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Autore: Sara Saliman    04/11/2010    27 recensioni
"Non c'erano Goblin a brulicare per la stanza, questa volta, non c'erano risatine che facessero vibrare le ombre, nè tuoni fuori dalla finestra. Nessun temporale aveva spalancato le imposte con una folata di vento. Ma lui... al chiarore che entrava dall'esterno, lui costituiva la stessa visione allucinata di allora." A cinque anni dagli eventi narrati nel film, una minaccia grava sul Labirinto e sui suoi abitanti. Jareth e Sarah sono costretti a collaborare: lui per il bene del Labirinto, lei per la salvezza dei propri amici. Ma, come sempre, nulla è come sembra!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Ultimo capitolo!
Oddio, non ci credo: è in assoluto prima storia che porto a termine! ç__ç
Un grazie a Lady Stardust per il supporto e il lavoro di betaggio!



Ovviamente: questi personaggi non appartengono a me ma ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, per il solo divertimento di chi vorrà leggerla.


 




Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

(Alda Merini)

 



Sopramondo, un anno dopo.



-E ora, miei cari, attenzione!- Gillian fece una pausa strategica. -Ho una sorpresa per voi!-
Con studiata lentezza, estrasse dalla borsa griffata quattro inviti e li posò al centro del tavolo.
-E' l'evento più esclusivo del mese, del tutto out per i comuni mortali. Ma... indovinate un po'? Noi possiamo andarci!-
Sarah pensò che probabilmente Gillian era l'unica persona sulla faccia della Terra capace di usare i termini "esclusivo" e "out" nella stessa frase e non sembrare una caricatura.
Micheal, evidentemente già informato della novità, si limitò ad appoggiare il mento sul palmo della mano e a fare un sorrisetto sghembo.
Adrian sbattè un paio di volte le palpebre e se ne uscì con una delle sue battute.
-Una festa di carnevale? A ottobre?-
Gillian lo guardò come avesse appena commesso un sacrilegio.
-Una festa in maschera. Per Halloween.-
Michael sollevò un biondo sopracciglio.
-Come li hai avuti?-
-Un amico di un amico di un amico.- disse Gillian in tono vago, agitando una mano color caramello.
Sarah si sentì come se tutta l'aria presente in cucina fosse all'improvviso divenuta acqua.
La coinquilina stava cominciando ad enumerare tutti pro di quell'iniziativa, ma Sarah smise di ascoltarla all'istante.
Sollevò lo sguardo sul cielo plumbeo nel momento in cui la prima goccia di pioggia s'infrangeva sul vetro della finestra. Le nubi erano gonfie, avevano riflessi lividi e bordi brillanti.
Sarah strinse gli occhi.
Una festa.
In maschera.
In una sala sospesa fuori dal tempo, gremita di cuscini di raso. Lampadari di cristallo gocciolavano luce sugli invitati; specchi ornati da drappi di velluto riflettevano all'infinito immagini di decadente bellezza. Sarah era stretta in un abito bianco e lucente, il busto fasciato nel corpino di seta, le spalle nude, indifese, le guance arrossate per un misto inebriante di imbarazzo ed eccitazione.
Occhi sconosciuti la seguivano da dietro orribili maschere; una donna guardò il suo viso scoperto: gettò all'indietro i boccoli rossi e scoppiò a ridere con perversa malizia.
Sarah non le badò.
Continuò ad avanzare fra le gonne di tulle e i candelabri d'argento, cercando lui.

Solo che, stavolta, lui non ci sarebbe stato.
Cacciò quel pensiero e lo chiuse a chiave in un angolo buio della propria mente. Non per troppo tempo, si promise: solo quello necessario a finire quella conversazione e ritirarsi nella propria stanza. Le lacrime forse sarebbero arrivate, forse no. I ricordi sicuramente sì.
-Tu che ne pensi, Sarah?-
Si voltò verso Adrian. Il tono leggero, persino casuale del ragazzo, era smentito dalla luce indagatrice che aveva negli occhi.
Sarah strinse le mani attorno alla tazza di cioccolata calda, come a sottrarle un po' più di calore.
-Sembra una bella idea. Potrebbe essere divertente.-
Gli occhi di Adrian si ridussero a due fessure di un caldo color nocciola.
-Allora perchè sembra che tu abbia visto un fantasma?-
Adrian, mannaggia a lui, notava proprio tutto.
Sarah fece il sorriso più largo che riuscì a mettere insieme.
-Guardi troppi horror.-
-Ha parlato miss "leggo-solo-fantasy"!-
-Non strapazzarmi Sarah!- intervenne Gillian, sventolandogli sotto il naso un dito sottile.
Adrian sollevò le mani in un gesto di resa.
-Ok, ok, manteniamo la calma. Posso reggere gli horror, ma una Barbie Fashion incazzata nera è troppo anche per me!-
-Come mi hai chiamato?!-
Micheal rideva sotto i baffi.
Sarah li guardò tutti e tre e sentì il sorriso sulle labbra diventare più naturale.
I miei amici.
I miei amici
umani.
Era trascorso un anno da quando si era rifugiata fra le braccia di Hoggle e aveva pianto fino allo stremo, ma a ripensarci sembrava ieri. Le lacrime non si erano fermate nemmeno quando la realtà intorno a lei aveva cominciato a colare via come tempera sotto la pioggia.
Sarah si era ritrovata nella propria camera, rannicchiata sul pavimento accanto alla scrivania, le braccia strette attorno al corpo sottile ora che non c'erano più nè Hoggle nè Jareth da abbracciare. L'orologio segnava le due del mattino: nel Sopramondo erano trascorse solo poche ore.
Alle tre, quando era tornata a casa, Gillian l'aveva trovata in cucina, con una tazza di thè in mano e il cuore a pezzi.
Sarah aveva dato delle spiegazioni molto vaghe.
-Ho appena saputo che è morto un vecchio amico.- aveva detto, senza entrare nei dettagli. -Solo adesso che è morto mi rendo conto di quanto fosse importante per me.-
Gli occhi scuri di Gillian si erano spalancati per la sorpresa, ma non aveva chiesto nulla.
Aveva posato una mano sulla sua, si era seduta al tavolo ed erano rimaste sveglie tutta la notte a parlare di cose senza importanza. Gillian cercava di farla ridere, e qualche volta persino ci riusciva; fra una risata e l'altra Sarah scoppiava in singhiozzi ed entrambe facevano finta di non accorgersene.
Da allora non era più tornata nel Sottosuolo e tutta la sua vita era sottilmente cambiata.
Un parte del suo cuore si era come prosciugata: era diventata una manciata di cenere. Aveva perso ogni interesse per la lettura, aveva smesso di sognare ad occhi aperti. Recitare le era diventato impossibile: aveva ancora una memoria prodigiosa, ma le battute che pronunciava suonavano forzate e poco credibili.
Quella parte di lei sembrava morta: una nuova lapide che si aggiungeva alle altre nella pianura alle porte della città di Goblin.
Per contro, Sarah aveva reagito aggrappandosi alla concretezza del Sopramondo: la realtà fatta di lezioni da frequentare, esami da preparare, persone con cui interagire era rassicurante e lei vi si era immersa totalmente.
Aveva scoperto di poter essere dolce con gli esseri umani quanto lo era con Hoggle, Ludo e Didimus, e si era presto resa conto di saper liquidare le compagnie moleste con la stessa fermezza con cui si era sbarazzata dei Fireys. A volte, quando doveva fare delle scelte e non sapeva che decisione prendere, Sarah pensava al Labirinto e sorrideva appena: i due mondi si somigliavano moltissimo, se solo si sapeva dove e come guardare. Ma mai, mai aveva trovato qualcuno o qualcosa che somigliasse a Jareth.
E lentamente, molto lentamente, la ragazza cominciava ad accettare che mai l'avrebbe trovato.
Jareth era morto, ma la vita nel Sopramondo non si era fermata. Lei stessa andava avanti e quella consapevolezza era un altro Corinzio con cui ballare ogni giorno.
Sarah finì la cioccolata: pura dolcezza e calore che s'infrangevano contro la lingua e il palato. Asciugò le labbra con un tovagliolo e si alzò. Tre paia di occhi si spostarono su di lei per seguire quel movimento.
-Be', ragazzi, salgo in camera. Per la festa... ci penserò.-

Chiuse la porta della propria stanza alle spalle e vi si appoggiò contro con tutto il proprio peso.
La camera era illuminata solo dalla luce che veniva dall'esterno. Sarah aveva messo via gran parte dei libri di narrativa e rimosso quasi tutti i poster. In compenso aveva attaccato al muro una grande lavagna azzurra, su cui aveva incollato diverse fotografie dell'ultimo anno.
Lei, Adrian e Gillian seduti su delle giostre per bambini, lei e Gillian vestite da vamp, una foto di Toby davanti ad una torta di compleanno, Linda e Jeremy affacciati su Roma, Karen e Robert in piscina che si riparavano il viso dagli spruzzi di Toby.
Sarah sorrise.
E' questo il mio posto, è questo il mio mondo.
E allora perchè quella sensazione di vuoto nel petto, quella nostalgia che la sommergeva a ondate, così struggente da mozzarle il respiro? Perchè la sensazione che tutta la sua vita, per quanto piena e vibrante apparisse, fosse segretamente mutilata?
Cercò la propria immagine nello specchio.
La se stessa di adesso odiava il bianco panna che aveva portato per anni: indossava attillate camicie bordeaux e si arricciava i capelli ogni volta che poteva, perchè dessero al viso la vivacità che mancava negli occhi.
Sarah poggiò la mano sullo specchio.
-Hoggle? Mi senti?-
-Sono qui.- sussurrò una voce alle sue spalle.
Sarah si voltò. Il nano era seduto sul letto... anche se "nano" non era più un termine adatto.
Hoggle era profondamente cambiato, si era fatto alto quanto un ragazzino sugli undici-dodici anni, così sottile che i vecchi abiti gli pendevano sulle spalle. La sua pelle era bruna e rugosa come corteccia, i capelli erano fitti viticci arricciati. Nel complesso sembrava un arcimboldo vivente.
-Sono felice di vederti.- le disse goffamente. -Be', come stai?-
Sarah strinse le spalle, evasiva.
-Così.-
Hoggle la guardò. Gli occhi erano rimasti quelli azzurri ed espressivi di sempre.
Alcune cose, per fortuna, non cambiano.
-Volevo sapere del Labirinto. Ci sono novità?-
Hoggle si passò le dita fra i capelli.
-Nessuna novità: è immobile, deserto. I sentieri non si spostano, i Falsi Allarmi dormono, la Foresta è molto silenziosa. E' come se l'intero Labirinto stesse dormendo, e tutti i suoi abitanti dormissero con lui.-
-Eccetto noi.- disse Sarah.
-Eccetto noi.- confermò Hoggle.
-Cosa fai per ora?-
-Oh, le solite cose. Cerco di tenere i sentieri puliti, le siepi in ordine. Non è difficile visto che le erbacce hanno smesso di crescere e la polvere di accumularsi.-
-Capisco.-
Hoggle si mosse a disagio.
-Sarah, adesso hai tu il medaglione. Forse se tu tornassi...-
La ragazza distolse in fretta lo sguardo.
-No.-
-Il Labirinto ha bisogno di te.-
-Il Labirinto ha bisogno di lui. Era lui il re, non io. Io appartengo al Sopramondo, non al Sottosuolo.-
-Ma lui non c'è più, e ha lasciato il medaglione a te!-
Sarah aprì il cassetto, ne estrasse un involto di carta velina. Lo porse ad Hoggle.
-E' solo questo? Solo il medaglione? Prendilo, Hoggle. Te lo lascio volentieri!-
Il nano lo guardò come se fosse un serpente velenoso avvolto in spire.
-Sai che non posso.-
-Io non lo metterò mai!-
-Puoi non metterlo, ma è tuo lo stesso!-
-No! Non è mio! E' suo, maledizione!- Sarah chiuse gli occhi e battè una mano sulla toletta, sollevando un tintinnio di boccette. -Lui non doveva morire così! Non doveva farmi questo!-
Respirò a fondo e riaprì gli occhi, ma il letto era vuoto. Hoggle se n'era andato e nell'aria era rimasto il silenzio greve del suo disappunto.
Sarah deglutì.
Forse una festa in maschera che mi ricordi Jareth è proprio quello che ci vuole, pensò. Affrontare la sua assenza una volta per tutte. Dirgli addio.
Sentì un nodo serrarle la gola.
E sperare lo stesso in un po' di magia.
Abbastanza da desiderare un ballo e inventare un vestito.
Abbastanza da tornare a sorridere ed emozionarsi.
Per qualche motivo le tornò in mente, in un flash rapidissimo, la ragazza che aveva incontrato un anno prima nel Labirinto, sui gradini del castello.
Fra le mani reggeva una strana clessidra: nella camera superiore c'era un uovo e in quella inferiore il teschio di un uccello, e la sabbia si era ormai raccolta tutta in basso.
Sarah immaginò di allungare la mano e capovolgere quella stessa clessidra.
Cosa sarebbe accaduto?
La camera col teschio, piena di sabbia, sarebbe stata in alto; la camera che conteneva l'uovo si sarebbe trovata in basso e avrebbe cominciato a riempirsi di polvere.
Sarah sentì una strana emozione correre lungo la schiena.
Dalla morte alla vita.
Si sentì turbata, ma non avrebbe saputo dire perchè.

 

****

 

Quella notte fece un sogno strano.
Si trovava nel Labirinto, nella pianura piena di lapidi: il cielo era di un azzurro terso e l'aria profumava di pioggia e aghi di pino. Sarah camminava fra le tombe, ma non era sola. C'era una fanciulla con lei: capelli d'argento, metà viso ustionata.
Passeggiavano insieme per lo sterminato cimitero.
Sarah guardava le lapidi: in alcune era raffigurata lei stessa, in altre strane versioni di Tobias, Robert, Linda, Karen.
-Le riconosci?- chiese la fanciulla.
-Sì, sono già stata qui. Sono tutte parti di me che ho perso crescendo, cambiando. -
La fanciulla annuì.
-Il cambiamento è un fuoco. Porta via molte cose, ma non può distruggere quello che siete, la vostra natura più vera, e così la riporta alla luce.-
Sarah guardò gli occhi bianchi della fanciulla, il suo viso ustionato.
-E' questo che è successo a te?-
-Più o meno.-
-E' stato doloroso?-
-Conosci un cambiamento che non lo sia?-
La fanciulla si fermò bruscamente. Davanti a loro c'era la tomba di Jareth, annerita dal fuoco.
Sarah si inginocchiò, con l'impressione che qualcosa di importante le stesse sfuggendo.
-Ho la sensazione che ci sia ancora qualcosa che devo fare.-
La messaggera sorrise con leggerezza:
-A proposito, hai capito cosa sia il re dei Goblin?-

 

****


C'erano almeno un centinaio di persone, ma la sala era talmente grande da sembrare semivuota.
La luce cambiava continuamente: a volte era di un verde cupo, come evocasse le atmosfere di una foresta spettrale, poi virava su un soffuso colore dorato, che disegnava morbide ombre negli angoli, sui volti accaldati, sugli abiti vaporosi.
Quando la luce era azzurra, sembrava di camminare sott'acqua.
Quando diventava rossa, sembrava di essere immersi in un immenso catino di sangue.
C'erano diversi tavoli da buffet con frutti di stagione, dolci, zucche intagliate. Sarah prese un drink: vi galleggiava un cubetto di ghiaccio con dentro una mora, così che l'impressione era quella che nel bicchiere ci fosse un occhio.
Sarah posò il drink con una leggera sensazione di nausea.
La musica era pervasiva e insistente.
Gillian, vestita da Cleopatra, e Michael, vestito da faraone, erano già al terzo giro di ballo. La collega di Gillian, Janice, vestita da fata, stava chiacchierando con un ragazzo che indossava un costume da scheletro.
Sarah cercò rifugio in un angolo, all'ombra di un albero di cartapesta. Non riusciva a rilassarsi nè tantomeno a divertirsi. I trucchi sbavati, le acconciature che si disfacevano lentamente nella foga dei balli non somigliavano affatto alle atmosfere languide e perverse dell'altra festa, eppure gliele riportavano alla mente.
Con esse tornava una tristezza sottile e insistente, per l'inevitabile assenza di qualcosa -qualcuno- che avrebbe dovuto esserci.
Quando le note di "Ever dream" cominciarono a diffondersi nella sala, la ragazza pensò che non sarebbe arrivata viva alla fine della canzone.

Ever felt away with me
Just once that all I need
Entwined in finding you one day

Ever felt away without me
My love, it lies so deep
Ever dream of me


-Sarah?-
Si voltò di scatto, quasi sobbalzando.
Il ragazzo era fasciato in un abito da sera nero dalla foggia antiquata. I capelli erano accuratamente pettinati all'indietro, una maschera bianca gli copriva la metà destra del viso mentre le sorrideva e le porgeva una rosa rossa.
Sarah sgranò gli occhi, impiegando una frazione di secondo per riconoscerlo.
-Adrian?- Lo guardò meglio, cercando di immaginarlo con i capelli sparati in tutte le direzioni e una delle solite felpe. -Sei tu? Quasi non ti riconoscevo!-
Il sorriso del ragazzo si accentuò leggermente, una luce divertita scintillò negli occhi castani.
-Perchè stasera non sono Adrian. Stasera... -disse con voce cavernosa- ...sono il Fantasma dell'Opera!-
Sarah sorrise.
-Vedo!-
Gli occhi castani si soffermarono su di lei un po' più del dovuto. C'era una lucentezza quasi febbrile in essi, una tenerezza che Sarah avrebbe preferito non vedere.
No. pensò. Adrian, lascia stare.
Il ragazzo le porse di nuovo la rosa.
-Prendila: è per te.-
Sarah la guardò come non sapesse bene cosa farci. La prese con cautela, ma non ce n'era bisogno: Adrian aveva avuto cura di rimuovere tutte le spine.
-Grazie.- mormorò, sentendosi arrossire.
-E tu?-
Sarah sollevò sguardo.
-Io cosa?-
-Da cosa sei vestita tu?-
Sarah strinse un lembo di raso. Il vestito era ampio, turchese, le ricadeva in morbide pieghe sul seno, sui fianchi, fino alle caviglie. I capelli arricciati, tenuti fermi sulla nuca da un fermaglio, le ricadevano sciolti sulle spalle.
-Io sono Proserpina.- disse.- La Proserpina di Rossetti.-

Would you do it with me
Heal the scars and change the stars
Would you do it for me
Turn loose the heaven within

I'd take you away
Castaway on a lonely day
Bosom for a teary cheek
My song
can but borrow your grace


Gli occhi di Adrian indugiarono nei suoi un solo istante di troppo, abbastanza da tradire l'emozione che si celava dietro la maschera. Il ragazzo le tese una mano guantata di nero.
-Ti va di ballare?-
Sarah trattenne il fiato. Fu un istinto più forte di lei, qualcosa di così viscerale da non avere nulla a che fare con la ragione.
Che cos'era il sogno, e che valore aveva quando cominciava la realtà?
A quindici anni recitava tutti i giorni fino a sfinirsi e pregava, sperava che un re di fiaba si accorgesse di lei, l'amasse più di ogni altra cosa e la portasse con sè nel proprio castello incantato.
Jareth era arrivato davvero, più bello e conturbante di qualunque cosa Sarah avesse potuto immaginare, e dopo averlo aspettato così tanto lei aveva dovuto dirgli di no, perchè il prezzo di quell'amore da fiaba si era rivelato troppo alto.
La vita di Tobias, e non solo.
Temimi, amami.
Fai ciò che io dico e sarò tuo schiavo.

Lui le aveva chiesto anche di abdicare a se stessa.
E adesso, adesso che non aveva più sogni in cui rifugiarsi, ma solo una realtà concreta da prendere a morsi, e un ragazzo normale, che la aspettava nell'ombra con dolcezza e pazienza...

Come out, come out wherever you are
So lost in your sea
Give in, give in for my touch
For my taste for my lust

Your beauty cascaded on me
In this white night fantasy


Accontentarsi.
Il pensiero le attraversò la mente come una frustata.
Accontentarsi di un amore che non ricambiava solo perchè era reale; vivere senza incanto, senza magia solo perchè non credeva più alle fiabe che recitava da bambina.
(ma se ci fossero altre fiabe, fiabe che possa recitare un'adulta?)
Accontentarsi del Sopramondo, con le sue rose innocue che potevano essere private delle spine, o, al contrario, ritirarsi nel Sottosuolo e governare il Labirinto.
Accontentarsi di una realtà o dell'altra: scegliere a quale metà del proprio cuore rinunciare.
Io ho bisogno di entrambe!
Sarah indietreggiò così precipitosamente che quasi inciampò nel vestito.
Un guizzo di sorpresa passò negli occhi nocciola di Adrian, un muscolo si tese all'angolo delle sue labbra. Il suo sorriso resistette, ma divenne più simile ad una cicatrice fibrosa che gli solcava il viso.
Sarah non rimase a guardarlo sanguinare.
-Adrian, scusami... io...-
Lo guardò con fermezza.
-Io devo andare.-

"All I ever craved were the two dreams
I shared with you.
One I now have, will the other one ever dream remain.
For yours I truly wish to be."


Si voltò e corse via come una Cenerentola vestita d'azzurro, le gonne sollevate alle ginocchia perchè non le fossero d'intralcio, il cuore che batteva all'impazzata mentre si faceva strada
(nel Labirinto)
tra i danzatori.
Un pensiero limpido biancheggiò nella sua mente, si allargò fra i pensieri in subbuglio come un fiore in boccio.
(Ogni cosa nel Sottosuolo è esattamente ciò che sembra, e al tempo stesso è ciò che rappresenta)
A proposito, hai capito cosa sia il re dei Goblin?
-Sì, l'ho capito.-
E allora dillo, e lui potrà diventarlo.
Sarah corse fuori. Lontano dalle luci, lontano dalla musica, dai colori sgargianti, da quel misto intossicante di profumo e sudore. Il giardino era rigoglioso e l'aria della sera era frizzante contro la pelle.
Era sola nella semioscurità del viale alberato.
-Jareth.-
Pronunciò quel nome a mezza voce, temendo che le ferisse le labbra, poi più forte, più sicura.
-Jareth!-
Avanzò lungo il viale alberato, la luce dei lampioni gettava un chiarore slavato sulle siepi.
Sara si fermò all'ombra di un salice.
Chiuse gli occhi, ma dietro le palpebre chiuse scorgeva il Sottosuolo, e dunque non vedeva di meno, ma di più.
Offrì il viso alla brezza della sera.
-So cosa sei. Adesso lo so.-
Le parole le premevano dietro le labbra, le scottavano la lingua per l'ansia che aveva di pronunciarle. Ma non poteva, non ancora. Prima doveva essere certa che fossero le parole giuste.
Il Sopramondo ha stelle cadenti, ma tu sei l'ansia con cui le cerchiamo. Sei i sogni che inseguiamo nel dormiveglia, le paure che ci tengono il capo prima di addormentarci.
Lo ricreò nella propria mente, frammento dopo frammento dopo frammento.
Labbra sottili, piegate in un sorriso beffardo.
Un viso senza età, così pallido e lucente da sembrare di ghiaccio e luce lunare.
Capelli chiari che scendevano sulle spalle come purissime scintille di luce.
Sei l'aspettativa che ci accompagna nel viaggio. Sei le forme che cerchiamo nelle nuvole, sei le storie che inventiamo e il bisogno che abbiamo di condividerle.
Lo sentiva prendere forma dai propri ricordi, dal proprio cuore. Lo rivide in quel ballo stregato, strie blu elettrico fra i capelli dorati, tocchi di luce sugli zigomi, gli occhi sfumati di khol e malachite.
Lui era un re, oscuro e antico come la notte, eppure incantevole come il chiarore dell'alba.
Lei era una ragazza mortale, bianca come un giglio, e tutto ciò che aveva erano occhi per vedere gli inganni, e labbra per raccontare una storia.
Sarah tese una mano davanti a sè: le sue dita incontrarono altre dita, che subito si intrecciarono alle sue.
Un brivido le corse lungo la schiena, una scarica elettrica che divenne calore. Teneva gli occhi chiusi, ma sentiva la magia frizzare nell'aria, pungerle il viso.
Il cuore, nel petto, cominciò a battere più veloce.
E' lui.
Sarah lo seppe così, mentre sentiva una guancia diventare solida contro il suo palmo, un respiro diventare calore sul suo viso.
Sentì le ciglia fremere: tenere gli occhi chiusi le sembrava una tortura insopportabile.
Dimmi ciò che sono, ed io potrò diventarlo.
Sentì la voce tremare: le parole dovevano essere pronunciate, e questa volta lei non esitò.
-Un sogno, una speranza, persino un desiderio, si possono estinguere. Ma tu, Jareth, tu sei il bisogno di sognare, sperare, desiderare. Sei la magia che dà un senso al reale, la promessa di incanto dietro la ragione. Sei unico, e sei universale. Perciò, puoi essere ucciso infinite volte, ma non puoi morire.-
Aprì gli occhi.
Aveva bisogno di guardarlo, di sapere che aveva scelto le parole giuste e non l'avrebbe perso di nuovo.
Lui era lì, il viso contro il suo, gli occhi scintillanti come quelli di un gatto e i capelli biondi come spighe di grano.
-Ucciso infinite volte? Devo preoccuparmi, mia preziosa?-
Sarah rise, gli occhi pieni di lacrime.
-Sapevo che non potevi essere morto.-
-Sapevo che, se fossi morto, mi avresti riportato indietro.-
Sarah strinse le sue mani fra le proprie, gli tolse i guanti, li lasciò cadere a terra, dimenticati. Jareth aveva una stella tatuata su un palmo, un verme sull'altro.
Sarah gli gettò le braccia al collo.
-In quegli anni bui, mentre recitavo fino a sfinirmi, tu eri con me!-
Jareth barcollò sotto il suo impeto, ma recuperò l'equilibrio e la strinse a sè. Poggiò la fronte contro la sua, un lampo di malizia guizzò negli occhi spaiati.
-E dunque cosa hai deciso? Sono il principe azzurro o il lupo cattivo?-
Sarah sorrise.
-Entrambi. E io ti amo!-
In quella penombra scintillante, cercò le sue labbra, le trovò.
Calde, morbidissime, reali.
Finalmente lo baciò.

 

C'è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle
l'istante in cui scocca l'unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
(...)
è il tempo che è finalmente
o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.

Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c'era un tempo sognato
che bisognava sognare.


(I. Fossati)


****

Qui Proserpina, di Rossetti

La canzone "Ever dream" appartiene ai Nightwish

Cielo, non so chi vi avesse messo in testa l'assurda idea che Jareth fosse morto! Proprio non me lo spiego! :D
Scherzi a parte, questa piccola fatica è appena finita e già mi manca!
Questa volta, invece di rispondere alle singole recensioni, vorrei usare questo spazio per ringraziarvi tutti. Ho iniziato questa storia perchè ne avevo bisogno, ma l'ho pubblicata sperando che qualcuno la leggesse e, conoscendomi come mi conosco, posso affermare tranquillamente che senza il vostro sostegno non l'avrei mai conclusa.
Halina nel suo commento dice che siamo tutti un po' Sarah: è un concetto che condivido totalmente, che è valido per il film e che ho cercato di portare anche nella ff.
Così questo racconto è dedicato, appunto, ad ognuno di noi.
E grazie, davvero, per avermi accompagnata in questo viaggio :)

   
 
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