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Autore: dav_id89    02/11/2010    6 recensioni
Terza classificata al Contest "Once upon a Bloody December" di storyteller lover e premio speciale per l'originalità.
Una giovane ignara preda fra le braccia di un vampiro, muta testimone del dramma della trasformazione di Thomas da mortale ad immortale.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I

THOMAS FOSTER, STORIA DI UN VAMPIRO.


Capitolo I: “Fra le strade di Londra”


Le tenui luci dei lampioni illuminavano fiocamente le strade semibuie di un quartiere londinese. L'aria gelida di quella notte di dicembre penetrava nelle ossa, provocando brividi lungo la spina dorsale. Almeno così mi ricordavo che dovesse essere pressapoco la sensazione del freddo.
Il cielo risplendeva immobile di tutte le sue stelle, le quali avrebbero probabilmente lasciato il posto al grigio delle nuvole la mattina seguente. Odiavo quel grigiore ma allo stesso tempo ero costretto ad amarlo per necessità. Il silenzio quasi sovrannaturale era rotto solamente dal rumore dei miei passi, lenti, flemmatici, ma nel contempo decisi e sicuri.
Mi fermai di fronte ad una vetrina illuminata ed entrai. Poggiai il sacco che avevo in spalla di fronte una delle numerose lavatrici e, lentamente, vi buttai dentro la biancheria da lavare impostando il programma idoneo. Sospirai stanco, non nel corpo bensì nell'animo.
Scansai la ciocca nera che mi scendeva costantemente sulla fronte, il movimento per ricondurla al suo posto era diventato quasi automatico. Quei capelli che, insieme alle sopracciglia e agli occhi neri come pece, mettevano in risalto il pallore spettrale del mio volto. Mi tolsi la giacca nera del completo che avevo indosso e arrocciai le maniche della camicia bianca fino sopra il gomito.
Accesi una sigaretta mentre aspettavo la fine del lavaggio. Magari quell'involucro cilindrico di tabacco avesse potuto uccidermi... ma non poteva, purtroppo.
Il ticchettio dell'orologio a muro scandiva, in periodiche nicchie di tempo, il silenzio che mi avvolgeva come un manto di impenetrabile oscurità. Ogni singolo ticchettio turbava il mio temporaneo e fragile stato di quiete. L'ultimo suono emesso da quell'irritante aggeggio fu il suo infrangersi sul pavimento.
Meglio... molto meglio.
Udii di fronte a me il rumore delle porte che si aprivano, una zaffata di profumo mi inebriò i sensi.
Divino odore di sangue, giovane, fresco. Istantaneo l'impulso di soddisfare l'improvvisa sete che mi assalì. Tuttavia quella sera non avevo intenzione di uccidere.
La guardai di sottecchi, una ragazza bionda sui venticinque anni. Sentii i suoi occhi su di me, come non capirla, il fascino che esercitavo su di lei era quasi irresistibile. Allo stesso modo delle piante carnivore, che attirano a loro gli insetti grazie all'odore che emanano, così io la attiravo a me.
Una piccola e docilissima preda che veniva incontro alla migliore delle trappole: la seduzione.
Sperai, con non troppa convinzione, che la ragazza decidesse di ascoltare l'ancestrale senso di pericolo che avvertono le prede, quando nelle loro vicinanze si aggira un famelico predatore.
Non lo fece:
“Strano trovare qualcuno qui a quest'ora.” civettò rivolgendomi un sorriso.
Non volevo uccidere quella notte, non uccidevo mai in quella data. Tuttavia la gola già mi ardeva immaginando quel sangue succulento.
“Già...” le risposi alzando leggermente gli occhi su di lei.
“Mi chiamo Johanna.”
“Johanna...” mormorai il suo nome. Il lieve senso di vertigine che ebbe al suono armonioso delle mie parole, quasi la fece cadere tra le mie braccia. E così sarebbe stato in un’altra situazione, si sarebbe adagiata dolcemente fra la stretta apparentemente innocua del mio corpo, con i sensi inebriati dalla mia voce, totalmente alla mia mercé. Non quella sera, per ora stavo solamente giocando con lei. Arrossì imbarazzata.
“Sei di queste parti?” mi domandò.
“Non proprio...” le risposi continuando a tessere la mia tela, dalla quale non sarebbe più potuta fuggire.
“Io vivo qui vicino, non ti ho mai visto in questa lavanderia.”
“È da poco che sto qui.”
“Ah... quindi non sei di Londra?”
“In realtà si, ci sono nato. Ma era un'altra Londra...” e comunque non vi ero rimasto molto.
Mia madre morì nel darmi alla luce e mio padre la seguì sei anni più tardi. La depressione in cui era caduto dopo la morte della moglie lo aveva in fine condotto ad impiccarsi. Quella scena era tutt'ora vivida nella mia memoria, seppure fossero passati quasi tre secoli. Riflettevo spesso domandandomi come sarebbe andata, se la mia vita umana fosse iniziata diversamente. In un'epoca in cui la borghesia stava lentamente iniziando a prendere forma come ceto a sé, ma sarebbe passato del tempo prima che l'aristocrazia cominciasse a sentirne il peso, la mia sola fortuna fu di essere raccolto dalle caritatevoli braccia del fratello di mio padre. Padre Philippe mi portò con sé e mi permise di avere un'istruzione, un pasto caldo tutti i giorni ed un letto in cui riposare la notte.
Johanna si schiarì la voce, mi riebbi da quei pensieri.
“Bello il tuo anello, un po' strano ma... bello.”
Assaporai l'ultimo tiro della sigaretta e gettai il mozzicone a terra, schiacciandolo con il tallone.
“Si, è un regalo di molto tempo fa.”
“Deve essere molto vecchio, sembra quasi di un'altra epoca!” esclamò affascinata dal rubino incastonato al centro.
“È molto antico, ma dimmi, perché sei in giro a quest'ora? Potresti incontrare tipi poco raccomandabili. Ladri, stupratori, di questi tempi ogni angolo che giri potrebbe essere l'ultimo.” l'ironia era la più bella maschera dietro la quale celavo le mie vere intenzioni.
“Ho avuto le prove a teatro fino a tardi. Domani sera andremo in scena”
“Davvero? Che cosa rappresentate?”
“Il fantasma dell'Opera”
Il suo odore di dolcissimo e succulento nettare purpureo, mi rendeva difficile tirarla per le lunghe. Però, bellissimo come sempre, l'agguato, il “corteggiamento” della preda. Quella complicata danza intorno all'oggetto del desiderio era ogni volta un piacere di cui godere fino in fondo. Il tutto culminante nell'esplosione di piacere che era il sangue. L'esperienza mi portava ad assaporare al massimo ogni attimo della caccia, a dare valore ad ogni vita che avrei poi spezzato. In modo che ogni vittima sarebbe rimasta impressa indelebilmente nella memoria: unica, a suo modo speciale... Rimanemmo l'uno di fronte all'altra perdendo il contatto con la realtà; lei perché completamente ammaliata dal mio sguardo ed io perché totalmente insensibile allo scorrere del tempo.
Il segnale acustico che avvisava della fine del lavaggio infranse quella sorta d' incantesimo.
Raccogliemmo ognuno le proprie cose, non volevo lasciarmi scappare quella preda, dovevo trovare un modo...
“Ti andrebbe di venire a teatro domani sera? Ho qui un biglietto per la platea, doveva venire mia
sorella ma è rimasta bloccata a Northampton. Il suo bambino ha l'influenza.”
La fortuna girava dalla mia parte. Avrei comunque trovato un modo per ucciderla, a costo di farle un banalissimo agguato la notte successiva. Ma così era più divertente, avrei assaporato meglio la preda. Presi la sacca con la biancheria di nuovo pulita e la issai in spalla.
“Mi piacerebbe molto, ti ringrazio. Però solamente se poi mi permetti di invitarti a cena e di riaccompagnarti a casa.”
“Certo, speravo me lo chiedessi. A proposito, non mi hai ancora detto come ti chiami..”
“Mi chiamo Thomas... A domani sera allora.”
Mi porse il biglietto togliendolo dalla tasca della giacca. Andai verso di lei e, mentre si avvicinava al mio viso aspettandosi un bacio, presi il piccolo foglietto di carta e me ne andai.
Era la notte fra il 12 ed il 13 dicembre. Molto tempo prima giurai che non avrei più ucciso in quella data. Ero stato tentato dall'irresistibile odore del sangue ma non avevo ceduto, tuttavia il banchetto con Johanna era solamente rimandato di qualche ora.
Passai la giornata a leggere, era una delle mie occupazioni preferite. Non amavo la compagnia, quella umana mi risultava ben presto noiosa, forse perché troppo succulenta. Quella di altri vampiri non mi entusiasmava più di tanto, avevano la tendenza ad essere invadenti e poi, comunque sia, odiavo dover condividere il cibo. La solitudine può essere capita ed apprezzata solo quando si ha un'eternità per viverla.
Quella mattina osservando la libreria avevo deciso di rileggere “Il fantasma dell'Opera”.
Il capolavoro di Leroux mi portava ad esplorare le nicchie più segrete del celebre teatro di Parigi; conoscevo a memoria ogni parola di quel libro, ma preferivo rileggere quei polverosi volumi piuttosto che avventurarmi negli ultimi best sellers. Sembrava una psicosi di massa la passione che era scaturita negli ultimi anni per i vampiri. Predatori della notte ormai dimenticati dalle loro stesse prede, entrati a far parte delle creature di fantasia. Era irritante vedere ammirazione invece che orrore, in molte facce di uomini o donne che stavano per morire sotto la ferrea morsa dei miei canini. Proprio quest'ultima categoria di illusi mi divertiva terrorizzare, prima di berne il sangue. Ero crudele? Spietato?
Probabile, ogni cacciatore in fondo gioca il ruolo del cattivo.
Mi accorsi che era quasi l'ora di andare, il piccolo teatro si trovava a non molta distanza dalla mia abitazione in Oxford Street. Un loft un po' spoglio, arredato con i pochi oggetti dai quali non mi ero mai separato.
Mi vestii in modo elegante ma non eccessivo. L'avrei portata a mangiare un hot-dog o qualcosa del genere dopo lo spettacolo, adducendo qualche scusa per giustificare il mio astenermi dal cenare.
Indossai una semplice camicia azzurrina, una giacca e dei pantaloni scuri. Mi infilai al polso un orologio dal quadrante grande, con un classico cinturino in pelle e optai per degli occhiali da vista, naturalmente non graduati, con una fine montatura nera. L'abbigliamento era uno dei miei tanti vezzi, se ne devono avere molti quando si ha tempo libero in abbondanza e parecchio denaro da spendere. Rimirai l'anello con il rubino color sangue incastonato nel mezzo. Una smorfia mi attraversò il viso al riemergere dei ricordi che si collegavano a quell'oggetto. Scossi la testa, decidendo di non attardarmi oltre, mi diressi verso la porta e scesi in strada. Passai di fronte le innumerevoli vetrine di Oxford Street senza degnarle di un' occhiata.
La via dello shopping. Originariamente creata per separare la parte ricca dalla parte povera della città, da sempre sede dei negozi più costosi. Mi infilai in una delle traverse in direzione di Soho Square, attraversando il piccolo parco sul quale vegliava giorno e notte la statua di Carlo II. Il sovrano decapitato dal popolo in quella che si ricorda come la prima insurrezione d'Inghilterra.
Il teatro era da quelle parti, abbandonato a se stesso in un minuscolo vicolo buio. A lato dell'entrata una vetrinetta incorniciava la locandina con i nomi degli attori. La scritta grande al centro informava i passanti che quella sera si sarebbe messa in scena una delle opere più famose in assoluto: The Phantom of the Opera.
Porsi il biglietto al ragazzo all'entrata e fui accompagnato al mio posto. Mi sedetti in una delle poltroncine rosse tra le prime file e attesi l'inizio dello spettacolo, dominando l'istinto di mordere la prima persona che mi fosse capitata a tiro. Non bevevo sangue da più di una settimana e la sete cominciava a diventare difficilmente sopportabile. Cercai di ricordare l'odore di Johanna, rompere quel digiuno con il suo sangue sarebbe stato idilliaco, non dovevo aspettare molto ormai, cos'è in fondo qualche ora per un essere condannato all'eternità?
Mi gustai a pieno la discreta rappresentazione di una delle mie opere preferite e attesi, pazientemente, l'arrivo della mia preda alla fine dello spettacolo.
“Ciao!” mi salutò Johanna baciandomi sulla guancia “sono contenta che sei venuto, allora dove andiamo? Ho una fame da lupi.”
“Ti va un hot-dog? Prendiamo la metro fino a Westminster e facciamo una passeggiata lungo il Tamigi.”
“Perfetto! Lì vicino c'è un posto carinissimo dove possiamo berci una birra.”
Mi prese la mano e uscimmo dal teatro, il suo odore era divino. Già in una situazione normale l'avrei trovato irresistibile. In quel momento particolare in cui la sete mi aggrediva come una belva feroce, capii che dovevo chiamare a raccolta tutto il mio autocontrollo per trattenermi dal morderla nel primo vicolo che mi fosse capitato a tiro.
Prendemmo la metro alla stazione di Tottenham Court Road salendo sulla Northern line, la linea nera, verso Embankment e da lì cambiammo sulla Circle, la linea gialla, scendendo alla fermata successiva, Westminster. All'uscita della metro il Big Ben si stagliò di fronte a noi come una visione. Mi affascinava così tanto da trovarlo quasi ipnotico, quell'orologio mi ricordava ogni volta quanto il tempo per me non avesse alcun significato. Ero qualcosa di immobile in un mondo in cui tutto muta costantemente. Attraversammo il Westminster Bridge godendo di uno dei più bei panorami di Londra: a destra, alle nostre spalle si stagliava il profilo illuminato della House of Parliament e del Big Ben, e a sinistra, di fronte a noi il London Eye illuminato di una splendente luce blu si rifletteva sul Tamigi.
“Un mio amico italiano che ha vissuto a Londra per un paio d'anni mi ha detto che vivere qui ti fa sentire al centro del mondo” osservò Johanna “per me è così normale... sono nata qui e ci vivo da sempre. Tu hai viaggiato molto?”.
Sorrisi, erano più di trecento anni che viaggiavo, tentando di scappare da qualcosa da cui nessuno può fuggire: la rabbia, il rimorso, il rancore...
“Ho viaggiato molto si... e alla fine sono tornato a Londra dopo tanto tempo.”
“Perché sei tornato? Ti mancava casa tua?”
“Me ne sono andato da Londra che ero troppo piccolo per ricordarla, è per quello che sono voluto tornare. Curiosità diciamo.”
“Io non mi sono mai mossa da qui invece” sospirò appoggiandosi al parapetto “vorrei vedere Parigi, Vienna, Venezia... magari insieme ad una compagnia teatrale. È il mio sogno...”
Osservai quei bellissimi occhi azzurri perdersi sognanti verso il cielo “Quindi non sogni Hollywood o Broadway?” le domandai. I sogni degli umani, quanto li invidiavo... anche io sognavo molto tempo fa... un vampiro non ha sogni, per assurdo è proprio l'eternità ad impedirglielo. La vita umana è appesa ad un filo così sottile che un semplice soffio di vento può farla precipitare nell'abisso. Loro lo sanno, proprio questa consapevolezza di precarietà fa nascere nei cuori sogni irraggiungibili e la speranza li rende quasi palpabili, li fa sembrare sempre a portata di mano.
Il paradosso dell'eternità è che soltanto chi non ne dispone può usufruirne veramente.
“Assolutamente no!” mi rispose lei quasi indignata “non sogno la ribalta, vorrei semplicemente fare ciò che amo, recitare. E vorrei esibirmi in giro per il mondo, tutto qui.”
Povera Johanna, non sapeva ancora che il suo sogno era destinato a non realizzarsi mai.
Ero perfettamente consapevole che il mio delitto più grande non era spezzare vite, ma trascinare nell'abisso della morte anche tutti i sogni e le speranze delle mie vittime. Se avessi avuto un'anima avrebbe sicuramente bruciato all'inferno.
“Beh, allora che ne pensi?” mi chiese poco dopo aver ripreso a camminare lungo il ponte.
“Riguardo cosa?”
“Quello che ha detto il mio amico, ti senti al centro del mondo? Oppure è così anche nelle altre città in cui sei stato?”
Riflettei su quella domanda, il mio punto di vista rispetto a molti dei luoghi in cui avevo trovato dimora era fortemente mutato durante i miei tre secoli e più di vita. Tuttavia una risposta del genere avrebbe potuto leggermente turbarla.
“Non saprei” risposi infine “dipende da te sentirti al centro oppure nel margine più buio del mondo. Ma dimmi, il tuo amico come mai se ne è andato?”
“Gli mancava il sole. Il grigiore di Londra lo deprimeva, io penso invece che ogni giornata di sole qui è speciale, è più bella perché è rara. Tu che ne pensi?”
“La scarsità di sole è uno dei motivi per cui apprezzo particolarmente questo posto”
Ci fermammo alla fine di Westminster Bridge, di fronte un piccolo chiosco di hot-dog.
Le dissi che non avevo appetito e la osservai finire il panino con una voracità che mi divertì. Almeno lei aveva messo a tacere i morsi della fame, la mia sete invece si faceva sempre più difficile da tenere a bada. Fui sul punto di pentirmi di aver tirato il mio pasto tanto per le lunghe.
Ci fermammo poco più avanti, di fronte ad un altro chiosco gestito da un ragazzo con dei lunghi capelli rasta neri, Johanna ordinò una birra e subito dopo si divorò letteralmente una crepes con la Nutella.
Mi stavo spazientendo, la via sotto il London Eye, la ruota panoramica più grande d'Europa, era piena di gente e tutta quell'abbondanza di sangue succulento mi faceva ardere la gola come fuoco.
Mi concentrai sulla mia preda cercando di recuperare il controllo. La presi per mano e proseguimmo fino all'Hungerford Bridge, il ponte percorribile solo a piedi che riconduceva sulla riva opposta, proprio di fronte la fermata della metro di Embankment.
Era trascorsa un'ora da quando eravamo usciti da teatro, le lancette del Big Ben segnavano le undici e ventidue. Salimmo sulla metro e prendemmo la linea marrone, la Bakerloo line, fino a Oxford Circus, a sole tre fermate da lì. Un forte vento ci investì quando risalimmo gli scalini verso la superficie, freddo da far gelare le ossa a giudicare dall'espressione della mia preda.
Immaginai che a questo punto, se fossi stato il personaggio di qualche stupido libro sui vampiri, lo scrittore si sarebbe profuso in una lunga digressione su quanto quella ragazza fosse diversa da tutte le altre che avessi mai ucciso. Sul fatto che qualcosa di mai provato prima mi trattenesse dall'affondare i miei denti nel suo collo, i miei occhi si sarebbero persi nei suoi azzurri e limpidi come un ruscello d'acqua purissima e... e chissà quali altre fantasie.
Gli umani ignorano cos'è veramente essere un vampiro. La sete ti aggredisce come rovi di spine lungo ogni centimetro del tuo corpo. Il minimo odore di sangue umano in quelle situazioni ti manda in visibilio. Ogni capacità razionale svanisce e rimane solo la sete, devastante come un incendio. Ti senti pervadere da brividi di puro istinto predatore, il tuo corpo morto non potrebbe essere più vivo che in quella situazione. Ogni capacità sovrannaturale propria dei vampiri triplica di intensità, non si è mai così veloci, così forti, così dannatamente scaltri come quando si ha sete. Con gli anni si impara a gestire il proprio corpo, ci vogliono secoli per riuscire a bilanciare il rapporto fra sete ed autocontrollo.
Non bevevo sangue da una settimana e mezzo. Johanna era là, l'unico motivo per cui non l'avevo ancora uccisa era il fatto che volevo gustarmi quella meravigliosa preda succulenta tranquillamente in casa mia, senza fretta. Probabilmente non l'avrei uccisa subito, l'avrei svuotata poco a poco del suo nettare vitale, beandomi di ogni goccia che fosse stillata dai fori che miei canini avrebbero procurato sul suo corpo. Quel pensiero mi procurò un fremito di eccitazione.
Tutto ciò fa di me un essere crudele?
Sono un vampiro, una creatura della notte, un essere non più umano che si nutre del sangue delle sue prede naturali. Ebbene si, probabilmente lo sono, ma ho provato sulla mia pelle che vi sono esseri umani molto più malvagi.
“Terra chiama Thomas! Ci sei?” la voce squillante della ragazza mi distolse improvvisamente da uno dei miei numerosi voli pindarici.
“Si, ci sono” mi accorsi di essere quasi arrivato all'angolo di casa mia “ti va di salire?” le chiesi, forse in modo troppo diretto.
“Non lo so... forse è il caso che torni a casa per questa sera...”
Fui attraversato da un impeto d'ira, mi trattenni dal digrignare i denti per il disappunto. Avevo altri modi per farle cambiare idea, mi sarebbe bastato continuare a parlare, tergiversare e sfoderare l'arma infallibile del fascino su di lei per indurla a salire. Ma non ne avevo voglia, ero stufo di continuare a girarci intorno. Così feci una cosa che fino a qualche decennio prima neanche mi sarei sognato, era per così dire “l'ultima spiaggia”.
La baciai, le sue labbra calde sulle mie gelide, il tocco delle sue mani sulla mia nuca e il cataclisma che mi investì le membra urlandomi di morderla. Volevo il suo sangue, volevo saziare la mia sete, subito, in quell'istante. Allontanai il mio viso dal suo cercando di apparire il più normale possibile.
“Sali su con me” le sussurrai e com'era ovvio mi prese per mano e mi seguì.
L'ascensore dallo spazio angusto ci condusse tra sinistri cigolii verso il piano più alto. Lei era mia ormai, completamente soggiogata a me, lo vedevo dai suoi occhi, dal suo sguardo. Introdussi la chiave nella toppa del grande portone di legno nero che si spalancò di scatto, come spinto da un'improvvisa folata di vento. Entrai, l'oscurità all'interno del loft era quasi palpabile, mi avvolse come un mantello impenetrabile e mi sentii a mio agio. La mia preda era in casa mia, indifesa, senza la minima possibilità di salvezza. Attraversai l'ampio salone, le tende nere spalancate per la notte lasciavano penetrare la debole luce esterna. Non che qualche semplice raggio di sole avrebbe potuto uccidermi, una delle falsità più grosse che giravano da secoli, la luce solare mi rendeva semplicemente debole.
La guidai su per le scale, nel soppalco che fungeva da camera da letto. Gli unici mobili erano un letto a baldacchino dai tendaggi viola logori e un comò coperto da un panno bianco. In un angolo, celato dalle tenebre, uno scrittoio colmo d'con numerosi fogli di carta sparsi sopra di esso e un calamaioinchiostro, erano l'eremo in cui mi rifugiavo sempre più spesso ultimamente.
“Aspettami qui, torno subito.” le dissi prima di scendere al piano inferiore per chiudere la porta a chiave e togliermi la camicia. Avevo sperimentato più volte quanto fossero difficili da lavare le macchie di sangue.
All'improvviso udii una melodia, l'unica cosa che riusciva a far breccia nel mio cuore di ghiaccio. Mi fiondai di sopra in un battito di ciglia. Johanna, di fronte al comò, aveva scansato uno dei lembi del lenzuolo che lo ricoprivano e aveva azionato il piccolo carillon, che riproduceva la melodia che mi ricordava i giorni felici in cui anche io avevo amato. Appena avevo sentito dell'invenzione di questo piccolo aggeggio, alla fine del 1700, mi ero precipitato a Ginevra dall'orologiaio Antoine Favre, colui che l'aveva brevettato. Gliene avevo commissionato uno per ascoltare in qualsiasi momento quella splendida melodia, che ogni volta mi riportava alla mente lei...
Sentii scorrere sul mio viso piccole lacrime umide e una morsa mi serrò lo stomaco, il tempo non lenisce le ferite se sei condannato all'eternità.
La ragazza sobbalzò quando mi vide apparire al suo fianco.
“Scusami, non volevo...” la zittii poggiandole una mano sulle labbra e attesi finché la melodia del carillon non fu giunta alla fine.
“Non fa niente” mi limitai a dire, tanto fra poco sarebbe morta. Coprii di nuovo il piccolo strumento musicale con l'angolo bianco del lenzuolo mentre Johanna continuava a curiosare per la stanza. Cominciava a darmi sui nervi. Mi voltai con l'intenzione di porre fine alla sua vita e nel contempo a saziare la mia sete. La vidi di fronte lo scrittoio, intenta a leggere qualche pagina che aveva raccolto a caso dalla pila disordinata di fogli.
“Sei uno scrittore?” mi chiese.
“Una specie...”
“È strano vedere qualcuno che usa ancora il calamaio, non ti piacciono i computer?”
“Non molto, diciamo che rispecchia di più la mia personalità e le mie ormai compassate abitudini.”
la ragazza si voltò sorridendo “Cosa stai scrivendo?” la sua curiosità mi divertì.
“Una bella storia, molto autobiografica...”
“Davvero?! Mi piacerebbe leggerla quando l'avrai finita. Hai intenzione di farla pubblicare?”
No, non ne avevo la minima intenzione.
“Ancora non lo so, ma non credo che farai in tempo a leggerla, procede un po' a rilento...” molto a rilento in realtà. Johanna si avvicinò al letto e si sedette “Peccato...” mormorò, tenendo fra le mani alcuni dei fogli colmi di parole. “Mi faresti un riassunto? Sono troppo curiosa” quella proposta mi lasciò interdetto. Naturalmente non dovevo neanche perdere tempo a risponderle. Dovevo solo avvicinarmi, morderla e saziarmi del suo sangue. Tuttavia c'era qualcosa che mi intrigava, raccontare alla mia preda la mia storia... da pazzi! Eppure...
Mi sedetti accanto a lei, guardai l'ora, c'era tutto il tempo...

   
 
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