi meccanicamente.
Chiamai Noemi supplicandola di venirmi a prendere e, capendo dal mio tono che c’era qualcosa che non andava, mi rispose che sarebbe venuta al più presto.
Dopo averle dato l’indirizzo, chiusi il cellulare salutai la direttrice e mi avviai verso l’uscita.
Mentre aspettavo l’arrivo di Noemi mi misi a sedere su una panchina del parco vicino all’istituto, continuavo a rivedere l’espressione animalesca di Giada e mi chiedevo che cosa le avevano raccontato per odiarmi in modo così violento?
   
 
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