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Autore: Yu_Kanda    03/11/2010    4 recensioni
Kanda, uno studente delle superiori di una scuola privata, si trova a scontrarsi con un gatto invadente mentre medita in un parco, ritrovandoselo appiccicato suo malgrado.
[AU, CAT!Lavi (sì, avete letto bene, Lavi è un gatto, un autentico micio DOC), LaviYuu]
[Fanfiction Classificata 2° al Contest "Neko Lovers" indetto da SweetTDemly e giudicato da ro-chan sul Forum di EFP]
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Rabi/Lavi, Yu Kanda | Coppie: Rabi/Kanda
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: non possiedo alcun diritto su D. Gray-man, PURTROPPO è tutto in mano a quella pazza della Hoshino... Perché, se fosse stato altrimenti... Il manga non sarebbe diventato un'accozzaglia informe di assurdità, e Lavi sarebbe insieme a Kanda da un bel pezzo!

ATTENZIONE YAOI - se non sapete cosa questa parola voglia dire, o se non gradite le relazioni uomo/uomo questa storia non fa per voi, siete avvisati! Come si dice, se non vi piace NON LEGGETE!







Il Gatto sulla Panchina


Capitolo 1: Il Ladro di Panchine




L'aria pungente del primo mattino gli piaceva particolarmente, sia per l'odore umido della notte che ancora portava con sé sia per il silenzio che solitamente l'accompagnava. Gli umani erano creature prettamente diurne per fortuna, e le ore che conducevano da notte fonda fino alle prime luci dell'alba raramente li vedevano mettere il naso fuori delle loro comode case.

Il gatto si fermò un istante ad annusare un ciuffo d'erba, scegliendo poi un posto appena più avanti per attendere ai suoi bisogni. La caccia non era stata particolarmente proficua quella notte, ed era affamato e stanco. Si stiracchiò, stendendo tutto il suo corpo in avanti, allungando le zampe posteriori più che poteva e drizzando la coda.

"Miiiaaaooo..." sbadigliò quasi senza dar voce al suo verso, spalancando le fauci, il nasetto rosa leggermente arricciato e gli occhi, normalmente di un bel verde smeraldo, chiusi nello sforzo.

Si grattò dietro un orecchio con impegno, facendo sollevare una piccola nuvola di pelo rosso, i baffi che si tendevano per il sollievo che quella pratica gli procurava. Ancora una volta aveva disobbedito al suo vecchio, uscendo dal rifugio del loro clan per andarsene a zonzo nel grande parco cittadino; era un posto molto pericoloso a sentire gli anziani, pieno di cose mortali e di esseri umani altrettanto letali.

Però lui non ne era spaventato, sapeva come evitarli e come trattarli. A parte questo amava molto vagare per quei boschi, gli piaceva soprattutto una certa zona piena di alberi frondosi e fiori profumati, frequentata purtroppo anche dagli umani. Per quello il suo vecchio l'aveva diffidato infinite volte dall'andarci, ma lui disobbediva sempre. Saltava anche la cena per il piacere di sdraiarsi nell'erba tra i fiori, sotto quegli alberi altissimi fra i cui rami si poteva sempre udire la voce del vento.

"È solo il sibilo dell'aria che passa fra le foglie," gli ripeteva in continuazione il suo mentore.

Per lui invece era la voce dello zefiro che annunciava il cambio del tempo, e quella degli alberi che gli parlavano di vita vissuta.

Dopotutto la missione del loro clan era di registrare gli eventi del mondo visti dagli occhi dei gatti; dunque ascoltare le storie antiche delle piante faceva parte del suo lavoro, in fin dei conti. Non li deridevano forse chiamandoli Bookman fra gli altri gatti, come gli uomini nella cui ombra vivevano? Quegli uomini che tanto disprezzavano, ma da cui poi traevano esempio per registrare la storia? La storia del popolo dei gatti, che assurdità.

Non era troppo convinto dell'importanza o dell'effettiva utilità di quel sacro compito. Molto meglio una bella corsa nel sottobosco, a caccia di farfalle!

Accelerò il passo, saettando veloce fra le foglie cadute e sollevando in piccoli turbini gli stami dei soffioni che incontrava sul suo cammino, fino a giungere nella radura cui mirava dall'inizio. Immobile su un filo d'erba immerso nella bruma, illuminata dai primi raggi di sole, si trovò davanti una meravigliosa farfalla. Un'appetitosa farfalla, nella sua personale classificazione della specie.

Si acquattò fra l'erba, la coda dritta e il sederino che ondeggiava ritmicamente con i suoi pensieri, mentre si preparava all'assalto del nemico. Con gli occhi verdi puntati sul bersaglio, non ne perdevano un movimento.

Le sue vibrisse tremarono appena segnalando il momento dello scatto, ma le zampine protese affondarono tra i fiori perché, sebbene veloce, il nostro eroe era stato anticipato. Sollevò il musetto per constatare la fuga della preda, le ali colorate che si libravano leggiadre nell'aria, riflettendo bagliori violetti nelle sue iridi ferite dalla luce del sole. Per un attimo la fissò rapito, quindi balzò verso di lei nel tentativo di afferrarla in volo, ricadendo però sul prato a bocca asciutta.

Soffiò sdegnato a quella farfalla tanto sfacciata da lasciarlo con un palmo di naso e, soprattutto, a stomaco vuoto. Non che un misero insetto potesse saziarlo, ma era meglio di niente, no?

D'accordo, si sarebbe appostato sulla sua panchina preferita in attesa di una vittima migliore, e... no, impossibile. Era occupata... da un umano!

Cosa diamine ci faceva uno stupido umano sulla sua meravigliosa e adorata panchina? Il gatto iniziò a emettere un suono sordo dal profondo della gola, irritato di trovare un intruso che gli usurpava il posto; con movimenti rapidi si avvicinò al rivale, osservandolo per scoprirne i punti deboli.

Il giovane umano sedeva sulla pietra del sedile a gambe incrociate, gli avambracci posati sulle cosce e le mani intrecciate fra loro. Teneva gli occhi chiusi e sembrava non essersi minimamente accorto della sua piccola battaglia con la farfalla, probabilmente immerso in meditazione.

Aveva un aspetto così fiero, il volto concentrato e impassibile, i lineamenti scultorei, i capelli color della pece raccolti in una coda alta che ricordavano quelli degli antichi samurai Giapponesi; e forse quel ragazzo era davvero di origini orientali, a giudicare dal taglio degli occhi, leggermente più stretti di quelli della gente che viveva lì. Tuttavia indossava l'uniforme di una scuola, quindi senza dubbio abitava stabilmente in città, adesso. Il gatto raspò con una zampa l'aiuola in cui si nascondeva.

Benissimo, visto che lui era stato fregato sia dalla colazione che da un umano, non avrebbe consentito che detto umano se ne stesse pacifico e felice sulla sua panchina. Prese la rincorsa e saltò sulla lastra di marmo, accanto al giovane, assestandogli una poderosa (per i suoi standard) testata contro un fianco.

L'impatto, sebbene risibile, riscosse l'oggetto dell'assalto dalla sua trance meditativa, facendogli spalancare gli occhi di colpo ed emettere un grido di sorpresa, nel momento in cui zanne acuminate gli si piantarono nella carne del braccio attraverso i vestiti.

- Che diavolo...! - esclamò il ragazzo, guardando subito verso la parte offesa e trovando un gatto tigrato color arancio attaccato al suo povero polso, appena più su del braccialetto buddista che indossava. - Un gatto? Che ti prende bestiaccia, mollami! - ordinò irritato, agitando la mano verso l'animale e infine prendendolo per la collottola allorché si avvide che ogni esortazione era inutile.

Per tutta risposta il gatto si aggrappò a lui con tutte e quattro le zampe, continuando a morderlo senza pietà. Imprecando coloritamente il giovane cercò di staccarlo da sé con la forza, strattonandogli la pelliccia per convincerlo a lasciare la presa. Il tira e molla andò avanti per diversi minuti, finché con somma gioia della vittima il felino si separò da lui all'improvviso. La cosa però provocò un discreto contraccolpo, mandando entrambi gli antagonisti a cadere nell'erba dietro la panchina contesa.

Petali di fiori si sollevarono quando la schiena del giovane impattò sul terreno schiacciando ciò che vi cresceva. Il malcapitato gemette, alzando appena la testa per posare lo sguardo su un infuriato gatto arancione che gli soffiava contro, posizionato a quattro zampe sul suo petto, pelo e coda dritti.

- Dannazione! - inveì, scansando l'animale di lato con un brusco movimento del braccio e poi rialzandosi. - Si può sapere perché ce l'hai con me, gattaccio spelacchiato? - ringhiò, agitando il pugno verso il suo assalitore, che ancora lo puntava soffiando, e guardandolo con rabbia allungò la mano libera per recuperare le scarpe che aveva lasciato dall'altro lato del sedile.

Spelacchiato? Gattaccio spelacchiato? Ah, questa non poteva proprio lasciagliela passare. Gli avrebbe fatto vedere di cosa era capace questo 'gattaccio spelacchiato'! Si stava preparando a balzargli alla gola, quando l'odiato umano guardò qualcosa lampeggiare nella sua cartella appoggiata ai piedi della panchina e l'afferrò di scatto estraendone un telefono.

- Accidenti a te, mi farai arrivare in ritardo! - grugnì, infilando dov'era prima lo strano oggetto e correndo via.

Eh, no! Non poteva andarsene così. Non dopo averlo insultato. Il gatto gli si precipitò dietro, prendendo per il sottobosco.

 

 

"È tardissimo! Sono le sette passate, non arriverò mai in tempo a scuola se non corro! Tutta colpa di quel gattaccio rognoso..." si rammaricava tra sé il giovane mentre accelerava ancora di più il passo, socchiudendo leggermente gli occhi dal taglio orientale per la rabbia.

Non erano trascorsi che pochi minuti quando qualcosa gli tagliò la strada passandogli fra le gambe, urtandolo con tanta forza che quasi inciampò. Solo per pura fortuna riuscì a mantenersi in equilibrio, fermandosi qualche metro più avanti e voltandosi. Il gatto era di nuovo davanti a lui, la coda dritta e l'atteggiamento minaccioso.

- Non ho tempo da perdere con te, palla di pelo! - sbottò, scuotendo il capo e facendo così ondeggiare la lunga coda corvina. In risposta giunse un sonoro "Miao!" che gli fece alzare gli occhi al cielo. - Fa' un po' come ti pare, io vado. - concluse, riprendendo a correre più in fretta di prima. Il gatto gli fu subito accanto, galoppando con lui, l'espressione decisa. - Oi, la vuoi smettere una buona volta di seguirmi? - gli intimò allora, accompagnando quelle parole con un gesto secco della mano nella speranza di scacciarlo, ma inutilmente: il felino scartava momentaneamente di lato e poi si rimetteva nella sua scia.

Finalmente si intravide il cancello del parco, i cui primi frequentatori umani li incrociavano nell'entrare, lanciando loro occhiate perplesse nel vedere uno studente correre inseguito da un gatto. Il giovane si fermò di botto sul marciapiede, la strada di nuovo sbarrata dal suo piccolo persecutore, fra lo stupore dei passanti che assistevano alla scena.

- Maledettissimo gattaccio, vuoi sì o no lasciarmi in pace? - gridò esasperato, indisponendo ancora di più la bestiola. - Tornatene nel bosco, qui non è posto per te! - ammonì; il gatto invece emise un miagolio roco e minaccioso, come se stesse per attaccarlo. - Sciò, vattene! - ordinò allora il giovane, e gesticolò additando il parco; raccolse poi una pigna da terra e la lanciò contro l'ostacolo che lo stava trattenendo. Troppo tardi si rese conto di quel che avrebbe provocato.

Il micio rosso evitò il proiettile a lui diretto balzando agilmente in mezzo alla strada, giusto davanti a un'auto che sopraggiungeva a velocità sostenuta. Il rumore della frenata lo fece voltare e l'animale rimase paralizzato dal terrore, fissando il veicolo che gli piombava addosso.

Fu un attimo, due mani l'afferrarono stringendolo contro qualcosa di caldo, e il gatto si sentì ruzzolare sull'asfalto insieme al suo salvatore. In preda al terrore, piantò le unghie di tutte e quattro le zampe in ciò che lo circondava, qualunque cosa fosse, per non essere sbalzato via.

 

 

Vide l'animale saltare e subito capì quel che sarebbe accaduto, lanciandoglisi dietro a braccia protese nel vano tentativo di afferrarlo. Non gli restava che tuffarsi davanti alla macchina che stava arrivando, perché anche se già frenava non avrebbe mai potuto fermarsi in tempo. Riuscì a prendere il gatto e proteggerlo con il suo corpo, rotolando di lato ed evitando in tal modo il primo pericolo, finendo però nel mezzo della seconda corsia.

Si rialzò in fretta, ignorando il dolore delle ferite che l'animale spaventato gli aveva causato nell'aggrapparsi a lui e fece appena in tempo a saltare, appoggiandosi sull'auto che gli inchiodava davanti. Scivolò sul cofano, ricadendo in piedi dall'altro lato, lasciando una scia di sangue sulla vernice cromata.

- Dico, ma sei impazzito, ragazzino? - urlò il conducente con voce stridula aprendo lo sportello, l'altro uomo che gli faceva eco, scendendo dalla prima auto ormai ferma. - Rischiare la vita per uno stupido gatto!

- Andate al diavolo! - replicò il giovane, stringendo il suo prezioso fardello al petto, la camicia bianca vistosamente impregnata di sangue. Maledetti, l'avrebbero investito senza pietà. Il povero micio tremava per lo shock e non fece resistenza quando gentilmente il suo salvatore staccò le zampine da sé e lo posò sul marciapiede, fra i commenti stizziti degli automobilisti e quelli ammirati degli astanti che avevano assistito al fatto. - Hai visto, gatto idiota? - tuonò allora detto salvatore, rivolto alla bestiola ancora paralizzata dal terrore. - È pericoloso qui! Tornatene nel bosco! - indicò il cancello aperto, e il gatto lo guardò con un'espressione quasi umana, gli occhioni verdi spauriti e lucidi come se dovesse piangere.

Con un sospiro, lo studente lo spinse gentilmente per il sederino, spostandolo verso il parco. In quel momento le voci di numerosi ragazzi risuonarono nel frastuono del traffico, e si intravide un gruppetto di altri studenti avvicinarsi, diretto alle strisce pedonali per attraversare la grande strada.

- Kanda! - gridò uno dei giovani. - Non dirmi che ti sei rammollito! Da quando accarezzi gli animali? - lo canzonò ridendo, salutandolo allo stesso tempo.

Il bersaglio del commento si raddrizzò, irrigidendosi, sbirciando con la coda dell'occhio colui che aveva osato apostrofarlo a quel modo. Si voltò lentamente, fissando i suoi occhi scuri in quelli dell'altro ragazzo, lo sguardo tagliente come la katana che era solito maneggiare durante le lezioni di spada.

- Ripetilo. - disse semplicemente, il tono gelido che era una promessa di morte, fronteggiando il gruppetto.

Le ragazze presenti urlarono vedendo la chiazza vermiglia che macchiava la camicia di Kanda, lacera in più punti dove gli artigli del felino si erano piantati, indicando verso di lui.

Colui che aveva parlato poco prima fissava il compagno di scuola a bocca aperta, il viso improvvisamente pallido per la vista di tutto quel sangue e l'orrore che essa generava in lui. L'intero gruppetto si zittì di colpo, indietreggiando.

Kanda quasi sogghignò nel leggere la paura che si rifletteva dai loro occhi. Quello che l'aveva deriso gridò un sonoro 'Oddio'.

- M-Mi dispiace Kanda! Davvero non volevo! - biascicò sconvolto e attraversò di corsa la strada quasi facendosi investire, seguito a ruota da tutti gli altri.

- CHE. - sbuffò il giovane. - Vigliacchi. Oi. - disse poi rivolto al gatto, che sembrava essersi un poco ripreso. - Vattene ora, sono già troppo in ritardo per riportarti io da dove sei venuto. Torno domani. - aggiunse come se l'animale potesse capire, e si guardò il torace coperto di sangue.

Avrebbe dovuto fornire una spiegazione credibile per quello, dannazione. Ignorando il gatto attraversò a sua volta a passo veloce, diretto al college in cui studiava.

Torno domani.

Il gatto si chiese come mai quell'umano gli avesse salvato la vita, preoccupandosi persino di andare da lui il giorno seguente. Erano davvero creature strane, gli umani. Un po' malfermo sulle zampette si incamminò verso il cuore del parco. Il suo vecchio gli avrebbe dato una bella strigliata per questo.

 

 

Kanda era giunto a scuola in ritardo, ma considerato il suo aspetto l'insegnante aveva chiuso un occhio, anzi, l'aveva spedito immediatamente in infermeria nonostante lui avesse protestato di non averne affatto bisogno.

"TCH, insegnanti," pensò Kanda mentre si puliva le unghiate per poi procedere a disinfettarle. Come al solito la fottuta infermiera non c'era, ma meglio così, non amava farsi toccare; si sarebbe bendato benissimo da solo.

- Kanda! Cosa ti è successo?! - esclamò all'improvviso una voce dietro di lui. - Fai vedere. - Kanda obbedì controvoglia, ma quando la donna allungò una mano per esaminare le ferite non glielo permise.

- Ho già finito, devo solo bendarmi. - ammonì, lanciandole uno sguardo truce.

L'infermiera sospirò, passandogli garze e cerotti e osservandolo mentre eseguiva la fasciatura con estrema perizia, quasi fosse abituato a farlo ogni giorno. Il giovane indossò la camicia macchiata come se nulla fosse e se ne andò, salutando con un grugnito. La donna scosse il capo, quel ragazzo era incorreggibilmente testardo.

Kanda prese dal suo armadietto la maglietta della tuta da ginnastica, per quel giorno avrebbero dovuto accontentarsi visto che la parte corrispondente della sua uniforme estiva era attualmente impresentabile.

Per tutta la mattinata i compagni di classe gli lanciarono sguardi furtivi con aria spaventata, e li udì mormorare di continuo, di sicuro alle sue spalle. Per quel che gli importava. Potevano anche andare tutti al diavolo.

Non appena suonò la campana dell'ora di pranzo Kanda si alzò in fretta, deciso a rifugiarsi come suo solito sul tetto dell'edificio scolastico. Prima che riuscisse a uscire dalla classe però due altri alunni lo avvicinarono, il volto carico di preoccupazione.

- Kanda-kun, stai bene? - chiese la fanciulla, mentre il ragazzetto albino che era con lei annuiva. - Con chi ti sei azzuffato questa volta? Sai che il tuo tutore non sarà contento di questo... - scosse la testa, fissandolo con i suoi occhi gentili dal taglio asiatico, e i due lunghi codini in cui legava i bei capelli neri ondeggiarono appena.

- Lenalee, non voglio parlarne. - replicò Kanda in tono piatto. - Non è successo niente. Fine della storia.

La ragazza fece per obiettare, quando l'altro studente le posò una mano sulla spalla, rivolgendole un cenno negativo del capo. Kanda gli lanciò un'occhiataccia. Non gli piaceva il modo in cui stava appiccicato a Lenalee, l'unica persona che considerava come un'amica, visto che erano praticamente cresciuti insieme.

- Lenalee, lascia stare. - disse il ragazzo albino con una sfumatura di sarcasmo nella voce. - Sai come ragiona, no? E poi sta benissimo.

- Non t'immischiare, moyashi. - sibilò Kanda, allontanando Lenalee da lui e frapponendosi fra loro.

- Il nome è Allen! - protestò energicamente destinatario del soprannome, affrontando a muso duro Kanda e guadagnandosi un sospiro sconsolato da Lenalee. La ragazza sgusciò da dietro l'amico d'infanzia per separarlo da quello che questi credeva essere il suo attuale spasimante.

- Andiamo ragazzi, non litigate, OK? - si raccomandò a entrambi, ma Kanda non era affatto propenso a restare in compagnia di Allen.

- CHE. - oppose in risposta alla richiesta di Lenalee. - Guardatevi bene dal farlo sapere ai miei fratellastri piuttosto, non voglio seccature. - ammonì quindi entrambi, mentre raccoglieva la cartella e se ne andava.

"Non devono scoprirlo o quell'uomo che pretende di essere mio padre farà una delle sue terribili sceneggiate, lamentandosi e piagnucolando per ore," aggiunse la sua mente, ignorando la vocetta dietro di lui domandare a Lenalee: "Ma come fai a sopportarlo?"

 

 

Il gatto arancione raggiunse la grande biblioteca situata nella parte antica della città e attraversò l'immenso giardino che la circondava. S'infilò in un oscuro cunicolo dimenticato il cui ingresso era parzialmente coperto dall'edera, che cresceva quasi su ogni muro dell'edificio centenario. Non appena giunse dall'altro lato fu accolto da un coro di esclamazioni preoccupate, tanto che gli anziani gli si fecero incontro immediatamente, miagolando indispettiti.

- Dove sei stato, Lavi? - lo inquisì un gatto glabro, la pelle rugosa di un marrone verdastro che la faceva quasi sembrare mummificata e gli occhi scuri che lo scrutavano, cercando di carpire i suoi pensieri più reconditi. - Quante volte ti ho detto di non vagabondare la notte? Gli umani sono creature infide e pericolose.

"Un umano ha rischiato la vita per me," avrebbe voluto rispondere Lavi, invece appiattì le orecchie e abbassò la coda, mortificato. Sperava solo di non essere punito, per poter tornare nel bosco a incontrare quel giovane, perché... si sentiva terribilmente in colpa per le ferite che gli aveva inflitto in preda al terrore. Voleva vedere come stava.

- Mi dispiace, non intendevo star via così tanto. - si scusò accucciandosi in terra, costernato.

- Molto bene. Vieni con me ora, abbiamo tanto lavoro da fare con i libri degli umani. - annunciò il gatto glabro, indicando con un movimento della coda la direzione.

Lavi rialzò il musetto, i baffi dritti e gli occhi di nuovo vispi nel percepire di essere stato graziato. Per il momento.

Uno degli altri anziani, una gatta dal pelo candido e gli occhi azzurri come il cielo, avanzò ad affiancare quello che aveva la responsabilità di Lavi, emettendo un suono accattivante simile alle fusa.

- Non essere così duro con lui, Bookman. È tanto giovane, deve ancora imparare molte cose. - ammonì, oltrepassando il vecchio gatto e strusciando il muso contro il collo del suo allievo. Poi si voltò verso quello che aveva chiamato col nome di Bookman. - Anche tu sei stato giovane, sai cosa significa. Il clan non è tutto.

- Hevlaska, non è cosa che ti riguardi. - replicò il gatto glabro, mordendo Lavi sulla collottola e sollevandolo quasi di peso per allontanarlo da lei. - Tu sei l'anziana della comunità, io sono l'anziano nel Clan degli Storici. A ognuno la sua giurisdizione. E gradirei che almeno tu non mi etichettassi con quel nome umano.

- Ma tu non ne hai uno gattesco, lo sai bene. Come ti dovrei chiamare? Sommo storico? - ribatté la gatta girandogli intorno, le labbra sottili arricciate in quello che su un umano sarebbe stato un sorriso.

- Non è una cattiva idea. È ciò che sono. - sottolineò il gatto glabro lanciando uno sguardo inconfondibile a Lavi, il quale si alzò di scatto zampettandogli dietro in silenzio.

Hevlaska emise un miagolio deluso e li seguì con lo sguardo mentre imboccavano un altro tunnel. Quel vecchio era davvero cocciuto, oltre che di una razza con cui non le risultava facile trattare.

   
 
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