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Autore: _darkia_    01/11/2010    3 recensioni
Una vita normale, una città normale, una ragazza normale, un incubo che la tormenta da quando è nata. Una misteriosa ombra entra nella sua vita, attentando alla vita dei suoi cari e la paura inizia a farsi strada: Caris non sa cosa pensare e non riesce a trovare risposta ai vari interrogativi che affollano la sua mente. Un aiuto arriverà, anche se forse non era quello che la ragazza aspettava...
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve. Questa fiction è tratta da una storia che ho scritto 3 anni fa. All'epoca sognavo di pubblicarla, ma poi ho deciso di lasciar perdere per concentrarmi poi su qualcosa di nuovo. In questi giorni mi è tornata per mano, quindi ho deciso di pubblicarla un po' alla volta. Spero la storia sia di vostro gradimento: è un classico del fantasy, ma credo possa ancora definirsi "accattivante". Spero di poter leggere i vostri commenti. Un bacio
                                                                                               _darkia_


CAPITOLO 1:

UNA REALTÀ SCONVOLTA





Gli animali scappavano dalle loro tane e correvano in grandi gruppi verso un'ignota terra dove avrebbero potuto riprendere la loro vita, dimenticando quella notte, in cui regnarono morte e distruzione. Sotto la pioggia battente, la furia degli elementi stava dando libero sfogo alla propria forza. Il vento ululava rabbioso alla foresta e le fronde degli alberi gridavano la loro risposta. Le acque di un fiume inondavano le colline e spazzavano via ogni cosa che intralciava il loro cammino. Oscure nubi avevano formato, in circolo continuo, un occhio: l'occhio di un ciclone che avrebbe distrutto tutto, a partire da un castello avvolto dalle fiamme. Nel maniero vi era gran fermento: vari uomini cercavano di spegnere quel fuoco assassino, senza riuscirci. In una stanza un neonato piangeva. Intorno al piccolo si era radunato un folto gruppo di persone. Esse, insieme con il sovrano del castello, cercavano di domare le fiamme per mezzo della magia. Inutilmente.

Davanti alla fortezza, si erano riuniti due schieramenti, separati da un ponte: uno difendeva il maniero, l'altro lo attaccava. Ricevuto l'ordine, i due gruppi si scontrarono. Dalla mischia uscì un uomo dal mantello marchiato da due cerchi tangenti esterni. Egli alimentò le fiamme in modo che non potessero venire spente. Dopo aver sussurrato alcune parole, la misteriosa persona volò agli alloggi reali. Con un incantesimo uccise tutti: guardie, servitori e la regina. Lasciò per ultimo il re, con il quale ingaggiò una furente lotta che finì con la caduta del sovrano. L'aggressore vide con orrore che, alla strage, era sopravvissuto il bambino. Gli si avvicinò, lo prese in braccio e fu allora che percepì l'enorme forza che quel neonato possedeva. Comprendendo di non poterlo uccidere, sussurrò: « Jismy aug garesh!». La parete di pietra si illuminò e da un fascio di luce emerse l'immagine di un parco, dietro al quale si ergevano alti dei grattacieli.

« Tu hai il potere di contrastarmi,» esclamò l'uomo «ma non potrai farlo da un altro mondo!».

Detto questo adagiò il neonato nel portale, che si richiuse all'istante.

Uscì con i suoi uomini e, un attimo dopo, il castello fu inghiottito dal ciclone.


Caris urlò, grondante di sudore, scossa da quell'incubo che la tormentava ogni notte. Si prese la testa fra le mani e si massaggiò le tempie. Da quant'è che sognava quella roba? Normalmente, Caris si svegliava da quell'incubo remante e, quando si riaddormentava, aveva un sonno buio, senza sogni. I suoi genitori si erano abituati, ma lei no...

La sveglia suonò alle 6:45 precise, intonando la canzone di Britney Spears "Womanizer".

La ragazza si trascinò in bagno: si lavò la faccia e si pettinò i lunghi capelli castani. Tornò poi in camera per vestirsi, poi aprì la finestra: una visione spettacolare di New York la accolse. Caris adorava quel paesaggio: il contrasto fra la natura di Central Park e la modernità dei grattacieli più alti della città la affascinava.

Corse in cucina, dove trovò la sorella Jenn: diciottenne, aveva tre anni in più di Caris, i capelli rossi le arrivavano alle spalle e gli occhi erano verdi, bellissimi. Era la ragazza più bella della scuola, ma non le importava, anzi era modesta ed umile. Aveva sempre un consiglio pronto per la sorella e, in caso di discussioni, trovava sempre quel dettaglio che serviva a scagionarle.

«Buongiorno.» disse allegra.

Quattro anni prima, i loro genitori, Eleonor e John, avevano detto a Caris, allora undicenne, di averla adottata. Il fatto la sconvolse e si chiuse in se stessa, sovrastata da una tristezza mai provata prima. Jenn, però, riuscì a farla riemergere da quel mare di depressione e, anche se non lo era, l'aveva sempre trattata da sorella.

«'Giorno.» disse Caris, sorridendo al riaffiorare dei ricordi; «Dov'è mamma?»

«È andata all'aeroporto ad aspettare papà. Finalmente oggi finisce la scuola e iniziano le vacanze!! Arriverà papà e passeremo Pasqua a Miami!»rispose, entusiasta: pensava a quella vacanza dall'inizio dell'anno.

«Muoviamoci,» disse Jenn cambiando argomento « tra poco dobbiamo andare a scuola.».

"Peccato che andiamo in scuole diverse, mi piacerebbe vederla nel corridoio..." pensò Caris.


Il suono della campanella segnò l'inizio dell'ultima ora, ossia quella di scienze. Nella classe regnava il caos: palline di carta facevano il giro dell'aula, i ragazzi pocciavano la lavagna e le ragazze spettegolavano sedute sui banchi. All'improvviso dei passi riecheggiarono nel corridoio. Tutti tornarono ai propri posti e, nel silenzio più totale, fece il suo ingresso il professor Grish, famoso e rispettato insegnante noto per la sua severità e rigidezza.

Squadrando gli alunni dall'alto al basso, prese dalla sua valigetta una pila di fogli.

«Ho corretto le vostre verifiche: una delusione! Quattro persone, solo quattro hanno un voto superiore a sette. Vergognatevi!» detto questo cominciò a distribuire i compiti.

«Ottimo lavoro, Brown: quasi nessun errore.»

Caris prese in mano il suo foglio: dieci meno.

«Che secchiona!» sussurrò Tom, il suo compagno di banco.

La ragazza si strinse nelle spalle: non era colpa sua se era brava. Non aveva chiesto lei di esserlo. Inoltre possedeva delle abilità speciali: il suo intuito non sbagliava mai, riusciva sempre a sapere la cosa giusta da dire o da fare, aveva una vista ed un udito finissimi e le sue prestazioni atletiche erano le migliori della scuola. Caris, però, non andava fiera delle sue straordinarie doti, anzi, avrebbe preferito non possederle, perché la rendevano diversa dagli altri. I compagni preferivano stare alla larga da lei, perché sarebbero stati oscurati dalle sue abilità, che suscitavano l'invidia di tutti.

Caris passò il resto dell'ora a guardare la correzione del compito alla lavagna, ripensando all'incubo. Quella notte le era sembrato diverso: per la prima volta era riuscita a capire le parole dell'uomo misterio-so. Il suono della campanella la riportò alla realtà.

Tornò di corsa a casa, impaziente di rivedere il padre e cominciare le vacanze pasquali. Salutò la sorella, ma notò una punta di tristezza negli occhi di Jenn.

«Qualcosa non va?» le chiese.

«C'è un ritardo: papà arriverà fra tre giorni, » sospirò «mi ero illusa che per una volta arrivasse puntuale...»

«Sai perché è in ritardo?»

«Doveva finire un accordo finanziario con il responsabile della catena bancaria più importante dopo quella di papà, pare che amalgameranno anche quella...»

«E la mamma?»

«È in tribunale: penso sia l'avvocato più impegnato di New York!»

Ci fu un attimo di silenzio.

«Hai urlato anche stanotte, vero?» chiese Jenn, cambiando argomento.

«Allora hai sentito: sempre il solito incubo! Credo che lo sognerò anche nella tomba!»

«Dai, non ci devi pensare. Senti, ti va se, per distrarti un po', andiamo a fare shopping?»

«No, mi dispiace, ma oggi non me la sento.»

«Vabbè, andrò da sola. Se arriva mamma dille che torno verso le sei. Ciao!»

Caris adorava lo shopping, ma era sicura che, al centro commerciale, avrebbe incontrato Alex, il ragazzo che le piaceva, e non aveva voglia di fare brutte figure. Quando lo vedeva, con quei bellissimi capelli biondi, e incontrava il suo sguardo, si sentiva persa. Ogni tanto guardava i suoi occhi verdi per pochi secondi che le sembravano l'eternità. In quei pochi istanti sbirciava nel profondo e intravedeva un pizzico di curiosità che lo stesso Alex provava nei suoi confronti. Quando le rivolgeva anche un semplice "Ciao", però, Caris passava dal rosa pelle al bordeaux. Iniziava a balbettare e quelle poche parole che le uscivano venivano sussurrate.

Accese il computer e digitò la password che le concedeva di entrare in MSN. Guardò la sua posta, quando non ricevette un messaggio istantaneo.

"Maledizione!"pensò.

LIZ4EVER: Ciao.

"Ci mancava solo Liz!"

Liz la bella e cattiva della scuola, era la nemica storica di Caris, non-ché fidanzata di Alex.

"Mi tocca pure essere gentile!"

Le due ragazze non si sopportavano, ma quando si parlavano, sembravano amiche per la pelle.

CARIS'94: Ciao, come va?

LIZ4EVER: Benissimo, sono super eccitata per la festa di stasera, ho chiamato tutti! Avrei voluto invitare anche te, ma non c'è più posto...

Non la sopportava! Faceva di tutto per emarginarla e prenderla in giro.

"Oh, no, bella: questa volta non me la fai!"

CARIS'94: Dimmi Liz, dove trascorrerai le vacanze di Pasqua?

LIZ4EVER: A casa, tu?

CARIS'94: Io e la mia famiglia andiamo a Miami, se vuoi ti mando un cartolina.

"Evvai!"

Le sembrava di sentirla fremere di rabbia.

LIZ4EVER: Devo andare, ciao.

"Presa!"

In quel momento un altro contatto le inviò un messaggio.

HARDALEX: Ehi, ciao!

"Accidenti!"

CARIS'94: Ciao.

HARDALEX: Mi dispiace che non ci sarai stasera.

CARIS'94: Ne ho appena parlato con Liz.... Tanto per cambiare me l'ha rinfacciato.

HARDALEX: Mi dispiace. Senti, te lo devo proprio dire: non la reggo più! È così egocentrica e smorfiosa... La vorrei lasciare stasera davanti a tutti, per umiliarla, come lei ha fatto al mio migliore amico.

CARIS'94: A Fred?

HARDALEX: Già, ha complottato con le sue amiche, che l'hanno abbindolato e l'hanno preso in giro davanti a tutta la scuola.

CARIS'94: Quindi la vuoi mollare per vendetta...

HARDALEX: Sì, più o meno. Il fatto è che...

CARIS'94: Che?

HARDALEX: Mi piace un'altra.

CARIS'94: Chi è?

HARDALEX: Non posso dirtelo.

CARIS'94: Dammi almeno un indizio! Dai!!! Sono curiosa!!

HARDALEX: Va bene... ha i capelli castani.

La ragazza si bloccò dall'emozione.

HARDALEX: Scusa, ma ora ti devo lasciare, ciao.

Il cuore di Caris andava ai mille all'ora. Gli aveva parlato, aveva avuto una conversazione con Alex! Voleva mollare Liz! Gli piaceva una con i capelli castani! Lei aveva i capelli castani!

Aveva bisogno di urlare: doveva urlare!

«WOW!»

Si buttò sul letto, accaldata.

In quel momento le vibrò il cellulare: un SMS.

"Chi sarà?"

Era Alex.

"Grazie per avermi fatto sfogare. Non raccontare a nessuno quello che ti ho detto. Ciao."

Caris era al settimo cielo. Nulla avrebbe rovinato quel giorno.

Ad un tratto vide un'ombra guizzare fuori dalla finestra. Si avvicinò e scostò le tende: la strada era deserta.

"Me lo sarò immaginata."


Le ore trascorsero veloci e la sera non tardò ad arrivare. Madre e figlie si accinsero ad andare a tavola.

«Che sbadata!» esclamò Eleonor «Ho dimenticato la spesa in macchina! Caris puoi, per favore, andarmela a prendere?»

Le lanciò le chiavi della BMW.

La ragazza corse in garage, ma invece di trovare le borse con gli alimentari, trovò un pacchetto.

Tornò in cucina sollevando un sopracciglio.

«È opera tua?» chiese.

«No, non mia. Quando sono andata all'aeroporto ho incontrato il segretario di papà che, oltre ad informarmi del suo ritardo, mi ha affidato questo regalo per te.»

«Un regalo da papà?»

«Sì, non è così difficile da capire! Forza: aprilo! Non vedo l'ora di scoprire cosa c'è dentro!» esclamò Jenn.

Caris scartò con minuziosa attenzione il pacchetto: conteneva un astuccio nero. La ragazza esitò, poi lo aprì: conteneva una catenina d'oro ed un ciondolo d'ametista, a forma di goccia.

«É... bellissimo!»

«Ha detto che così potrai sempre pensarci, ovunque tu sarai o noi saremo.»

«Devo ringraziarlo. Dov'è il telefono?»

«Non è una buona idea chiamarlo ora, è meglio che gli mandi un messaggio.»

Caris s'infilò la collana, orgogliosa del regalo appena ricevuto.


La sera, Jenn entrò nella camera della sorella.

«Come va?»

«Benissimo: che giorno stupendo! Prima parlo con Alex, poi papà mi regala un ciondolo di ametista.»

«Già. Sai, papà ha sempre voluto proteggerti, da quando ti ha trovata a Central Park, urlante e piena di fuliggine. L'ametista è la pietra della protezione, per questo te l'ha regalata. Ha fatto così anche con me, donandomi un anello dello stesso materiale. Credo che voglia darti un ricordo di lui...»

«Di voi.»

«Sì, di noi. Ora che ci penso, è la ragione più plausibile.»

«Perché?»

«E lo chiedi anche?! Da quando sei nata, non ti sei mai ammalata, nemmeno una volta. E quando sei caduta mentre cercavi di arrampicarti su un albero? Ti sei rotta un braccio, ma dopo due giorni eri già guarita! Ammettilo: tu non hai bisogno di protezione!»

Si guardarono per un momento.

«Beh,» esclamò Jenn «quello che ti volevo dire l'ho detto e, se permetti, ho sonno e vado a dormire.»

«Buonanotte.»

«Anche a te.» rispose l'altra, uscendo.

Caris si alzò e andò alla finestra. Contemplò la luna piena, bianca, pura, e assaporò il leggero venticello che soffiava da nord.

In un attimo tutta quella tranquillità svanì. Un'ombra guizzò sulla strada e, con un balzo, raggiunse la finestra. Caris la vide appesa alla grondaia, che scrutava, spiava la stanza e la ragazza paralizzata dalla paura. Con uno scatto improvviso sparì.

"Che cos'era quello?"

Il terrore si appropriò di Caris, che chiuse la finestra e si mise a letto.

Quella notte il suo sonno fu tormentato da incubi. Non il solito sogno, ma visioni di guerre, battaglie sanguinose, torture e combattimenti magici. Dolore e disperazione lambivano le sponde oscure della sua mente e Caris viveva in prima persona quelle emozioni.


Nel parco regnava il silenzio, tutto taceva, come per paura di rompere il magico equilibrio naturale. La rugiada cristallina adornava i fili d'erba e brillava d'incanto quando incontrava i raggi del sole.

Ad un tratto si sentì un rumore: era una ragazza. Capelli castani, occhi marroni, indossava una T-shirt viola e degli shorts. Le Converse nere producevano un sommesso suono sull'erba. Caris veniva sempre a Central Park quando doveva riflettere. Le piaceva quel luogo: suo padre le raccontava che l'aveva trovata su una panchina, ricoperta di cenere. Erano passati tre giorni dall'incontro con l'ombra e una parte di lei ne era ancora profondamente turbata, ma l'altra pensava solo ad una cosa: "Oggi arriva papà!"

Continuò a girare per il parco, rimuginando su passato, l'ombra, presente, l'ansia, e futuro, la vacanza.

Si sedette su una panchina, guardando il cielo: era limpido, libero da qualunque ostacolo che poteva intralciare il calore del sole. Sorrise a quella che sembrava una bella giornata.

Improvvisamente la luce scomparve, inghiottita dalle nuvole. Iniziò a cadere una pioggia sottile.

Caris sospirò: «Uff...»

Iniziò a correre verso casa, ma ad un tratto inciampò e cadde. Si rialzò lentamente e udì un guaito. Si girò svelta: bagnato dalla pioggia diventata impetuosa, un lupacchiotto piangeva. La ragazza gli si avvicinò e lo accarezzò. Non si mosse.

"Che cosa ci farà un lupo a Central Park? Boh, sarà scappato da un parco naturale..." pensò.

All'improvviso il suo cellulare vibrò: era Jenn.

"Caris, dove sei? Papà è arrivato: SBRIGATI!!"

Che cosa doveva fare? Non poteva lasciare quel cucciolo! Lo sollevò, lo cinse fra le sue braccia e si precipitò a casa.

All'uscita dal parco, però, una sagoma scura aspettava. Scorse la ragazza e, dall'oscurità brillarono due occhi color smeraldo, frammentati in centinaia di cristalli, che riflettevano l'immagine come specchi.

Caris vide e riconobbe l'ombra della notte scorsa e interruppe bruscamente la sua corsa. Cambiò strada e scappò lungo il lato occidentale del parco. Solo quando fu davanti a casa sua ebbe il coraggio di voltarsi: dell'ombra non c'era più nessuna traccia. Nel cielo, intanto, era tornato a risplendere il sole: il pericolo era passato, o almeno così sembrava.

Sospirando, la ragazza aprì la porta e vide il padre.

John si avvicinò per abbracciarla, ma subito gli mancò il fiato.

«Caris... dove hai trovato quel lupo?»

«Era nel parco che guaiva, non potevo lasciarlo solo...»

«Bentornata C....» le parole morirono in gola ad Eleonor quando vide il lupacchiotto «Ma cosa...»

«L'ho trovato nel parco solo e impaurito» ripeté Fedrice.

«Povero...» la madre accarezzò la testa all'animale.

Questi aprì un occhio e leccò la mano della donna.

«Non è dolce?»

In quel momento comparve Jenn, che si precipitò da Caris.

«Che carino! Dove l'hai preso?»

«L'ho trovato a Central Park.»

«Che morbido...»

«Insomma John, vieni a fargli qualche coccola!» lo incitò Eleonor.

In pochi minuti si ritrovarono tutti ad accarezzare il cucciolo.

Allora Caris decise di porre la domanda che tanto la tormentava.

«Che... che cosa facciamo con lui?»

«Con lei.» precisò Jenn.

«Non lo so...» disse John.

«Potremmo... tenerla?»

«Beh, adesso è dolce ed affettuosa, ma è pur sempre un lupo.»

«Certo, ma posso educarla! Vi prego...»

«Dai John,» lo implorò Eleonor «lo spazio non manca e questa famiglia ha bisogno di un animale.»

«È un lupo! Fosse un gatto o un cane capirei, ma un lupo!!!»

«Beh, che c'è di male?» intervenne Jenn.

«I lupi vivono nella foresta. Lei è un lupo! Sua madre era un lupo! E pure suo padre! Ha ereditato dai genitori lo spirito dei lupi. Prima o poi vorrà tornare libero.»

«E allora?» esclamò Caris «Io l'alleverò, come fosse un cane, e, se poi vorrà andarsene, se ne andrà, ma per adesso rimarrà qui!»

«Ben detto!» concordò Jenn.

«Va bene, ve bene, ma la responsabilità è tua, Caris, su ogni cosa che quell'animale farà!»

Per poco la ragazza non pianse dalla gioia.

«Sì sì sì! Che bello!» gridarono all'unisono.

«Frenate l'entusiasmo: dobbiamo trovarle un nome... Scegli tu, Caris.»

«Mmh...»

In quel momento la lupacchiotta si mise a sedere e guardò negli occhi la padroncina. Le sue iridi erano del colore del ghiaccio, ma nel profondo, si intravedeva una sorta di violetto.

Quello sguardo penetrò nell'animo di Caris, e sembrò che la cucciola volesse comunicarle qualcosa.

«La chiamerò... Ylon.» disse, in balia degli occhi del lupo.

«Ylon?» ripeterono all'unisono.

«Sì, Ylon! Non vi piace?»

«No, no!» si giustificò Jenn «È bello come nome, ma anche strano...»

«Vabbè, sembra che a Ylon piaccia il suo nome!»

La lupacchiotta, infatti, scodinzolava e saltava in giro per la casa.

«Dai, falle vedere la casa, così si ambienterà. Noi andiamo a comprarle qualcosa al negozio di animali.»

La porta si richiuse alle spalle di Caris.

«Ylon, vieni, ti faccio vedere la mia stanza, così finisco di fare le valigie.»

Appena entrate in camera, la cucciola gironzolò in cerca di un odore che attirasse la sua attenzione e ringhiò quando si trovò vicino alla finestra.

«Ehi, piccina, che c'è? Hai sentito qualcosa?»

Ylon saltò sul letto e solo allora Caris poté ammirare la bellezza dell'animale. Il mantello argentato scintillava emanando bagliori d'oro.

«Sei bellissima...» e l'inondò di carezze.

In quel momento il suo cellulare intonò la canzone dei Paramore "Decode".

«Pronto?»

Si udì una risata in sottofondo.

«Pronto?!» ripeté

Nulla: aveva riattaccato.

«Il numero è sconosciuto. Boh, sarà stato uno scherzo!»

Rimise il telefono in tasca e ricominciò a fare le valigie.

«Finito!» esclamò trionfante «Vieni Ylon: andiamo a fare una passeggiata!»

Appena uscite dalla porta, il cellulare di Caris suonò di nuovo.

«Pronto?»

«C-Caris, sono Jenn... Vieni a-al negozio di an-animali, subito... Sbrigati...»

«Jenn, che è successo?!»

Silenzio.

«Jenn!!! Accidenti! È caduta la linea! Andiamo Ylon!»

Corsero insieme, lungo le strade trafficate, e giunte all'angolo che le separava dal negozio, videro del fumo.

"Oh no!"

Si avvicinarono e, per un attimo, il cuore di Caris cessò di battere. La BMW della madre giaceva sul marciapiede, distrutta.

«Caris!!»

«Mamma! Papà! Jenn!!» esclamò abbracciandoli, «Come state?»

«Siamo spaventati, ma vivi.» disse John.

«Cos'è successo?!»

«Siamo arrivati al negozio» spiegò Jenn « e abbiamo parcheggiato. Siamo scesi e, dopo pochi secondi, si è sentito un fortissimo tonfo, seguito da un'esplosione... Ci siamo girati e abbiamo visto questo spettacolo.»

«M-ma...»

«E non è tutto: non so se sia stata un'allucinazione, ma, nel fumo scaturitosi, ho visto due occhi brillare, di un colore verde intenso.»

"L'ombra... allora è stata opera sua!"

Tutto quadrava: la notte scorsa aveva fatto la sua prima apparizione nella stanza di Caris, inquadrandola come vittima. Quella mattina l'aspettava al varco di Central Park e senz'altro non per farle qualcosa di buono. E adesso attentava alla vita dei suoi cari.

«L'importate è che stiate bene...» queste furono le uniche parole che riuscì a dire dopo essersi resa conto della verità.



   
 
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